Vita quotidiana nell'antico Egitto

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Testo

VITA QUOTIDIANA NELL’ANTICO EGITTO
VILLAGGI, CITTA’ E ABITAZIONI
I primi esempi di urbanizzazione in Egitto risalgono al periodo predinastico: si tratta di villaggi che in qualche caso hanno raggiunto una notevole estensione come Merimde, Maadi e Hieraknopolis. Le grandi città dell’Antico Egitto in epoca storica furono Menfi, Tebe e Alessandria ma di loro non rimane nulla se non i templi perché le abitazioni e i palazzi reali erano costruiti con mattoni crudi facilmente deteriorabili che non hanno resistito nei secoli. Un esempio di urbanizzazione pianificata è Akhenaton; la città era abitata da circa 35.000 persone ed era attraversata in lunghezza da una grande strada, detta “la via reale”, a circa metà della quale un ponte coperto collegava la residenza dei sovrani con il palazzo reale. I templi di Akhenaton erano realizzati con criteri architettonici completamente diversi da quelli della tradizione egiziana classica: il tempio era a cielo aperto e non immerso in una religiosa penombra. Le pareti e i pavimenti dei palazzi erano decorati con splendide pitture che riproducevano scene di vita campestre, fiori e animali.
Il villaggio di Deir el Medina fondato da Tutmosi I era un agglomerato urbano di circa 70 case distribuite sui due lati della strada principale che attraversava il villaggio nel senso della lunghezza; era delimitato da un muro di cinta che dava all’insediamento una caratteristica forma di cartiglio. Le case avevano una pianta lunga e stretta. Con stanze disposte in successione: ingresso/vestibolo, stanza di ricevimento e soggiorno, camera da letto, cucina e ripostiglio; due scale conducevano rispettivamente in cantina e sul tetto, sul quale spesso si dormiva nelle notti più calde.
MOBILI E SUPPELLETTILI
Le case egiziane erano arredate con discrezione, seguendo criteri di funzionalità e necessità. L’egiziano molto probabilmente si sedeva su stuoie o su cuscini posti direttamente sul pavimento; nelle abitazioni più modeste, come nel caso delle case operaie di Deir el Medina, le stesse strutture architettoniche in pietra formavano supporti, come panche e letti. Ma le persone di livello sociale medio-alto dormivano in letti formati da un piano di corde vegetali intrecciate, gambe di forma di zampe leonine collegate da traverse, un panello verticale dalla parte dei piedi e un poggiatesta, che veniva foderato e imbottito per renderlo più confortevole. Per sedersi si usavano seggi con schienale basso, sedie intarsiate con schienale alto, e sgabelli ripiegabili con il sedile in cuoio. I tavoli, da pranzo o da gioco, erano di altezza tale da adattarsi a persone sedute in terra su cuscini e in genere di forma rettangolare.
Per riporre oggetti e biancheria si usavano dei cofani di legno, spesso decorati e dipinti, che poggiavano su quattro piedini ed erano chiusi da un coperchio piano o a forma di doppio spiovente.
ANIMALI DOMESTICI
Gli animali domestici più conosciuti ed amati dagli egiziani erano i cani e i gatti anche se sono documentati alcuni esempi di piccole scimmie ammaestrate. La considerazione in cui gli egizi tenevano cani e gatti fece si che venissero ritenuti forma viventi nelle quali si reincarnavano delle divinità: erano oggetti di culto sia il dio-sciacallo Anubis (patrono della mummificazione, signore dei cimiteri e guardiano delle tombe) sia la dea-gatta Bastet ( dea dell’amore e della gioia). Frequenti sono le rappresentazioni di un piccolo gatto sotto la sedia della padrona e i ritrovamenti di numerose mummie di felini a Bubastri e Saqqara, centri di venerazione della dea Bastet. Quindi era sicuramente il gatto l’animale domestico più amato a cui erano affidate alcune simbologie di carattere religioso e funerario: Erodoto racconta che se una casa andava a fuoco gli abitanti si preoccupavano prima di salvare i gatti e poi i propri averi e quando un gatto moriva gli abitanti si radevano le sopraciglia in segno di lutto.
CIBI E BEVANDE
La tradizionale fertilità del suolo egiziano , derivata dalle piene annuali del Nilo, assicurava in genere raccolti abbondanti, mentre la caccia, la pastorizia e l’allevamento procuravano carne in quantità sufficienti ai bisogni della popolazione. La carne, specie quella bovina, era riservata alle classi più abbienti che potevano permettersi pasti abbondanti e generose libagioni (l’obesità era considerata segno di benessere e di floride condizioni economiche). La carne più comunemente usata dalla popolazione era quella di cacciagione (gazzelle, antilopi) e dei volatili selvatici e da allevamento (quaglie, piccioni, oche, anatre); questi ultimi fornivano anche le uova, giacché il pollame più comune (galli, galline) era sconosciuto in epoca faraonica e venne introdotto più tardi solo in epoca romana.
Molto usato era anche il pesce in molte raffigurazioni delle tombe, ad iniziare dall’ antico Regno, sono frequenti scene di pesca praticata con varie tecniche.
Erano usati in abbondanza i legumi (piselli, lenticchie fave e ceci) e le verdure quali la lattuga.
Un discorso a parte merita il pane, che veniva prodotto in una vasta gamma di tipi e formati: fatto con farina d’orzo, frumento o farro, di forma quadrata, rotonda, triangolare o a mezzaluna, qualche volte arricchito con sostanze dolcificanti quali sciroppo di datteri e miele. La farina veniva triturata con delle piccole macine in pietra manovrate a mano e poi impastata con acqua per poi essere cotta in forni di forma conica.
Anche la frutta era largamente usata: gli egizi non conoscevano arance, limoni, pesche, pere e banane che vennero introdotti in epoca romana ma consumavano invece fichi di sicomoro, datteri, melograni, uva e mele.
I cibi erano bolliti o cotti sulla brace. In una famiglia-tipo i pasti venivano ripartiti nell’arco della giornata cominciando con una prima colazione a base di dolci; seguiva un pranzo con carne o pesce, pane, vino o birra, frutta e una cena a base di pane, frutta e latte.
Si è detto che la birra, insieme con il pane, era alla base della dieta egiziana: quella nazionale, chiamata Heqet, veniva prodotta setacciando e poi triturando in un mortaio o su una mola di pietra dei chicchi d’orzo; la farina ottenuta, con l’aggiunta della quantità d’acqua necessaria, dava una pasta morbida ed omogenea; i pani d’orzo venivano cotti, sbriciolati e poi aromatizzati con sciroppo di datteri; una volta raggiunta la fermentazione, il tutto veniva filtrato e versato in giare, chiuse con un tappo di argilla. Gli autori classici descrivono la birra egiziana come dolce e poco alcolica; la birra nubiana era poco amata dagli Egizi per il suo sapore amaro, mentre una birra pregiata e di prezzo elevato era quella importata dalla Cilicia, chiamata Qedi.
La produzione del vino era ottenuta con un procedimento del tutto analogo a quello in uso fino a non molto tempo fa: i vendemmiatori staccavano i grappoli dal pergolato e li gettavano in un grande bacino sormontato da una trave, alla quale i lavoranti si reggevano mentre schiacciavano i grappoli con i piedi; l’uva rimasta veniva ulteriormente spremuta chiudendola in un sacco di tela alle cui estremità erano infilati due bastoni; girando i bastoni in senso contrario si poteva torcere il sacco e lasciar uscire altro liquido.Il succo veniva poi chiuso in giare e sigillato.
Un’altra bevanda quotidianamente assunta era il latte: alimento principale per i bambini nei primi due/tre anni di vita e usato come liquido di cottura. Anche i suoi prodotti come il burro, il latte cagliato e il formaggio erano molto utilizzati.
BANCHETTI E VITA SOCIALE
Uno degli svaghi preferiti degli egizi era quello di radunare a casa parenti e amici e organizzare feste e banchetti. I padroni di casa accoglievano gli invitati con formule di saluto e di benvenuto, richiamando su chi arrivava le benedizioni degli dei. Poi ci si accomodava su sedie con spalliera alta o sgabelli e cuscini; in genere gli uomini si allineavano da un lato e le donne dall’altro e le ancelle passavano tra gli invitati offrendo fiori e profumi. Mentre i convitati consumavano il pasto, i musicanti rallegravano la festa con canti, musiche e danze; gli strumenti più usati per queste occasioni erano il liuto, il doppio flauto e i tamburelli e i cantori improvvisavano versi tessendo le lodi del padrone di casa.
VARI TIPI DI SPORT
Per tutto l’800 si ritenne erroneamente che l’attività sportiva dell’antico Egitto si limitasse a un semplice esercizio fisico e che solo presso i greci assumesse i caratteri della competizione e dell’agonismo.
La corsa era praticata da truppe o da privati e una stele datata all’inizio del 684 e contiene la cronaca di una gara di corsa ad opera di elementi scelti dell’esercito che ebbe luogo da Menfi all’oasi del Fayum e ritorno.
Un altro sport documentato con una certa abbondanza è la lotta.
Nell’immagine le coppie di lottatori erano composte da un egiziano e da un rappresentante delle altre tre razze umane, ossia i libici, gli africani e gli asiatici. Si trattava di una vera e propria competizione internazionale alla presenza di ambasciatori, aristocratici e membri della casa reale.
Durante il nuovo regno acquistò grande popolarità la scherma con i bastoni; questi ultimi erano lunghi circa un metro, con una impugnatura all’estremità e in qualche caso rinforzati da una lamina di metallo. Per proteggere le mani dei contendenti l’impugnatura era a forma di elsa o di canestro.
Uno sport analogo era praticato da barcaioli che con l’aiuto di lunghe pertiche si colpivano fino a perdere l’equilibrio e cadere in acqua.
Essendo l’Egitto un paese fluviale, molto diffuso era anche il canottaggio; esso fa parte di quegli sport che non avevano finalità competitive.
Tra gli sport regali di grande importanza troviamo il tiro con l’arco, la caccia (agli uccelli, ai tori, ai leoni, ai rinoceronti e agli elefanti) e la corsa del Sed (esibizione di forza fisica necessaria al faraone per il mantenimento simbolico della funzione reale).
GIOCHI PER ADULTI E BAMBINI
Gli egizi erano cultori di molti giochi da tavolo arrivati fino a noi in ottimo stato di conservazione anche se le regole che li governavano ci sono sconosciute. Il gioco da tavolo chiamato Senet consisteva in una cassetta la cui superficie superiore era divisa in trenta caselle quadrate (tre file di dieci) sulle quali venivano fitte muovere delle pedine a forma di cono arrotondato e di rocchetto; le mosse erano regolate dal lancio di bastoncini o di astragali, ossicini ricavati da una zampa di agnello, la cui funzione equivaleva forse a quella dei nostri dadi. Alcune caselle erano contrassegnate con un simbolo: quella con il segno dell’acqua equivaleva forse ad una penalità mentre il segno che siunificava “bellezza” indicava forse un vantaggio o la casella vincente.
A partire dal Nuovo Regno la Senet cominciò ad acquistare un valore simbolico legato alla religione funeraria: si pensava che lo spirito del defunto, giocando una partita contro i nemici invisibili che popolavano l’aldilà, si conquistasse il passaggio (senet significa appunto “passaggio”) ad una vita futura. L’abilità che gli veniva conferita dalla purezza delle sue azioni in vita era una garanzia per un esito favorevole della partita. Documentazione di questa credenza si gi trova nel cap. 17 del Libro dei Morti e in pitture tombali, tra le quali è famosa quella, bellissima, della tomba di Nefertari, dove la regina è raffigurata mentre, seduta da sola al tavolo da gioco, lancia la sua sfida alla morte.
Più antico ancora della Senet era il gioco chiamato Mehen è questo il nome di un serpente che nella religione funeraria serpente risale alla I Dinastia, e richiama nettamente il nostro Gioco dell’Oca, dal momento che si presenta come una tavola circolare sulla quale è Scolpito in rilievo un serpente arrotolato in spire concentriche con la testa al centro. Il corpo del serpente è suddiviso in caselle che ne ripartiscono la superficie in segmenti di uguale lunghezza. La tavola era in genere appoggiata su un supporto a forma di tronco di piramide.
Un altro gioco molto popolare e molto diffuso era quello dello Scudo o dei Cani e Sciacalli. Era formato da una tavoletta a forma di scudo, poggiante su zampe che terminavano con zoccoli di toro. Sulla superficie della tavola era disegnata una palma, e ai lati di essa due serie di 29 fori, collegati tra loro da linee disegnate sul piano, costituivano il percorso, che terminava con un foro di arrivo situato in cima alla palma. Si giocava in due, e i giocatori avevano a disposizione ciascuno 5 pioli in avorio, sormontati rispettivamente da teste di cani e di sciacalli. Il gioco consisteva probabilmente nell’infilare i pioli nei fori e nel muoverli a turno, servendosi del lancio di astragali. fino ad arrivare al foro finale alla sommità della palma. Come nei caso della Senet, anche in questo gioco la presenza di un geroglifico (nefer = buono) accanto ad un foro indicava forse vantaggi per il giocatore. I ragazzi preferivano invece giochi di forza come il sollevamento di sacchi riempiti di sabbia , o di destrezza come il gioco della ruota.

AGRICOLTURA
Fin dalle sue origini l’Egitto è sempre stato, prima di tutto, un paese agricolo. L’ agricoltura era la base e il fondamento della sua economia, e il suo benessere e la sua prosperità sono sempre dipesi dai prodotti del suolo. Durante i tre millenni della storia d’Egitto, il contadino è stato la spina dorsale della nazione. Eppure la conoscenza che abbiamo di questa classe sociale è scarsa e incompleta. Il motivo è chiaro: essendo il contadino analfabeta, non ha lasciato testimonianze scritte su di sé e sulla propria esistenza. Dobbiamo pertanto rifarci a fonti indirette, che sono essenzialmente di due tipi: epigrafiche e archeologiche. Le prime si riferiscono a papiri, pitture e iscrizioni tombali, le seconde agli attrezzi agricoli, facenti parte di corredi funerari, che sono sopravvissuti fino ai nostri giorni. A proposito di questi ultimi, va ricordato che essi si sono modificati pochissimo ne1 tempo, così come sono rimaste inalterate le varie operazioni connesse con la coltivazione: semina, aratura, mietitura, vendemmia, ecc. Ciò è dovuto al carattere estremamente conservatore dell’Egiziano, e anche al fatto che in tutte le società i contadini sono sempre i più lenti a cambiare.
L’elemento che condizionava la vita dei contadini e di tutto l’Egitto era l’inondazione annuale del Nilo, che allo stesso tempo irrigava e fertilizzava la terra. Essa iniziava a metà luglio (il Capodanno egiziano, 19 luglio, era proprio in relazione a questo avvenimento) e l’acqua ricopriva gradualmente le terre fino a un’altezza di due metri; da metà agosto a metà settembre l’intera valle era inondata. Poi le acque lentamente si ritiravano e alla fine di ottobre il suolo era ricoperto da uno strato di fango ricco di detriti organici e di sali minerali, che rendevano la terra fertilissima.
Eppure, malgrado gli autori classici ci abbiano dipinto una situazione quasi da paradiso terrestre, la letteratura egiziana ci descrive il mestiere del contadino come duro e disagevole, con molti inconvenienti e pochi vantaggi. La Satira dei Mestieri o Insegnamento di Kheti, una composizione che risale al Medio Regno, prima di esaltare la professione dello scriba, dà una descrizione negativa degli altri lavori. La situazione diventava effettivamente drammatica, non solo per i contadini ma per tutto il popolo, negli anni in cui la piena del Nilo era ridotta o assente del tutto: allora la scarsa produzione era causa di crisi economiche e di carestie. Un documento famoso che ne parla è la cosiddetta Stele della Carestia, un testo inciso su una roccia dell’isola di Sehel, vicino ad Assuan.
La composizione è di epoca tolemaica, ma viene ambientata al tempo del re Zoser della III Dinastia, il quale offrendo sacrifici al dio Khnum di Elefantina riuscì a metter fine ad una carestia che durava da sette anni.
CACCIA E PESCA
I metodi di caccia erano diversi a seconda che si volesse catturare il maggior numero possibile di prede, in genere uccelli, o che si volesse abbattere singoli animali. Nel primo caso si usava una grossa rete di forma esagonale. Essa veniva distesa al suolo e fissata per una estremità ad un palo: era attraversata nel senso della lunghezza da una lunga fune, che serviva da tirante. I cacciatori osservavano da lontano, facendo suoni di richiamo affinché gli uccelli si posassero sopra la rete; a quel punto veniva tirata la fune e parte della rete ricadeva sugli uccelli imprigionandoli.
La caccia con armi, frecce o bastoni da lancio del tutto simili ai boomerang australiani, era diretta contro singoli animali, anche di grossa taglia. Sono frequenti raffigurazioni tombali nelle quali il titolare della tomba appare intento a questo tipo di caccia.
La pesca avveniva in zone paludose, dai bassi fondali, cd era, oltre che un passatempo, una delle principali fonti di sostentamento per gran parte della popolazione, essendo il Nilo particolarmente ricco di pesci. I pescatori lavoravano divisi in piccoli gruppi, su leggere imbarcazioni di papiro, usando diverse tecniche e strumenti: l’arpione, usato contro pesci di grosse dimensioni, o vari tipi di reti, tra cui molto diffusa era la nassa, alta circa un metro e mezzo, a forma di bottiglia chiusa ad una estremità.
ARTIGIANI E OPERAI
Nelle tombe dei nobili e degli artigiani della riva occidentale di Tebe sono spesso raffigurate varie attività artigianali: lavorazione dei metalli, falegnameria, fabbricazione di vasi di pietra, produzione di oggetti preziosi. La maggior parte degli oggetti erano destinati alla corte, ai templi o a persone della ricca borghesia. L’abilità nel realizzare certi manufatti e oggetti artistici non fu tanto legata alla tecnologia o all’impiego di particolari materiali, quanto piuttosto all’organizzazione del lavoro, al talento dell’artigiano e alla disponibilità di tempo; ma gli artigiani non venivano considerati come appartenenti ad una categoria privilegiata, e non vi sono motivi per ritenere che li si considerasse molto più che operai particolarmente bravi nelle rispettive attività. Non esisteva il concetto di artista come lo intendiamo oggi, e difatti la produzione artistica dell’Antico Egitto, salvo rarissime eccezioni, è tutta anonima. Non ci sono stati tramandati nomi di famosi pittori o scultori come è avvenuto per l’antica Grecia. Tra i prodotti più pregiati che ci sono pervenuti vanno annoverati quelli derivati dalla lavorazione del legno: mobili, oggetti, statue. Il legno come noto era tutt’altro che abbondante in Egitto: gli alberi locali che venivano maggiormente utilizzati erano l’acacia, il sicomoro, la tamerice e la palma. Quando iniziarono i contatti con paesi stranieri, specie quelli del bacino mediterraneo orientale, iniziò l’importazione di legname: cedri e pini dal libano, abeti e cipressi dalla Siria; dalla Nubia e dalle coste del Mar Rosso l’ebano, che intarsiato con avorio veniva impiegato per oggetti di particolare valore.
Gli attrezzi comunemente usati in falegnameria (accette, scalpelli, seghe, punteruoli, trapani) avevano lame di metallo prima di rame e poi di bronzo. Per tenere insieme le parti venivano utilizzati chiodi di legno o di avorio, vari tipi di incastri (tra cui quelli a coda di rondine) e delle colle animali. Per proteggere le superfici si usavano olio di cedro, gomma arabica e cera d’api. Una volta terminati, gli oggetti venivano colorati; i reperti pervenuti fino a noi mostrano ancora dei colori brillanti, grazie al clima secco dell’Egitto e al fatto che venivano usate sostanze naturali: il carbone di legno per il nero, il gesso e il calcare per il bianco, l’ossido di ferro per l’ocra, che variavano dal giallo al rosso e al bruno, l’azzurrite per il blu, la malachite o l’ossido di rame per il verde.
Un’altra categoria importante era quella dei muratori ; il motivo per cui si è mantenuta fino ai nostri giorni soltanto l’architettura religiosa dell’Antico Egitto (piramidi, templi, monumenti) e non quella civile (palazzi e abitazioni) è che la prima impiegava la pietra e la seconda mattoni crudi, che non hanno resistito al passare dei secoli. I mattoni venivano fabbricati con una mistura di fango del Nilo e di paglia tritata, che veniva pestata con i piedi e mescolata con una pala; il tutto si versava in stampi di legno, poi lo stampo veniva sollevato e il mattone veniva lasciato seccare al sole.
Il vasaio costruiva i suoi vasi con l’argilla: ne impastava un certo quantitativo con i piedi, poi la collocava sul tornio, un semplice disco girevole su un perno, e la modellava con le dita sino a raggiungere la forma voluta; il vaso veniva poi cotto nel forno e decorato.
Scultori e orefici utilizzavano come materia prima per i loro lavori di due metalli più preziosi per eccellenza, ossia oro e argento. Il più usato dei due ora di gran lunga l’oro, sia per gli abbondanti quantitativi che entravano in Egitto dalle ricche miniere della Nubia, sia perché le tecniche di estrazione richiedono strutture meno sofisticate di quelle dell’argento. Quest’ultimo continuò ad avere lo stesso valore dell’oro fino al Nuovo Regno, quando cominciarono rifornimenti regolari dai paesi asiatici sottomessi dall’Egitto.
SCRIBI
Il supporto scrittorio per eccellenza dell’Antico Egitto era il papiro che raggiungeva la massima flessibilità e tenerezza dopo un anno: veniva reciso alla base e il fusto, di sezione triangolare, veniva tagliato in listelli. Questi erano giustapposti in file parallele sopra una tavola e sopra veniva sovrapposto uno strato perpendicolare; il tutto veniva pressato e poi lasciato asciugare: i listelli si incollavano spontaneamente l’uno all’altro, e ne risultava un foglio liscio e flessibile, che incollato ad altri fogli formava una lunga striscia che veniva arrotolata. L’ altezza media di un papiro era di circa 45 cm mentre la lunghezza variava a seconda del testo: la copia del Libro dei Morti trovata nella tomba dell’architetto Kha e conservata al Museo di Torino è lunga 14 metri ed è formata da trentotto fogli.
I papiri più antichi finora conosciuti risalgono alla IV Dinastia (ca. 2.500 a.C.). Sui papiri si scriveva con un calamo costituito da un piccolo giunco appuntito ad una estremità; l’inchiostro poteva essere nero o rosso, ed era stemperato in due vaschette poste nella classica tavoletta da scriba, di cui si conservano parecchi esemplari nei vari musei.
Tra i funzionari della macchina burocratica statale il più importante e stimato era lo scriba: egli aveva in mano la funzione esecutiva e governava tutte le classi sociali senza subire gli inconvenienti delle altre professioni. In una società dove gli alfabetizzati erano circa il 200 in epoca faraonica, per salire poi al 10% in età tolemaica, quando pero ormai in Egitto si parlava e si scriveva greco, il conoscere i segreti della scrittura garantiva una vantaggiosa carriera nell’amministrazione statale, un’ottima retribuzione ed una posizione sociale di grande prestigio.
L’importanza dello scriba nell’Antico Regno portò a stabilire un suo particolare modulo figurativo: seduto con le gambe incrociate, il rotolo di papiro spiegato sulle ginocchia, la mano destra che regge lo stilo, l’espressione intenta a cogliere le parole che il committente gli sta dettando. Sono famose le due statue di scriba conservate rispettivamente al Museo del Cairo e al Louvre.
La trafila della carriera burocratica era lunga e non agevole: da scriba si passava a scriba superiore, a scriba direttore, e infine si entrava nei ranghi dell’amministrazione reale: «Coloro che portano il bastone» e «Reggenti reali».
Lo scriba svolgeva un ruolo centrale anche nella riscossione delle tasse sul raccolto, calcolate in base alla produzione dei singoli terreni: sono frequenti nelle tombe dell’Antico Regno scene nelle quali gli scribi registrano l’ammontare pagato o da pagare, mentre gli evasori vengono condotti alla loro presenza e bastonati.
Il patrono degli scribi era Thoth, dio dalla testa d’ibis patrono della saggezza, inventore della scrittura, della scienza e della magia. Thoth è scriba degli dei e cancelliere del giudizio del defunto nella cerimonia della psicostasia.
MEDICI
La medicina e la magia nell’Antico Egitto sono sempre state considerate come strettamente collegate, in quanto si riteneva che le malattie, oltre a derivare da cause naturali o traumatiche, fossero una sorta di punizione inviata dagli Dei o una espiazione per aver commesso un peccato o oltraggiato una divinità. Occorreva quindi prima, con le formule magiche, espellere dal corpo del paziente le forze malefiche che avevano causato l’infermità, e poi, con l’aiuto dei farmaci, curare i danni prodotti da quelle forze.
Si avevano perciò tre distinte classi mediche:
I Sunu, medici studiosi dei papiri.
I Wahu, sacerdoti di Iside, Thoth o Sekhmet.
I Sau, guaritori con poteri magici.
La trattazione delle malattie avveniva per fasi successive: esame del malato (auscultazione, palpazione); diagnosi; prognosi, che poteva essere favorevole, riservata o infausta. I medici egiziani erano rinomati per la loro sapienza in tutto il mondo antico, e oltre ai medici generici, esistevano anche specialisti.
Il trattamento delle malattie poteva essere medico o chirurgico e le informazioni relative a queste due tecniche le possiamo ricavare dai due importanti papiri medici che ci sono pervenuti, il Papiro Ebers per la medicina e il Papiro Edwin Smith per la chirurgia.
Il trattamento medico per le malattie faceva in gran parte ricorso a sostanze naturali, vegetali o minerali; il miele era largamente impiegato: su circa 900 prescrizioni note ben 500 ne fanno uso, e nel solo Papiro Ebers è prescritto per 233 casi; il suo potere batteriostatico era anche sfruttato per confezionare unguenti da applicare sulle ferite.
LA DONNA E LA VITA CONIUGALE
Si ritiene che l’amore tra i giovani egiziani venisse praticato con una certa libertà: alcuni passaggi di poesie d’amore fanno pensare che durante il fidanzamento ragazzi e ragazze si conoscessero intimamente, anche se il tradizionale riserbo degli Egizi in materia di sesso dipinge il tutto con molta delicatezza: gli innamorati si chiamano tra loro “fratello” e “sorella”, e così continueranno a chiamarsi anche dopo il matrimonio. L’uso di questa terminologia ha fatto pensare per molto tempo che gli Egizi praticassero matrimoni tra consanguinei, ma oggi questa ipotesi viene decisamente respinta dagli studiosi e accettata limitatamente ai casi di matrimoni reali, dove quest’uso era in vigore per conservare la purezza della stirpe: si sa anche di faraoni, ad esempio Ramsete II, che sposarono proprie figlie. Ma non esiste un solo caso documentato di matrimonio tra fratello e sorella tra nobili, borghesi o contadini. Si pensa perciò che questi termini venissero usati per indicare una stretta affinità spirituale, il sentirsi parte di una stessa famiglia.
Si ritiene che per il fidanzamento il consenso del genitore della ragazza fosse richiesto ma non vincolante e avveniva in età molto giovane, 16-17 anni per l’uomo e 12-13 per la donna, anche in considerazione della durata media della vita degli antichi egizi, molto inferiore a quella di oggi.
Il matrimonio doveva essere considerato uno stato di fatto e non un rapporto giuridicamente o religiosamente legalizzato. Esso era costituito dal passaggio della ragazza dalla casa paterna a quella del fidanzato, e la coabitazione rendeva automaticamente legittima l’unione.
Sembra che al calar della notte la sposa venisse condotta pubblicamente alla casa dello sposo, accompagnata da doni e da un corteo di parenti ed amici. Da parte sua l’uomo offriva una grande festa, alla quale venivano invitati numerosi ospiti, che a loro volta portavano i loro regali di nozze.
Anche se il matrimonio non aveva veste giuridica, era pero accompagnato da clausole di contenuto patrimoniale che venivano concordate tra i coniugi. Si tratta di un insieme di norme, attestate in documenti della XXII Dinastia, che miravano principalmente a garantire alcuni diritti alla donna in caso di scioglimento del matrimonio. Il marito contribuiva al finanziamento della vita in comune e alla costituzione di un patrimonio coniugale nella misura di due terzi del totale; un terzo era compito della moglie. In caso di morte di uno dei due, il coniuge superstite aveva l’usufrutto dell’intero capitale, ma poteva disporre solo della sua parte. In caso di scioglimento del matrimonio ognuno riprendeva quanto aveva portato al patrimonio coniugale: due terzi l’uomo e un terzo la donna. Nella stessa misura venivano ripartiti i beni acquisiti successivamente alla data del matrimonio.
Così come non occorrevano formalità giuridiche per porre in essere un matrimonio, anche per il suo scioglimento non occorreva alcun atto formale, ma era sufficiente una formula di ripudio, che veniva indicata con il verbo shem, che significa «invitare alla partenza».
Esisteva anche il divorzio per specifiche cause, che veniva chiamato khaa, cioè «espulsione». Le cause potevano essere l’incompatibilità di carattere, il fatto che uno dei coniugi si innamorava di un’altra persona o la sterilità. Se una donna veniva ripudiata senza averlo meritato, recuperava i beni portati al patrimonio comune e un terzo dei beni maturati durante la vita matrimoniale.
Ma la causa più grave di divorzio era l’adulterio, che venne sempre considerata una colpa molto grave, sembra, nei tempi più antichi, anche punita con la morte.
La finalità del matrimonio era naturalmente quella di avere figli, ed anche in grande numero, dato l’altissimo tasso di mortalità infantile
La donna egiziana partoriva nuda, a volte inginocchiata o seduta su quattro mattoni rituali, simbolo delle quattro divinità che proteggevano il parto: Iside (sposa e sorella di Osiride raffigurata con il simbolo della vita, l’ankh, tra le mani), Nefti (raffigurata con uno scettro) , Meskhenet e la dea rana Heqet.
Altre due divinità proteggevano gravidanza e il parto: la dea ippopotamo Taurt, il cui nome significa «la grande», (è raffigurata in forma di femmina di ippopotamo, gravida, con seni umani penduli e coda di coccodrillo) e il dio nano Bes, (divinità di probabile origine africana, lo testimonierebbero la sua criniera e le sue orecchie leonine raffigurato, barbuto e con le gambe arcuate). Nel momento stesso della nascita, il bambino riceveva il nome. Il nome era considerato della massima importanza nella vita religiosa dell’egiziano: era uno degli elementi che componevano la persona umana, ed era ritenuto in un certo senso il simbolo e la garanzia della propria esistenza e identità: le divinità avevano un nome segreto, conoscendo e pronunciando il quale si acquisiva potere su di loro. Dare il nome ad una cosa significava farla vivere: questo è il motivo delle iscrizioni sulle statue, delle didascalie nelle pitture. Dato l’alto tasso di mortalità infantile, i bambini erano protetti e difesi da malattie e infortuni con amuleti, che venivano messi sul loro corpo, e con formule magiche pronunciate dalla madre.
DIRITTI CIVILI, CARICHE PUBBLICHE E PRIVATE
La donna era considerata giuridicamente uguale all’uomo e veniva trattata sullo stesso piano: poteva possedere beni, acquistarne, alienarne e anche in materia di successione i lasciti erano identici a quelli dell’uomo. Tutti questi diritti le spettavano dalla nascita e nessuna alterazione del suo status giuridico veniva apportata in seguito al matrimonio o alla maternità. Durante il matrimonio la donna non era soggetta né all’autorità del marito né a quella del figlio maggiore; poteva ereditare dal marito allo stesso titolo dei figli, e l’uguaglianza nella successione tra figli e figlie testimonia della completa parità giuridica dei due sessi.
Nelle successioni i beni del defunto erano trasferiti automaticamente ai figli in parti uguali senza tener conto del sesso e in mancanza di discendenti legittimi tutto il patrimonio passava al coniuge superstite e se la donna disponeva di beni acquisiti al di fuori della parte di patrimonio in comune con il coniuge, poteva anche escludere dalla successione alcuni dei suoi figli. Le donne potevano frequentare liberamente le scuole per scribi, in modo da aver accesso alle stesse professioni degli uomini: già nell’Antico
Regno le donne potevano seguire l’insegnamento della medicina e della chirurgia, come nel caso di una donna sepolta in una mastaba di Giza, che aveva il titolo di Direttrice delle dottoresse. Una professione
femminile importante era quella dell’ostetrica, che spesso richiedeva anche la competenza nella musica e nel canto (forse per accostamento alla dea Hathor, patrona dell’amore e della sessualità, ma anche della musica (rappresentata con scettro e disco solare). Nel campo dei mestieri minori, alcune attività erano di esclusiva competenza delle donne, mentre altre sembra siano state appannaggio degli uomini: erano praticate da donne la tessitura, la confezione di abiti, la fabbricazione di profumi; nel campo alimentare, la macinazione del grano per il pane e la preparazione della birra spettavano alle donne, mentre la cottura del pane e la raccolta dell’uva erano di competenza degli uomini, così come alcune attività faticose, come il lavaggio dei panni.
Un altro settore di grande importanza aperto alle donne fu quello del clero. Le sacerdotesse si dedicavano specialmente al culto della dea Hathor, ma anche a quello di divinità maschili, come Amon (sul capo portava una corona con due alte piume di falco simbolo del suo potere sull’aria e lo scettro), Thoth, Ptah (raffigurato col corpo avvolto in un sudario, era l’inventore delle arti quindi protettore degli artigiani e creatore dell’universo) e Sobek ( dio uscito dalle onde e dalla testa di coccodrillo).
L’EDUCAZIONE DEI FIGLI
I bambini venivano allattati fino all’età di tre anni e successivamente nutriti con cibi semplici ed economici essenzialmente a base di sostanze vegetali. Dato che l’Egitto offriva un clima mite, i bambini andavano in giro senza vestiti fino all’età della pubertà.
Come tutti i bambini del mondo, anche quelli degli Egizi avevano i loro giocattoli : bambole trottole (ne esistono esemplari che risalgono alla I Dinastia), animali in legno montati su ruote e provvisti di una cordicella per trainarli, palline di varie dimensioni, ecc…
Sulla struttura e l’organizzazione dell’insegnamento scolastico si conosce molto poco. A parte la formazione professionale degli scribi, non sappiamo come fossero formate le classi di scuola ma probabilmente l’insegnamento si teneva all’aria aperta. Gli studi duravano almeno 10 anni e la parte principale dell’ insegnamento consisteva nell’imparare a leggere, a scrivere e a far di conto.

Esempio



  


  1. ALESSANDRA

    L'ANTICO EGITTO RIASSUNTO