Tema sul fascismo

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Testo

TEMA : Analizza le relazioni che intercorrono fra la situazione politica, economica e sociale in cui versava l’Italia all’indomani della Grande Guerra e la nascita e l’affermazione del fascismo. L’elaborato dovrà comprendere le origini ed il successo del movimento, il consenso dato agli italiani al nuovo stato, il rapporto Stato-Chiesa, la politica economica e sociale ed il ricorso alla violenza come giustificazione all’ambiziosa missione del regime.
I problemi principali che i paesi appena usciti dalla Grande Guerra dovettero affrontare furono soprattutto di carattere economico e sociale. L’economia dovette infatti fare i conti con un’ inflazione crescente, con il problema della riconversione delle industrie belliche e con gli enormi debiti contratti dagli stati durante il conflitto, mentre quasi tutti i governi si trovarono a dover gestire le tendenze rivoluzionarie di una classe operaia risvegliata da quanto accadeva in Russia. In Italia tali questioni si presentarono in una forma più acuta rispetto ad altri paesi dato che le strutture economiche erano meno sviluppate e le istituzioni politiche meno radicate nella società (va ricordato che l’Italia era uno stato unitario da poco meno di cinquant’ anni).
Le agitazioni sociali nella penisola raggiunsero livelli massimi fra il ‘19 ed il ‘20, anni caratterizzati da scioperi e rivendicazioni sindacali. In questo contesto la classe dirigente liberale, sempre più contestata ed isolata, perse la sua egemonia, non riuscendo a contrastare né la crisi economica né la mobilitazione sociale. La politica italiana mutò quindi profondamente, e si arrivò alle elezioni del ‘19 con il trionfo dei partiti di massa, come il Psi (che divenne il primo partito italiano) ed il neo costituito Ppi (di chiara ispirazione cattolica). Contemporaneamente si formarono in tutta la penisola piccoli gruppi nazionalisti, offesi dal rifiuto della logica “nazionale” espresso dai socialisti.
Fra questi emergeva quello fondato da Mussolini con il nome di “Fasci di combattimento” . Questo movimento si sviluppò improvvisamente alla fine del biennio rosso, approfittando di un “riflusso antisocialista”, abbandonando l’iniziale programma liberal-democratico e fondandosi su una struttura paramilitare con lo scopo di intraprendere una lotta contro il movimento socialista. I proprietari terrieri scoprirono nei fasci un ottimo strumento per contrastare il potere delle leghe rosse ed iniziarono a sovvenzionarli, facendo dilagare il fenomeno dello squadrismo in tutto il nord Italia. A causa della crescita del movimento vi fu anche il comportamento del governo di Giolitti che, pur non sostenendo apertamente i fascisti, credeva di potersene servire per limitare le pretese socialiste.
In questa situazione le coalizioni rappresentanti la vecchia politica italiana in declino (conservatori, liberali, democratici..) si unirono alle elezioni da loro convocate nel ‘21 e decisero di favorire nelle loro liste (i “blocchi nazionali”) l’ingresso di candidati fascisti, per cercare di impedire un nuovo trionfo dei partiti di massa. L’obiettivo non venne raggiunto (il Psi rimase infatti il primo partito italiano, nonostante la scissione dell’ala comunista che si candidò come Pci) ma i fascisti ottennero con i loro 35 deputati una propria legittimazione politica.
Alla definitiva sconfitta dei partiti del vecchio stato liberale si accostò quindi la nascita del Partito nazionale fascista, che nacque senza che il movimento dei fasci dovesse rinunciare ai propri metodi illegali. Tutto questo accadde anche perché il movimento socialista non seppe organizzare un’opposizione ed oltre a rifiutare di allearsi con altri partiti si divise ulteriormente con la scissione del Psu di Turati.
I fascisti poterono quindi mirare alla conquista del potere centrale nonostante fossero un gruppo minoritario, grazie soprattutto alla mancanza di opposizioni. Lo stesso re, Vittorio Emanuele III, decise di non nominare lo stato d’assedio facendo sì che la “marcia su Roma” potesse avvenire senza alcuna resistenza, e nominò il 30 ottobre 1922 Mussolini capo di un governo formato da fascisti, liberali, popolari e democratici.
Successivamente il fascismo ricevette il sostegno decisivo della Chiesa cattolica (che gli riconobbe il merito di aver sventato il pericolo di una rivoluzione socialista) che gli permise di liberarsi del Partito Popolare. Una volta abbandonato l’alleato più scomodo l’obiettivo di Mussolini divenne quindi quello di ottenere la maggioranza in parlamento, che ottenne nelle elezioni del ‘24, grazie alla modifica della legge elettorale e alla violenza esercitata dai fascisti nei seggi.
Gli altri partiti non seppero organizzare una vera e propria opposizione neanche dopo l’assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti. Infatti, nonostante decisero di abbandonare le aule parlamentari non furono capaci di mobilitare le piazze. Si passò così in breve tempo ad una vera e propria dittatura, con la rivendicazione dell’uccisione di Matteotti da parte di Mussolini, l’emanazione delle leggi “fascistissime” , la creazione di un tribunale speciale e la messa fuori legge di tutti i partiti diversi da quello fascista.
Mussolini non poteva però continuare a governare il paese senza l’appoggio della popolazione. Come già visto, infatti, il ruolo del popolo nella politica era profondamente mutato dopo la prima guerra mondiale. Uomini che avevano combattuto per anni in trincea per il loro paese volevano ora essere partecipi della vita politica dello stato (in questa chiave può essere letta anche l’affermazione dei partiti di massa e la decadenza dei partiti liberali fra il 18′ ed il ‘22). Di conseguenza il neo dittatore cercò di intraprendere una strada politica volta a raccogliere consensi.
Innanzitutto decise di mantenere la struttura monarchica dello stato, rimanendo, almeno ufficialmente, sempre subordinato al potere reale. Ciò favorì molto il regime dato il forte attaccamento che vi era nella popolazione nei confronti della monarchia e della famiglia reale.
Mussolini sentì inoltre la necessità di rappacificare i rapporti fra Stato e Chiesa, in un paese che si dichiarava quasi totalmente cattolico. Il regime riuscì quindi a porre ufficialmente fine dopo cinquant’anni alla “questione romana”, con la firma dei Patti Lateranensi. In questo accordo la Chiesa riconosceva lo Stato italiano e Roma come sua capitale, vedendosi però riconosciuta la sovranità sullo “Stato della città del Vaticano”. I patti comprendevano inoltre accordi finanziari, con cui lo stato si impegnava di pagare un indennizzo al papato, ed un concordato che regolava i rapporti interni fra stato e Chiesa. Come Mussolini credeva, i Patti lateranensi rappresentarono un notevole successo politico.
Importante mezzo per la ricerca del consenso furono inoltre le campagne propagandistiche effettuate con toni guerrieri tramite la stampa (rigidamente controllata) grazie a cui il regime riuscì a far sentire il popolo protagonista delle “battaglie” economiche del paese. A questo proposito importanti furono “la battaglia del grano” e la battaglia per la rivalutazione della lira (“quota novanta”). Nel ‘25 vi era infatti stata una brusca svolta nella politica economica del paese, che si diede come obiettivo quello di raggiungere la piena autosufficienza nel settore dei cereali (decisione presa in un’ottica protezionista) e di inseguire una stabilità monetaria. Altra svolta a livello economico vi fu pochi anni dopo quando, per fronteggiare la crisi del ‘29, lo stato decise di sviluppare i lavori pubblici e di intervenire a sostegno dei settori in crisi. Furono quindi realizzati nuovi edifici, ferrovie e strade, avviato il “risanamento” del centro storico di Roma e, soprattutto, bonificato l’intero Agro Pontino, dove vennero costruiti poderi, centri rurali e vere e proprie città (come Littoria).
Il più grande successo politico in ambito di ricerca del consenso fu però certamente la conquista dell’Etiopia, avvenuta nel ‘35, con cui Mussolini riuscì a convincere molti che L’Italia, diventata impero, avesse conquistato lo status di grande potenza. Durante la guerra in Africa il regime riuscì inoltre a mobilitare il paese ed a far passare in secondo piano vari problemi economici e sociali che ancora affliggevano la popolazione. Questa mobilitazione nacque prevalentemente come protesta per le sanzioni che i governi francese ed inglese non poterono fare a meno di adottare contro l’iniziativa bellica italiana e che, in realtà, non ebbero molta efficacia.
Come visto quindi, sia l’ascesa al potere di Mussolini che le iniziali scelte politiche del regime furono segnate dall’ eredità che la grande guerra lasciò in Italia. Come però sottolinea R. De Felice ne “Le interpretazioni del fascismo” è importante specificare che “Lo sbocco fascista (…) non fu affatto inevitabile, non corrispose affatto ad una necessità. Fu la conseguenza di una molteplicità di fattori, tutti razionali e tutti evitabili, di incomprensioni, di errori, di imprevidenze, di illusioni, di paure, di stanchezza e – solo per una minoranza – di determinazione, molto spesso per niente consapevole per altro degli sbocchi che effettivamente la propria azione avrebbe avuto “.

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