Totalitarismi

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Testo

Ciò che comunemente viene detto totalitarismo è un concetto molto complesso con alcune ambiguità, molti limiti e dall’incerta utilità. Data l’enorme ricerca storiografica sulla seconda grande guerra e la molteplicità di saggi sull’argomento, risulta molto difficile, se non impossibile, darne una definizione unitaria. Se una definizione è quello che si cerca, quella più diffusa e condivisa è quella di FRIEDRICH e BRZEZINSKI, secondo la quale il regime totalitario è caratterizzato da:
- un’ideologia ufficiale che abbracci tutti i campi della vita dell’uomo
- un partito unico, gerarchicamente sotto un capo
- un sistema di terrore fisico e psichico
- il monopolio da parte del partito e dello stato di tutti i mezzi di comunicazione di massa e il potenziamento della propaganda
- il monopolio da parte del regime di tutti i mezzi effettivi della lotta armata
- una forma di controllo e di direzione centralizzata dell’economia
Per TODOROV la struttura di un regime totalitario è governata da una tendenza all’unificazione. Essa si mostra in una molteplicità di forma, la più appariscente delle quali è la simbiosi crescente tra partito e stato. Il totalitarismo, in generale, è ostile alle religioni tradizionali, a meno che esse non siano disposte a fare atto di sottomissione nei suoi confronti. La principale conseguenza di questo vasto movimento all’unificazione è che tutto che ad esso sfugge viene percepito come un ostacolo da distruggere, come un nemico da combattere e da eliminare ed inoltre non vi si trova posto per le posizioni neutrali. La divisione all’interno dello stato non è più orizzontale, cioè territoriale, ma verticale, tra strati di una stessa società. Inoltre, un’altra ambiguità riguarda la modernità: il totalitarismo è allo stesso antimoderno e arcimoderno: è antimoderno in quanto privilegia i valori del gruppo rispetto agli interessi dei singoli. Pur adottando una retorica egualitaria, la società totalitaria è in realtà gerarchica , come le società tradizionali. Tuttavia è anche una società che privilegia scelte abitualmente giudicate moderne: l’industrializzazione, la globalizzazione e le innovazioni tecnologiche.

Lo scopo principale di dare una definizione di totalitarismo era tentare un confronto tra nazismo, fascismo e comunismo e osservare possibili correlazioni con i regimi moderni. THLHEIMER, BAUER e TOGLIATTI interpretarono il fascismo come regime reazionario di massa di fronte all’ascesa della classe operaia, altre l’interpretarono come una sorta di parentesi o malattia della storia dello stato italiano (CROCE); altre si concentrarono su un’interpretazione basata sul fascismo come una conseguenza inevitabile dello sviluppo della nazione. È, inoltre, utile precisare che il nazismo è universalmente inteso come un fascismo che è sorto con posizioni nazionalistiche e antisemite. Il regime stalinista fu dittatura di una minoranza che non poté appoggiarsi con fiducia su componenti precise della propria popolazione, se non per difendersi dall’aggressore esterno. Di conseguenza, la sua forza terroristica si diresse in primo luogo contro il proprio popolo. Il regime nazista invece venne all’inizio guidato da una minoranza, che però ben presto si trasformò in maggioranza; la sua dinamica distruttiva si è perciò potuta concentrare sulle popolazioni dei paesi conquistati e sugli ebrei d’Europa. Al posto del difficile bilanciamento degli interessi, s’impose una volontà univoca, legittimata da una visione del mondo imposta dall’alto e incarnata nella figura del leader carismatico. In Germania la contraddizioni venivano risolte volta per volta dai piccoli leader emergenti. Ma l’accumulo delle competenze comportava un indebolimento dell’istanza centrale. Alla fine fu chiaro che non c’era più nessuna struttura gerarchica di responsabilità e ogni decisione era frutto del libero arbitrio. Inoltre Stalin era il prodotto di un sistema, Hitler lo incarnava: il culto della figura di Stalin integrava e simboleggiava la volontà di potere dell’apparato centrale, dello “stato”. Di contro Hitler incarnava non l’apparato statale bensì s’impose su di esso, arrivando a simboleggiare l’”idea”, per la cui realizzazione era necessario utilizzare lo stato. In Germania che non apparteneva ai “gruppi perseguitati” visse sotto il regime relativamente indisturbato. Il terrore dello stalinismo, invece, si risolse quasi esclusivamente contro la propria popolazione, e il grado di razionalità interna di questo terrore diminuiva con le sconfitte del regime, fino alle persecuzioni a caso. Il sistema di lavoro coatto dei gulag era interno alla tradizione della “politica delle campagne” stalinista, senza tenere conto ce il sistema stalinista non era capace, oltre a non volerlo, di utilizzare in modo più produttivo i singoli lavoratori. L’utilizzazione dei prigionieri dei campi di concentramento tedeschi, era invece agli ordini del regime nazista in maniera solo transitoria, condizionata dalla guerra. Inoltre in Germania il campo è l’inferno che diviene ordine, mentre nell’Unione Sovietica è l’inferno dell’indifferenza, dell’abbandono e della casualità. Se però si prende come punto di partenza la ferocia dei tedeschi nei territori occupati dell’Est, allora il quadro e i parallelismi sono evidenti e profondi. Nazismo e stalinismo non erano fondati su una dimensione di reciprocità, bensì si costituirono come alternative ugualmente radicali a quella che era considerata la sconfitte della società borghese di stampo occidentale. Le differenze tra i due regimi non si svilupparono dunque nel loro carattere totalitario, anzi, c’è addirittura da dubitare che il nazionalsocialismo fosse un regime totalitario nel senso di Friedrich e di Brzezinski, se si tiene conto del sistema di potere nazista e dell’atteggiamento del regime nei confronti del proprio popolo.

Primo Levi racconta la sua esperienza nel campo di sterminio di Auschwitz tentando una narrazione, se non proprio oggettiva, limitata ai fatti e alle e,azioni, di come più volte gli sia sembrato di aver toccato il fondo: raccontare, raccontare per far conoscere e per far capire, e soprattutto per non ripeter. E ancora della morte dell’uomo per un altro essere indefinibile e della sua lenta rinascita a momento della liberazione. In fine del vero significato delle cose, delle abitudini, dei piccoli gesti e della perdita della fede davanti a un male che sembra non avere fine. Il testo inizia con una poesia che è dedicata a tutti noi che abbiamo tutto quello che desideriamo, che viviamo in ospitevoli case e che siamo circondati da persone che ci vogliono bene, e ci obbliga a RFLETTERE e RAGIONARE su ciò che è successo davvero. L’autore ci vuole fare riflettere sulle cattiverie dei tedeschi, descrivendo le sofferenze dei deportati, e meditare perché non si ripetano i gravi errori del passato o la nostra casa venga distrutta, la malattia ci uccida e i nostri figli non ci accettino come genitori perché non abbiamo fatto il nostro dovere. Ma l’opera è stata scritta allo scopo non di formulare nuovi capi d’accusa, ma per fornire documenti per uno studio pacato di alcuni aspetti dell’animo umano, e soprattutto per soddisfare l’impulso e il bisogno di raccontare agli altri, di fare gli altri partecipi. Qst libro è la narrazione-testimonianza di uno dei pochi ebrei sopravvissuti all’esperienza del lager, in uno stile sempre equilibrato, asciutto, senza concessioni retoriche e accentuazioni romanzesche. Come già detto il romanzo si apre con 23 versi liberi indirizzati al lettore. Quindi l’autore inizia il racconto della cattura avvenuta ad opera della milizia fascista il 13 dicembre 1943 e la successiva deportazione al campo di Buna Monowitz, presso Auschwitz, durata fino al gennaio del 1945, alla sua prigionia, all’atroce rituale all’ingresso del lager, alla sua riduzione a numero, perché “solo mostrando il numero si riceve il pane e la zuppa”, alla vita trascorsa in una baracca, al suono di Rosamunda e di varie marce, mentre i prigionieri ritornavano “in parata” dai campi di lavoro. La vita ha un ritmo obbligato: “uscire e rientrare: lavorare, dormire e mangiare; ammalarsi, guarire morire”.
Si susseguono, in una scansione tragicamente nitida e precisa, le immagini dell’atroce sofferenza: lo scambio delle bacinelle tra i dissenterici allo scopo di guadagnare qualche giorno di infermeria (KA-BE) e vincere così i rigori dell’inverno; il rancio in piedi; la Borsa, il mercato dei “disperati della fame”, dove si fa baratto di tutto per avere in cambio del cibo in nome della sopravvivenza. Accanto ai “sommersi” ci sono i “salvati”. Quattro sono le storie emblematiche, che l’autore ci presenta di coloro che sono riusciti a raggiungere la salvezza (Schepschel, Alfred L., Elias Lindzin e Henri). Si snodano, poi, attraverso la memoria, gli ultimi episodi significativi della prigionia dello scrittore: l’esame di chimica per diventare specialista e ottenere così la salvezza; le tragiche selezioni periodiche per la camera a gas; l’attesa dei russi durante l’inverno del ’44; il bombardamento del campo, mentre, malato di scarlattina, l’autore si trova degente nel Ka-Be; l’abbandono della zona da parte delle SS in fuga, tragico preludio all’arrivo dei russi liberatori.

The antiutopian literature develops above all in England and in America, where, perhaps for the advanced sense of liberty and liberism, people fell the problem more than in other places. The they express in their poems is the suppression of the elementary people rights in the name of a utopia: the complete pleasure for the complete abolition of the willing, that translates in a achievement of a sort of limbo in which the consciousness, the knowledge and the individual liberty are disappeared. This project is reached by the two authors with the instruments of the totalitarian model, that Huxley perceive before the complete instauration of nazism and fascism and the beginning of the second world war. The Huxley’s poem, “BRAVE NEW WORLD”, attacks the scientific utopias of technological and technocratical societies: in this future world, society is based on stability thanks to a strict scientific cast hierarchy. People are genetically manipulated by test tubes. The aim of this society is happiness, reached, also through the administration of a hallucinogen called soma. In general Huxley focuses on a future of a self- destruction and defines a number of themes that are characteristic of this society:
-the effects of scientific progress
-the danger of genetic manipulation
-the concept of equality turned mass conformism
-the worship of technology
-men’s unconscious desire to be ruled
-the religious atrophy and materialism of our century
-the general danger of any sort of totalitarianism
Huxley’s most famous novel, BRAVE NEW WORLD, is usually classified as Science fiction, though Huxley always reject this definition. More properly, it might be considered as an anti-utopian novel set in a imaginary future dominated by science and technology, unlike Thomas More’ s Utopia, Huxley vision is in fact utterly pessimistic and the world he creates is presented ad a model not to be followed. The title is taken from the words of Miranda- the girl who in Shakespeare’s THE TEMPEST lives on a deserted island- when for the fist time she sees human being: “O brave new world, that has such people in it”. The irony of Huxley’s use of this quotation becomes clear towards the end of the novel, when a savage, john, sees for the first time in his life sees “civilised” men and is so disgusted by them that he first runs away and them, then, since they will not leave him alone, kills himself.
This Orwell’s most famous work is an anti utopian or dystopian novel. A such, it describes a dismal society where man’s instinct and intelligence are crushed by ruthless, all-powerful party. The story is set in 1984, not too distant from the time the novel was written: 1948. 1984 is a political parable. George Orwell wrote the novel to show society what it could become if things kept getting worse. The first paragraph of the book tells the reader of the “swirl of gritty dust…The hallway smelt of boiled cabbage and old rag mats”. Just from these few lines Orwell makes it clear that there was absolutely nothing victorious about Victory Mansions. Every image the reader receives from Winston Smith is pessimistic. Hate week, for example, is a big event in Oceania. The citizens prepare for it like Christmas. Instead of jolly songs with family, hate week is celebrated with fists in the air while chanting about death, Goldstein, and whatever the party wanted the citizens to disgust. Winston hates the party and Big Brother. He hates the pure ones, also. Everything about Winston’s life drives him closer and closer to a suicidal point each day. What makes things worse, is that the party makes Winston think that he is crazy for wanting to be free to think and for wanting to remember. These simple things are taken for granted today. George Orwell devilishly illustrates the brutality that man can be capable of when he is given such power. The people of Oceania are forced to love Big Brother. There is possibly no one that loves Bill Clinton, besides his family, there are several that love to make fun of him, but on the political mainstream love is not involved as it is in Oceania. The setting in itself is an extremely important part of the novel. Winston lived in a dark, grey drab jungle. Posters of Big brother were everywhere. However, Winston could hide from it long enough to write his diary even though he knew he would get caught eventually. Winston was alienated before Julia. He didn’t have much contact with other people; he was constantly hungry both physically and emotionally. However, it is ironic that Winston enjoys the work he does but he hates the falsification. 1984 is a satire of the upper class. The members of the upper class believe that they have superiority over the common people. They are always wanting more than what is given to them. Very much like O’Brien telling Winston in the Ministry of Love (this ministry has to torture the victim of the psycho police, and to make them confess even the crimes they did not committed) that it wasn’t good enough for him to say that 2+2=5; he had to believe it with his entire being to know that 2+2=5 or 3 or whatever the party said.

Il gruppo del DIE BRUCKE fu fondato a Dresda nel 1905 da Kirchner e da alcuni giovani pittori, Heckel, Schmidt-Rottluff e Bleyl, a cui si aggiunsero anche Nolde ed altri. Vicino alla poetica espressionista del Die Brucke fu anche il pittore austriaco Schiele, che peraltro non fu vincolato da nessuna corrente. Nel 1911 il gruppo si trasferì a Berlino, il centro artistico più importante della Germania e si sciolse nel 1913 per forti contrasti; ciascuno così continuò a lavorare autonomamente. Lo scopo ed il programma di qst artisti sono descritti in un appello contenuto nella CRONACA DELL’UNIONE ARTISCTICA DEL DIE BRUCKE:chiamiamo a raccolta la gioventù e, come giovani che recano in se il futuro, vogliamo conquistarci la libertà d’azione e di vita, di fronte alle vecchie forze cos’ difficili da sradicare. Accogliamo tutti coloro che, direttamente e sinceramente, riproducono il loro impeto creativo. La denominazione che qst artisti si attribuirono non derivava da un motivo particolare e fu occasionale, ma probabilmente esprimeva la speranza che il movimento, in polemica con la tradizione accademica e con il conformismo della società borghese, sarebbe stato come un ponte gettato sul futuro dell’arte. Essi intendevano affermare la propria individualità attraverso l’espressione libera ed immediata delle emozioni provate e l’interpretazione soggettiva della libertà. Tale orientamento che traeva origine da forme irrazionali romantiche faceva propri i caratteri formali della pittura di Van Gogh, di Gaugin, dei fauves e di Munch: apprezzava i colori accesi, violentemente contrastanti, costituenti essi stessi la realtà; deformava le immagini rendendole prive di impostazione prospettica e volumetrica; ricorreva a linee incisive e marcate per delimitare i contorni delle figure; prediligeva l’incisione ed il ricorso all’arte primitiva. Kokoschka, benché austriaco, fa parte dell’ambiente culturale tedesco. Si formò nel clima della secessione viennese (1897) e subì l’influenza di Klimt; successivamente si avvicinò agli espressionisti tedeschi ed ebbe ammirazione per Munch e per i pittori del PONTE, tanto che le sue opere mostrano una profonda penetrazione psicologica e deciso cromatismo. Si dedicò anche alla letteratura ed al teatro: scrisse poesie, drammi romanzi; fu scenografo e compose anche manifesti. Viaggiò molto e si rifugiò prima a Praga e poi a Londra dopo che le autorità della Germania nazista dichiararono la sua arte degenerata. LA SPOSA DEL VENTO- nella tela è adombrato il mistero dell’amore che assorbe l’uomo e la donna nel tutto universale. Ricordando l’episodio dantesco di Paolo e Francesca, travolti da un’impetuosa bufera, l’artista presentò una grandiosa scena in cui la donna posa la testa sul petto dello sposo e con lui è trascinata da un vortice di aria, immagine dell’amore, verso un mondo infinito ed assoluto. L’opera, intensa per vibrazione cromatica, è caratterizzata da linee curve avvolgenti che sembrano favorire il movimento dei due sposi verso il loro destino, e, pur essendo figurativa, rivela fondamentale la fantasia dell’artista che ama pure la decorazione. Per questo motivo egli fu considerato molto vicino al rococò austriaco.

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