Totalitarismi del Novecento

Materie:Riassunto
Categoria:Storia

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Testo

4 La situazione internazionale negli anni Venti e Trenta
La grande crisi economica
5 Il crollo di Wall Street e la crisi economica
Dopo la crisi generale del 1921, i primi segni di ripresa giunsero dagli Stati Uniti, che erano l’unica potenza economica che già nel 1922 aveva aumentato la propria produttività grazie alla guerra. Infatti, le società statunitensi colsero l’occasione per investire in Europa, in modo da trarre grandi profitti dalla ricostruzione. La dipendenza economica dei Paesi occidentali nei confronti degli Stati Uniti era notevole. In Francia, Inghilterra e Italia, la pressione americana per la riscossione produsse la conseguente richiesta di accelerare il pagamento dei danni da parte della Germania.
Negli USA grazie agli investimenti in Europa, la crescita della produzione fu inarrestabile.
A questa situazione di crescita si associava un atteggiamento isolazionista e protezionistico, per difendere il mercato interno.
Tuttavia, agli USA era stato affidato il compito della stabilizzazione monetaria internazionale. La guerra aveva prodotto nei principali paesi una straordinaria emissione di carta moneta per le spese belliche. A conflitto concluso si capì che il sistema del Gold standard, che ancorava le monete alle riserve auree disponibili nelle casse dello stato, non poteva più essere efficace, in quanto le banche centrali dei principali paesi europei avevano triplicato la quantità di banconote emesse. Questo portò quindi ad un processo svalutativo.
Nel 1922 era stato dato il definitivo addio al sistema Gold standard. Alla copertura in oro veniva affiancata quella in dollari o in sterline. Tale sistema venne denominato Gold Exchange Standard e consentì una relativa stabilizzazione delle fluttuazioni monetarie.
La fine degli anni Venti sembrò portare un certo ottimismo sui mercati internazionali. Tuttavia negli USA la ricchezza prodotta non si distribuì equamente: a fronte di enormi arricchimenti degli imprenditori, il tenore di vita della maggioranza degli statunitensi era peggiorato.
I consumi vennero alimentati da un forte ricorso al credito.
Nella seconda metà degli anni Venti un progressivo calo delle esportazioni verso l’Europa portò un forte decremento produttivo. Tuttavia si ebbe un’illimitata fiducia nei titoli azionari, tanto che le quotazioni delle azioni borsistiche registrarono un incremento esponenziale.
Per le azioni della Banca d’Inghilterra, intervenuta per difendere i propri interessi, fra il 24 e il 29 ottobre 1929 la borsa di Wall Street registrò un impressionante crollo dei titoli dei principali gruppi finanziari e industriali. Questo generò una crisi economica gigantesca, con conseguenze pesantissime a livello mondiale.
Fallirono grandi aziende, ma anche le banche. Il presidente degli Stati Uniti sostenne che il sistema economico si sarebbe ristabilizzato in tempi brevi. In realtà, la crisi fu lunga e profonda e coinvolse ampi settori economici nazionali e internazionali. Fra il 1929 e il 1932, la crisi dilagò anche in Europa.
La crisi produsse ovunque conseguenze non solo economiche, ma anche psicologiche e politiche, accentuando la fragilità di alcuni sistemi politici. La recessione produsse ovunque politiche protezionistiche, per assicurare alle industrie nazionali un mercato interno protetto e regolato.
6 La reazione degli USA alla crisi: Roosvelt e il New Deal
Le misure anticrisi si orientarono secondo due indirizzi differenti. La Gran Bretagna organizzò una politica di difesa del valore della sterlina attraverso la riduzione della spesa pubblica e la contrazione del credito, che, tuttavia, non riuscì a evitare la svalutazione della sterlina.
Negli USA il governo non era riuscito ad affrontare l’emergenza. Nelle nuove elezioni venne eletto presedente il democratico Franklin Delano Roosvelt, che propose un programma completo e organico per risolvere la crisi, chiamato New Deal. Roosvelt riteneva necessari sostanziali perfezionamenti alle tradizionali politiche economiche. Lo Stato doveva intervenire per sostenere gli investimenti, i salari e quindi la domanda. Gli interventi statali furono pianificati con grande impegno dal presidente allo scopo di far ripartire la produzione. Il governo federale commissionò opere pubbliche che permettevano di assumere disoccupati e di indurre le aziende private a riprendere l’attività. Con questi interventi Roosvelt intendeva avviare un effetto virtuoso a catena che avrebbe dovuto risollevare le sorti economiche degli Stati Uniti.
Il New Deal prevedeva la ristrutturazione del sistema finanziario. Il governo creò delle commissioni di controllo al fine di tutelare i depositi bancari e impedire speculazioni azzardate. Venne svalutato il dollaro sui mercati internazionali per incoraggiare le esportazioni. Gli effetti della politica di Roosvelt iniziarono a farsi sentire dal 1933, ma gli USA superarono definitivamente la crisi solo dopo il 1940.
L’età dei totalitarismi
1 La costruzione dello Stato fascista in Italia: le scelte economiche
Fra il 1925 e il 1926 l’Italia si trasformò in uno Stato governato dalla dittatura del Duce e del Partito fascista. Il Paese vedeva cancellati i partiti politici, eliminata ogni libertà di parola, espressione, stampa e associazione sindacale.
Il Parlamento perse via via la sua funzione legislativa. Nel 1939 la Camera dei Deputati fu sostituita dalla Camera dei Fasci e delle Corporazioni, i cui membri erano nominati dagli organi del Partito fascista.
La Carta del lavoro, del 1927, proponeva una vera e propria rivoluzione sociale e produttiva, instaurando il sistema corporativo. Le corporazioni erano associazioni che riunivano lavoratori e imprenditori per l’organizzazione della produzione e della gestione delle imprese.
In economia, il fascismo assunse una politica di ispirazione liberista, tesa al contenimento dei salari, agli sgravi fiscali per le imprese, alla riduzione del personale statale. Questi provvedimenti riuscirono a rilanciare la produzione industriale, però ebbero come effetto la produzione di un processo inflazionistico. La gestione liberista venne quindi abbandonata e sostituita da una politica economica fortemente caratterizzata dall’interventismo statale.
Fra il 1925 e il 1927 Mussolini lanciò la politica di “quota novanta”, volta a rafforzare la lira sul mercato monetario. Nel 1925 la sterlina valeva 153 lire; l’obiettivo di Mussolini era quello di abbassare la quota a 90 lire. L’obbiettivo venne raggiunto nel 1927, grazie ad una politica deflazionistica. A questo punto venne attuato un intervento dello stato in senso protezionistico, con l’aumento di dazi doganali. Grande rilevanza ebbe la “battaglia del grano”, con cui il Duce pretendeva di raggiungere l’autosufficienza alimentare per l’Italia. Tale strategia diede risultati nell’immediato, consentendo effettivamente l’aumento della produzione cerealicola. Tuttavia la politica protezionistica aveva avuto l’effetto di mantenere alto il prezzo del grano, a svantaggio dei bisogni delle classi più deboli.
Dal 1929, Mussolini diede vita a un notevole incremento dei lavori pubblici, con opere di bonifica e costruzioni edili, e alla creazione di istituti atti a rendere concrete le direttive economiche dello stato. Il progetto di bonifica produsse il risanamento dell’Agro pontino, del Tavoliere di Puglia e del Basso Volturno.
Queste misure furono l’occasione, nel contesto della crisi economica, per creare nuovi posti di lavoro.
L’intervento di bonifica non fu però mai completato e ad esso non si accompagnò mai una strategia di rinnovamento del sistema produttivo del Mezzogiorno, che restò in condizioni di profonda arretratezza.
La crisi economica internazionale consentì al regime di attuare una politica di bassi salari che portò alla riduzione del 15% del potere d’acquisto delle retribuzioni.
Dal 1935 la situazione economica internazionale si complicò per l’Italia: Mussolini subì l’imposizione di severe sanzioni economiche da parte della Società delle Nazioni a seguito della spedizione in Etiopia. Da quel momento le relazioni economiche internazionali vennero gestite quasi esclusivamente allo scopo di rafforzare l’intesa italo-tedesca. L’Italia divenne economicamente e politicamente dipendente dalla Germania, soprattutto a causa della mancanza di materie prime per la produzione industriale. Venne sviluppata una politica di autarchia economica, cioè di autosufficienza produttiva, con costi altissimi e con conseguente impoverimento del Paese.
2 I rapporti con la Chiesa e la concezione dello Stato
L’11 febbraio 1929 si realizzò un grande successo della politica mussoliniana: la firma dei Patti lateranensi tra stato fascista e la Chiesa. Nei Patti si stabiliva il riconoscimento dello stato italiano da parte della Santa Sede; il riconoscimento, da parte dello stato italiano, della sovranità pontificia sulla Città del Vaticano; una convenzione finanziaria, per cui lo stato italiano si impegnava a risarcire la Santa Sede della perdita dello Stato pontificio e un Concordato, attraverso cui la Chiesa consolidava la propria presenza nella vita civile degli italiani.
Mussolini si pose quindi come il pacificatore dell’Italia, in quanto per la prima volta la Chiesa riconosceva lo Stato italiano.
Tuttavia i Patti non consolidarono la fascistizzazione del paese, ma furono anzi uno di quegli elementi che resero il regime un totalitarismo incompiuto.
Nel Manifesto degli intellettuali del Fascismo, lo Stato era pensato come un organismo che si poneva al di sopra degli individui. Era anche il valore morale supremo con cui si identificava l’interesse della collettività
Questa visione del potere politico si contrapponeva sia alla concezione liberale, sia alle teorie socialiste. Il fascismo tentava di percorrere una terza via.
Nei fatti, però, la politica economica del regime e le strategie internazionali del fascismo esprimevano esclusivamente gli interessi del grande capitale e delle classi conservatrici italiane.
Totalitarismo: dottrina politica che ammette un solo partito a guida dell’azione statale o sostiene che il potere governativo debba disciplinare direttamente tutti i rapporti sociali, specialmente quelli economici.
3 Propaganda e dissenso
L’obiettivo della fascistizzazione del Paese fu perseguito con accanimento. Lo strumento principale per quest’operazione era l’organizzazione capillare del Partito nazionale fascista (PNF). La propaganda si serviva di ogni mezzo per diffondere il messaggio dell’esaltazione delle virtù fasciste.
La stampa fu gradualmente ma irreversibilmente assoggettata. Tutto veniva censurato o riscritto secondo la volontà del regime.
L’istituto Luce monopolizzava l’informazione cinematografica, e le trasmissioni radiofoniche erano controllate per conto del regime dall’EIAR (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche).
La fascistizzazione del sistema scolastico si realizzò integralmente nelle scuole elementari, dove dal 1928 venne adottato un testo scolastico unico, approvato dal regime. Inoltre negli anni Trenta divenne obbligatorio il giuramento di fedeltà al fascismo per tutti i funzionari pubblici, e quindi anche per gli insegnanti. Nel 1938 la Carta della scuola progettava la finalizzazione del sistema scolastico alla fascistizzazione della società.
Le organizzazioni parafasciste si occuparono di organizzare il tempo libero di giovani (Opera nazionale balilla, ONB) e lavoratori (Opera nazionale dopolavoro, OND).
La vasta repressione politica seguita al delitto Matteotti e le leggi “fascistissime” resero impossibile ogni opposizione legale al regime. La repressione del dissenso avveniva attraverso il Tribunale speciale.
Nel 1931 infine venne approvato il nuovo Codice penale, che introduceva principi fortemente riduttivi dell’autonomia dei cittadini. Molti degli esponenti antifascisti furono costretti all’esilio e i principali partiti politici, fuorilegge in patria, si ricostruirono fuori dall’Italia. Non tutti però avevano aspettato il delitto Matteotti per prendere le distanze dal regime. Pietro Gobetti assunse fin dal 1922 posizioni critiche nei confronti di Mussolini. Egli definiva il fascismo una sorta di malattia caratteristica dell’Italia. Il proletariato diventava per Gobetti il soggetto politico capace di far rinascere gli ideali liberali e democratici e di avviare la rigenerazione morale e politica italiana.
Fra il 1924 e il 1928 si rifugiarono all’estero i massimi esponenti delle forze politiche non fasciste. Fu anche il caso di Carlo Rosselli e Emilio Lussu, che erano stati protagonisti in Italia di iniziative clandestine. Rosselli fu assassinato da emissari di Mussolini dopo che col fratello ed Emilio Lussu aveva fondato in Francia il gruppo “Giustizia e libertà”.
Il Italia, al di là della diffusione di alcuni “fogli” clandestini, poche furono le voci che poterono continuare apertamente la loro polemica antifascista. Fra queste spiccava per prestigio quella di Benedetto Croce. In principio aveva giudicato il fascismo come una forza rigenerante il panorama politico italiano. In seguito al delitto Matteotti e all’instaurazione del regime prese però le distanze dal fascismo. Progressivamente assunse posizioni ancora più radicali, culminate nella descrizione del fascismo come una sorta di perversione della ragione. La sua rivista continuava, pur fra mille ostacoli, le pubblicazioni. Il regime non osava attaccare un esponente della cultura italiana, assai noto a livello internazionale.
Il Partito comunista clandestino continuava ad operare in Italia. In quegli anni scontava i suoi anni di carcere Antonio Gramsci arrestato nel 1926. Egli raccolse i suoi pensieri nei Quaderni del carcere. Gramsci giudicava il fascismo un fenomeno di lungo periodo, profondamente radicato nella realtà italiana. Dopo il suo arresto assunse la guida del partito Palmiro Togliatti.
Anche all’interno del mondo cattolico si manifestava in rifiuto al regime: lo scioglimento del PPI aveva fatto confluire molti cattolici nelle fila fasciste, tuttavia in alcuni settori il dissenso era radicale. Il Movimento laureati cattolici fu la base della formazione dei quadri antifascisti che avrebbero poi dato il via alla Democrazia Cristiana.
4 La politica estera e le leggi razziali
Il primo atto ufficiale della politica estera mussoliniana fu la partecipazione alla conferenza di Losanna. L’Italia assunse un deciso atteggiamento filo turco e sostenne le rivendicazioni di quel paese, ottenendo il pieno riconoscimento del controllo sul Dodecaneso.
Nell’estate del 1923, cogliendo l’occasione dell’uccisone di quattro militari italiani ai confini tra Albania e Grecia, Mussolini alimento le posizioni antigreche del suo governo e fece occupare l’isola di Corfù.
Nel 1924 il trattato di Roma assegnava definitivamente Fiume all’Italia.
La prima fase della politica estera di Mussolini sembrò orientata ad appoggiare l’azione antitedesca della Francia, ma anche a ricercare relazioni amichevoli con la Gran Bretagna.
Dopo aver firmato vari patti e partecipato a vari accordi, la svolta definitiva per le relazioni internazionali dell’Italia fascista fu la spedizione di conquista dell’Etiopia nel 1935. Mussolini proclamò la fondazione dell’Impero italiano. Egli non si aspettava la dura condanna internazionale e l’intransigenza di Francia e Gran Bretagna. Le sanzioni economiche e politiche che l’Italia subì diedero vita all’autarchia economica e al deciso avvicinamento di Mussolini a Hitler con l’Asse Roma-Berlino.
L’allineamento sulle posizioni tedesche si realizzo pienamente nel maggio 1939 con il patto d’Acciaio. L’aspetto più evidente della dipendenza politica di Mussolini da Hitler fu l’adozione di leggi antisemite: in Italia le leggi razziali vennero applicate fra il 1938 e il 1945, ed ebbero effetti devastanti sulle antiche comunità ebraiche della penisola. Gli ebrei venivano dichiarati non appartenenti alla razza italiana, cosa che ne implicava l’esclusione dalla vita pubblica e sociale.
La Carta della razza approvata nel 1938 stabiliva l’identificazione di appartenenza alla razza semita. Oltre ai nati da genitori ebrei, era ebreo chi professava la religione ebraica. Nel dicembre furono inserite le leggi razziali nel nuovo Codice civile e quindi completata la realizzazione di una legislazione antisemita.
Tuttavia è stato da più parti osservato che l’antisemitismo fascista fu un derivato di quello germanico e ne fu una versione ammorbidita. L’efficacia non esemplare dei provvedimenti antisemiti italiani non era dovuta all’inefficienza del regime, ma ad una sua sorta di indecisione.
Il fascismo non era riuscito, diversamente da quanto era successo con il nazismo in Germania, a fascistizzare fino in fondo la società. Di qui una certa lentezza e difficoltà nell’attuazione dei provvedimenti.
Tuttavia nella prima fase i perseguitati furono più di 50 000. Nel 1943 furono stabiliti l’internamento e i lavori forzati per tutti gli appartenenti alla razza ebraica.
Con l’occupazione nazista dell’Italia, il fascismo coadiuvò attivamente l’azione di deportazione nei lager. Dichiarò la razza ebraica straniera e nemica.
5 La fine della repubblica di Weimar e il nazismo in Germania
La situazione tedesca
In Germania la politica di Stresemann aveva prodotto significativi risultati. Il piano Dawes aveva previsto importanti interventi finanziari a sostegno dell'economia tedesca. Il debito sarebbe stato pagato in quote variabili a seconda della ripresa economica valutata anno per anno. Il marco veniva stabilizzato sui valori del 1914. L'arrivo di capitali stranieri consentì una stabilizzazione economica altrimenti impensabile e consentì al Paese una crescita costante fino al 1929. Nel febbraio di quell'anno venne predisposto un altro piano, il piano Young che riduceva la cifra totale delle riparazioni e impegnava la Germania a pagare in 52 rate annuali.
Il Paese aveva tratto giovamento dalla partecipazione al vertice di Locarno nell'ottobre del 1925. Il trattato obbligava la Germania al definitivo riconoscimento dei confini territoriali stabiliti a Versailles, ma non le impediva eventuali sbocchi verso oriente e le consentiva di riemergere dignitosamente di fronte al mondo con l'ingresso nella Società delle Nazioni.
Si condannò il ricorso alla guerra per la risoluzione delle vertenze internazionali. Fra il 1925 e il 1929 la Germania si avviò insomma a una stabilizzazione politica ed economica che pareva inarrestabile.
La crisi economica e l’assalto di Hitler
La crisi di Wall Street annullò in Germania i successi della politica economica di Stresemann. Il ritiro dei capitali statunitensi determinò un nuovo periodo di crisi.
L'esasperazione e la precarietà economica portarono la popolazione a sostenere i movimenti estremistici a danno della stabilità politica della repubblica. Fra il 1929 e il 1933 si assistette alla vertiginosa ascesa politica di Adolf Hitler. Hitler faceva appello alle istanze nazionalistiche di rivincita, eccitava gli animi alla ricerca di nemici interni (gli ebrei) ed esterni (il comunismo, il capitalismo, il complotto internazionale contro la Germania) e forniva in tal modo una facile spiegazione delle difficoltà tedesche. Inoltre prometteva ai suoi connazionali un futuro glorioso e una rinascita militare ed economica in tempi brevi.
Il ritiro degli investimenti americani e la crisi economica conseguente produssero lo sfascio del sistema della Repubblica di Weimar. La crisi economica toccò l'apice nel 1932. I governi che si succedettero negli anni più critici non seppero reggere l'ondata di sfiducia della società e dei gruppi imprenditoriali.
La politica anticrisi di Hindenburg
Il presidente della Repubblica Paul von Hindenburg rimaneva l'unico punto fermo nel terremoto generale e appariva il solo in grado di gestire la crisi politica. Egli si trovò tuttavia nell'impossibilità di neutralizzare la crescita dei partiti estremisti di destra e di sinistra. Nelle elezioni politiche del 1928, la fiducia nelle istituzioni democratiche e nella possibilità di una ripresa economica aveva premiato le forze moderate.
Intanto all'instabilità politica si aggiungeva quella economica poiché dal 1930 la Germania iniziava a risentire della crisi di Wall Street.
Nel marzo del 1930 Hindenburg nominò capo del governo un esponente del Zentrum, Heinrich Bruning . Il programma di Bruning non superò il voto del Parlamento e si giunse dunque a nuove elezioni nel settembre, che ebbero sorprendenti risultati. Il quadro politico stava mutando in maniera radicale. Comunisti e socialdemocratici ,infatti, erano divisi sugli obiettivi e sui metodi della lotta politica e non seppero, o non vollero, unirsi in un fronte comune antinazista, finendo per spianare la strada a Hitler. I nazisti avevano saputo cogliere il clima di disagio, delusione, rabbia sociale e politica dei disoccupati e delle classi più deboli.
Il Partito nazista era coadiuvato nella propria azione politica e dì propaganda da un vero e proprio raggruppamento paramilitare, le SA. Hitler utilizzò le SA per forzare la situazione. Il Paese divenne preda delle violenze naziste. Il governo Bruning appariva sempre più come una soluzione inadeguata.
Nel 1932 la crisi economica raggiungeva l'apice.
Nell'aprile del 1932 si tennero le elezioni. Hitler ottenne un successo personale incredibile, raccogliendo da solo 13 milioni di consensi.
Nelle successive consultazioni politiche del luglio 1932 i nazisti divennero il primo partito tedesco.
Hindenburg a quel punto tolse la fiducia a Bruning.
Divenne cancelliere Franz von Papen. Egli chiese ai nazisti di entrare nel governo offrendo alcuni ministeri. Hindenburg non era in realtà favorevole a questa ipotesi, ma comunque Hitler rifiutò sdegnosamente.
Il nuovo governo fu affidato a von Schleicher nel dicembre.
Hitler al potere
Il 30 gennaio del 1933 Hindenburg incaricò Hitler di formare un governo di coalizione con la destra e i moderati. Hindenburg e le forze politiche della destra tradizionale erano convinti che Hitler sarebbe stato un utile strumento nelle loro mani poiché poteva garantire al governo una maggioranza parlamentare, ma che non rappresentasse alcun pericolo e potesse essere facilmente imbrigliato nell'interesse della vecchia classe dirigente. In realtà Hitler si mosse in modo fulmineo per garantirsi poteri eccezionali e disarmare le altre forze politiche di governo e di opposizione.
Egli indisse nuove elezioni, il 5 marzo del 1933. Le votazioni si svolsero in un clima di repressione. Esse inoltre furono precedute da un episodio inquietante: l'incendio del Reichstag, sede del Parlamento. Hitler incolpò dell’attentato i comunisti, che vennero perseguitati, e l'avvenimento gli consentì di limitare le libertà politiche e di stampa e di estendere il controllo poliziesco.
Hitler conquistò la maggioranza assoluta in Parlamento. Il 24 marzo ottenne cosi il conferimento dei pieni poteri per il governo, compreso il potere legislativo.
La Germania si avviava verso la realizzazione di uno Stato totalitario in tempi rapidissimi.
• Il 22 giugno il Partito socialdemocratico venne messo fuorilegge. Il 14 luglio il Partito nazionalsocialista fu proclamato partito unico della Germania.
• In quello stesso 1933 fu istituita una polizia politica, la Gestapo (polizia segreta di Stato).
• Il 30 giugno 1934, i vertici delle SA, accusati di cospirazione, vennero massacrati per ordine di Hitler. Il massacro era stato effettuato dalle SS (squadre di difesa. Nell'agosto del 1934 morì Hindenburg. Hitler assunse su di se anche la carica presidenziale, dando vita alla costruzione del Terzo Reich, di cui egli era il Fuhrer ("duce").
6 Lo Stato totalitario in Germania
La discriminazione degli ebrei
Lo Stato nazista prevedeva una piena identificazione fra nazione e nazismo, per cui essere tedeschi ed essere nazisti doveva costituire un tutt'uno.
Fin dal 1933 Hitler attuò quanto aveva annunciato nel Mein Kampf e iniziò l'eliminazione dei "nemici della patria". Le persecuzioni nei confronti degli ebrei iniziarono nel 1933 e furono organizzate con la promulgazione delle leggi di Norimberga. Esse sancivano che gli ebrei:
• non potevano occupare impieghi pubblici;
• non potevano esercitare libere professioni;
• si vedevano revocata la cittadinanza tedesca e ritirati i documenti d'espatrio;
• non potevano avere proprietà immobiliari;
• dovevano essere sterilizzati;
• non potevano contrarre matrimoni con ariani.
La notte fra il 9 e il 10 novembre del 1938 furono distrutti negozi, sfasciate vetrine, linciate in strada persone innocenti, attaccate e incendiate sinagoghe e ritrovi ebraici.
La propaganda, la soppressione dei nemici e l’organizzazione del Reich
Il regime costruì un'organizzazione del Paese di tipo totalitario, senza incontrare opposizioni significative. Anche la Chiesa cattolica e quella luterana, in generale, non parvero in grado di contrastare il regime.
Hitler istituì un ministero della Propaganda.
Sul piano sociale e culturale il nazismo propose un inquadramento rigido. I lavoratori erano organizzati nel Fronte del lavoro, i giovani, fin dall'età scolare, nella Gioventù hitleriana. La Camera per la cultura del Reich assunse il controllo di ogni espressione artistica e intellettuale.
Si assistette alla fuoriuscita di intellettuali di spicco (Einstein, Freud, per citare solo due casi) che cercarono rifugio nei Paesi liberi, a cui offrivano il loro prezioso contributo intellettuale. Nel giro di pochi anni si produsse dunque un decadimento artistico e culturale desolante. Perfino la scienza ne subì le conseguenze. Anche la stampa era posta sotto controllo e cosi le trasmissioni radiofoniche e i servizi di informazione cinematografica.
I giornalisti dovevano naturalmente essere di pura razza ariana e irreprensibili dal punto di vista della fedeltà al regime. L’effetto che questo produsse fu l'uniformazione delle notizie. Analogo trattamento subirono i nuovi media, cioè la radio e il cinema.
Al processo di nazificazione della cultura corrispose naturalmente quello dell'istruzione. Il disprezzo per la cultura era un elemento determinante del nazismo. I programmi e i testi per le scuole vennero riscritti in gran fretta, il Mein Kampf divenne il faro illuminante del lavoro degli educatori. A nessun insegnante era permesso di esercitare la professione senza essere iscritto alla Lega nazionalsocialista degli insegnanti.
I giovani del Reich dai sei ai diciotto anni erano organizzati inflessibilmente nella Gioventù hitleriana, organizzazione di tipo paramilitare in cui i giovani ricevevano un intenso allenamento sportivo e militare.
Le elites venivano istruite nelle scuole che formavano la classe dirigente ai vertici del partito, gli Istituti Politici per l'Educazione, e i Castelli dell'Ordine.
Il regime organizzava un pervasivo controllo sulla società in tutte le sue espressioni. I servizi sociali vennero resi più efficienti e il tempo libero venne organizzato in modo capillare.
La politica economica volta alla destabilizzazione internazionale
Sul piano della politica economica, il regime ottenne ampi consensi dai ceti imprenditoriali. Gli accordi di vertice fra i maggiori gruppi industriali produssero il consolidarsi in pochi anni di una micidiale industria bellica.
Lo sforzo nazista si rivolse anche all'incremento di opere pubbliche e celebrative del regime, che occuparono numerosi lavoratori riducendo significativamente la disoccupazione. Nelle campagne il nazismo favorì senz'altro i grandi proprietari terrieri evitando iniziative di più equa redistribuzione delle terre. L’innovazione tecnologica che tali misure comportavano non consentì peraltro alla Germania di raggiungere l'autosufficienza alimentare. Questa capillare opera di pianificazione economica che investiva tutti i settori era tesa all'autosufficienza produttiva del Paese nel caso di un possibile scontro militare.
Hitler infatti pensava a un ben preciso disegno di destabilizzazione internazionale. Si realizzò una formidabile strategia industriale volta al riarmo dell'esercito, contrariamente al trattato di Versailles. Nel 1933 Hitler aveva abbandonato la Conferenza per il disarmo di Ginevra e la Germania era uscita dalla Società delle Nazioni. A partire dal 1934 egli incominciò ad accarezzare l'idea di una annessione alla Germania dei popoli di lingua tedesca. Il primo e più evidente obbiettivo era l'Austria. Nel 1934, infatti, aveva fatto assassinare il cancelliere austriaco Dollfuss e aveva iniziato i preparativi per l'occupazione militare. Fu la dura opposizione di Mussolini a impedire che questa avvenisse. La preoccupazione per il riarmo tedesco aveva intanto prodotto il cosiddetto Fronte, nato dall'alleanza di Francia, Inghilterra e Italia.
7 Lo stalinismo in Unione Sovietica
Con la pacificazione interna e l’avvio dei piani quinquennali (1928) si produsse in Unione Sovietica il consolidamento del sistema comunista. Dopo la morte di Lenin, nel 1924, Stalin prese le redini del Partito e del Paese.
Fra il 1928 e il 1939 Stalin organizzò uno Stato fortemente accentrato e autoritario a sostegno del suo progetto di edificazione del socialismo.
Stalin programmò i primi piani quinquennali per dotare l’URSS di una grande industria pesante e rendere la sua economia competitiva sul piano internazionale. Nel primo piano quinquennale la pianificazione interessò in particolare l'agricoltura con l’istituzione di aziende di Stato nelle quali i contadini erano dipendenti dello Stato e salariati come operai, oppure, anche se la terra era ugualmente di proprietà dello Stato, ai contadini era lasciata in proprietà l'abitazione e un piccolo appezzamento di terreno per uso proprio. La costruzione dello Stato sovietico prevedeva la scomparsa del nemici del comunismo. Nelle campagne essi furono individuati nei kulaki, piccoli e medi proprietari arricchitisi durante la NEP.
I risultati economici del processo di collettivizzazione furono apprezzabili e l'URSS si trovò in piena crescita produttiva, mentre l'Occidente veniva investito dalla crisi di Wall Street.
Il secondo piano quinquennale continuò la strategia prevista dal primo, che produceva sì un forte incremento della produzione pesante ma a scapito dei beni di consumo e dei servizi. L'idea di Stalin era quella di organizzare la produzione in modo esatto e secondo previsioni accurate. Naturalmente ciò richiedeva un controllo rigido sulla produzione e sui produttori, che venivano indottrinati ai principi del socialismo.
A partire dal 1930 i sindacati avevano cessato di esistere e coloro che non lavoravano secondo i ritmi previsti correvano il rischio di essere denunciati per sabotaggio.
A partire dal 1935 era nato il movimento "stacanovista”.
Ogni successo economico dell'URSS diventava una manifestazione della bontà del comunismo. Tuttavia, Stalin era consapevole che l'edificazione del "socialismo in un solo Paese" doveva essere difesa dalle democrazie borghesi e dalle dittature fasciste.
Il potenziamento dell'Armata rossa andava di pari passo con il potenziamento dell'industria pesante, perciò il regime sviluppò un legame imprescindibile fra potenza militare e produzione industriale.
8 Il nuovo assetto istituzionale dell'URSS
Nel 1936 I'URSS si diede un nuovo assetto istituzionale e una nuova Costituzione. Il nuovo sistema di governo formalmente dava ampie garanzie di democrazia politica e sociale. In realtà le regole costituzionali erano applicate in modo poco democratico in quanto:
• le riunioni del Soviet servivano ormai solo a ratificare le decisioni del Consiglio dei Commissari del Popolo, espressione del Partito e della linea decisa da Stalin;
• nonostante le regole democratiche che avrebbero dovuto governare la società, la dominazione del partito unico e l'indottrinamento ideologico rappresentavano la realtà del sistema;
• l’èlite del Partito gestiva infatti il potere attraverso un sistema terroristico di repressione del dissenso - le cosiddette “purghe staliniane”. La Polizia di Stato si rese protagonista di pratiche di tortura e di morte procedendo ad arresti e processi sommari;
• il culto della personalità di Stalin divenne un elemento determinante nella propaganda politica nel Paese.
Sul piano artistico, il “realismo socialista" rese impossibile la produzione al di fuori dei canoni culturali previsti dal regime e dell'esaltazione acritica del socialismo reale. Lo stalinismo si occupò radicalmente della formazione e dell'indottrinamento dei giovani, radunati in organizzazioni di partito, la principale delle quali era il Komsomol.
10 La guerra tra repubblicani e fascisti in Spagna
In Spagna fra il 1923 e il 1930 era stata stabilita una dittatura militare guidata dal generale Miguel Primo de Rivera.
Nel gennaio del 1930 Primo de Rivera lasciò il potere e le elezioni del 1931 videro un'importante vittoria del partiti repubblicani e di tutte le forze progressiste. Venne proclamata la repubblica. Primo de Rivera aveva lasciato la Spagna in una situazione di grave crisi economica, soprattutto in campo agricolo.
Fra il 1931 e il 1933 il governo repubblicano riformista guidato da Manuel Azana tentò una cauta azione di riforma. Tuttavia fra il 1933 e il 1935 il Paese fu governato da una coalizione di forze conservatrici che provvidero a smantellare ogni traccia di riformismo politico, mentre andavano costituendosi gruppi di estrema destra reazionaria, quali la Falange, di orientamento fascista.
Il 13 luglio 1936 venne assassinato un deputato della destra monarchica. Sei giorni dopo, il generale Francisco Franco (1892-1975) dichiarò decaduto il governo e sbarcò in Spagna al comando delle truppe coloniali stanziate in Marocco. Era l'inizio della guerra civile fra repubblicani e fascisti.
Ben presto la guerra civile spagnola divenne un campo di prova delle alleanze internazionali.
Nel maggio del 1937 le forze comuniste attaccarono gli anarchici nel tentativo di distruggere ogni forma di opposizione politica. Dopo tre anni di lotte cruente, il 28 marzo 1939 la città di Madrid cadeva nelle mani dei militari di Franco e quest’ultimo instaurò una dittatura fascista nel Paese.
11 La situazione in Inghilterra e il diffondersi del fascismo in Europa
La crisi del 1929 aveva avuto effetti profondi anche nella società inglese. La recessione colpì l’economia producendo una grave crisi produttiva e un forte aumento della disoccupazione. Il Paese affrontò la crisi con una politica deflazionistica che portò a una forte riduzione della spesa pubblica, e all’introduzione di misure protezionistiche che privilegiavano i rapporti con i Paesi del Commonwealth.
Si sviluppò, quindi, una buona politica di difesa sociale, potenziando il sistema ospedaliero, la pubblica istruzione e i meccanismi di assicurazione sociale dei lavoratori e dei disoccupati.
In politica estera i conservatori assunsero posizioni di esplicito pacifismo.
In Europa andavano intanto diffondendosi sistemi fascisti o comunque dittatoriali. In Austria il cancelliere Dollfuss aveva instaurato un sistema a partito unico, ispirato ai principi nazionalisti e cristiani, che si proponeva l’eliminazione delle tensioni sociali attraverso lo scioglimento delle forze sindacali e operaie.
In Ungheria, l’influenza del partito filonazista delle Croci ferrate, divenne nel Paese progressivamente più forte.
In Polonia si era istituita nel 1935 una dittatura militare.
Nel 1934 in Bulgaria si effettuò il colpo di Stato dello zar Boris III che sciolse il Parlamento e concentrò tutto il potere nelle sue mani. Analogamente in Jugoslavia il governo ebbe caratteristiche dittatoriali e filofasciste.
In Grecia, Estonia, Lituania e Lettonia, si erano anche formati regimi dittatoriali.
Anche in Turchia il regime di Mustafa Kemal assunse progressivamente caratteristiche autoritarie e repressive nei confronti dell'opposizione.
Infine in Portogallo, fin dal 1926, era stato abolito il sistema parlamentare. Si fondò, quindi, uno Stato autoritario ispirato al modello corporativo italiano.
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