La fisica nei primi del novecento

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Testo

La crisi della fisica classica e la meccanica quantistica
Attualmente non esiste una descrizione teorica generale che descriva tutti i fenomeni della fisica. Esistono molte teorie diverse che riescono a spiegare in maniera soddisfacente un settore particolare. Ogni teoria ha quindi una validità limitata. La teoria elaborata da Galileo e Newton nel XVII secolo, oggi conosciuta come meccanica classica, è sempre riuscita a spiegare in maniera soddisfacente ciò che si riusciva ad osservare; questo giustifica l'importanza e la durata di questa teoria. Alla fine dell''800 il quadro dei rapporti tra esperimenti e teorie nella fisica presenta nuove articolazioni, che incrinano la compattezza degli assetti tradizionali. In particolare, sembra ora venir meno quella supposta corrispondenza biunivoca tra fenomeni ed entità teorico-matematiche che aveva alimentato la speranza di una rappresentazione definitiva del mondo fisico. Grazie allo sviluppo delle tecniche di osservazione, il limite di ciò che era possibile osservare è andato continuamente spostandosi (microscopi, telescopi, ecc...). Questo ha chiaramente modificato il nostro modello della natura, dai sistemi macroscopici, a quelli microscopici. Basti pensare a tutte le rivoluzioni del modello dell'universo ottenute sempre da osservazioni più attente e accurate (telescopi, osservatori, ecc.), oppure l'incredibile evoluzione portata dalla scoperta del microscopio: pensiamo come sarebbe la nostra concezione del mondo se nessuno lo avesse ancora scoperto . Grazie a tutti questi apparati di osservazione fu possibile delineare i limiti di validità della teoria classica . Studiando e sperimentando, ci si rese conto che la teoria classica era incapace di descrivere fenomeni con velocità molto elevate (vicine alla velocità della luce nel vuoto), oltre alle quali deve essere utilizzata la teoria della relatività ristretta; e le dimensioni molto piccole, oltre alle quali deve essere utilizzata la teoria quantistica. La meccanica quantistica è nata dalla crisi della fisica classica, in quanto quest'ultima era incapace di dare delle risposte plausibili ai nuovi fenomeni che si andavano ad osservare nel mondo atomico e subatomico. Grazie alle nuove tecnologie l'uomo ha dovuto confrontarsi con nuovi oggetti, nuovi fenomeni, nuove realtà, coscente del patrimonio culturale fin oggi acquisito; ha cercato delle spiegazioni alle nuove osservazioni con i suoi metodi, ma ben presto si rese conto che questi dovevano essere potenziati, perchè incapaci di descrivere ciò che vedeva. La nascita della meccanica quantistica è una delle più grandi evoluzioni scientifiche del genere umano. In definitiva, per porre una definizione semplice possiamo affermare che: la meccanica quantistica non è altro che una parte della meccanica che studia i sistemi atomici e subatomici. Il terzo e più importante studio di Einstein del 1905, dal titolo Elettrodinamica dei corpi in movimento, conteneva la prima esposizione completa della teoria della relatività ristretta, frutto di un lungo e attento studio della meccanica classica di Isaac Newton, delle modalità dell'interazione fra radiazione e materia, e delle caratteristiche dei fenomeni fisici osservati in sistemi in moto relativo l'uno rispetto all'altro.
La base della teoria della relatività ristretta, che comporta la crisi del concetto di contemporaneità, risiede su due postulati fondamentali: il principio della relatività, che afferma che le leggi fisiche hanno la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento inerziale, ossia in moto rettilineo uniforme l'uno rispetto all'altro, estendendo il precedente principio di relatività galileiano, e il principio di invarianza della velocità della luce, secondo cui la velocità di propagazione della radiazione elettromagnetica nel vuoto è una costante universale, che sostituisce il concetto newtoniano di tempo assoluto. A partire dal 1907, anno in cui fu pubblicata la memoria contenente la celebre equazione che afferma l'equivalenza fra massa ed energia, Einstein iniziò a lavorare a una teoria più generale, che potesse essere estesa ai sistemi non inerziali, cioè in moto accelerato l'uno rispetto all'altro. Il primo passo fu l'enunciazione del principio di equivalenza, in base al quale il campo gravitazionale è equivalente a una accelerazione costante che si manifesti nel sistema di coordinate, e pertanto indistinguibile da essa, anche sul piano teorico. In altre parole, un gruppo di persone che si trovino su un ascensore in moto accelerato verso l'alto non possono, per principio, distinguere se la forza che avvertono è dovuta alla gravitazione o all'accelerazione costante dell'ascensore. La teoria della relatività generale venne pubblicata nel 1916, nell'opera intitolata I fondamenti della relatività generale. In essa le interazioni dei corpi, che prima di allora erano state descritte in termini di forze gravitazionali, vengono spiegate come l'azione e la perturbazione esercitata dai corpi sulla geometria dello spazio-tempo, uno spazio quadridimensionale che oltre alle tre dimensioni dello spazio euclideo prevede una coordinata temporale.L’interazione gravitazionale agisce su tutti i corpi che abbiano massa e/o energia ed ha capacità di agire a lunghe distanze (cosmologiche).
Tutti conosciamo l'azione della forza gravitazionale.
La teoria che descrive l'interazione gravitazionale è appunto la Relatività generale Nella visione quantistica del fenomeno, si dice che la forza esercitata tra due particelle di materia viene trasportata da una particella di nome gravitone (non ancora osservato).
La gravitazione regola la struttura dell'universo, e la forza è sempre attrattiva. Einstein, alla luce della sua teoria generale, fornì la spiegazione delle variazioni del moto orbitale dei pianeti, dando conto in modo soddisfacente del moto di precessione del perielio di Mercurio, fenomeno fino ad allora non pienamente compreso, e previde che i raggi luminosi emessi dalle stelle si incurvassero in prossimità di un corpo di massa elevata quale, ad esempio, il Sole. La conferma osservativa di quest'ultimo fenomeno, realizzata in occasione dell'eclissi solare del 1919, fu un evento di enorme rilevanza.

Per il resto della sua vita Einstein si dedicò alla ricerca di un'ulteriore generalizzazione della teoria in una teoria dei campi che fornisse una descrizione unitaria per i diversi tipi di interazioni che governano i fenomeni fisici, incluse le interazioni elettromagnetiche, e le interazioni nucleari deboli e forti.[In fisica è possibile spiegare tutti i fenomeni naturali, da quelli che avvengono su scala microscopica a quelli macroscopici, utilizzando quattro forze fondamentali: gravitazionale, elettromagnetica, nucleare forte e nucleare debole. Attualmente la maggior parte dei fisici teorici sono impegnati direttamente o indirettamente nell'unificare in un unico modello le quattro forze in modo tale che ogni forza sia un modo di apparire di un'unica forza. Lo stesso Einstein cercò di trovare una trattazione matematica che potesse raggruppare l'elettromagnetismo e la gravità (le interazioni nucleari non erano ancora state scoperte), ma egli non vi riuscì.]La nascita della teoria quantistica la possiamo attribuire alla scoperta dei quanti (1900). Ed è di particolare importanza il problema a cui i fisici lavoravano, "il corpo nero". Il problema dei corpo nero, se trattato con teorie classiche, porta a risultati assurdi. Molti fisici cercarono di mettere a punto delle equazioni matematiche per descrivere il fenomeno, finché un fisico tedesco Max Karl Ernst Ludwig Planck (1858-1947) vi riuscì; e lo fece ipotizzando l'esistenza dei quanti (quantità discrete di energia o pacchetti di energia). In questo modo Planck dimostrò che gli scambi di energia avvengono in modo discreto e non come si è sempre creduto nel "flusso" continuo di energia. Planck ricevette il premio nobel per la fisica nel 1918. Questa scoperta aprì un nuovo mondo di investigazioni scientifiche di successo. Ma la prima descrizione quantistica vera e propria fu la meccanica ondulatoria dell'austriaco E. Schroedinger (1887-1961) che utilizzò metodi matematici tradizionali impiegati in ottica e in meccanica razionale. La trattazione matematica odierna è quella elaborata dal tedesco W. Heisenberg (1901-1976), che partendo da un punto di vista completamente diverso, secondo cui la descrizione della natura a livello dei suoi costituenti ultimi non può essere effettuata dai concetti propri del mondo macroscopico, ma solo con formule matematiche in grado di prevedere il comportamento(“E' impossibile misurare contemporaneamente la velocità e la posizione di una particella, perché nel momento in cui misuro la velocità, modifico la posizione della particella, e nel momento in cui ne misuro la posizione, ne modifico la velocità”). La teoria di Heisenberg e quella di Schroedinger sono equivalenti.
La meccanica quantistica e la filosofia

Se le prime teorie fisiche moderne presentavano molteplici aspetti innovativi rispetto alla concezione meccanicistica dominante all'inizio del XIX secolo, esse conservavano pur sempre un carattere che era stato considerato, anche entro culture assai antiche come l'aristotelismo, l'essenza stessa della scienza: tali teorie si fondavano sulla convinzione che la natura fosse retta da leggi rigorose, deterministiche, di portata universale. La scienza doveva quindi innanzitutto caratterizzarsi per la ricerca di un determinismo negli eventi naturali, al di là delle differenti forme che tale determinismo poteva assumere. La teoria atomistica del Novecento, detta meccanica quantistica, ha messo in discussione anche questo pilastro rimasto saldo per millenni. proponendo una scienza che si occupa di corpi che non sembrano essere soggetti al determinismo e non sembrano obbedire a leggi rigorose.
La quantizzazione dell'energia rappresentava una brusca rottura con la millenaria convinzione circa la sostanziale continuità dei processi naturali. L'antica massima secondo cui "la natura non fa salti" era manifestamente violata dal comportamento dell'elettrone che, nel modello di Bohr, mutava il proprio stato con repentine discontinuità, con salti quantici. Il modello di Bohr rimase il punto di riferimento fondamentale per gli studi sui modelli atomici per circa un decennio, dando origine a una impostazione dei problemi della fisica degli atomi che gli storici chiamano "vecchia meccanica quantistica". La nuova meccanica quantistica venne elaborata in pochi anni, tra il 1924 e il 1927, con il contributo di vari studiosi (De Broglie, Heisenberg, Schroedinger). I fondamenti teorici elaborati in quegli anni hanno rappresentato il pilastro su cui è stata costruita tutta la fisica atomica del Novecento.
La teoria quantistica non è in grado di determinare con precisione il comportamento di una particella atomica, per esempio di un elettrone; essa può soltanto effettuare una previsione statistica circa il suo movimento in determinate condizioni. L'elettrone sembra non essere soggetto a leggi rigorosamente deterministiche, appare dotato di una sorta di "capacità di scelta" tra vari percorsi possibili. Questa caduta del determinismo mise in difficoltà l'ideale di scienza che aveva dominato sin da Aristotele, ideale secondo il quale la scienza è conoscenza dell'universale e si esprime secondo leggi che non ammettono eccezioni; proprio per questo motivo, grandi scienziati come Einstein, Planck e Schroedinger si rifiutarono di ammettere che la nuova fisica fosse una teoria scientifica completa, definitiva, non superabile da una ulteriore teoria atomistica che ripristinasse il determinismo degli eventi naturali. Questi critici finirono però per essere tacitati dai crescenti successi della meccanica quantistica e si affermò, dell'indeterminismo atomistico, un'interpretazione che si fondava sulle concezioni di Heisenberg. Per Heisenberg i gravi problemi interpretativi che si associavano alla meccanica quantistica dipendevano dall'abitudine a usare immagini ricavate dal mondo dell'esperienza macroscopica per rappresentare gli oggetti del mondo atomico. Per esempio, quando si rappresenta un elettrone rotante attorno a un nucleo atomico usando l'analogia di un satellite che gira attorno a un pianeta, sorgono questioni irrisolvibili quali quella posta dalla domanda: "Come fa un elettrone a passare da un'orbita a un'altra senza passare per le orbite intermedie?". L'esperienza non ci fornisce però alcuna informazione su un concetto quale quello di "orbita" di un elettrone, il cui movimento non si può in alcun modo seguire passo passo come si fa con la Luna. Che senso ha parlare allora di grandezze delle orbite o di forma delle orbite quando queste sono al di là di ogni esperienza possibile? Dal punto di vista scientifico, nessuno.
Se si considerano le esperienze che ci permettono di ottenere informazioni sugli oggetti atomici partendo dai principi della nuova teoria, ci si trova di fronte costantemente a una conclusione che è assolutamente nuova rispetto alla meccanica classica. Nella meccanica classica è possibile prevedere il comportamento futuro di un corpo se si conoscono in un dato istante delle informazioni sul suo stato. Se invece di considerare un corpo macroscopico si considera un oggetto atomico ciò non risulta più possibile. Nel caso di un elettrone in movimento, per esempio, i tentativi di misurante posizione o velocità alterano inevitabilmente il suo stato di moto a causa della quantizzazione dell'energia tanto delle particelle quanto delle radiazioni luminose. È il disturbo provocato dagli apparati di misura sulle particelle a impedire di conoscere le coordinate canoniche, è l'interazione tra oggetto e apparato di osservazione a generare un comportamento apparentemente indeterministico degli oggetti microscopici; sarebbe però insensato, prosegue Heisenberg, porsi la questione di come si comportino questi oggetti quando nessuno li osserva, quando nessuno strumento li disturbi, e chiedersi se in realtà il loro comportamento è di tipo deterministico oppure no, in quanto è evidente che lo scienziato non ha nulla da dire circa quello che fa la natura allorquando nessuno la osserva. Limitandosi a quel che dicono le esperienze, la scienza non può far altro che sottolineare come nel mondo atomico le esperienze non consentono di misurare con precisione quei dati che sarebbero necessari per poter effettuare una previsione deterministica.
Albert Einstein e la relatività
Albert Einstein (Ulma 1879 - Princeton, New Jersey 1955), fisico tedesco naturalizzato statunitense, fu probabilmente il più grande scienziato del XX secolo. La sua teoria della relatività, e quindi la negazione dell'esistenza di spazio e tempo assoluti, e l'ipotesi sulla natura corpuscolare della luce, cui pervenne generalizzando la teoria di Max Planck, segnarono una vera e propria rivoluzione del pensiero scientifico. Trascorse gli anni giovanili a Monaco, città nella quale la famiglia, di origine ebraica, possedeva una piccola azienda che produceva macchinari elettrici, e già da ragazzo mostrò una notevole predisposizione per la matematica; a dodici anni imparò, da autodidatta, la geometria euclidea. Quando ripetuti dissesti finanziari costrinsero la famiglia a lasciare la Germania e a trasferirsi in Italia, a Milano, decise di interrompere gli studi. Visse un anno insieme alla famiglia, ma ben presto comprese l'importanza di una salda preparazione culturale e, concluse le scuole superiori ad Arrau, in Svizzera, si iscrisse al politecnico di Zurigo, dove si laureò nel 1900. Lavorò quindi come supplente fino al 1902, anno in cui trovò un modesto impiego presso l'Ufficio Brevetti di Berna.
Prime pubblicazioni scientifiche

Nel 1905 Einstein conseguì il dottorato con una dissertazione teorica sulle dimensioni delle molecole; pubblicò inoltre tre studi teorici di fondamentale importanza per lo sviluppo della fisica del XX secolo. Nel primo di essi, relativo al moto browniano, fece importanti previsioni, successivamente confermate per via sperimentale, sul moto di agitazione termica delle particelle distribuite casualmente in un fluido. Il secondo studio, sull'interpretazione dell'effetto fotoelettrico, conteneva un'ipotesi rivoluzionaria sulla natura della luce; egli affermò che in determinate circostanze la radiazione elettromagnetica ha natura corpuscolare, e ipotizzò che l'energia trasportata da ogni particella che costituiva il raggio luminoso, denominata fotone, fosse proporzionale alla frequenza della radiazione, secondo la formula E = hh, dove E rappresenta l'energia della radiazione, h è una costante universale nota come costante di Planck, e è la frequenza. Questa affermazione, in base alla quale l'energia contenuta in un fascio luminoso viene trasferita in unità individuali o quanti, era in contraddizione con qualsiasi teoria precedente, cosicché fu violentemente criticata, finché circa un decennio dopo il fisico statunitense Robert Andrews Millikan ne diede una conferma sperimentale.

La teoria della relatività ristretta

Il terzo e più importante studio del 1905, dal titolo Elettrodinamica dei corpi in movimento, conteneva la prima esposizione completa della teoria della relatività ristretta, frutto di un lungo e attento studio della meccanica classica di Isaac Newton, delle modalità dell'interazione fra radiazione e materia, e delle caratteristiche dei fenomeni fisici osservati in sistemi in moto relativo l'uno rispetto all'altro. La base della teoria della relatività ristretta, che comporta la crisi del concetto di contemporaneità, risiede su due postulati fondamentali: il principio della relatività, che afferma che le leggi fisiche hanno la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento inerziale, ossia in moto rettilineo uniforme l'uno rispetto all'altro, e che è una naturale estensione del precedente principio di relatività galileiano, e il principio di invarianza della velocità della luce, secondo cui la velocità di propagazione della radiazione elettromagnetica nel vuoto è una costante universale, che sostituisce il concetto newtoniano di tempo assoluto.
Critiche alla teoria di Einstein

La teoria della relatività ristretta non fu immediatamente accolta dalla comunità scientifica. Il punto d'attrito risiedeva nelle convinzioni di Einstein in merito alla natura delle teorie scientifiche e sul rapporto tra esperimento e teoria. Sebbene egli affermasse che l'unica fonte di conoscenza è l'esperienza, era anche convinto che le teorie scientifiche fossero libera creazione dell'uomo e che le premesse sulle quali esse sono fondate non potessero essere derivate in modo logico dalla sperimentazione. Una "buona" teoria, dunque, è una teoria nella quale è richiesto un numero minimo di postulati per ogni dimostrazione. Questa scarsità di postulati, una caratteristica di tutti gli studi di Einstein, fu ciò che rese così difficile la comprensione della sua teoria. Il valore dell'attività scientifica di Einstein venne comunque riconosciuto e nel 1909 lo scienziato ricevette il primo incarico di docenza presso l'università di Zurigo. Nel 1911 si trasferì all'università tedesca di Praga e l'anno successivo tornò al Politecnico di Zurigo. Nel 1913 assunse la direzione del “Kaiser Wilhelm Institut” di Berlino.
Teoria della relatività speciale
Nel 1905 Einstein pubblicò il primo di due importanti studi sulla teoria della relatività, in cui negava l'esistenza del moto assoluto. Egli sosteneva che nessun oggetto dell'universo potesse rappresentare un sistema di riferimento fisso rispetto al resto dello spazio ma, al contrario, che qualunque corpo (ad esempio, il centro del sistema solare) potesse essere un buon sistema di riferimento rispetto al quale studiare il moto di un corpo. In parole semplici ciò significa che è equivalente affermare che un treno si allontana da una stazione o che la stazione si allontana dal treno. Einstein elaborò inoltre una severa disamina del concetto di contemporaneità mettendo in dubbio, accanto al concetto di moto assoluto, la possibilità di definire un tempo assoluto.
Sulla base del risultato dell'esperimento di Michelson e Morley e delle precedenti considerazioni di Lorentz, egli suggerì inoltre che le trasformazioni galileiane dovessero essere sostituite con quelle di Lorentz. Queste ultime prevedono che la variabile temporale vari in due sistemi di riferimento in moto relativo rettilineo uniforme, e quindi che un orologio in moto relativo rispetto a un osservatore rallenti. Il principio di tempo assoluto della meccanica newtoniana fu sostituito dal principio di invarianza della velocità della luce dallo stato di moto dell'osservatore. La scoperta dell'elettrone fornì poi la possibilità di verificare la correttezza delle trasformazioni di Lorentz; gli elettroni emessi dalle sostanze radioattive, infatti, hanno velocità prossime a quella della luce, tali cioè da far assumere al fattore beta valori apprezzabili. Gli esperimenti confermarono le predizioni di Einstein; la massa di un elettrone dotato di velocità prossime a quelle della luce risulta maggiore della massa a riposo, esattamente nella misura prevista. L'incremento della massa dell'elettrone era dovuto alla conversione dell'energia cinetica in massa, secondo la formula E=mc2. La teoria di Einstein fu confermata anche mediante esperimenti sulla velocità della luce in corpi d'acqua in moto e sulle forze magnetiche in alcune sostanze.
L'ipotesi fondamentale su cui poggiava tutta la teoria einsteiniana era che per due osservatori in moto relativo uno rispetto all'altro a velocità costante valessero le stesse leggi della natura. L'abbandono del concetto di simultaneità comporta che due eventi registrati come simultanei da un osservatore non risultino tali rispetto a un secondo osservatore in moto rispetto al primo. In altre parole, non ha senso assegnare l'istante in cui avviene un evento senza definire un riferimento spaziale. L'evoluzione di ogni particella o oggetto nell'universo viene descritta da una cosiddetta linea universale in uno spazio a quattro dimensioni (tre per lo spazio e la quarta per il tempo), detto spazio-tempo. La "distanza" o "intervallo" tra due eventi qualsiasi può essere accuratamente descritta per mezzo di una combinazione di intervalli di spazio e di tempo.
La teoria della relatività generale

Ancor prima di lasciare l'Ufficio Brevetti nel 1907, Einstein iniziò a lavorare a una teoria più generale, che potesse essere estesa ai sistemi non inerziali, cioè in moto relativo non uniforme. Enunciò il principio di equivalenza, in base al quale il campo gravitazionale è equivalente a una accelerazione costante che si manifesti nel sistema di coordinate, e pertanto indistinguibile da essa, anche sul piano teorico. In altre parole, un gruppo di persone che si trovino su un ascensore in moto accelerato verso l'alto non possono, per principio, distinguere se la forza che avvertono è dovuta alla gravitazione o alla accelerazione costante dell'ascensore. La teoria della relatività generale non venne pubblicata sino al 1916. In essa le interazioni dei corpi, che prima di allora erano state descritte in termini di forze gravitazionali, vengono spiegate come l'azione e la perturbazione esercitata dai corpi sulla geometria dello spazio-tempo, uno spazio quadridimensionale che oltre alle tre dimensioni dello spazio euclideo prevede una coordinata temporale. Einstein, alla luce della sua teoria generale, fornì la spiegazione delle variazioni del moto orbitale dei pianeti, fenomeno fino ad allora non pienamente compreso, e previde che i raggi luminosi emessi dalle stelle si incurvassero in prossimità di un corpo di massa elevata quale, ad esempio, il Sole. La conferma di quest'ultimo fenomeno, durante l'eclissi solare del 1919, fu un evento di enorme rilevanza. Per il resto della sua vita Einstein dedicò molto tempo alla ricerca di un'ulteriore generalizzazione della teoria e alla ricerca di una teoria dei campi, che fornisse una descrizione unitaria per i diversi tipi di interazioni che governano i fenomeni fisici, incluse le interazioni elettromagnetiche, e le interazioni nucleari deboli e forti. Tra il 1915 e il 1930 si stava sviluppando la teoria quantistica, che presentava come concetti fondamentali il dualismo onda-particella, che Einstein aveva già prima ritenuto necessario, nonché il principio di indeterminazione, che fornisce un limite intrinseco alla precisione di un processo di misurazione. Einstein mosse diverse e significative critiche alla nuova teoria e partecipò attivamente al lungo e tuttora aperto dibattito sulla sua completezza. Commentando l'impostazione, per certi versi intrinsecamente probabilistica della meccanica quantistica, affermò che "Dio non gioca a dadi con il mondo".
La relatività ha trovato un gran numero di conferme sperimentali da quando è stata introdotta. Ad esempio, durante l'eclisse del 1919 è stata verificata la deflessione di un raggio di luce nelle immediate vicinanze del Sole, come previsto dalla teoria. Recentemente sono stati effettuati test analoghi per misurare la deflessione delle onde radio emesse da quasar lontani, mediante l'uso di interferometri a radiotelescopio. I risultati di questi test concordano entro un margine di errore dell'1% con le previsioni della relatività generale.
Un'altra conferma sperimentale viene dal moto del perielio (il punto in cui un pianeta passa più vicino al Sole) dell'orbita di Mercurio. Tale moto, che non trova spiegazione nell'ambito della fisica classica, è invece previsto dalla teoria della relatività e le recenti misure radar effettuate sono in ottimo accordo con le previsioni. Un altro fenomeno prescritto dalla relatività generale è lo spostamento verso il rosso della lunghezza d'onda della radiazione emessa da oggetti posti in intensi campi gravitazionali; esso è stato più volte osservato mediante misurazioni astronomiche.

Osservazioni successive
Dopo il 1915 la teoria della relatività venne ampliata da Einstein stesso e ulteriormente sviluppata da scienziati come James Jeans, Arthur Eddington, Edward Arthur Milne, Willem de Sitter e Hermann Weyl. Gran parte del loro lavoro fu volto a estendere la teoria della relatività in modo da includere i fenomeni elettromagnetici. I fisici hanno indagato anche sulle conseguenze cosmologiche della teoria della relatività. Entro lo schema degli assiomi posti da Einstein sono possibili molte linee di sviluppo. Ad esempio, si sa che lo spazio è curvo e si conosce l'esatto grado di curvatura nelle vicinanze dei corpi pesanti, ma non dello spazio vuoto, che pure è incurvato per effetto della materia e della radiazione contenuta nell'intero universo. Inoltre, gli scienziati sono discordi sulla questione se lo spazio sia chiuso (come una sfera), o aperto (come un cilindro con le basi poste all'infinito). La teoria della relatività implica poi la possibilità che l'universo sia in espansione, un'ipotesi che sembra confermata anche dai risultati sperimentali: ad esempio, le linee spettrali delle galassie, dei quasar e di altri oggetti distanti risultano spostate verso il rosso, proprio come ci si aspetterebbe da sorgenti di radiazione che si stanno allontanando. La teoria dell'universo in espansione lascia pensare che la storia passata dell'universo abbia un inizio, ma non esclude altre alternative possibili. Vedi Cosmologia.
Einstein avanzò l'ipotesi che grossi fenomeni perturbativi di natura gravitazionale, quali l'oscillazione o il collasso di stelle massive, generino onde gravitazionali, che si propagherebbero nello spazio-tempo alla velocità della luce. I tentativi di rivelare simili perturbazioni non hanno avuto fino a oggi i risultati sperati, ma sono attualmente in corso vari progetti di ricerca. Molti dei successivi studi sulla relatività furono dedicati alla creazione di una meccanica quantistica relativistica. Una teoria relativistica per l'elettrone fu sviluppata nel 1928 dal matematico e fisico britannico Paul Dirac; in seguito venne avanzata una teoria quantistica dei campi, chiamata elettrodinamica quantistica, che sintetizza i concetti della relatività e della teoria quantistica per quanto riguarda le interazioni tra gli elettroni, i positroni e la radiazione elettromagnetica. Negli ultimi anni, il fisico britannico Stephen Hawking ha dedicato i suoi studi alla formulazione di una teoria completa, che unisca relatività e meccanica quantistica.

Cittadino del mondo
Dopo il 1919 Einstein divenne famoso a livello internazionale; ricevette riconoscimenti e premi, tra i quali il premio Nobel per la fisica, che gli fu assegnato nel 1921. Lo scienziato approfittò della fama acquisita per ribadire le sue opinioni pacifiste in campo politico e sociale. Durante la prima guerra mondiale fu tra i pochi accademici tedeschi a criticare pubblicamente il coinvolgimento della Germania nella guerra. Tale presa di posizione lo rese vittima di gravi attacchi da parte di gruppi di destra; persino le sue teorie scientifiche vennero messe in ridicolo, in particolare la teoria della relatività.
Con l'avvento al potere di Hitler, Einstein fu cos venne offerto un posto presso l' ”Institute for Advanced Study” di Princeton, New Jersey. Di fronte alla minaccia rappresentata dal regime nazista egli rinunciò alle posizioni pacifiste e nel 1939 scrisse insieme a molti altri fisici una famosa lettera indirizzata al presidente Roosevelt, nella quale veniva sottolineata la possibilità di realizzare una bomba atomica. La lettera segnò l'inizio dei piani per la costruzione dell'arma nucleare. Al termine della seconda guerra mondiale, Einstein si impegnò attivamente nella causa per il disarmo internazionale e più volte ribadì la necessità che gli intellettuali di ogni paese dovessero essere disposti a tutti i sacrifici necessari per preservare la libertà politica e per impiegare le conoscenze scientifiche a scopi pacifici.
Tra le sue opere pubblicate in Italia ricordiamo: Autobiografia scientifica (1979); Relatività: esposizione divulgativa (1980); Idee e opinioni. Come io vedo il mondo (1990); Evoluzione della fisica (1985), in collaborazione con Leopold Infeld; Riflessioni a due sulle sorti del mondo (1989), in collaborazione con Sigmund Freud.
Enrico Fermi e la sua pila

Enrico Fermi, fisico italiano, nasce a Roma nel 1901 e muore a Chicago nel 1954. Figlio di un funzionario del ministero delle comunicazioni, frequentò la Scuola normale di Pisa, dove, nel 1922, si laureò con una tesi sulla rifrazione dei raggi X. Fu per qualche mese a Gottinga presso Max Born, quindi insegnò a Roma e a Firenze e, nel 1926, ottenne per interessamento di O. M. Corbino la cattedra di fisica teorica all'università di Roma. Qui entrò a far parte del gruppo di giovani fisici noti come “ragazzi di Corbino” tra i quali figuravano alcuni dei migliori fisici italiani contemporanei: Amaldi, Rasetti, Pontecorvo, Segré. Nel 1927, insieme a Dirac, egli gettò le basi della teoria statistica che porta il loro nome fondata sul principio di esclusione di Pauli. Dal 1932, dopo la scoperta del neutrone per opera di Chadwick, si dedicò alla fisica nucleare; è del 1934 la sua teoria sul decadimento dei nuclei, in cui per la prima volta si suppone l'esistenza del neutrino, una nuova particella già teoricamente prevista da Pauli. Per primo previde l'impiego di neutroni lenti per la disintegrazione dei nuclei; questo metodo, la cui efficacia è dovuta all'assenza di cariche elettriche del neutrone e che in seguito venne applicato sempre più frequentemente, gli permise in particolare di realizzare la prima fissione dell'uranio. Per questi fondamentali lavori sui neutroni ebbe, nel 1938, il premio Nobel per la fisica; perseguitato dal fascismo, il 24 dicembre dello stesso anno s'imbarcò con la famiglia per gli Stati Uniti, dove prima fu nominato professore alla Columbia University e poi (1945) all'università di Chicago. Nel 1944 gli fu data la cittadinanza americana e nel 1945 fu nominato professore all'Istituto per gli studi nucleari. Dopo la guerra si dedicò alla costruzione del ciclotrone dell'università di Chicago col quale sviluppò le sue ricerche sulla cattura nucleare dei mesoni, e sulle proprietà dei mesoni e dei raggi cosmici, alle quali dedicò l'ultimo periodo della sua vita (1947- 1954). Morì di cancro nel 1954 e l'elemento di numero atomico 100 ottenuto in laboratorio l'anno successivo prese in suo onore il nome di fermio.
Opere principali: I raggi Röntgen (1922), Introduzione alla fisica atomica (1928), Molecole e cristalli (1934), Termodinamica (1937), Fisica nucleare (1950), Particelle nucleari (1951).
Il nome del fisico è stato dato a due centrali elettronucleari; la prima, che si trova negli Stati Uniti (Michigan), è costituita da un reattore veloce raffreddato con sodio liquido che fornisce una potenza elettrica di 66.000 kW; la seconda è il reattore italiano di Trino Vercellese.
Enrico Fermi entrò a far parte del progetto Manhattan (MED) fin dall’inizio, nel 1942;tretto a emigrare negli Stati Uniti, dove gli chiamato dal coordinatore del progetto, Rober Oppenheimer, arrivò a Los alamos quando ancora era in costruzione.Da allora si dedicò assieme ad un equipé di scienziati famosi in tutto il mondo (Bohr, Wigner, von Neumann, Frisch, Teller, Segrè, Chadwick, Fuchs e altri ancora) alla ricera sperimetale per la costruzione della bomba atomica.Le prime ricerche condotte da Fermi e il suo gruppo, mirarono soprattutto ad assicurare le condizioni necessarie per la produzione di energia dal processo di fissione nucleare.Tali condizioni sono quattro:
• il materiale fissile deve essere in quantità sufficiente e disposto secondo una determinata “geometria”;
• i neutroni impiegati devono essere “lenti”, cioè dotati di velocità idonea a dar vita alla reazione;
• il flusso di neutroni deve essere regolato per controllare la fissione;
• l’energia scaturita deve essere utilizzabile.
Per soddisfare queste condizioni si fece ricorso all’uranio 235 (prodotto a Oak Ridge ed Hanford), poiché il suo nucleo è facilmente scindibile con neutroni “lenti”, dal momento che la “sezione d’urto”, cioè la possibilità di dividere il nucleo, risulta, in prima approssimazione, inversamente proporzionale alla velocità dei neutroni. L’uranio 238 invece, pur presente in maggiori quantità, non è “fissile”, ma “fertile”: vale a dire che “cattura” un neutrone per diventare, con una successiva e immediata trasformazione, un elemento fissile (il plutonio 239, non presente infatti in natura). Per rallentare i neutroni venne impiegato un elemento “moderatore”, capace di generare nell’urto una riduzione di velocità senza perdite o assorbimento: ad esempio l’acqua, ma anche la grafite, una forma naturale del carbonio. A questo punto i fisici avevano tutte le carte in mano per creare una reazione nucleare a catena, ma mancava ancora da risolvere un problema : se in ogni fissione 1 neutrone (esattamente 1) ha l’effetto di produrre un’altra fissione, allora la reazione a catena è autosostenuta. Se invece il fattore di moltiplicazione è maggiore di uno, anche di pochissimo, la reazione a catena cresce rapidamente fino a provocare un’esplosione. Era quindi necessario trovare un modo per tenere sotto controllo il processo di fissione.

Quindi, per regolare l’attività di un reattore nucleare, si ricorre a barre di controllo mobili all’interno del reattore, e costituite da sostanze in grado di assorbire fortemente i neutroni e rallentare, fino a fermarlo, il processo di reazione a catena.
In base agli studi effettuati, Fermi fu in grado di realizzare la macchina in cui si produsse per la prima volta una fissione nucleare, caratterizzata da una reazione a catena controllata e capace di automantenersi; prototipo dei futuri reattori nucleari, la famosa “pila atomica” era un reattore a uranio e grafite sovrapposti in “pila”, eretto su un campo da gioco e sostenuto da una struttura in mattoni; essa entrò in funzione a Chicago il 2 dicembre 1942.
Il primo passo era compiuto; per il Progetto Manhattan rimaneva ancora da risolvere l’arricchimento della disponibilità del materiale fissile occorrente per tentare l’esperimento di reazione a catena non frenata: l’esplosione di una bomba atomica. Non passò comunque molto tempo. I fisici che progettarono poi la bomba nucleare usarono parte dell’esperienza acquisita con la costruzione della pila, anche se l’impiego di un’arma tale richiede un atteggiamento differente da quello utilizzato per la pila : ad esempio, se per un reattore i fisici avevano da risolvere il grave problema di dover controllare e mantenere costante la reazione a catena, per la bomba gli scienziati dovevano soltanto capire in che maniera potessero sfruttare al massimo la situazione degenerativa di una reazione a catena totalmente priva di controllo per inferire il massimo dei danni al nemico.
L’emigrazione forzata
In Germania il razzismo nazionalistico penetrò in ogni campo della cultura: anche nella scienza le discipline come la fisica, la chimica e la biologia dovettero avere una "base ariana"; fu così che a partire dalla seconda metà degli anni Trenta, la maggior parte delle strutture di ricerca fisica furono "confiscate" ed adibite a ricerche inerenti la realizzazione della bomba atomica. Non tutti però accettarono di essere complici del Regime Hitleriano, e preferirono emigrare all'estero. Tra di loro, possiamo ricordare: Max Born, Max Planck ed Albert Einstein, il maggiore fisico dell'epoca. Egli, tedesco di origine ebrea, venne denunciato come un "ciarlatano straniero" e la sua teoria della relatività come "degenerazione mentale tipicamente ebraica".Un altro esempio di "fuga" è quello di Enrico Fermi: il più celebre fisico italiano, che fu costretto ad emigrare dal nostro paese perchè sua moglie era di origine ebraica.Grazie ad un governo in grado di offrire sufficienti garanzie di protezione e la possibilità di poter continuare i propri esperimenti senza imposizioni di carattere politico, gli Stati Uniti si rilevarono il paese verso cui si diresse la maggior parte degli emigranti tedeschi. A prova di ciò fu la realizzazione degli studi del Progetto Manhattan, a cui parteciparono gli stessi Einstein e Fermi, ovvero la realizzazione delle due bombe atomiche lanciate sul Giappone, anticipando di gran lunga gli studi tedeschi che non furono mai realmente terminati.Il progetto di Hitler di creare una "scienza pura" portò quindi ad un completo fallimento: i ricercatori tedeschi non tennero conto del lavoro già svolto dai loro predecessori in nome di principi razzistici ed inoltre essi si chiusero in una sorta di casta di eletti che si venne a trovare in contrasto non solo con i propri nemici, ma anche con chi, più semplicemente, non era di razza ariana e veniva per questo motivo emarginato, se non perseguitato.
Progetto Manhattan
Il progetto Manhattan per la realizzazione della bomba atomica viene avviato dal Presidente F.D.Roosevelt, nel 1942, in collaborazione con il governo britannico; inizia così l’asservimento a scopi bellici della sperimentazione. Alcuni scienziati, preoccupati della probabile utilizzo militare si astennero fin dal 1939 dal continuare la ricerca. Il progetto Manhattan cercava di assicurare le
condizioni indispensabili per la produzione di energia dal processo di fissione nucleare. Tali condizioni sono quattro: il materiale fissile deve essere in quantità sufficiente e disposto secondo una determinata "geometria"; i neutroni impiegati devono essere "lenti", cioè dotati di velocità idonea a dar vita alla
reazione; il flusso di neutroni deve essere regolato per controllare la fissione; l'energia scaturita deve essere utilizzabile. Per soddisfare queste condizioni si fece ricorso all'uranio 235, poichè il suo nucleo è facilmente scindibile con neutroni "lenti". Il nome in codice del progetto americano è "Manhattan Engineer District", MED. L'operazione si svolge nella massima segretezza, la maggior parte dei capi
militari americani ne sono tenuti all'oscuro. L'idea di realizzare l'arma atomica viene suggerita al governo americano dai fisici, preoccupati che gli scienziati tedeschi realizzino la bomba per primi.
L'uomo che preoccupa di più gli scienziati è il tedesco Werner Heisenberg. Nel ristretto ambito della comunità scientifica internazionale la possibilità di arrivare alla costruzione dell'arma atomica si diffonde alla fine del 1938 quando i chimici tedeschi Otto Hahn e Fritz Strassmann ottengono la prima fissione nucleare. Nell'autunno del 1938 il mondo è in attesa di un'altra guerra mondiale. Le notizie provenienti dalla Germania nazista sono allarmanti. Tutti gli scienziati di origine ebrea sono fuggiti, privando la Germania di un patrimonio scientifico straordinario. Nel mondo accademico gli attacchi contro la "fisica ebraica "sono continui. In questa pesante atmosfera i fisici ebrei Leo Szilard e Edward Teller, che si sono rifugiati in America, si incontrano nell'estate del 1939 con il padre della relatività, Albert Einstein, per convincerlo a scrivere al Presidente Roosevelt. Sono loro a spiegare al grande fisico le implicazioni della scoperta della fissione nucleare da parte dei chimici tedeschi. Einstein avverte subito il pericolo e di fronte alla possibilità che la Germania nazista arrivi a costruire la bomba atomica, nell’agosto del 1939, abbandonando le sue posizioni pacifiste, accetta di firmare la lettera che il suo vecchio amico Szilard ha preparato e discusso con lui. La lettera di Einstein arriverà sul tavolo del presidente Roosevelt solo qualche mese dopo. Ma bisognerà attendere fino al 1941 prima che Roosevelt decida di dare il via al progetto quando i servizi segreti inglesi confermeranno che la
Germania sta costruendo la bomba atomica. Il progetto Manhattan mette in moto una macchina produttiva e di ricerca che non ha precedenti nella realizzazione di un singolo manufatto e che trasformerà profondamente il rapporto tra militari, industria e mondo della ricerca
scientifica. Con l’entrata in guerra degli U.S.A i tempi per la realizzazione della bomba
atomica subiscono una grande accelerazione dovuta anche ai grandi interessi economici che si nascondono dietro un progetto che richiede praticamente fondi illimitati.
Il 17 settembre 1942, il generale Leslie R.Groves viene nominato responsabile del MED, lo affiancano Vannevar Bush e James B.Conant, già consiglieri scientifici del presidente Roosevelt. Il 23 settembre viene creato un comitato politico militare, che assume il controllo del progetto Manhattan; ne fanno parte: il generale Wilhelm D.Styer, l’ammiraglio William Purnell e il generale Leslie R.Groves.
Il documento segreto dell’organigramma organizzativo evidenzia chiaramente come la struttura del MED fosse controllata da una catena di comando centralizzata e rigidamente gerarchica. Ne erano stati esclusi tutti i militari responsabili della strategia militare del conflitto. La realizzazione della bomba atomica comportò la costruzione del laboratorio di Los Alamos, dell’impianto Oak Ridge e quello di Hanford. I laboratori di fisica delle università di Berkeley in California, di Chicago in Illinois, e della
Columbia a New York, furono i centri di ricerca coinvolti nel Progetto Manhattan.
Quando il 2 dicembre 1942 all’università di Chicago il fisico italiano Enrico Fermi ottenne, al costo di circa un milione di dollari, la prima reazione a catena controllata utilizzando l’uranio, la possibilità di realizzare la bomba atomica era diventata una realtà. Per il fisico ungherese, Leo Szilard, che tanto aveva fatto per dare avvio al progetto Manhattan e che con Fermi era responsabile dell’esperimento, quel successo fu "un giorno che sarebbe passato alla storia dell’umanità come una
giornata nera".
La crisi della fisica classica e la meccanica quantistica
Attualmente non esiste una descrizione teorica generale che descriva tutti i fenomeni della fisica. Esistono molte teorie diverse che riescono a spiegare in maniera soddisfacente un settore particolare. Ogni teoria ha quindi una validità limitata. La teoria elaborata da Galileo e Newton nel XVII secolo, oggi conosciuta come meccanica classica, è sempre riuscita a spiegare in maniera soddisfacente ciò che si riusciva ad osservare; questo giustifica l'importanza e la durata di questa teoria. Alla fine dell''800 il quadro dei rapporti tra esperimenti e teorie nella fisica presenta nuove articolazioni, che incrinano la compattezza degli assetti tradizionali. In particolare, sembra ora venir meno quella supposta corrispondenza biunivoca tra fenomeni ed entità teorico-matematiche che aveva alimentato la speranza di una rappresentazione definitiva del mondo fisico. Grazie allo sviluppo delle tecniche di osservazione, il limite di ciò che era possibile osservare è andato continuamente spostandosi (microscopi, telescopi, ecc...). Questo ha chiaramente modificato il nostro modello della natura, dai sistemi macroscopici, a quelli microscopici. Basti pensare a tutte le rivoluzioni del modello dell'universo ottenute sempre da osservazioni più attente e accurate (telescopi, osservatori, ecc.), oppure l'incredibile evoluzione portata dalla scoperta del microscopio: pensiamo come sarebbe la nostra concezione del mondo se nessuno lo avesse ancora scoperto . Grazie a tutti questi apparati di osservazione fu possibile delineare i limiti di validità della teoria classica . Studiando e sperimentando, ci si rese conto che la teoria classica era incapace di descrivere fenomeni con velocità molto elevate (vicine alla velocità della luce nel vuoto), oltre alle quali deve essere utilizzata la teoria della relatività ristretta; e le dimensioni molto piccole, oltre alle quali deve essere utilizzata la teoria quantistica. La meccanica quantistica è nata dalla crisi della fisica classica, in quanto quest'ultima era incapace di dare delle risposte plausibili ai nuovi fenomeni che si andavano ad osservare nel mondo atomico e subatomico. Grazie alle nuove tecnologie l'uomo ha dovuto confrontarsi con nuovi oggetti, nuovi fenomeni, nuove realtà, coscente del patrimonio culturale fin oggi acquisito; ha cercato delle spiegazioni alle nuove osservazioni con i suoi metodi, ma ben presto si rese conto che questi dovevano essere potenziati, perchè incapaci di descrivere ciò che vedeva. La nascita della meccanica quantistica è una delle più grandi evoluzioni scientifiche del genere umano. In definitiva, per porre una definizione semplice possiamo affermare che: la meccanica quantistica non è altro che una parte della meccanica che studia i sistemi atomici e subatomici. Il terzo e più importante studio di Einstein del 1905, dal titolo Elettrodinamica dei corpi in movimento, conteneva la prima esposizione completa della teoria della relatività ristretta, frutto di un lungo e attento studio della meccanica classica di Isaac Newton, delle modalità dell'interazione fra radiazione e materia, e delle caratteristiche dei fenomeni fisici osservati in sistemi in moto relativo l'uno rispetto all'altro.
La base della teoria della relatività ristretta, che comporta la crisi del concetto di contemporaneità, risiede su due postulati fondamentali: il principio della relatività, che afferma che le leggi fisiche hanno la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento inerziale, ossia in moto rettilineo uniforme l'uno rispetto all'altro, estendendo il precedente principio di relatività galileiano, e il principio di invarianza della velocità della luce, secondo cui la velocità di propagazione della radiazione elettromagnetica nel vuoto è una costante universale, che sostituisce il concetto newtoniano di tempo assoluto. A partire dal 1907, anno in cui fu pubblicata la memoria contenente la celebre equazione che afferma l'equivalenza fra massa ed energia, Einstein iniziò a lavorare a una teoria più generale, che potesse essere estesa ai sistemi non inerziali, cioè in moto accelerato l'uno rispetto all'altro. Il primo passo fu l'enunciazione del principio di equivalenza, in base al quale il campo gravitazionale è equivalente a una accelerazione costante che si manifesti nel sistema di coordinate, e pertanto indistinguibile da essa, anche sul piano teorico. In altre parole, un gruppo di persone che si trovino su un ascensore in moto accelerato verso l'alto non possono, per principio, distinguere se la forza che avvertono è dovuta alla gravitazione o all'accelerazione costante dell'ascensore. La teoria della relatività generale venne pubblicata nel 1916, nell'opera intitolata I fondamenti della relatività generale. In essa le interazioni dei corpi, che prima di allora erano state descritte in termini di forze gravitazionali, vengono spiegate come l'azione e la perturbazione esercitata dai corpi sulla geometria dello spazio-tempo, uno spazio quadridimensionale che oltre alle tre dimensioni dello spazio euclideo prevede una coordinata temporale.L’interazione gravitazionale agisce su tutti i corpi che abbiano massa e/o energia ed ha capacità di agire a lunghe distanze (cosmologiche).
Tutti conosciamo l'azione della forza gravitazionale.
La teoria che descrive l'interazione gravitazionale è appunto la Relatività generale Nella visione quantistica del fenomeno, si dice che la forza esercitata tra due particelle di materia viene trasportata da una particella di nome gravitone (non ancora osservato).
La gravitazione regola la struttura dell'universo, e la forza è sempre attrattiva. Einstein, alla luce della sua teoria generale, fornì la spiegazione delle variazioni del moto orbitale dei pianeti, dando conto in modo soddisfacente del moto di precessione del perielio di Mercurio, fenomeno fino ad allora non pienamente compreso, e previde che i raggi luminosi emessi dalle stelle si incurvassero in prossimità di un corpo di massa elevata quale, ad esempio, il Sole. La conferma osservativa di quest'ultimo fenomeno, realizzata in occasione dell'eclissi solare del 1919, fu un evento di enorme rilevanza.

Per il resto della sua vita Einstein si dedicò alla ricerca di un'ulteriore generalizzazione della teoria in una teoria dei campi che fornisse una descrizione unitaria per i diversi tipi di interazioni che governano i fenomeni fisici, incluse le interazioni elettromagnetiche, e le interazioni nucleari deboli e forti.[In fisica è possibile spiegare tutti i fenomeni naturali, da quelli che avvengono su scala microscopica a quelli macroscopici, utilizzando quattro forze fondamentali: gravitazionale, elettromagnetica, nucleare forte e nucleare debole. Attualmente la maggior parte dei fisici teorici sono impegnati direttamente o indirettamente nell'unificare in un unico modello le quattro forze in modo tale che ogni forza sia un modo di apparire di un'unica forza. Lo stesso Einstein cercò di trovare una trattazione matematica che potesse raggruppare l'elettromagnetismo e la gravità (le interazioni nucleari non erano ancora state scoperte), ma egli non vi riuscì.]La nascita della teoria quantistica la possiamo attribuire alla scoperta dei quanti (1900). Ed è di particolare importanza il problema a cui i fisici lavoravano, "il corpo nero". Il problema dei corpo nero, se trattato con teorie classiche, porta a risultati assurdi. Molti fisici cercarono di mettere a punto delle equazioni matematiche per descrivere il fenomeno, finché un fisico tedesco Max Karl Ernst Ludwig Planck (1858-1947) vi riuscì; e lo fece ipotizzando l'esistenza dei quanti (quantità discrete di energia o pacchetti di energia). In questo modo Planck dimostrò che gli scambi di energia avvengono in modo discreto e non come si è sempre creduto nel "flusso" continuo di energia. Planck ricevette il premio nobel per la fisica nel 1918. Questa scoperta aprì un nuovo mondo di investigazioni scientifiche di successo. Ma la prima descrizione quantistica vera e propria fu la meccanica ondulatoria dell'austriaco E. Schroedinger (1887-1961) che utilizzò metodi matematici tradizionali impiegati in ottica e in meccanica razionale. La trattazione matematica odierna è quella elaborata dal tedesco W. Heisenberg (1901-1976), che partendo da un punto di vista completamente diverso, secondo cui la descrizione della natura a livello dei suoi costituenti ultimi non può essere effettuata dai concetti propri del mondo macroscopico, ma solo con formule matematiche in grado di prevedere il comportamento(“E' impossibile misurare contemporaneamente la velocità e la posizione di una particella, perché nel momento in cui misuro la velocità, modifico la posizione della particella, e nel momento in cui ne misuro la posizione, ne modifico la velocità”). La teoria di Heisenberg e quella di Schroedinger sono equivalenti.
La meccanica quantistica e la filosofia

Se le prime teorie fisiche moderne presentavano molteplici aspetti innovativi rispetto alla concezione meccanicistica dominante all'inizio del XIX secolo, esse conservavano pur sempre un carattere che era stato considerato, anche entro culture assai antiche come l'aristotelismo, l'essenza stessa della scienza: tali teorie si fondavano sulla convinzione che la natura fosse retta da leggi rigorose, deterministiche, di portata universale. La scienza doveva quindi innanzitutto caratterizzarsi per la ricerca di un determinismo negli eventi naturali, al di là delle differenti forme che tale determinismo poteva assumere. La teoria atomistica del Novecento, detta meccanica quantistica, ha messo in discussione anche questo pilastro rimasto saldo per millenni. proponendo una scienza che si occupa di corpi che non sembrano essere soggetti al determinismo e non sembrano obbedire a leggi rigorose.
La quantizzazione dell'energia rappresentava una brusca rottura con la millenaria convinzione circa la sostanziale continuità dei processi naturali. L'antica massima secondo cui "la natura non fa salti" era manifestamente violata dal comportamento dell'elettrone che, nel modello di Bohr, mutava il proprio stato con repentine discontinuità, con salti quantici. Il modello di Bohr rimase il punto di riferimento fondamentale per gli studi sui modelli atomici per circa un decennio, dando origine a una impostazione dei problemi della fisica degli atomi che gli storici chiamano "vecchia meccanica quantistica". La nuova meccanica quantistica venne elaborata in pochi anni, tra il 1924 e il 1927, con il contributo di vari studiosi (De Broglie, Heisenberg, Schroedinger). I fondamenti teorici elaborati in quegli anni hanno rappresentato il pilastro su cui è stata costruita tutta la fisica atomica del Novecento.
La teoria quantistica non è in grado di determinare con precisione il comportamento di una particella atomica, per esempio di un elettrone; essa può soltanto effettuare una previsione statistica circa il suo movimento in determinate condizioni. L'elettrone sembra non essere soggetto a leggi rigorosamente deterministiche, appare dotato di una sorta di "capacità di scelta" tra vari percorsi possibili. Questa caduta del determinismo mise in difficoltà l'ideale di scienza che aveva dominato sin da Aristotele, ideale secondo il quale la scienza è conoscenza dell'universale e si esprime secondo leggi che non ammettono eccezioni; proprio per questo motivo, grandi scienziati come Einstein, Planck e Schroedinger si rifiutarono di ammettere che la nuova fisica fosse una teoria scientifica completa, definitiva, non superabile da una ulteriore teoria atomistica che ripristinasse il determinismo degli eventi naturali. Questi critici finirono però per essere tacitati dai crescenti successi della meccanica quantistica e si affermò, dell'indeterminismo atomistico, un'interpretazione che si fondava sulle concezioni di Heisenberg. Per Heisenberg i gravi problemi interpretativi che si associavano alla meccanica quantistica dipendevano dall'abitudine a usare immagini ricavate dal mondo dell'esperienza macroscopica per rappresentare gli oggetti del mondo atomico. Per esempio, quando si rappresenta un elettrone rotante attorno a un nucleo atomico usando l'analogia di un satellite che gira attorno a un pianeta, sorgono questioni irrisolvibili quali quella posta dalla domanda: "Come fa un elettrone a passare da un'orbita a un'altra senza passare per le orbite intermedie?". L'esperienza non ci fornisce però alcuna informazione su un concetto quale quello di "orbita" di un elettrone, il cui movimento non si può in alcun modo seguire passo passo come si fa con la Luna. Che senso ha parlare allora di grandezze delle orbite o di forma delle orbite quando queste sono al di là di ogni esperienza possibile? Dal punto di vista scientifico, nessuno.
Se si considerano le esperienze che ci permettono di ottenere informazioni sugli oggetti atomici partendo dai principi della nuova teoria, ci si trova di fronte costantemente a una conclusione che è assolutamente nuova rispetto alla meccanica classica. Nella meccanica classica è possibile prevedere il comportamento futuro di un corpo se si conoscono in un dato istante delle informazioni sul suo stato. Se invece di considerare un corpo macroscopico si considera un oggetto atomico ciò non risulta più possibile. Nel caso di un elettrone in movimento, per esempio, i tentativi di misurante posizione o velocità alterano inevitabilmente il suo stato di moto a causa della quantizzazione dell'energia tanto delle particelle quanto delle radiazioni luminose. È il disturbo provocato dagli apparati di misura sulle particelle a impedire di conoscere le coordinate canoniche, è l'interazione tra oggetto e apparato di osservazione a generare un comportamento apparentemente indeterministico degli oggetti microscopici; sarebbe però insensato, prosegue Heisenberg, porsi la questione di come si comportino questi oggetti quando nessuno li osserva, quando nessuno strumento li disturbi, e chiedersi se in realtà il loro comportamento è di tipo deterministico oppure no, in quanto è evidente che lo scienziato non ha nulla da dire circa quello che fa la natura allorquando nessuno la osserva. Limitandosi a quel che dicono le esperienze, la scienza non può far altro che sottolineare come nel mondo atomico le esperienze non consentono di misurare con precisione quei dati che sarebbero necessari per poter effettuare una previsione deterministica.
Albert Einstein e la relatività
Albert Einstein (Ulma 1879 - Princeton, New Jersey 1955), fisico tedesco naturalizzato statunitense, fu probabilmente il più grande scienziato del XX secolo. La sua teoria della relatività, e quindi la negazione dell'esistenza di spazio e tempo assoluti, e l'ipotesi sulla natura corpuscolare della luce, cui pervenne generalizzando la teoria di Max Planck, segnarono una vera e propria rivoluzione del pensiero scientifico. Trascorse gli anni giovanili a Monaco, città nella quale la famiglia, di origine ebraica, possedeva una piccola azienda che produceva macchinari elettrici, e già da ragazzo mostrò una notevole predisposizione per la matematica; a dodici anni imparò, da autodidatta, la geometria euclidea. Quando ripetuti dissesti finanziari costrinsero la famiglia a lasciare la Germania e a trasferirsi in Italia, a Milano, decise di interrompere gli studi. Visse un anno insieme alla famiglia, ma ben presto comprese l'importanza di una salda preparazione culturale e, concluse le scuole superiori ad Arrau, in Svizzera, si iscrisse al politecnico di Zurigo, dove si laureò nel 1900. Lavorò quindi come supplente fino al 1902, anno in cui trovò un modesto impiego presso l'Ufficio Brevetti di Berna.
Prime pubblicazioni scientifiche

Nel 1905 Einstein conseguì il dottorato con una dissertazione teorica sulle dimensioni delle molecole; pubblicò inoltre tre studi teorici di fondamentale importanza per lo sviluppo della fisica del XX secolo. Nel primo di essi, relativo al moto browniano, fece importanti previsioni, successivamente confermate per via sperimentale, sul moto di agitazione termica delle particelle distribuite casualmente in un fluido. Il secondo studio, sull'interpretazione dell'effetto fotoelettrico, conteneva un'ipotesi rivoluzionaria sulla natura della luce; egli affermò che in determinate circostanze la radiazione elettromagnetica ha natura corpuscolare, e ipotizzò che l'energia trasportata da ogni particella che costituiva il raggio luminoso, denominata fotone, fosse proporzionale alla frequenza della radiazione, secondo la formula E = hh, dove E rappresenta l'energia della radiazione, h è una costante universale nota come costante di Planck, e è la frequenza. Questa affermazione, in base alla quale l'energia contenuta in un fascio luminoso viene trasferita in unità individuali o quanti, era in contraddizione con qualsiasi teoria precedente, cosicché fu violentemente criticata, finché circa un decennio dopo il fisico statunitense Robert Andrews Millikan ne diede una conferma sperimentale.

La teoria della relatività ristretta

Il terzo e più importante studio del 1905, dal titolo Elettrodinamica dei corpi in movimento, conteneva la prima esposizione completa della teoria della relatività ristretta, frutto di un lungo e attento studio della meccanica classica di Isaac Newton, delle modalità dell'interazione fra radiazione e materia, e delle caratteristiche dei fenomeni fisici osservati in sistemi in moto relativo l'uno rispetto all'altro. La base della teoria della relatività ristretta, che comporta la crisi del concetto di contemporaneità, risiede su due postulati fondamentali: il principio della relatività, che afferma che le leggi fisiche hanno la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento inerziale, ossia in moto rettilineo uniforme l'uno rispetto all'altro, e che è una naturale estensione del precedente principio di relatività galileiano, e il principio di invarianza della velocità della luce, secondo cui la velocità di propagazione della radiazione elettromagnetica nel vuoto è una costante universale, che sostituisce il concetto newtoniano di tempo assoluto.
Critiche alla teoria di Einstein

La teoria della relatività ristretta non fu immediatamente accolta dalla comunità scientifica. Il punto d'attrito risiedeva nelle convinzioni di Einstein in merito alla natura delle teorie scientifiche e sul rapporto tra esperimento e teoria. Sebbene egli affermasse che l'unica fonte di conoscenza è l'esperienza, era anche convinto che le teorie scientifiche fossero libera creazione dell'uomo e che le premesse sulle quali esse sono fondate non potessero essere derivate in modo logico dalla sperimentazione. Una "buona" teoria, dunque, è una teoria nella quale è richiesto un numero minimo di postulati per ogni dimostrazione. Questa scarsità di postulati, una caratteristica di tutti gli studi di Einstein, fu ciò che rese così difficile la comprensione della sua teoria. Il valore dell'attività scientifica di Einstein venne comunque riconosciuto e nel 1909 lo scienziato ricevette il primo incarico di docenza presso l'università di Zurigo. Nel 1911 si trasferì all'università tedesca di Praga e l'anno successivo tornò al Politecnico di Zurigo. Nel 1913 assunse la direzione del “Kaiser Wilhelm Institut” di Berlino.
Teoria della relatività speciale
Nel 1905 Einstein pubblicò il primo di due importanti studi sulla teoria della relatività, in cui negava l'esistenza del moto assoluto. Egli sosteneva che nessun oggetto dell'universo potesse rappresentare un sistema di riferimento fisso rispetto al resto dello spazio ma, al contrario, che qualunque corpo (ad esempio, il centro del sistema solare) potesse essere un buon sistema di riferimento rispetto al quale studiare il moto di un corpo. In parole semplici ciò significa che è equivalente affermare che un treno si allontana da una stazione o che la stazione si allontana dal treno. Einstein elaborò inoltre una severa disamina del concetto di contemporaneità mettendo in dubbio, accanto al concetto di moto assoluto, la possibilità di definire un tempo assoluto.
Sulla base del risultato dell'esperimento di Michelson e Morley e delle precedenti considerazioni di Lorentz, egli suggerì inoltre che le trasformazioni galileiane dovessero essere sostituite con quelle di Lorentz. Queste ultime prevedono che la variabile temporale vari in due sistemi di riferimento in moto relativo rettilineo uniforme, e quindi che un orologio in moto relativo rispetto a un osservatore rallenti. Il principio di tempo assoluto della meccanica newtoniana fu sostituito dal principio di invarianza della velocità della luce dallo stato di moto dell'osservatore. La scoperta dell'elettrone fornì poi la possibilità di verificare la correttezza delle trasformazioni di Lorentz; gli elettroni emessi dalle sostanze radioattive, infatti, hanno velocità prossime a quella della luce, tali cioè da far assumere al fattore beta valori apprezzabili. Gli esperimenti confermarono le predizioni di Einstein; la massa di un elettrone dotato di velocità prossime a quelle della luce risulta maggiore della massa a riposo, esattamente nella misura prevista. L'incremento della massa dell'elettrone era dovuto alla conversione dell'energia cinetica in massa, secondo la formula E=mc2. La teoria di Einstein fu confermata anche mediante esperimenti sulla velocità della luce in corpi d'acqua in moto e sulle forze magnetiche in alcune sostanze.
L'ipotesi fondamentale su cui poggiava tutta la teoria einsteiniana era che per due osservatori in moto relativo uno rispetto all'altro a velocità costante valessero le stesse leggi della natura. L'abbandono del concetto di simultaneità comporta che due eventi registrati come simultanei da un osservatore non risultino tali rispetto a un secondo osservatore in moto rispetto al primo. In altre parole, non ha senso assegnare l'istante in cui avviene un evento senza definire un riferimento spaziale. L'evoluzione di ogni particella o oggetto nell'universo viene descritta da una cosiddetta linea universale in uno spazio a quattro dimensioni (tre per lo spazio e la quarta per il tempo), detto spazio-tempo. La "distanza" o "intervallo" tra due eventi qualsiasi può essere accuratamente descritta per mezzo di una combinazione di intervalli di spazio e di tempo.
La teoria della relatività generale

Ancor prima di lasciare l'Ufficio Brevetti nel 1907, Einstein iniziò a lavorare a una teoria più generale, che potesse essere estesa ai sistemi non inerziali, cioè in moto relativo non uniforme. Enunciò il principio di equivalenza, in base al quale il campo gravitazionale è equivalente a una accelerazione costante che si manifesti nel sistema di coordinate, e pertanto indistinguibile da essa, anche sul piano teorico. In altre parole, un gruppo di persone che si trovino su un ascensore in moto accelerato verso l'alto non possono, per principio, distinguere se la forza che avvertono è dovuta alla gravitazione o alla accelerazione costante dell'ascensore. La teoria della relatività generale non venne pubblicata sino al 1916. In essa le interazioni dei corpi, che prima di allora erano state descritte in termini di forze gravitazionali, vengono spiegate come l'azione e la perturbazione esercitata dai corpi sulla geometria dello spazio-tempo, uno spazio quadridimensionale che oltre alle tre dimensioni dello spazio euclideo prevede una coordinata temporale. Einstein, alla luce della sua teoria generale, fornì la spiegazione delle variazioni del moto orbitale dei pianeti, fenomeno fino ad allora non pienamente compreso, e previde che i raggi luminosi emessi dalle stelle si incurvassero in prossimità di un corpo di massa elevata quale, ad esempio, il Sole. La conferma di quest'ultimo fenomeno, durante l'eclissi solare del 1919, fu un evento di enorme rilevanza. Per il resto della sua vita Einstein dedicò molto tempo alla ricerca di un'ulteriore generalizzazione della teoria e alla ricerca di una teoria dei campi, che fornisse una descrizione unitaria per i diversi tipi di interazioni che governano i fenomeni fisici, incluse le interazioni elettromagnetiche, e le interazioni nucleari deboli e forti. Tra il 1915 e il 1930 si stava sviluppando la teoria quantistica, che presentava come concetti fondamentali il dualismo onda-particella, che Einstein aveva già prima ritenuto necessario, nonché il principio di indeterminazione, che fornisce un limite intrinseco alla precisione di un processo di misurazione. Einstein mosse diverse e significative critiche alla nuova teoria e partecipò attivamente al lungo e tuttora aperto dibattito sulla sua completezza. Commentando l'impostazione, per certi versi intrinsecamente probabilistica della meccanica quantistica, affermò che "Dio non gioca a dadi con il mondo".
La relatività ha trovato un gran numero di conferme sperimentali da quando è stata introdotta. Ad esempio, durante l'eclisse del 1919 è stata verificata la deflessione di un raggio di luce nelle immediate vicinanze del Sole, come previsto dalla teoria. Recentemente sono stati effettuati test analoghi per misurare la deflessione delle onde radio emesse da quasar lontani, mediante l'uso di interferometri a radiotelescopio. I risultati di questi test concordano entro un margine di errore dell'1% con le previsioni della relatività generale.
Un'altra conferma sperimentale viene dal moto del perielio (il punto in cui un pianeta passa più vicino al Sole) dell'orbita di Mercurio. Tale moto, che non trova spiegazione nell'ambito della fisica classica, è invece previsto dalla teoria della relatività e le recenti misure radar effettuate sono in ottimo accordo con le previsioni. Un altro fenomeno prescritto dalla relatività generale è lo spostamento verso il rosso della lunghezza d'onda della radiazione emessa da oggetti posti in intensi campi gravitazionali; esso è stato più volte osservato mediante misurazioni astronomiche.

Osservazioni successive
Dopo il 1915 la teoria della relatività venne ampliata da Einstein stesso e ulteriormente sviluppata da scienziati come James Jeans, Arthur Eddington, Edward Arthur Milne, Willem de Sitter e Hermann Weyl. Gran parte del loro lavoro fu volto a estendere la teoria della relatività in modo da includere i fenomeni elettromagnetici. I fisici hanno indagato anche sulle conseguenze cosmologiche della teoria della relatività. Entro lo schema degli assiomi posti da Einstein sono possibili molte linee di sviluppo. Ad esempio, si sa che lo spazio è curvo e si conosce l'esatto grado di curvatura nelle vicinanze dei corpi pesanti, ma non dello spazio vuoto, che pure è incurvato per effetto della materia e della radiazione contenuta nell'intero universo. Inoltre, gli scienziati sono discordi sulla questione se lo spazio sia chiuso (come una sfera), o aperto (come un cilindro con le basi poste all'infinito). La teoria della relatività implica poi la possibilità che l'universo sia in espansione, un'ipotesi che sembra confermata anche dai risultati sperimentali: ad esempio, le linee spettrali delle galassie, dei quasar e di altri oggetti distanti risultano spostate verso il rosso, proprio come ci si aspetterebbe da sorgenti di radiazione che si stanno allontanando. La teoria dell'universo in espansione lascia pensare che la storia passata dell'universo abbia un inizio, ma non esclude altre alternative possibili. Vedi Cosmologia.
Einstein avanzò l'ipotesi che grossi fenomeni perturbativi di natura gravitazionale, quali l'oscillazione o il collasso di stelle massive, generino onde gravitazionali, che si propagherebbero nello spazio-tempo alla velocità della luce. I tentativi di rivelare simili perturbazioni non hanno avuto fino a oggi i risultati sperati, ma sono attualmente in corso vari progetti di ricerca. Molti dei successivi studi sulla relatività furono dedicati alla creazione di una meccanica quantistica relativistica. Una teoria relativistica per l'elettrone fu sviluppata nel 1928 dal matematico e fisico britannico Paul Dirac; in seguito venne avanzata una teoria quantistica dei campi, chiamata elettrodinamica quantistica, che sintetizza i concetti della relatività e della teoria quantistica per quanto riguarda le interazioni tra gli elettroni, i positroni e la radiazione elettromagnetica. Negli ultimi anni, il fisico britannico Stephen Hawking ha dedicato i suoi studi alla formulazione di una teoria completa, che unisca relatività e meccanica quantistica.

Cittadino del mondo
Dopo il 1919 Einstein divenne famoso a livello internazionale; ricevette riconoscimenti e premi, tra i quali il premio Nobel per la fisica, che gli fu assegnato nel 1921. Lo scienziato approfittò della fama acquisita per ribadire le sue opinioni pacifiste in campo politico e sociale. Durante la prima guerra mondiale fu tra i pochi accademici tedeschi a criticare pubblicamente il coinvolgimento della Germania nella guerra. Tale presa di posizione lo rese vittima di gravi attacchi da parte di gruppi di destra; persino le sue teorie scientifiche vennero messe in ridicolo, in particolare la teoria della relatività.
Con l'avvento al potere di Hitler, Einstein fu cos venne offerto un posto presso l' ”Institute for Advanced Study” di Princeton, New Jersey. Di fronte alla minaccia rappresentata dal regime nazista egli rinunciò alle posizioni pacifiste e nel 1939 scrisse insieme a molti altri fisici una famosa lettera indirizzata al presidente Roosevelt, nella quale veniva sottolineata la possibilità di realizzare una bomba atomica. La lettera segnò l'inizio dei piani per la costruzione dell'arma nucleare. Al termine della seconda guerra mondiale, Einstein si impegnò attivamente nella causa per il disarmo internazionale e più volte ribadì la necessità che gli intellettuali di ogni paese dovessero essere disposti a tutti i sacrifici necessari per preservare la libertà politica e per impiegare le conoscenze scientifiche a scopi pacifici.
Tra le sue opere pubblicate in Italia ricordiamo: Autobiografia scientifica (1979); Relatività: esposizione divulgativa (1980); Idee e opinioni. Come io vedo il mondo (1990); Evoluzione della fisica (1985), in collaborazione con Leopold Infeld; Riflessioni a due sulle sorti del mondo (1989), in collaborazione con Sigmund Freud.
Enrico Fermi e la sua pila

Enrico Fermi, fisico italiano, nasce a Roma nel 1901 e muore a Chicago nel 1954. Figlio di un funzionario del ministero delle comunicazioni, frequentò la Scuola normale di Pisa, dove, nel 1922, si laureò con una tesi sulla rifrazione dei raggi X. Fu per qualche mese a Gottinga presso Max Born, quindi insegnò a Roma e a Firenze e, nel 1926, ottenne per interessamento di O. M. Corbino la cattedra di fisica teorica all'università di Roma. Qui entrò a far parte del gruppo di giovani fisici noti come “ragazzi di Corbino” tra i quali figuravano alcuni dei migliori fisici italiani contemporanei: Amaldi, Rasetti, Pontecorvo, Segré. Nel 1927, insieme a Dirac, egli gettò le basi della teoria statistica che porta il loro nome fondata sul principio di esclusione di Pauli. Dal 1932, dopo la scoperta del neutrone per opera di Chadwick, si dedicò alla fisica nucleare; è del 1934 la sua teoria sul decadimento dei nuclei, in cui per la prima volta si suppone l'esistenza del neutrino, una nuova particella già teoricamente prevista da Pauli. Per primo previde l'impiego di neutroni lenti per la disintegrazione dei nuclei; questo metodo, la cui efficacia è dovuta all'assenza di cariche elettriche del neutrone e che in seguito venne applicato sempre più frequentemente, gli permise in particolare di realizzare la prima fissione dell'uranio. Per questi fondamentali lavori sui neutroni ebbe, nel 1938, il premio Nobel per la fisica; perseguitato dal fascismo, il 24 dicembre dello stesso anno s'imbarcò con la famiglia per gli Stati Uniti, dove prima fu nominato professore alla Columbia University e poi (1945) all'università di Chicago. Nel 1944 gli fu data la cittadinanza americana e nel 1945 fu nominato professore all'Istituto per gli studi nucleari. Dopo la guerra si dedicò alla costruzione del ciclotrone dell'università di Chicago col quale sviluppò le sue ricerche sulla cattura nucleare dei mesoni, e sulle proprietà dei mesoni e dei raggi cosmici, alle quali dedicò l'ultimo periodo della sua vita (1947- 1954). Morì di cancro nel 1954 e l'elemento di numero atomico 100 ottenuto in laboratorio l'anno successivo prese in suo onore il nome di fermio.
Opere principali: I raggi Röntgen (1922), Introduzione alla fisica atomica (1928), Molecole e cristalli (1934), Termodinamica (1937), Fisica nucleare (1950), Particelle nucleari (1951).
Il nome del fisico è stato dato a due centrali elettronucleari; la prima, che si trova negli Stati Uniti (Michigan), è costituita da un reattore veloce raffreddato con sodio liquido che fornisce una potenza elettrica di 66.000 kW; la seconda è il reattore italiano di Trino Vercellese.
Enrico Fermi entrò a far parte del progetto Manhattan (MED) fin dall’inizio, nel 1942;tretto a emigrare negli Stati Uniti, dove gli chiamato dal coordinatore del progetto, Rober Oppenheimer, arrivò a Los alamos quando ancora era in costruzione.Da allora si dedicò assieme ad un equipé di scienziati famosi in tutto il mondo (Bohr, Wigner, von Neumann, Frisch, Teller, Segrè, Chadwick, Fuchs e altri ancora) alla ricera sperimetale per la costruzione della bomba atomica.Le prime ricerche condotte da Fermi e il suo gruppo, mirarono soprattutto ad assicurare le condizioni necessarie per la produzione di energia dal processo di fissione nucleare.Tali condizioni sono quattro:
• il materiale fissile deve essere in quantità sufficiente e disposto secondo una determinata “geometria”;
• i neutroni impiegati devono essere “lenti”, cioè dotati di velocità idonea a dar vita alla reazione;
• il flusso di neutroni deve essere regolato per controllare la fissione;
• l’energia scaturita deve essere utilizzabile.
Per soddisfare queste condizioni si fece ricorso all’uranio 235 (prodotto a Oak Ridge ed Hanford), poiché il suo nucleo è facilmente scindibile con neutroni “lenti”, dal momento che la “sezione d’urto”, cioè la possibilità di dividere il nucleo, risulta, in prima approssimazione, inversamente proporzionale alla velocità dei neutroni. L’uranio 238 invece, pur presente in maggiori quantità, non è “fissile”, ma “fertile”: vale a dire che “cattura” un neutrone per diventare, con una successiva e immediata trasformazione, un elemento fissile (il plutonio 239, non presente infatti in natura). Per rallentare i neutroni venne impiegato un elemento “moderatore”, capace di generare nell’urto una riduzione di velocità senza perdite o assorbimento: ad esempio l’acqua, ma anche la grafite, una forma naturale del carbonio. A questo punto i fisici avevano tutte le carte in mano per creare una reazione nucleare a catena, ma mancava ancora da risolvere un problema : se in ogni fissione 1 neutrone (esattamente 1) ha l’effetto di produrre un’altra fissione, allora la reazione a catena è autosostenuta. Se invece il fattore di moltiplicazione è maggiore di uno, anche di pochissimo, la reazione a catena cresce rapidamente fino a provocare un’esplosione. Era quindi necessario trovare un modo per tenere sotto controllo il processo di fissione.

Quindi, per regolare l’attività di un reattore nucleare, si ricorre a barre di controllo mobili all’interno del reattore, e costituite da sostanze in grado di assorbire fortemente i neutroni e rallentare, fino a fermarlo, il processo di reazione a catena.
In base agli studi effettuati, Fermi fu in grado di realizzare la macchina in cui si produsse per la prima volta una fissione nucleare, caratterizzata da una reazione a catena controllata e capace di automantenersi; prototipo dei futuri reattori nucleari, la famosa “pila atomica” era un reattore a uranio e grafite sovrapposti in “pila”, eretto su un campo da gioco e sostenuto da una struttura in mattoni; essa entrò in funzione a Chicago il 2 dicembre 1942.
Il primo passo era compiuto; per il Progetto Manhattan rimaneva ancora da risolvere l’arricchimento della disponibilità del materiale fissile occorrente per tentare l’esperimento di reazione a catena non frenata: l’esplosione di una bomba atomica. Non passò comunque molto tempo. I fisici che progettarono poi la bomba nucleare usarono parte dell’esperienza acquisita con la costruzione della pila, anche se l’impiego di un’arma tale richiede un atteggiamento differente da quello utilizzato per la pila : ad esempio, se per un reattore i fisici avevano da risolvere il grave problema di dover controllare e mantenere costante la reazione a catena, per la bomba gli scienziati dovevano soltanto capire in che maniera potessero sfruttare al massimo la situazione degenerativa di una reazione a catena totalmente priva di controllo per inferire il massimo dei danni al nemico.
L’emigrazione forzata
In Germania il razzismo nazionalistico penetrò in ogni campo della cultura: anche nella scienza le discipline come la fisica, la chimica e la biologia dovettero avere una "base ariana"; fu così che a partire dalla seconda metà degli anni Trenta, la maggior parte delle strutture di ricerca fisica furono "confiscate" ed adibite a ricerche inerenti la realizzazione della bomba atomica. Non tutti però accettarono di essere complici del Regime Hitleriano, e preferirono emigrare all'estero. Tra di loro, possiamo ricordare: Max Born, Max Planck ed Albert Einstein, il maggiore fisico dell'epoca. Egli, tedesco di origine ebrea, venne denunciato come un "ciarlatano straniero" e la sua teoria della relatività come "degenerazione mentale tipicamente ebraica".Un altro esempio di "fuga" è quello di Enrico Fermi: il più celebre fisico italiano, che fu costretto ad emigrare dal nostro paese perchè sua moglie era di origine ebraica.Grazie ad un governo in grado di offrire sufficienti garanzie di protezione e la possibilità di poter continuare i propri esperimenti senza imposizioni di carattere politico, gli Stati Uniti si rilevarono il paese verso cui si diresse la maggior parte degli emigranti tedeschi. A prova di ciò fu la realizzazione degli studi del Progetto Manhattan, a cui parteciparono gli stessi Einstein e Fermi, ovvero la realizzazione delle due bombe atomiche lanciate sul Giappone, anticipando di gran lunga gli studi tedeschi che non furono mai realmente terminati.Il progetto di Hitler di creare una "scienza pura" portò quindi ad un completo fallimento: i ricercatori tedeschi non tennero conto del lavoro già svolto dai loro predecessori in nome di principi razzistici ed inoltre essi si chiusero in una sorta di casta di eletti che si venne a trovare in contrasto non solo con i propri nemici, ma anche con chi, più semplicemente, non era di razza ariana e veniva per questo motivo emarginato, se non perseguitato.
Progetto Manhattan
Il progetto Manhattan per la realizzazione della bomba atomica viene avviato dal Presidente F.D.Roosevelt, nel 1942, in collaborazione con il governo britannico; inizia così l’asservimento a scopi bellici della sperimentazione. Alcuni scienziati, preoccupati della probabile utilizzo militare si astennero fin dal 1939 dal continuare la ricerca. Il progetto Manhattan cercava di assicurare le
condizioni indispensabili per la produzione di energia dal processo di fissione nucleare. Tali condizioni sono quattro: il materiale fissile deve essere in quantità sufficiente e disposto secondo una determinata "geometria"; i neutroni impiegati devono essere "lenti", cioè dotati di velocità idonea a dar vita alla
reazione; il flusso di neutroni deve essere regolato per controllare la fissione; l'energia scaturita deve essere utilizzabile. Per soddisfare queste condizioni si fece ricorso all'uranio 235, poichè il suo nucleo è facilmente scindibile con neutroni "lenti". Il nome in codice del progetto americano è "Manhattan Engineer District", MED. L'operazione si svolge nella massima segretezza, la maggior parte dei capi
militari americani ne sono tenuti all'oscuro. L'idea di realizzare l'arma atomica viene suggerita al governo americano dai fisici, preoccupati che gli scienziati tedeschi realizzino la bomba per primi.
L'uomo che preoccupa di più gli scienziati è il tedesco Werner Heisenberg. Nel ristretto ambito della comunità scientifica internazionale la possibilità di arrivare alla costruzione dell'arma atomica si diffonde alla fine del 1938 quando i chimici tedeschi Otto Hahn e Fritz Strassmann ottengono la prima fissione nucleare. Nell'autunno del 1938 il mondo è in attesa di un'altra guerra mondiale. Le notizie provenienti dalla Germania nazista sono allarmanti. Tutti gli scienziati di origine ebrea sono fuggiti, privando la Germania di un patrimonio scientifico straordinario. Nel mondo accademico gli attacchi contro la "fisica ebraica "sono continui. In questa pesante atmosfera i fisici ebrei Leo Szilard e Edward Teller, che si sono rifugiati in America, si incontrano nell'estate del 1939 con il padre della relatività, Albert Einstein, per convincerlo a scrivere al Presidente Roosevelt. Sono loro a spiegare al grande fisico le implicazioni della scoperta della fissione nucleare da parte dei chimici tedeschi. Einstein avverte subito il pericolo e di fronte alla possibilità che la Germania nazista arrivi a costruire la bomba atomica, nell’agosto del 1939, abbandonando le sue posizioni pacifiste, accetta di firmare la lettera che il suo vecchio amico Szilard ha preparato e discusso con lui. La lettera di Einstein arriverà sul tavolo del presidente Roosevelt solo qualche mese dopo. Ma bisognerà attendere fino al 1941 prima che Roosevelt decida di dare il via al progetto quando i servizi segreti inglesi confermeranno che la
Germania sta costruendo la bomba atomica. Il progetto Manhattan mette in moto una macchina produttiva e di ricerca che non ha precedenti nella realizzazione di un singolo manufatto e che trasformerà profondamente il rapporto tra militari, industria e mondo della ricerca
scientifica. Con l’entrata in guerra degli U.S.A i tempi per la realizzazione della bomba
atomica subiscono una grande accelerazione dovuta anche ai grandi interessi economici che si nascondono dietro un progetto che richiede praticamente fondi illimitati.
Il 17 settembre 1942, il generale Leslie R.Groves viene nominato responsabile del MED, lo affiancano Vannevar Bush e James B.Conant, già consiglieri scientifici del presidente Roosevelt. Il 23 settembre viene creato un comitato politico militare, che assume il controllo del progetto Manhattan; ne fanno parte: il generale Wilhelm D.Styer, l’ammiraglio William Purnell e il generale Leslie R.Groves.
Il documento segreto dell’organigramma organizzativo evidenzia chiaramente come la struttura del MED fosse controllata da una catena di comando centralizzata e rigidamente gerarchica. Ne erano stati esclusi tutti i militari responsabili della strategia militare del conflitto. La realizzazione della bomba atomica comportò la costruzione del laboratorio di Los Alamos, dell’impianto Oak Ridge e quello di Hanford. I laboratori di fisica delle università di Berkeley in California, di Chicago in Illinois, e della
Columbia a New York, furono i centri di ricerca coinvolti nel Progetto Manhattan.
Quando il 2 dicembre 1942 all’università di Chicago il fisico italiano Enrico Fermi ottenne, al costo di circa un milione di dollari, la prima reazione a catena controllata utilizzando l’uranio, la possibilità di realizzare la bomba atomica era diventata una realtà. Per il fisico ungherese, Leo Szilard, che tanto aveva fatto per dare avvio al progetto Manhattan e che con Fermi era responsabile dell’esperimento, quel successo fu "un giorno che sarebbe passato alla storia dell’umanità come una
giornata nera".

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