Terme di Caracalla

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Categoria:Storia

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Testo

Combustibile
Nei pressi del prefurnio si trovano spesso ambienti minori identificabili come depositi per la legna. Il rifornimento del combustibile era una delle maggiori preoccupazioni per i gestori delle terme, poiché dal legname che veniva consumato dipendeva la sicurezza della continuità di riscaldamento. Il legname necessario veniva tagliato nei boschi di conifere. I legnami non dovevano produrre troppo fumo; era sconsigliabile usare il legno di olivo, i cui fumi grassi sporcavano gli ipocausti e rovinavano le decorazioni degli ambienti annerendole. Bisognava evitare che l’accensione del prefurnio venisse iniziata bruciando il l’olio perché i suoi fumi provocavano mal di testa e vertigini nei bagnanti. Il più adatto era il legno di conifere, specie l’abete. Per accendere il fuoco si usavano materiali come la pece e la paglia. Man mano che il legno bruciava la cenere veniva rimossa dal prefurnio. Con ogni probabilità doveva servire per uso domestico ad esempio per il lavaggio dei tessuti.
Approvvigionamento idrico
L’approvvigionamento idrico era realizzato mediante pozzi, cisterne e acquedotti. In linea di massima la costruzione degli acquedotti determinò il moltiplicarsi e l’ampliarsi degli stabilimenti termali. Nelle terme il riscaldamento dell’acqua avveniva nel prefurnio, entro caldaie metalliche generalmente in bronzo nella parte inferiore (posta dentro una camicia in muratura per limitare la dispersione di calore) e piombo nella superiore. Mediante un sistema di tubi e rubinetti, l’acqua fredda era immessa nelle caldaie, riscaldata a temperatura maggiore (per il calidarium) o minore (per il tepidarium) e distribuita nei rispettivi vani. L’acqua usata veniva scaricata nelle fognature, talora dopo essere stata riutilizzata per il lavaggio delle latrine. Nel caso delle Terme di Caracalla, in epoca tarda parte delle acque che affluivano al complesso venne impiegata per far funzionare dei molini.
Costruttori, Proprietari, Gestori e Personale
Nel mondo romano, sia in Italia sia nelle province, gli edifici termali erano spesso costruiti e restaurati da notabili, da magistrati, da senatori o dagli imperatori.
Questo gesto di beneficentia o d’evergetismo, vale a dire un atto di generosità privata in favore della collettività, poteva consistere, oltre che in edifici, in giochi gladiatori, congiaria (distribuzione di donativi in natura o in denaro) o banchetti e, secondo la posizione dell’evergete, poteva essere spontaneo, obbligo morale o legale. Tale gesto procurava popolarità e prestigio, e al tempo stesso un modo di acquistarsi e di mantenere gloria e fama.
Oltre che nella costruzione delle terme, la beneficentia poteva manifestarsi, in questo particolare settore della vita romana, in elargizioni e donazioni di vario tipo ai bagni pubblici e soprattutto ai loro frequentatori: uso gratuito da parte della popolazione, fornitura di legname, d’arredi, elargizioni d’olio nei giorni di festa, ecc. In Roma, in età tardo - repubblicana, i bagni pubblici erano costruiti da privati e di norma prendevano nome da costoro.
Da Nerone in poi, gli imperatori costruirono in Roma terme grandiose e riservavano somme ingenti alla loro gestione. Settimio Severo, secondo la tradizione, destinò alle terme da lui costruite per la popolazione - certamente gratuite – e ai bagni pubblici di Roma rendite speciali dell’erario.
Fuori di Roma in Italia e nelle province, sono attestati bagni pubblici appartenenti a privati (che li avevano costruiti) o alle città (in tal caso erano edificati con denaro pubblico).
I Balnea erano gestiti direttamente da chi li aveva costruiti o, a quanto pare più spesso, erano dati in appalto (locatio) ad un impresario (conductor, conductor balnei) che pagava al proprietario una somma determinata e riscuoteva (a meno che l’accesso non fosse gratuito) la tariffa d’ingresso (balneare, balneactium: sempre irrisorio) e le rendite degli appartamenti e delle botteghe annessi al fabbricato; il conductor doveva far fronte alle spese di gestione e di manutenzione.
Allo spirare del contratto l’appaltatore (o il suo socio o agente) doveva restituire in buone condizioni tutte le attrezzature per il bagno consegnateli, eccettuate quelle rese inutilizzabili perché consumate dal tempo. Doveva lavare, asciugare e spalmare con grasso una volta al mese le attrezzature in bronzo. Nel caso di riparazioni che rendessero le terme in modo inutilizzabili in modo appropriato, il gestore poteva differire l’affitto per quel periodo ma non oltre. Non poteva vendere legname, se non quello inutilizzabile come combustibile.
Nel caso avesse violato questa norma, sarebbe stato multato di 100 sesterzi per ogni vendita, da versare al fisco. Una multa di 200 sesterzi poteva essere inflitta al conductor dal procuratore delle miniere, nel caso che i bagni non fossero correttamente aperti all’uso pubblico. Il gestore doveva avere sempre una scorta di legname sufficiente per un certo numero di giorni (circa 30).
Quanto alò personale che prestava servizio nei bagni, le fonti ricordano il balneator (che poteva identificarsi con il proprietario o con il conductor), i custodi dell’ingresso e guardiani degli abiti (capsarii), gli addetti al riscaldamento (fornacarii), ai massaggi e alle unzioni (unctor, unctrix¸aliptes alipta), alla depilazione (aliptes, alipta, alipilus).
Sul buon funzionamento dei bagni pubblici, sia in Roma sia nelle città minori, vigilavano gli edili, che avevano fra i vari compiti quello di controllare l’igiene e la temperatura, l’approvvigionamento d’acqua, l’osservanza dei contratti d’appalto, la condotta morale dei frequentatori.
L’uso delle Terme e i Frequentatori
Di derivazione ellenica, l’uso del bagno fu progressivamente assorbito dalla tradizione romana in
un’ottica assolutamente originale. Dal II secolo a.C. si sviluppò sempre più la tendenza di associare al bagno l’esercizio corporeo. L’insieme degli esercizi e delle cure del corpo divennero presto un piacevole modo di passare il tempo libero.
Alle terme andavano tutti: uomini e donne, giovanissimi e vecchi, liberi e non, ricchi e poveri. Gli stessi ricchi, infatti, pur avendo la possibilità di usufruire dei bagni delle loro dimore, erano tra i frequentatori più assidui dei bagni pubblici. Era abitudine dei notabili recarsi alle terme accompagnati da schiavi e clienti, i quali li assistevano nella cura del corpo, profumandoli con oli, ritemprandoli con massaggi, portando loro asciugamani di lino o di lana e altri oggetti propri del bagno termale (strigili, unguentari, pettini, ecc.). Adempiute le loro funzioni, se restava del tempo, potevano dedicarsi essi stessi ai piaceri del bagno. Sia l’imperatore sia i membri della sua famiglia usavano recarsi alle terme pubbliche, mescolandosi nella folla che comprendeva anche i poveri e gli umili. Nei mesi invernali la gente più povera andava ai bagni pubblici anche per godere del calore che vi poteva trovare. Le donne avevano la possibilità di sfruttare questi servizi, e lo fecero largamente. Già dal II secolo a.C. apparvero i primi edifici termali con strutture rigidamente separate per i due sessi. Ma tale separazione, di fatto, non era sempre osservata. Nel I secolo a.C. non risulta che vi fossero limitazioni d’alcun genere per la frequentazione delle terme da parte delle donne, che potevano scegliere se comportarsi o meno secondo la (morale( tradizionale, e non erano poche quelle che, incuranti della propria reputazione, partecipavano ai bagni promiscui. Tale situazione si protrasse fino a che, per far cessare gli scandali, l’imperatore Adriano prese il
provvedimento di separare i bagni secondo i sessi.
Nel caso che l’edificio non avesse due sezioni separate, rispettivamente destinate agli uomini e alle donne, si adottarono orari distinti. È accertata anche la presenza dei ragazzi alle terme, ai quali sappiamo era concessa l’entrata gratis.
I romani all’interno delle terme potevano seguire vari percorsi, a seconda dei gusti e delle abitudini. Dopo aver depositato gli abiti nell’apodyterium o spogliatoio., o si effettuavano esercizi ginnici di vario genere, sfruttando la possibilità offerta dalle palestre, prima di passare al bagno nella piscina di acqua fredda, o si andava ai locali termali veri e propri. Uno dei percorsi più comuni prevedeva una breve sosta nel tepidarium, dove si graduava il passaggio di temperatura, per poi passare al caldarium, ove si faceva il bagno caldo, e quindi, dopo un ulteriore pausa al tepidarium, si giungeva al frigidarium, ambiente per i bagni freddi. Completate queste operazioni, si poteva tornare al caldarium e infine, in apposito locale farsi massaggiare. Un altro percorso abituale si svolgeva in questa successione: tepidarium, laconicum e/o caldarium, frigidarium. Ci si detergeva con lo strigile e ci si ungeva con oli all’inizio del percorso, o, alternativamente, prima, dopo o durante la sauna, o, come altra possibilità, alla fine di tutto il bagno per evitare - si credeva – di prendere raffreddori.

Materiali da Costruzione
La pietra
L’utilizzazione della pietra come materiale da costruzione, inizia dalla raccolta in superficie dei frammenti di minerale staccatesi dalla massa rocciosa per effetto delle intemperie e della vegetazione. Questi elementi di dimensioni variabili permettono di costruire muri di pietra a secco, la cui stabilità è assicurata dall’uso di blocchi di grosse dimensioni e di forma regolare che fungono da paramento e che racchiudono un riempimento di pietrisco. I ciottoli marini e fluviali, per dimensioni e regolarità, rappresentano un materiale di prima qualità, ma la loro rotondità ne impedisce una messa in opera a secco. Bisogna allora ricorrere ad una malta d’argilla, due prodotti che non sempre sono reperibili assieme in natura. Il costruttore richiede alla pietra un certo numero di qualità meccaniche ed estetiche che non solo porteranno i Romani a selezionare i materiali locali ma anche ad importarne da luoghi molto lontani. Le qualità fisiche del materiale vengono valutate dal tagliatore in relazione alla durezza del taglio. Questa classificazione comprende sei categorie:
➢ Molto tenera
➢ Tenera
➢ Semicompatta
➢ Compatta
➢ Dura
➢ Fredda.
Alla prima categoria appartengono i calcari gessosi, le arenarie, e i tufi vulcanici poco coerenti, all’ultima i marmi e i graniti.
Tra le pietre d’importazione più pregiate possiamo citare i marmi:
➢ Marmo di Chemtou, con venature gialle (Tunisia)
➢ Marmo di Chio, grigio - blu (Isola di Chio)
➢ Marmo cipollino, con venature bianco - verdi (Eubea)
➢ Marmo di Filfila, bianco (Algeria)
➢ Marmo di Lesbo, bianco - giallo (isola di Lesbo)
➢ Marmo pario, bianco intenso (isola di Paro)
➢ Marmo pentelico, bianco (monte Pentelico - Attica)
➢ Marmo di Portasanta, con venature policrome, rosso - bluastro, viola, nero, bianco (Iasso)
➢ Marmo proconnesio, bianco con venature bianche e nere (Isola di Proconneso)
➢ Marmo dei Pirenei, bianco (Pirenei)
➢ Marmo rosso (Peloponneso)
➢ Marmo di Taso, bianco, a grana grossa (Isola di Taso)
➢ Marmo serpentino, verde (Tebe d’Egitto)
Altre pietre:
➢ Alabastro, bianco (Tebe d’Egitto)
➢ Basalto nero, basalto verde (Alto Egitto)
➢ Granito grigio, granito nero (Assuan)
➢ Granito rosa (Assuan)
➢ Porfido rosso (Egitto)
➢ Porfido verde (Peloponneso)
Anche in Italia si possono trovare rocce preziose; le più celebri sono: il marmo di Carrara, disponibile i due varietà: il Lunense bianco e il Luna grigio - blu che sarà usato soprattutto in età Tiberiana e il travertino romano proveniente dalle cave di Tivoli.
L’argilla
È un materiale con sorprendenti qualità: plastica e malleabile se imbevuta d’acqua, in grado di conservare la forma, che la mano ha modellato, e di diventare, essiccando, un corpo solido. Nel mondo occidentale greco e romano, la cottura dell’argilla fu abbastanza tarda e per lungo tempo interessò soltanto le tegole e gli ornamenti dei tetti degli edifici, che dovevano assicurare una copertura impermeabile e la protezione dell’estremità degli elementi lignei delle capriate.
La Calce
La calce era conosciuta dai Greci, i quali la usarono soprattutto per preparare gli stucchi, gli intonaci dipinti e i rivestimenti delle cisterne. L’apporto fondamentale dei Romani consisterà nell’utilizzazione sistematica della calce per la preparazione di malte leganti le murature di pietra, sostituendo l’argilla e ottenendo un collante definitivo che permetterà l’uso del calcestruzzo negli edifici più grandi e la costruzione di volte dalle dimensioni eccezionali. La calce si ottiene per calcinazione di una pietra calcarea a circa 1000 °C: nel corso di quest’operazione la pietra perde il suo gas carbonico. La reazione chimica della calcinazione del calcare può essere espressa in questo modo:
CO3Ca ==> CO2 + CaO

Il prodotto che resta, un ossido di calcio è la calce viva. Si ottengono allora delle pietre polverulente in superficie, le quali vengono idratate per ottenere un legante. Questa idratazione o spegnimento si fa immergendo nell’acqua le pietre che a questo punto iniziano a sciogliersi e liberano un forte calore, trasformandosi infine in una pasta che è la calce spenta.
La calce viene mischiata con gli aggregati o inerti e si ottengono le malte.
La reazione chimica di questa seconda operazione si esprime nel modo seguente:
CaO + H2O ==> Ca (OH) 2
Va tuttavia notato che la presenza di altri corpi sensibili alla reazione chimica può provocare qualche mutamento nel fenomeno di spegnimento e rendere diversa la natura del prodotto finito; il più importante di questi corpi è l’argilla.
È opportuno esaminare innanzitutto i sistemi usati per ottenere una buona calcinazione della pietra calcarea, cioè i tipi di forni a calce. Si possono distinguere tre diversi sistemi:
1. Cottura al forno con focolare alla base
2. Cottura al forno per impilamento
3. Cottura in un’area scoperta
Il forno a calce (o fornace) funziona esattamente come un forno per la ceramica. È una costruzione a pianta circolare e a forma tronco – conica; le dimensioni possono variare dai 2 ai 7 m di diametro e di altezza. Quando a morfologia e la natura del terreno lo consentono, il forno verrà costruito ai piedi di un pendio in modo da beneficiare di un efficace isotermia e di comodi accessi: uno in basso per il focolare e uno in alto per le operazioni di carico e scarico. Un terreno argilloso è ricercatissimo, poiché, grazie ala sua trasformazione per effetto del calore esso s’indurisce e assicura un involucro solido e isotermico eccellente. Le pareti interne della cavità sono rivestite di pietre refrattarie legate con argilla, oppure con pietre qualsiasi protette da uno strato di argilla mischiato con cocci di ceramica. L’accesso alla parte inferiore della fornace avviene attraverso una apertura a livello del suolo, ampia tanto da permettere l’introduzione dei materiali cuocere (m 1,50 – 2,50 di altezza) e che sarà parzialmente ostruita da questi stessi materiali. Nella parte centrale il fornaciaio predispone una superficie circolare che costituisce la base dl focolare, intorno alla quale impila le pietre lasciando libero un volume ovoidale che forma un ambiente a volta, la camera di riscaldamento, collegata con l’esterno mediante un passaggio che si apre sulla porta, formando in tal modo un vero e proprio focolare al centro delle pietre calcaree. Al di sotto della camera di costruzione, costruita con i blocchi più voluminosi, il fornaciaio continua a impilare le pietre, collocando alla fine quelle più piccole che richiedono un minor tempo di cottura. Arrivati al livello più alto, sono possibili due alternative, in rapporto al tipo di clima: la prima consiste nel lasciare un piano orizzontale costituito dall’ultimo strato di pietre, quelle che verranno eliminate perché mal cotte. La seconda soluzione consiste nella costruzione, sulla sommità del forno, di un cono chiuso con le pareti inclinate a 45° dotato di aperture laterali, gli sfiatatoi, che fungono da camini e ricoperte di calce grassa .
Il secondo sistema di cottura al forno consiste nell’impilare, sopra una camera di riscaldamento di minori dimensioni, strati alterni di pietre calcaree e combustibili a lenta ignizione (carbone di legna); si tratta della cottura “a fiamma corta”. Questo procedimento permette di alzare la temperatura di cottura e soprattutto di ripartire meglio il calore. Tuttavia il tempo perso a impilare e a vagliare i materiali dopo la cottura sembra che abbia fatto preferire il primo sistema al secondo.
Il terzo sistema, molto più arcaico viene ancora praticato nel vicino oriente. Su una superficie ben spianata viene esteso un sottile e uniforme strato di pietre di gesso, coperto da uno spesso strato di combustibile costituito da sterco di animale, il fuoco viene acceso a una delle estremità, precisamente dove spira il vento dominante, dopodiché inizia una lenta combustione che dura diversi giorni; successivamente vengono rastrellate le ceneri e recuperate le pietre cotte. Questo metodo usa temperature molto basse ed è perciò applicabile solo al gesso, che richiede poco calore.
Le Malte
Vitruvio propone le seguenti “ricette” di malte: “Quando la calce sarà spenta, bisognerà mischiarla in questo modo: si metterà una parte di calce con tre parti di sabbia di cava o due di sabbia di fiume o di mare; queste sono le proporzioni ottimali che potranno essere ulteriormente migliorate se alla sabbia di mare e di fiume si aggiunge una terza parte di cocci di tegole pestati”. Più avanti egli raccomanda l’uso di sabbia vulcanica, la pozzolana.
Una Terma imperiale pubblica
Le Terme Antoniniane o di Caracalla rappresentano un significativo esempio di struttura termale pubblica costruita per volontà imperiale secondo una planimetria che vide la sua prima realizzazione in età neroniana. Furono edificate tra il 212 e il 217 d.C. da M. Aurelio Antonino, detto Caracalla e fornite del recinto esterno da Eliogabalo e Alessandro Severo negli anni successivi al 235 d.C. Rovinate più volte da incendi, furono restaurate sotto Aureliano e sotto Valentiniano e Valente.
Vennero frequentate fino al 537, quando i Goti, con il taglio degli acquedotti posero fine al loro funzionamento. Nel VI – VIII secolo parte dell’edificio venne occupato da una necropoli. Nel medioevo il complesso, sempre imponente per quanto in rovina, era ben noto e conservava il nome di Palatium Antoninianum; da questo vennero asportati alcuni elementi architettonici messi in opera nel 1139, con altri d’incerta provenienza nella chiesa di Santa Maria in Trastevere. Alla metà del secolo XVI le terme divennero oggetto di ricerche volte al recupero d’opere d’arte; i lavori vennero portati avanti per iniziativa di Papa Paolo III Farnese.
Nel XVII e nel XVIII secolo gran parte dell’area, al centro della quale sorgono le terme, fu sottoposta a lavori agricoli e quindi i rinvenimenti occasionali dovettero essere abbastanza frequenti; nel corso del XIX secolo vennero effettuate numerose indagini ma la prima relazione di scavo risale solo al 1912. In questo secolo si sono susseguite numerose Campagne di scavi che hanno riportato in luce anche gli ambienti sotterranei: al di sotto delle terme si trova, infatti, un complesso di locali un tempo adibiti a servizi. Si tratta di corridoi, anche carreggiabili, pavimentati a selci e muniti di paracarri e di botole attraverso le quali veniva gettata direttamente sui carri la biancheria da mandare in lavanderia. Nei sotterranei si trova il più grande mitreo di Roma (III secolo), scoperto soltanto nel 1938. Attualmente nell’area delle Terme sono in corso scavi sistematici ad opera della Sovrintendenza Archeologica di Roma.
Le terme erano costituite da un grande corpo di fabbrica centrale con le varie sale balneari, contornato da giardini con esedre e occupavano un’area pressoché quadrata (337 m x 328 m), il cui ingresso aveva un porticato frontale, seguito da due piani di botteghe e stanze per uso del personale. Queste giravano sui lati fino a raggiungere due grandi esedre, aperte con un portico all’esterno, contenenti ciascuna una palestra e due locali di convegno.
Sul lato di fondo era disposto un doppio filare di cisterne su due piani, 64 in tutto, con una capacità complessiva di 80.000 m( di acqua. La fronte delle cisterne verso l’interno era occupata da una gradinata, che veniva utilizzata quale cavea per gli spettatori che assistevano alle esibizioni ginniche (si svolgevano nello stadio antistante), mentre ai lati erano collocate due biblioteche, una greca e una latina.
Il corpo di fabbrica centrale aveva forma rettangolare (220x114 m), con ampia abside semicircolare, sporgente per tre quarti dal lato posteriore che conteneva il calidarium, rotondo, sormontato da un’enorme cupola (34 m). Esso era preceduto dal tepidarium, con vasche per le abluzioni temperate e dal frigidarium, salone rettangolare occupato quasi completamente dalla piscina. Dai bracci dell’aula centrale si accedeva ai due grandi locali a peristilio, lateralmente absidati (forse erano locali adibiti a palestre), e ad altri locali destinati ad usi diversi (unzione, massaggi, depilazione ecc.). Le terme di Caracalla, le cui strutture laterizie erano interamente rivestite di marmi policromi, costituivano anche un luogo ameno, ricco di giardini, di viali coperti, di fontane e di statue importanti (quali, per esempio, quelle della “Collezione Farnese”). Del grande complesso oggi rimangono poderosi ruderi e notevoli resti di mosaici pavimentali.
Gli ambienti: l’Apodyterium
Nell’architettura termale romana l’apodyterium (spogliatoio di terme e palestre), rappresenta la prima sala del percorso termale, adibita a spogliatoio, spesso preceduta da un vestibolo o da un corridoio d’ingresso. Lungo le pareti si trovano panche in muratura, verosimilmente provviste, in origine, di cuscini o d’altri tipi d’imbottitura; su di esse i frequentatori delle terme potevano sedersi mentre si spogliavano o attendevano il proprio turno e appoggiare indumenti e oggetti vari. Nicchie o mensole divise in scomparti servivano per sistemare vestiti o altri effetti personali.
Tende, tappeti, sedie a sdraio per chi voleva riposare dopo il bagno dovevano con ogni probabilità arricchire l’arredamento di questa sala. Per quanto riguarda i tipi di pavimentazione riscontrabili in questo settore termale sono documentati acanto a semplici pavimenti in lastre marmoree e di pietra o a mattoni romboidali contornati da tessere in travertino, pavimenti in opera musiva policroma spesso a soggetto marino.
La Palestra
Si presenta come un cortile centrale che può essere circondato da portici nei quali era possibile svolgere esercizi ginnici al riparo e può essere fornito di una piscina. Nelle grandi terme di Roma la palestra si trova generalmente fra l’Apodyterium e il Frigidarium. I Romani si servivano della palestra per praticare giochi di vario tipo e per svolgere, nudi e spalmati d’olio o vestiti con un caldo mantello esercizi ginnici. Sul portico della palestra delle Terme di Caracalla, costituito da colonne di giallo antico, si apriva un grande emiciclo, pavimentato con mosaici policromi raffiguranti atleti.
Il Caldarium
Il Caldarium era la stanza adibita al bagno caldo e assume una pianta diversa ha seconda della grandezza e dell’importanza delle terme. Nelle terme di Caracalla era costituito da una grande stanza circolare, coperta da una cupola sostenuta da otto pilastri, di ci solo quattro sono ricostruibili; due ordini di grandi finestre si aprivano sui muri di Sud – Ovest per fluire fino al tramonto della luce e del calore solare. Al centro dell’ambiente vi era una vasca circolare; sette più piccole erano ubicate tra un pilastro e l’altro. Vasche e pavimenti potevano essere rivestiti di lastre di metallo per trattenere il calore. La decorazione del caldarium prevedeva un uso frequente del marmo o della pietra per tutte le superfici a contatto più o meno diretto con l’acqua. Lastre di marmo rivestivano i pavimenti, gli alti zoccoli delle pareti e le vasche, ma potevano essere sostituite da mosaici con raffigurazioni allusive all’ambiente acquatico (pesci, cortei di divinità marine, nuotatori ecc.). le lastre di marmo aderivano alle superfici per mezzo d’allettamenti di malta ed erano ancorate alle pareti con grappe di bronzo o di piombo. Le pareti potevano essere rivestite d’intonaco, successivamente dipinto a motivi floreali o con scene di vita o mitologiche.
Il Tepidarium
Il tepidarium era un ambiente a temperatura media di norma utilizzato come sala di passaggio fra gli ambienti ad alta temperatura e il frigidarium. Questo ambiente, nelle terme di Caracalla era costituito da un piccolo vano dotato di due vasche laterali con nicchie per statue. Gli arredi tipici sono i bracieri e le panche. Di norma era decorato.
Il Frigidarium
Il frigidarium era l’ambiente riservato ai bagni freddi. Vi si accedeva di norma al termine del percorso termale dopo la sosta nelle sale riscaldate e dopo la pausa nel tepidarium, per permettere al corpo di abituarsi gradualmente ad una temperatura più rigida. Nell’antichità il bagno freddo era vivamente consigliato, dopo aver fatto un bagno caldo era necessario bagnarsi con acqua fredda per detergere il sudore: in questo modo si dava refrigerio al corpo e lo si fortificava.
Presso le terme di Caracalla, il frigidarium era un vastissimo ambiente (m 58x24) coperto da tre volte a crociera, sostenute da otto pilastri, di fronte ai quali dovevano essere altrettante colonne in granito. Una di queste, dopo il 1563, fu asportata e collocata nella piazza di Santa Trinita a Firenze. Ai lati del frigidarium vi erano due ambienti rettangolari al centro dei quali dovevano essere due vasche in porfido: di queste attualmente una è collocata in piazza Farnese e l’altra nel cortile del Belvedere in Vaticano. Attorno alla sala del frigidarium si trovavano quattro vasche, ciascuna delle quali presentava quattro nicchie che dovevano contenere sculture. Dal frigidarium si poteva accedere alla grande Natatio, sicuramente scoperta, la cui capacità era superiore ai 1400 m(. All’interno la vasca centrale aveva gradini che permettevano una comoda discesa e che erano utilizzati anche come sedili. L’illuminazione dell’ambiente era assicurata da un lucernario al centro della cupola e da finestre delle pareti.
Altri Locali
Secondo la ricostruzione di uno storico, nelle terme di Caraclla, al piano superiore, sopra al portico delle palestre, si articolavano terrazze per i bagni di sole, cui si accedeva tramite scale di legno collocate nell’apodyterium. Sotto il complesso si aprivano vasti sotterranei disposti su due piani; in quello inferiore scorreva l’acqua di scarico convogliata poi nella grande fogna che si trovava lungo il lato Su – Ovest dell’edificio. Nel piano superiore vi erano condutture che distribuivano acqua alle varie vasche e fontane e agli ambienti di servizio. Scale ricavate nell’interno dei muri permettevano al personale di salire dai sotterranei alle terrazze senza essere visti dai clienti delle terme. Le terme di Caracalla erano le più grandi di Roma dopo di quelle di Diocleziano e potevano soddisfare l’uso contemporanei di 1600 bagnanti. L’edificio termale era “a doppio percorso anulare”: erano possibili cioè due distinti percorsi simmetrici, che nel tratto termale confluivano al centro della struttura articolata secondo l’asse caldarium – tepidarum – frigidarium – natatio. I frequentatori, dopo aver fruito dell’ultimo servizio termale, cioè sosta nel frigidaruim, concludevano il percorso passando direttamente nell’apodyterium a ritirare i vestiti ed altri eventuali oggetti depositati. Le terme di Cararcalla, essendo ubicate in un quartiere popolare assai lontano dal centro urbano ed essendo aperte alla contemporanea frequentazione maschile e femminile, erano utilizzate soprattutto dalla plebe.

Il Sistema di Riscaldamento: Praefurnium
I locali da bagno erano dapprima riscaldati direttamente per mezzo di grandi bracieri. Agli inizi del I secolo a.C. l’introduzione del riscaldamento indiretto effettuato per mezzo d’aria calda convogliata in intercapedini del pavimento e delle pareti rivoluzionò la tecnica di costruzione degli ambienti caldi, migliorando anche le condizioni igienico – sanitarie dei bagnanti. I locali erano mantenuti costantemente caldi senza gli spiacevoli sbalzi di temperatura di un tempo e soprattutto non erano più invasi dai prodotti di combustione spesso nocivi per la salute.
Il termine d’origine greca hypocaustum (che scalda da sotto) definisce lo spazio vuoto sottostante al pavimento di un ambiente termale in cui viene introdotto il calore ottenuto mediante l’accensione di un forno a legno (hypocausis). Il pavimento sospeso del locale (suspensura) veniva a poggiare su dei pilastri regolarmente distanziati tra loro, poggianti a loro volta su di un sotto pavimento di tegole o grandi mattoni giustapposti. In quest’intercapedine passavano i prodotti di combustione, cedendo calore al pavimento. La tecnica più antica di riscaldamento per suspensurae prevede la costruzione del forno di costruzione (hypocausis) immediatamente al di sotto dell’ambiente da scaldare. Questo forno a cupola era sufficiente a scaldare un solo locale, ma non si prestava troppo bene a riscaldamento dei grandi ambienti termali. Il sistema trovò la soluzione definitiva nella costruzione dell’ipocausto co forno di alimentazione laterale o praefurnium (anteforno), agibile da un corridoio di serivzio. Il praefurnium è costituito da una apertura ad arco nella parete dell’ipocausto spesso prolungata verso l’esterno da muretti perpendicolari su cui poggiavano i contenitori metallici per l’acqua. L’imboccatura del praefurnium costitutiva anche una presa d’aria per regolare l’accensione e la vivacità delle fiamme; poteva essere chiusa con un portello di metallo o con lastre di pietra refrattaria. La vampa del fuoco veniva spesso sfruttata per scaldare l’acqua nei recipienti sovrastanti ma anche per scaldare direttamente la vasca destinata al bagno caldo.
Il sistema di riscaldamento: pilae – camini
Nella costruzione dell’ipocausto, il sotto pavimento di tegole sesquipedali (cm 44x30), legate da malta doveva essere inclinato verso il prefurnio, così che gettandovi una palla questa rotolasse verso di esso; l’inclinazione favoriva la diffusione del calore verso l’alto. I pilastrini di sostegno (pilae) del pavimento, costruiti con mattoni bessali (cm 20x20) sovrapposti o con appositi dovevano raggiungere un altezza di due piedi (cm 60); per la malta che legava i singoli mattoni si richiedevano caratteristiche di refrattarietà. Al di sopra venivano poggiati grandi e spessi mattoni bipedali (cm 60x60) in doppio strato i modo che quattro angoli contigui coincidessero con il centro di una pila. Ulteriormente rivestito di spassi strati di malta idraulica (coccio pesto) il pavimento era pronto per essere rivestito con lastre di marmo pregiato o con mosaico.
Il problema dello smaltimento del fumo e dei gas prodotti dalla combustione nel prefurnio venne risolto nel primo secolo a.C. con l’inserimento nella muratura delle pareti di vere e proprie canne fumarie verticali, realizzate con tubi di terracotta, inseriti l’uno nell’altro. Dall’ipocausto il fumo era così condotto direttamente alle aperture del tetto.

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