Storia:dai moti del 1920-21 all'invasione polacca

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STORIA
CAP.XI - I moti rivoluzionari del 1820-21
In Spagna, nel 1820, scoppia la rivoluzione e il re è costretto a concedere la costituzione
Fu sempre la Spagna , che per prima si era ribellata a Napoleone, a iniziare i moti rivoluzionari.
Il re di Spagna Ferdinando VII, tornato in patria, aveva subito revocato la costituzione liberale di Cadice del 1812 (che aboliva il regime feudale e l’Inquisizione), aveva ridato i privilegi agli aristocratici a al clero e aveva perseguitato i patrioti.
Alcuni nuclei della borghesia si erano riuniti in società segrete, alle quali partecipavano anche molti ex-ufficiali napoleonici, mal pagati e delusi dall’ingratitudine del re. La rivoluzione scoppiò a Cadice contro delle truppe che aspettavano da tempo la loro paga. Grazie a Riego, un membro della società segreta democratica dei Comuneros, le truppe si ammutinarono: insieme, chiesero il ripristino della costituzione del 1812. Il moto si estese rapidamente e il re fu costretto a cedere.
Ma le forze liberali spagnole erano molto divise fra democratici e moderati (provenienti dalla massoneria e che avevano la maggioranza). Altro problema stava nel dover fronteggiare l’opposizione di Ferdinando VII e del clero, e nel fatto che la Santa Alleanza si era spaventata per la rivoluzione: anche altri stati si stavano preparando a seguire l’esempio spagnolo. Che accadrà?
Anche nel regno delle due Sicilie i rivoltosi ottengono la costituzione
La rivoluzione fui guidata da un gruppo di rivoltosi di Nola guidati da Luigi Minichini e da alcuni soldati guidati da Morelli e Silvati. Anche un’altra truppa si unì alla causa, mentre il moto si estendeva in tutto il Mezzogiorno. Anche le truppe che erano state inviate contro di loro vi si unirono. Ma l’evento decisivo fu l’adesione di Guglielmo Pepe, uomo di grande fama e prestigio, che fu generale di Napoleone. Pepe assunse il comando e il re Ferdinando I fu costretto a promettere la costituzione. Affidò il governo al figlio Francesco e questi adottò la costituzione spagnola. Il governo era in gran parte murattiano, mentre Guglielmo Pepe era sempre alla guida dell’esercito.
Ma anche in questo caso furono i contrasti interni
fra i rivoltosi che rovinarono tutto: i carbonari e i murattiani erano in lotta. I primi erano espressione della borghesia provinciale e della bassa ufficialità, e vedevano positivamente la costituzione spagnola che limitava l’aristocrazia e il re; i murattiani invece, che erano stati alti ufficiali e funzionari di monarchie assolute, erano timorosi e non volevano limitare il potere esecutivo.
A luglio scoppiò una rivolta a Palermo da parte di artigiani e operatori organizzati in 72 maestranze: essi volevano l’indipendenza della Sicilia da Napoli e la costituzione spagnola. La rivolta si diffuse e il governo napoletano inviò in Sicilia Florestano Pepe, fratello di Guglielmo, con il quale la giunta palermitana sottoscrisse l’accordo di Termini Imerese: la decisione della formazione di un Parlamento e un governo separati doveva essere messa al voto di un’assemblea da eleggere su tutta l’isola. I ceti popolari, che si sentivano traditi da questo accordo dal quale pensavano che non si sarebbe ricavato nulla, rovesciarono la giunta presieduta dal principe di Villafranca e al suo posto posero il principe di Patternò, controllato dalle maestranze. Questi accettò un accordo che sembrava fare concessioni ai rivoltosi, ma che in realtà ricalcava solo l’accordo di Termini Imerese. Ma il governo napoletano non accettò il compromesso e fece imporre con la forza il governo centrale, inasprendo e rafforzando per contraccolpo le correnti indipendentistiche.
L’Austria interviene nel Napoletano e ristabilisce «l’ordine» della Santa alleanza
Metternich intanto meditava l’intervento austriaco e per questo convocò un incontro delle potenze europee a Troppau, nella slesia austriaca. Austria, Prussia e Russia dichiararono il diritto degli stati della Santa alleanza di intervenire con la forza nel caso in cui uno di essi fosse stato vittima della rivoluzione. Francia e Inghilterra non aderirono alla dichiarazione, e ciò inasprì i già cattivi rapporti tra Inghilterra e Austria. Per queste obiezioni si indisse un nuovo congresso al quale fu invitato anche Ferdinando I re di Napoli, che doveva chiarire la sua posizione.
Gli fu concesso dal Parlamento napoletano di partire, con l’obbligo però di difendere il regime costituzionale, ma Ferdinando fece tutto il contrario. Così l’Austria decise di intervenire, e la sua vittoria fu favorita dai soliti contrasti interni tra murattiani e carbonari (oltretutto l’esercito napoletano era comandato da Guglielmo Pepe, carbonaro e da Carascosa, un moderato).
La rivoluzione piemontese del marzo 1821 viene soffocata dall’intervento delle truppe austriache
La rivoluzione di Napoli aveva intensificato l’attivit‡ insurrezionale in Piemonte e in Lombardia. Gli Austriaci avevano scoperto a Milano Maroncelli e Silvio Pellico che preparavano la carboneria e li avevano arrestati.
Approfittando della paura dell’Austria che vedeva scoppiare ovunque questi moti, i Federati, la carboneria e la setta di sinistra dei Sublimi maestri perfetti organizzarono un vasto moto insurrezionale. I Federati, capeggiati da Santorre di Santarosa e Confalonieri, volevano ottenere una costituzione di un regno dell’alta Italia sotto i Savoia, e quindi pensavano di avere il favore del re Vittorio Emanuele I e del principe Carlo Alberto. Questi dapprima fu d’accordo con loro, ma poi si tirò indietro.
Mentre le autorità e i cospiratori cercavano di capirci qualcosa, il moto scoppiò ad Alessandria, dove insorse la guarnigione della piazzaforte. Spaventato, Vittorio Emanuele I affidò il potere al fratello Carlo Felice, ma affidò la reggenza a Carlo Alberto (dato che in quel momento Carlo Felice non c’era).Molti nobili che speravano in una rivoluzione di tipo monarchico si trassero in disparte dopo la fuga del re. Carlo Alberto finì per proclamare la costituzione spagnola. Ma, mantenendo il suo orientamento ambiguo, Carlo Alberto stesso si preparava sotto sotto al rovesciamento di fronte.
Carlo Felice, intanto, mandava un proclama a Carlo Alberto in cui dichiarava nulli tutti gli atti da lui compiuti. Carlo Alberto si finse sorpreso e amareggiato e finse di prepararsi alla guerra antiaustriaca. Nominò Santarosa ministro della guerra e, la notte, partì. Mentre Carlo Felice chiedeva l’intervento della Santa alleanza e dell’esercito austriaco, Santorre di Santarosa (la confettura) e i suoi tentarono di convincere le truppe del re rimaste a combattere per la loro causa e a conquistare la Lombardia: il tentativo fallì e a Novara le truppe costituzionali furono sconfitte.
Molti cercarono scampo nell’esilio, aumentando paurosamente il fenomeno già alto dell’emigrazione italiana, e andarono a combattere per l’indipendenza di altri paesi.
Dopo la repressione dei moti rivoluzionari, l’Austria riafferma il suo predominio negli stati italiani
Tutta questa storia segna una svolta nella storia della Restaurazione: fu impossibile proseguire secondo il modello di governo moderato che aveva regnato fino a quel periodo e prevalsero le forze più conservatrici e reazionarie.
La reazione nel regno delle due Sicilie portò a numerose condanne a morte (tra cui Morelli e Silvati) ed esili. Particolarmente crudele fu il Canosa, ministro della polizia. L’attività carbonara, però, non cessava e periodicamente si verificavano insurrezioni popolari e brigantaggio.
Meno dura fu la repressione in Sardegna, in cui ci furono solo due condanne a morte.
Nel Lombardo-Veneto molti furono gli incarcerati mentre per Confalonieri e altri suoi seguaci fu la condanna a morte. Molti degli incarcerati furono rinchiusi nella fortezza dello Spielberg in Moravia, un carcere durissimo in cui Silvio Pellico scrisse «Le mie prigioni», un terribile atto di accusa contro l’Austria.
Intanto, quest’ultima era riuscita a rafforzare il suo dominio in Italia, reprimendo duramente i liberali. L’unica parte d’Italia che si sottrasse alla repressione fu il granducato di Toscana. Le truppe austriache si trovavano in tutto il regno di Sardegna e in quello delle due Sicilie e, nel congresso di Verona del 1822, fu deciso che le truppe austriache liberassero il Piemonte, ma fu sancito il loro potere sull’Italia meridionale.
Per quanto riguarda la politica nei confronti di Spagna e Grecia, gli insorti greci incontrarono il favore del congresso, mentre per la Spagna si decise di mandare un ultimatum per spingere la popolazione a restituire la libertà d’azione a Ferdinando VII, altrimenti la Francia sarebbe intervenuta.
L’Inghilterra non partecipò a questa decisione.
Anche l’America latina si ribella ai colonizzatori spagnoli e portoghesi
Ferdinando VII, oltre a doversi preoccupare della situazione in Spagna, aveva dei problemi anche con le colonie spagnole dell’America meridionale, maturati nel periodo in cui la Spagna aveva praticamente rotto i contatti (tranne quelli di comodo!) con le colonie. Per cui era nato un movimento indipendentista guidato dai creoli, bianchi nati in America, che detenevano la ricchezza locale e sfruttavano gli indigeni, cioè indios e meticci. Il governo spagnolo aveva sempre difeso gli indigeni, ma era divenuto impopolare per la sua terribile politica di sfruttamento economico e commerciale, che era ben lontana dai princìpi di libertà.
Inghilterra e Stati Uniti erano molto interessati al nascere dei movimenti indipendentisti delle colonie, perchè per entrambe si apriva la possibilità di succedere alla politica spagnola.
Nell’America latina,. intanto, alcuni consigli municipali si dichiararono fedeli alla madrepatria, mentre il Venezuela, guidato da Simon Bolìvar, dichiarò la propria indipendenza, seguito dall’Argentina. Il conflitto fra lealisti e indipendentisti sfociò in una guerra civile, mentre Ferdinando VII cercava di riconquistare l’America latina sperando nell’aiuto della Santa alleanza: ma l’Inghilterra si oppose dando indirettamente il suo aiuto agli insorti.
Per riuscire a mantenere l’indipendenza, però, bisognava cacciare definitivamente gli spagnoli: San MartÏn attraversò le Ande, si unì ai patrioti cileni ed espugnò una roccaforte spagnola. Quindi, con BolÏvar, attaccò il Però e lÏ finÏ la guerra d’indipendenza del sud America con la capitolazione spagnola. Erano ora indipendenti anche Colombia, Ecuador e Messico. In Brasile, invece, si rifugiò il re di Portogallo scacciato dalla sua patria. Quando potè rientrarvi, lasciò lÏ il suo foglio Pedro, che dichiarò l’indipendenza del Brasile.
«L’America agli Americani»: è il motto di Monroe, ma nelle ex colonie spagnole penetra il capitalismo statunitense
Simon Bolìvar sperava in una confederazione di Stati Uniti anche nel sud America, ma al suo posto si formarono le repubbliche che ancora oggi conosciamo come arretrate economicamente e socialmente. Al vecchio colonialismo subentrarono nuove forme di sfruttamento, e le repubbliche erano guidate da regimi oligarchici militari.
Furono in realtà soprattutto i coloni che avevano sostenuto la bandiera dell’indipendenza, mentre gli indigeni non avevano molti interessi a riguardo, anzi, i creoli volevano sfruttarli. Questa separazione fra i componenti dell’America latina rappresentò il più grosso ostacolo per il movimento indipendentista che, dopo poco tempo, degenerò nelle dittature militari.
Favorì, come è già stato detto, il movimento anche l’Inghilterra. Per questo il presidente degli Stati Uniti James Monroe proclamò, nel 1823, che gli Stati Uniti non si erano mai impicciati dei dissidi europei, e questo atteggiamento dell’Inghilterra poteva essere considerato pericoloso per la pace del continente. Questa dichiarazione aprÏ la via al capitalismo americano nelle ex colonie, dove le dittature cominciarono a dipendere dalle grandi società industriali americane, che ottenevano grossi vantaggi dallo sfruttamento di quelle zone.
CAP. XII - I moti rivoluzionari del 1830-31
Scoppia la rivoluzione a Parigi e Luigi Filippo viene proclamato «re dei Francesi per volontà della nazione»
La rivoluzione greca, riuscita vittoriosa, aveva rinfiammato gli animi .L’Inghilterra ormai si era staccata dalla politica antirivoluzionaria del Metternich, mettendo in crisi la Santa Alleanza e quindi predisponendo il terreno per le future rivolte. Ma non fu solo questo il motivo: il 1830 vede una crisi economica che provocò la chiusura di molte fabbriche, l’aumento del prezzo del pane e della miseria.
In Francia erano tornati al potere gli ultras, cioè i nostalgici dell’Ancient règime, con Carlo X, loro capo e fratello di Luigi XVIII. Carlo X ridusse le conquiste della rivoluzione, eliminò la libertà di stampa, restaurò gli antichi privilegi, ... fu insomma, propulsore di varie iniziative anacronistiche.
Alle elezioni Carlo X fu ammonito affinchè iniziasse una politica più moderata, ma dopo un breve periodo la situazione ritornò la stessa di prima, anzi Carlo X affidò il governo al principe di Polignac, uno degli ultras. A causa dei nume-
rosi dissensi, Carlo cercò di sviare l’attenzione procedendo alla conquista dell’Algeria, ma i liberali e i democratici non si fecero distrarre e si prepararono a rovesciare il governo. Poichè alle elezioni successive era netta la maggioranza liberale, Carlo X e Polignac pensarono al colpo di stato e emisero delle ordinanze severissime in cui la libertà di voto era molto limitata. La Francia si ribellò e combattè per tre giorni (le famose « 3 gloriose giornate»), alla fine dei quali il re fuggÏ. I moderati, guidati da La Fayette, offrirono il regno a Luigi Filippo, duca di Orlèans, cugino del re, il quale si impegnò a rispettare la costituzione. Le conquiste del 1789 erano riconfermate.
Questa rivolta stimolò anche quelle in tutta Europa.
La Francia di Luigi Filippo non trova credito fra i liberali europei
Ma la monarchia di Luigi Filippo di Orlèans non fu proprio come se l’aspettavano i Francesi.
La borghesia era divisa: una guidata da Laffitte, che voleva sviluppare le conquiste liberali, espressione della piccola borghesia e del proletariato industriale e una guidata da Casimiro Pè-rier, conservatore.
In quel periodo fu presidente del Consiglio Thiers, uno storico della rivoluzione francese, che si sforzò di realizzare un politica dell’equilibrio: egli frenò i bonapartisti e i leggittimisti (che erano per il ritorno dei Borboni), ma represse duramente anche delle insurrezioni operaie, tra cui famosa è quella di Lione.
Espressione maggiore del governo di Luigi Filippo fu Guizot, che tenne il governo per un periodo. Egli mantenne la pace all’estero e fece sviluppare la borghesia industriale e affaristica in maniera prodigiosa.
La forte intesa fra la Francia orleanista e l’Inghilterra fu messa a dura prova dai governi Thiers e Guizot, a causa di varie mosse da parte della Francia che avrebbero rotto l’equilibrio del Medio Oriente. Come conseguenza di questa rottura, la Francia si riavvicinò alla politica del Metternich, e ciò provocò molto discredito nei confronti di Luigi Filippo da parte dei liberali.
Le ripercussioni in Europa della rivoluzione di luglio: il Belgio ottiene l’indipendenza e i Russi reprimono il movimento patriottico polacco
Primo a seguire i moti parigini fu il Belgio, che a quel tempo era unito con l’Olanda sotto Guglielmo I d’Orange. Il Belgio, che era più industrializzato e ricco, si sentiva costretto dall’unione con l’Olanda: nel 1830 i cattolici e i liberali si unirono e proclamarono l’indipendenza del Belgio. Sovrano del Belgio fu Leopoldo di Sassonia, che emise una costituzione.
Anche la Polonia insorse nel 1830. La sua autonomia era infatti soffocata dallo zar Nicola II, contro il quale si ribellarono liberali e nobili uniti. Ma il movimento fu schiacciato dalla Russia.
In molti altri paesi europei ci furono rivolte, ma tutte furono represse. Unico dato di rilievo Ë la formazione di una Quadruplice alleanza tra Inghilterra, Francia, Spagna e Portogallo, in opposizione all’alleanza tra Austria, Russia e Prussia.
I moti italiani del 1831 vengono soffocati dall’intervento dell’Austria
L’epicentro dei moti in Italia fu il ducato di Modena, guidato da Ciro Menotti, un commerciante. Ciro pensava di poter contare sull’appoggio di Francesco IV, duca di Modena, che voleva allargare i suoi domìni. Entrambi credevano nell’appoggio della Francia, ma poichè questa non dava segni di consenso, Francesco IV si ritirò e, dato che Menotti non si arrese, lo fece arrestare assieme ai suoi compagni. L’insurrezione esplose ovunque, anche nello stato Pontificio. Francesco IV fuggì sotto la protezione dell’Austria.
A Bologna veniva intanto a formarsi il Governo delle provincie unite (rivoluzionario).Ma i dissensi tra democratici e moderati finirono per indebolire il movimento permettendo all’Austria di liquidare i rivoluzionari. Francesco IV tornò, Ciro Menotti fu ucciso. Anche nello stato Pontificio ci fu una reazione con molte condanne, tanto da spingere molti sovrani a scrivere delle lettere in cui si consigliava alla Chiesa di ridimensionare il suo potere temporale e riformare il sistema giuridico.
CAP. XIII – Il problema nazionale da Mazzini a Gioberti
Mazzini fa uscire l’ideale nazionale italiano dall’ambiente delle cospirazioni e lo trasforma in fatto religioso
In Italia l’idea era che i moti carbonari non dovessero essere più seguiti. Basta con la segretezza e le sette: bisognava suscitare una vera fede nazionale che coinvolgesse la gioventù, e Mazzini ci riuscì.
Nacque a Genova nel 1805 da una famiglia molto religiosa, con madre giansenista e severa. Divenne letterato e politico. Entrò nella carboneria e nel 1830 fu arrestato e esiliato in Francia, mantenendosi in contatto tramite lettere con Fi-
lippo Buonarroti (democratico). Mazzini, a differenza di quest’ultimo, voleva dare alla rivoluzione un senso religioso, non riconoscendo la Francia come stato guida del movimento. Il suo ideale si può riassumere dicendo che egli voleva costituire un individuo libero, attivo, sacro e inviolabile. La storia, diceva, aveva attraversato la fase dell’antitesi, in cui c’era stata l’opposizione al mondo feudale; ora era il momento della sintesi, della proclamazione dell’ Umanità.
Il senso del dovere, la fede sociale, l’ideale della patria sono alla base del pensiero politico mazziniano
Il fondamento della nuova società sarebbe stato il dovere, che obbliga tutti a realizzare la missione che Dio ci assegna. Per Mazzini, infatti, i popoli erano poveri di fede comune: «Dio e popolo» Ë il suo motto. Il Dio di Mazzini è un Ente supremo che ispira le coscienze.
La democrazia, egli dice, non è libertà di tutti, ma governo consentito liberamente da tutti..
Nemico dell’autoritarismo monarchico e delle teorie socialistiche, perchè queste miravano a individuare nel proletariato la forza rivoluzionaria.
Era favorevole alle associazioni operaie, tenendo conto che egli non considera gli operai come classe, ma come facenti parte di un ramo di occupazione speciale, nè più, nè meno. Esiste per Mazzini la contrapposizione delle classi (questione sociale), ma è statica.
Il suo scopo finale era la lotta per l’unità nazionale, possibile solo con l’unità del popolo. Dato che una lotta di classe (necessaria per questi obiettivi) avrebbe spaventato le classi medie, Mazzini cercò di eliminare dal suo discorso i contadini, perchè sapeva che non avrebbero capito.
Le insurrezioni promosse dalla «Giovine Italia» falliscono miseramente
Mazzini fondò nel 1831 la Giovine Italia, un’associazione patriottica non settaria come la carboneria, che non cercava l’aiuto dello straniero nè dei prìncipi. Era aperta a tutti coloro che avevano fede negli ideali mazziniani e serviva ad organizzare l’insurrezione popolare, come era accaduto in Spagna. Incongruenza: come si poteva cercare un movimento di tipo spagnolo e ignorare le campagne? E come era possibile muovere i contadini ignorando il clero? Quindi la Giovine Italia non potè reclutare tutti i volontari che voleva, anche se riuscì a chiamare i ceti borghesi e intellettuali, gli studenti, i professori e gli artigiani. La Giovine Italia si diffuse in Piemonte, a Genova e in Sicilia.
La sua fondazione coincise con l’ascesa al trono di Carlo Alberto, nel regno do Sardegna, che aveva (10 anni prima) tradito i liberali. Mazzini non si fidava di lui, e cercò di convincerlo a collaborare, ma senza risultato.
La rete clandestina della Giovine Italia, però, fu scoperta e dispersa a Genova (e per la prima volta compare la figura di Garibaldi), mentre tentativi insurrezionali fallirono. Mazzini fondò la «Giovine Europa», a cui aderirono vari esuli. Anche il moto organizzato dai fratelli Bandiera fallÏ miseramente (avevano cercato di sollevare il popolo contro i Borboni, anche se Mazzini aveva cercato di impedirglielo).
Mazzini fu oggetto di aspre polemiche, mentre su tutta l’Italia calava la stanchezza e la delusione.
Contro l’insurrezione popolare voluta dal Mazzini, Gioberti propone una confederazione di stati presieduta dal papa
Gli ideali mazziniani non avrebbero mai convinto quella borghesia che cercava l’unità politica e economica senza insurrezioni e possibilmente d’accordo con la Chiesa. Per realizzare questo progetto, occorreva che il sentimento nazionale che avevano pochi diventasse in un fatto politico possibile e accettabile. Vincenzo Gioberti, torinese, aveva fatto parte della «Giovine Italia» e perciò era dovuto andare in esilio. Aveva potuto, dunque, meditare su una diretta esperienza gli errori di Mazzini: era partito troppo dall’alto e aveva cercato l’appoggio di una religione che non era popolare, mentre questa religione c’era ed era quella cattolica. Mazzini non era stato realistico e invece di avvicinare le forze le aveva spaventate, ecco tutto. Per Gioberti le forze giuste erano i prìncipi, perchè solo essi possedevano i mezzi reali per aiutare la patria. Secondo lui era necessario che i prÏncipi costituissero una confederazione presieduta dal papa. Il loro vantaggio sarebbe stato quello di difendersi meglio dallo straniero, di abolire le differenze di moneta e le dogane, favorendo lo sviluppo. Quindi era proprio quello che volevano i borghesi: un’unione senza insurrezioni.
Ma l’Austria? I prìncipi non le avrebbero mai fatto guerra. Però forse lei da sola avrebbe smesso di pensare all’Italia ritenendo più interessante lo smembramento dell’Impero ottomano...
Gioberti trasferì la tesi neoguelfa dal campo degli studi sul terreno politico e ne fece una ideologia
Il disegno di Gioberti era più realistico di quello di Mazzini e la via dell’indipendenza sembrava facile. L’unico problema era la Chiesa, ostacolo (secondo la tradizione ghibellina) ad ogni progetto di unificazione. Ma Gioberti sosteneva la Chiesa e in suo soccorso intervenne un’altrettanto robusta tradizione culturale: la Chiesa aveva salvato l’Italia dall’imbarbarimento.. Questa tesi fu detta neoguelfa o cattolico-liberale, per la difesa che fece verso la Chiesa.
Gioberti fece di questa tesi neoguelfa un’ideologia e la poneva alla base del suo pensiero politico. Essa dimostrava che non c’era bisogno dei princìpi dell’Illuminismo e della rivoluzione francese per unirsi. Gioberti scrisse tutto ciò ne «Del primato morale e civile degli Italiani», che ebbe un successo strepitoso: in quest’opera si diceva che il papa dovesse promuovere delle riforme nel suo regno per dare l’esempio, dopo di che i prÏncipi si sarebbero riuniti in una lega sotto la sua presidenza. Ma la sua proposta non trovò il favore della Chiesa, anche se molta parte del clero era d’accordo con lui. I gesuiti erano decisamente contrari alla proposta, dicendo che la Chiesa non avrebbe mai potuto identificarsi con nessuna dinastia o nazionalità, in quanto universale.
Il limite delle correnti politico-culturali italiane fu l’incapacità di legarsi ai problemi del mondo contadino
Giuseppe Ferrari redasse un’aspra critica al neoguelfismo, dicendo che Gioberti voleva far dipendere la libertà nazionale da una forza reazionaria come il papato e gli sembrava assurdo pensare ad una filosofia politica che negasse la validità della rivoluzione francese. Secondo Ferrari, il rinnovamento italiano era possibile solo sotto la guida della Francia e laicizzando la cultura politica.
Carlo Cattaneo sostituisce al papato i comuni, perchÈ la storia aveva dimostrato che la decadenza era cominciata con la perdita della municipalit‡ e quindi era bene ritornare allo stato comunale. Non era attratto nè da Mazzini nè da Gioberti, ma credeva nel progresso scientifico e nello sviluppo industriale. Secondo la sua idea bisognava formare la coscienza degli Italiani all’autogoverno e fare riforme graduali. Credeva nel federalismo.
Queste correnti rispecchiavano in pratica le aspirazioni del ceto medio: alcune difendevano la borghesia radicale (unità, riforma democratica), altre la borghesia moderata (unità, non turbare l’ordine sancito dalle grandi potenze).
Ma nessuna fu capace di legarsi ai problemi del mondo contadino.
La fortuna delle correnti patriottiche si accompagnò con il maturare di nuove esigenze di progresso economico-sociale nella borghesia
Il maturare delle esigenze di progresso economico-sociale nella borghesia e le modificazioni che avvenivano nelle varie regioni alimentarono le correnti patriottiche. Ci fu in questo periodo un diverso sviluppo dell’economia regione per regione. Analizziamolo:
- Lombardia: era sotto la dominazione austriaca, ed era la più ricca e sviluppata delle regioni. La pianura alimentava l’economia agricola e veniva soprattutto prodotta molta seta;
- Veneto: molto meno sviluppato della Lombardia, anche se era sempre sotto la dominazione austriaca;
- Piemonte: economicamente quasi arrivava ai livelli della Lombardia;
- Toscana: agricoltura ancora arretrata e retta dalla nobiltà terriera, mentre l’industria si stava sviluppando bene;
- Stato Pontificio: come al solito, anche se c’era stato un lieve miglioramento. Economia chiusa, povera di investimenti, ma con molti organismi per la beneficenza;
- Regno delle due Sicilie: non mancavano i segni di progresso, ma la struttura era ancora statica.
L’Italia fioriva dalla Sicilia alla Lombardia di interessi tecnici e scientifici, secondo una cultura concreta, finalmente. Tutto si rivolgeva ai prìncipi e dai prÏncipi voleva delle risposte.
CAP. XIV – Rivoluzione industriale e socialismo
L’industria incominciò a evolversi quando scomparve il sistema feudale nelle campagne
Il termine «Rivoluzione industriale» indica il passaggio da un’economia basata sull’agricoltura ad una basata sull’industria avvenuto tra il XVIII e il XIX secolo.
Tra i fattori che hanno portato a questo passaggio ci sono: l’abolizione delle terre comunali e dei campi aperti al libero pascolo, la commercializzazione della terra, l’accumulo di risorse che rese possibili gli investimenti.
Tra le prime industrie, molte vennero utilizzate per la costruzione di ferrovie: prima venivano usate solo per trasportare il carbone, poi divennero un diffusissimo mezzo di trasporto e comunicazione.
Vi fu un grosso incremento di merci anche grazie alle nuove macchine per la filatura del cotone e all’introduzione di un metodo di raffinazione per la ghisa..
La vendita dei prodotti agricoli aumentò con l’aumentare della popolazione e l’arricchimento dei proprietari portò alla costruzione di nuove industrie. Molti contadini abbandonavano la campagna per lavorare nell’industria. Quindi si generò da subito uno stretto contatto fra il mondo contadino e la manodopera dell’industria.
L’industria tessile fu la prima a svilupparsi per l’alta richiesta di capi e perchè non c’era bisogno di un gran capitale per la produzione. La Gran Bretagna, ad esempio, prendeva il cotone negli Stati Uniti e lo vendeva per acquistare schiavi.
In seguito all’aumentare della richiesta comparvero l’industria siderurgica e quella meccanica, che rivoluzionarono il lavoro.
La rivoluzione industriale ha cambiato le strutture economiche europee e il volto della società occidentale
Gli effetti della rivoluzione industriale sul tenore di vita furono essenzialmente 5:
1) la scomparsa di crisi demografiche dovute a carestie, malattie, sottoalimentazione;
2) il miglioramento delle condizioni alimentari (introduzione della patata e del foraggio per il bestiame);
3) l’aumento delle probabilità di vita (meno donne morte di parto, meno bambini abbandonati e morti);
4) progresso nel vitto e nel vestiario (grazie alle

migliori condizioni economiche);
5) ambienti igienicamente più sani (i morti non sono più seppelliti nelle chiese o attorno ad esse e si estendono le norme igieniche).
In Inghilterra si sviluppano le prime agitazioni e i primi moti politici operai: il luddismo e il cartismo
Attorno alla seconda metà del XIX secolo nasce un’organizzazione di classe del proletariato. I primi movimenti operai si sviluppano in Inghilterra, quando era ormai tempo di formare una classe operaia moderna (cioè quando le industrie si svilupparono, aumentò la fuga da campagna a città, quando le fabbriche si concentrarono in aree industriali).In questo periodo i movimenti operai aumentarono, e quelli segreti uscirono allo scoperto. Il movimento che riunÏ il maggior numero di operai fu il luddismo (dal nome dell’operaio Ludd che spezzò un telaio), che rappresentò la prima vera protesta ed ebbe come espressione più significativa il machine breaking. Fu un movimento importante, perchè segnò il passaggio dall’azione disarticolata a quella organizzata. Il moto dilagò in tutto il paese.
Anche le idee di Robert Owen ebbero successo: egli diceva che, estendendo il sistema di cooperative, si poteva costituire un diverso capitalismo. Ma Owen non ebbe molta storia.
Dopo varie sconfitte sindacali, si formò a Londra un nuovo movimento, il cartismo, che prese il nome da una Carta del popolo (1838) che conteneva sei richieste:
1) suffragio universale;
2) segretezza del voto;
3) possibilità di essere eletti deputati anche senza censo;
4) stipendio ai deputati;
5) uguaglianza dei collegi elettorali.
Ma, poichÈ nel cartismo si raggruppavano molte tendenze ideologiche, queste sfociarono in una rottura, che indebolÏ il movimento: molti scioperi furono repressi.
In quel periodo l’Inghilterra affrontava anche il problema del dazio sul grano, che arricchiva i proprietari terrieri, ma indeboliva le classi più povere. La sua abolizione segnò l’inizio del liberismo inglese e il consolidarsi della borghesia capitalistica. Con la scomparsa del cartismo, gli operai cercarono di impegnarsi per rivendicare i propri diritti sindacali e non per fare rivoluzioni.
Si sviluppa una corrente di pensiero legata all’esperienza delle masse dei lavoratori dell’industria
Incominciano in questo periodo ad apparire delle pubblicazioni contro la società borghese, accusata di fondarsi sul profitto individuale e sullo sfruttamento dei lavoratori; si studiavano i mezzi per creare condizioni di vita più umane; si analizzava la struttura della società borghese.
Molti furono i pensatori di questo periodo:
- Saint-Simon, teorico francese, diceva che per avere una società più giusta bisognava rinnovare la produzione, processo che poteva avvenire solo in seguito alla lotta tra operai, industriali e tecnici contro gli aristocratici;
- Fourier odia la società industriale ed esalta la produzione agricola. Per risolvere il problema sociale bisogna fondare la società sulla natura dell’uomo, attraverso un’Associazione agricola, dove le passioni di varie famiglie dovevano accordarsi per rendere il lavoro sempre nuovo e interessante;
- Owen fu un industriale illuminato: egli voleva rendere più funzionale l’industria grazie a comunità ideali di operai e imprenditori. Da sempre vicino alle lotte operaie, egli cercò dio costruire un’azienda comunista: suolo come proprietà comune, coltivazione collettiva della terra, uguaglianza dei compensi. L’impresa fallì, ma Owen continuò la sua propaganda. Da lui nacque la convinzione negli operai che la loro forza stava nella capacità di organizzarsi.
- Blanqui, francese, auspicava una dittatura rivoluzionaria da realizzarsi attraverso l’insurrezione di una minoranza che doveva fondare una società in cui tutti i beni fossero in comune. Blanqui si differenzia da Marx per la sua avversione al partito di massa. Per lui il profitto nasce nel mercato attraverso l’aumento dei prezzi.
- Blanc riteneva che spettasse all’autorità statale il compito di fornire capitali per la fondazione di ateliers nationaux, cioè officine nazionali, dove erano abolite le disuguaglianze economiche e politiche dei lavoratori.
- Proudhon, scrittore socialista, riflettè nel suo pensiero tutte le contraddizioni di quell’epoca di transizione: egli sostenne che la proprietà à ingiusta perchè ingiustificata: chi occupa una terra non Ë suo proprietario. Diceva che la società non può fondarsi sul lavoro: lo Stato doveva essere sostituito con un organismo che avrebbe distribuito il credito alle cooperative, in concorrenza tra loro. Egli denuncia l’ingiustizia e la miseria, la violenza (anche per eliminare la proprietà dalla società). Era contro il regime della comunità dei beni, in quanto questo regime andava contro la struttura della famiglia.
- Ozanam, cattolico, spingeva i cristiani ad abbracciare le richieste di un proletariato privo di mezzi e misero.
La proprietà (Proudhon, Mazzini, Marx, Leone XIII)
Proudhon si chiede, dato che la proprietà à un diritto naturale, perchè dovremmo indagare sulle origini di un tale diritto. La proprietà è un fatto che è sempre stato e sempre sarà, ma per essere giusta dovrebbe avere come condizione necessaria l’uguaglianza, ecco dove sta l’errore.
Secondo Mazzini la proprietà non deve essere abolita perchè essa è stimolo a progredire: si cerca di abolire la proprietà privata perchè oggi è di pochi. Bisognerebbe renderla di tutti, non abolirla. La vita che propone il comunismo e il socialismo, dice Mazzini, è da «castori», non da uomini: spariscono la libertà, la dignità e la coscienza dell’individuo come in un ordinamento di macchine produttrici. La vita fisica è soddisfatta, ma quella morale affatto: è cancellata la concorrenza, la libera associazione, gli stimoli a produrre, le gioie della proprietà, ... tutti stimoli a progredire.
Secondo Marx la proprietà non ha niente a che fare con l’individualità. Se valgo come proprietario privato, non valgo come individuo, fatto dimostrato dai matrimoni d’interesse. Essa, dice, è la causa prima dell’estraniazione dell’uomo: il lavoratore, dedicando tutta la sua vita alla produzione di un oggetto, sarà estraneo a se stesso, ai suoi sentimenti, alla sua personalità: l’eliminazione della proprietà privata è la condizione dell’emancipazione dei sentimenti e delle facoltà umane.
Per Leone XIII l’abolizione della proprietà privata può portare solo a scompigli sociali, alla manomissione dei diritti dei proprietari e al danneggiamento di molti operai. Infatti lo scopo del lavoro, si sa, è la proprietà privata: con le retribuzioni date giustamente dal lavoro, si può comprare la terra, che non è altro che la forma pratica del denaro. Abolendo la proprietà privata, i socialisti ledono la libertà dell’operaio di reinvestire il proprio denaro, la speranza di arricchire il patrimonio domestico e lo rendono più infelice. La proprietà privata non è un bene qualunque, perchè non si consuma. E poi, il frutto deve appartenere a chi lavora: se uno lavora una terra sterile e la rende fertile e vi fa nascere dei frutti, non essendo sua la proprietà di quella terra, non potrà vietare a nessuno di prendere i frutti del suo lavoro.
Carlo Marx parte da una concreta analisi della struttura della società borghese
Carlo Marx non crede al socialismo utopistico, quello dela priorità dell’agricoltura sull’industria e cose del genere. Marx partì dalle leggi del mercato per studiare la lotta operaia.
Nacque in Germania e fu attratto dalle idee dei giovani liberali che seguivano Hegel.
Dopo aver conosciuto Engels scrive con lui, per conto della Lega dei comunisti (una lega settaria e segreta, per cui inizialmente Marx non vi aderisce – poi si, quando cambierà la Lega), il Manifesto del partito comunista., un testo capace di trascinare le masse. La borghesia viene riconosciuta come una forza rivoluzionaria, che si sviluppa in continuazione ma in senso negativo, distruggendosi con gli abusi del capitalismo che prima rivolgeva ad altri.
Sarà allora il proletariato a guidare la nuova rivoluzione che porterà ad un regime senza classi. Egli crede che in un futuro esisterà una totalità sociale che unificherà borghesia e proletariato.
Una contraddizione sta nel fatto che Marx aveva descritto la società borghese come mobile, mentre per instaurare un governo comunista c’è bisogno di una società stabile.
Comunque gli operai non erano pronti al messaggio del Manifesto, che non ebbe poi molto successo.
Con Il capitale Carlo Marx mira alla distruzione del sistema capitalistico
Ne Il capitale, Marx esamina l’origine del capitale e della società capitalistica. Appoggiandosi a Ricardo e Adam Smith, Marx sostiene che lo sfruttamento dell’operaio è condizione necessaria dello sviluppo del capitalismo: il capitalista utilizza oltre il tempo necessario la forza lavoro dell’operaio per produrre plusvalore.
Gli operai devono lottare per ridurre lo sfruttamento capitalista, fino a distruggerne il sistema.
Quanto resta oggi delle analisi di Marx e quale strada hanno percorso le sue teorie?
Oggi nessun economista giudicherebbe “naturali” le leggi dell’economia, nessuno storico che considera il concetto di classe come i marxisti, nessuna religione che si considera “oppio dei popoli” e crede di essere destinata a scomparire con il capitalismo.
La borghesia e la classe operaia non si sono contrapposte in lotta, ma hanno creato al loro interno, evolvendosi culturalmente, altre infinite differenziazioni, niconcepibili per i tempi di Marx, per cui le sue teorie non sono più applicabili. Dunque ora il marxismo non vale più come fattore sicentifico, ma ha un valore fortemente ideologico.
CAP XV - 1848 – l’anno cruciale
Il 1848 è l’anno delle rivoluzioni nazionali borghesi
Mentre i popoli volevano unirsi in nazioni autonome, i borghesi cercavano un progresso economico possibile grazie solo all’indipendenza. Questa coincidenza di interessi diede talmente tanta forza al movimento nazionalista che questo riuscÏ a rompere l’equilibrio politico-territoriale dell’Europa tramite la rivoluzione nazional-liberale-borghese del 1848.
Il suo centro fu la Francia, come nel 1830, ma questa volta la rivoluzione si estese anche in Germania, roccaforte dei princÏpi del Congresso di Vienna. Oltre a esprimere insoddisfazione per i regimi politici, questa rivoluzione fu soprattutto una protesta sociale. La rivoluzione del 1848 ha dunque due volti: uno nazional-liberale (Germania, stati asburgici, Italia) e uno sociale (Francia), uniti perchè in entrambi i casi si tratta
di una rivoluzione borghese, perchÈ la borghesia fu la protagonista (cercava nuovo spazio politico e una nuova organizzazione dello Stato). Solo l’Inghilterra e la Russia non furono toccate dall’ondata rivoluzionaria: l’Inghilterra aveva già affrontato l’industrializzazione e a compensare gli scontenti bastavano movimenti quali il cartismo o il luddismo; in Russia la situazione era molto arretrata, per cui non esisteva una classe capace di portare avanti un movimento.
In Europa si succedono rivolte e insurrezioni
Parigi: viene costituito un governo provvisorio e il 24 febbraio 1848 viene proclamata la repubblica ed emanati provvedimenti sociali: riduzione della giornata lavorativa (10 ore), istituzione di ateliers nationaux (opifici nazionali dove risolvere i problemi di lavoro e della disoccupazione. Furono indette elezioni a suffragio universale per la Costituente.
Ungheria: insorge a marzo chiedendo un governo autonomo da Vienna, un proprio Parlamento, l’abolizione dei diritti feudali e delle immunità fiscali.
Austria: a marzo studenti e operai fanno dimettere Metternich e ottengono la costituzione.
Germania: sempre a marzo, Federico Guglielmo IV Ë costretto a convocare l’Assemblea costituente e a promettere l’unificazione della Germania. Infatti il Congresso di Vienna aveva pensato di risolvere la situazione della Germania unendola in una confederazione di staterelli, tra cui anche l'Austria e la Prussia. Aveva anche una dieta, la dieta di Francoforte, che era presieduta dall’Austria. Le rivoluzioni diedero un nuovo animo alla Dieta, e si formò un’assemblea di rappresentanti di tutti gli stati tedeschi. Prussia e Austria erano timorose di ogni riforma sociale. I lavori dell’assemblea non giunsero mai a termine perchè al suo interno si delinearono due tendenze inconciliabili: i grandi Tedeschi, che volevano un grande stato con tutte le popolazioni di lingua tedesca, e i piccoli Tedeschi, che volevano l’unit‡ della Germania attorno alla Prussia con l’esclusione dell’Austria. Prevalse questa tendenza, ma il re di Prussia rifiutò la corona. Austria e Prussia ritirarono, incavolate una con l’altra, i propri rappresentanti e l’assemblea si sciolse.
In Italia, sotto la spinta delle rivolte, vengono attuate le riforme e concesse le costituzioni
Le varie rivolte si erano ormai diffuse ovunque, anche nelle campagne, alimentate dalla crisi economica che aveva investito tutta l’Europa.
In Italia, i Milanesi protestarono contro l’Austria astenendosi dal fumo per danneggiare l’economia austriaca.
A gennaio Palermo insorse e quindi anche Roma, Napoli, Torino e Firenze. Oltre che per richiedere una costituzione, i moti palermitani erano nati soprattutto a causa della recente crisi. I liberali, convinti di aver bisogno di maggiori forze per opporsi al sovrano, ottennero l’aiuto della borghesia, della nobiltà e dei gesuiti. La rivolta si estese nel Mezzogiorno e Ferdinando II fu costretto a concedere la costituzione molto moderata, che si ispirava a quella francese del 1830: il re aveva potere esecutivo e condivideva quello legislativo con il Parlamento.
In Toscana fu concessa una costituzione simile. A Torino Carlo Alberto concesse il suo Statuto Albertino dopo molta esitazione (aveva in più la libert‡ di stampa e di associazione).
A Venezia venne istituito un governo autonomo retto da Daniele Manin, repubblicano.
Milano si rese famosa grazie alle 5 giornate (dal 18 al 22 marzo) di lotta tra esercito e popolazione: fu un Consiglio di guerra, capeggiato da Carlo Cattaneo e composto da elementi mazziniani, che organizzÚ il movimento che in 5 giorni cacciÚ le truppe austriache e fece rifugiare Radetsky nel Quadrilatero. In quasi tutta la Lombardia si istituirono governi provvisori.
Una svolta per il movimento fu l’elezione di Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti): il papa concesse un’amnistia per i delitti politici (Editto del perdono); attenuò il rigore della censura; istituÏ la Consulta di stato, un organo rappresentativo a cui facevano parte anche laici, e una Guardia civica; concesse la costituzione.
Le sue riforme non erano poi cosÏ ardite, ma erano state attesissime dalla borghesia. Furono cosÏ bene accette che anche altri principi vollero concedere delle riforme e a concedere costituzioni. Tutta l’Italia gridava «Viva Pio IX!!», e sotto il suo nome si riunì un fronte antiaustriaco che comprendeva tutte le tendenze ideologiche.
In questo clima Carlo Alberto decise, il 24 marzo 1848, di dichiarare guerra all’Austria.
Carlo Alberto dichiara guerra all’Austria ma viene sconfitto a Custoza
A Carlo Alberto si unirono forze da tutta Italia, tra cui gli uomini di Guglielmo Pepe da Napoli e del generale Giovanni Durando dallo Stato pontificio.
Sin dai primi giorni di lotta a Milano, era stato richiesto l’aiuto di Carlo Alberto (fatto nuovo rispetto alla vecchia rivoluzione). Il governo presieduto dal Balbo fu colto di sorpresa: che sarebbe successo? Carlo Alberto esitava nel momento meno adatto per farlo, e dichiarÚ guerra all’Austria ancora incerto (aveva paura di perdere il trono ma anche di far cadere lo Stato). Comunque il suo aiuto arrivò quando tutto era gi‡ stato risolto e Radetsky cacciato.
A questo punto si vide che il Piemonte era spinto da uno spirito espansionistico più che nazionale, e ciÚ Ë dimostrato dalla diffidenza verso i volontari che venivano da ogni parte e le trattative fallite a causa del Piemonte per la formazione della Lega italiana. Sarebbero cosÏ emerse molte diffidenze tra i sovrani italiani., che temevano un’egemonia piemontese.
Pio IX intanto era preoccupato per le rivolte a cui involontariamente aveva dato appoggio. Per evitare problemi e lo scisma con i cattolici austriaci, in un’allocuzione proclamò la sua neutralità. I rivoluzionari lo interpretarono come un desiderio di schierarsi contro la loro causa, ma Pio IX non era affatto contrario alla liberazione, sentiva solo di non poter tradire i cattolici austriaci schierandosi contro di loro. Si rompeva cosÏ il fronte antiaustriaco, e in Italia i sovrani cominciarono a reagire, a partire da Ferdinando II che sciolse il Parlamento a Napoli e al suo posto pose un ministero di elementi conservatori. Dopo di che ritirù le truppe dalla Lombardia, seguito da Leopoldo II: a sostegno dell’esercito sardo restarono solo i volontari e coloro che avevano disubbidito agli ordini. Mentre i Piemontesi attaccavano Peschiera, Radetsky era riuscito a rafforzarsi. I militanti toscani impedirono che gli austriaci potessero aiutare Radetsky attaccando l’esercito sardo alle spalle. Mentre si arrendeva la guarnigione della fortezza di Peschiera, Carlo Alberto vinceva a Goito. In seguito, però, a causa dell’indignazione dei democratici per il fatto che il Piemonte non volesse nessun altra scelta tra il ritorno degli Austriaci e l’annessione, gli austriaci riuscirono a sconfiggere Carlo Alberto a Custoza e gli fecero firmare l’armistizio di Vigevano, in cui si impegnava ad abbandonare i territori conquistati.
Comunque Venezia continuava imperterrita a resistere all’Austria, mentre Garibaldi aveva tentato nuove spedizioni.
In Europa si verifica una fase generale di riflusso dell’ondata rivoluzionaria
Tra l’estate e l’autunno del 1848, l’Europa vide un riflusso dell’ondata rivoluzionaria.
In Francia le elezioni a suffragio universale avevano portato alla formazione di un’Assemblea costituente a maggioranza conservatrice, che da subito aveva limitato le concessioni. Chiuse le atelier nationaux, non istituÏ il promesso Ministero del Lavoro, invitò gli operai ad arruolarsi... tutto ciò provocò un’insurrezione operaia che fu repressa nel sangue dal generale Cavignac. Lo spettro del comunismo atterrÏ il popolo tanto da spianare la strada per l’elezione del nipote di Napoleone I, Luigi Bonaparte.
Negli stati asburgici la situazione era di nuovo sotto controllo del sovrano, grazie anche alle divisioni interne tra Croati e Ungheresi , alla repressione dei moti di Vienna e perchè fu allontanata l’Assemblea costituente dalla capitale.
A Napoli salì al trono Francesco Giuseppe che aiutò la monarchia asburgica a reprimere i moti e a privare dell’indipendenza l’Ungheria, che si era separata dall’Austria.
In Prussia Federico Guglielmo IV, approfittando delle divisioni dell’assemblea, la sciolse e impose una costituzione conservatrice.
Il Piemonte riprende la guerra contro l’Austria: sconfitto a Novara, Carlo Alberto abdica in favore di Vittorio Emanuele II
A Napoli Ferdinando II voleva restaurare l’assolutismo, cominciando con lo sciogliere il Parlamento.
In altre parti d’Italia, invece, il fallimento della guerra federalista portò ad una richiesta d’aiuto alle forze popolari. Bisognava ricacciare gli austriaci e formare un nuovo fronte unitario con il centro nel popolo e non nel potere. Questo tipo di lotta fu accettata da tutti. A Firenze e a Roma i mazziniani e i democratici rovesciarono i governi moderati e imposero il nuovo programma. In Toscana il potere fu assunto dal triumvirato formato da Guerrazzi, Montanelli e Mazzini; nello Stato pontificio, dopo la fuga del papa a Gaeta, dal triumvirato Mazzini, Armellini, Saffi. Veniva proclamata nel febbraio 1849 da un’Assemblea costituente la repubblica e la fine del potere temporale del papa. Roma era il nuovo centro del movimento.
Si era arrivati alla convocazione di un’Assemblea costituente italiana, ma purtroppo la politica ambigua di Guerrazzi evitò che si proclamasse la repubblica.
Anche il Piemonte era stato influenzato dai nuovi moti di stampo popolare e Gioberti aveva pensato di approfittarne e di proporre, attraverso la nuova Lega italiana, una federazione di stati con a capo non più il papa ma i Savoia, Il governo democratico piemontese si oppose al suo progetto e fu costretto alle dimissioni.
Gli successe Rattazzi, che subito proclamò la guerra contro l’Austria. Ma i Piemontesi furono sconfitti a Novara. Carlo Alberto abdicò a favore del figlio Vittorio Emanuele II che firmò con gli Austriaci la pace di Milano.
Crollano le repubbliche Romana e Veneta e l’Austria ritorna a dominare
L’Austria approfittò della situazione e riprese il potere su molte città.
L’unico focolaio di resistenza rimasto era a Roma e Venezia (la Toscana era stata riconquistata), contro le quali, in seguito all’appello del apap, si schieravano Austria, Francia, Spagna e Regno delle due Sicilie. Alla difesa di Roma parteciparono Garibaldi, Pisacane, Mameli.
Sotto il massiccio attacco Roma cadde, ma solo dopo aver approvato la costituzione della repubblica. Garibaldi allora si diresse a difendere Venezia.
Venezia era sotto il potere di Daniele Manin, che teneva un governo moderato, anche sotto le pressioni dei democratici. Ma la notizia della sconfitta di Novara spinse l’Assemnlea veneziana a prendere una decisione: avrebbero combattuto contro l’Austria ad ogni costo. Manin cercava un intervento diplomatico di Francia e Inghilterra.
Dopo un periodo di resistenza, Venezia crollò e Manin fu mandato in esilio.
Cap. XVI – Il processo di unificazione in Italia
La «seconda Restaurazione» si compì all’insegna della reazione antinazionale e antisocialista
Le monarchie più colpite ripresero già dall’autunno del ’48 il controllo della situazione, facendo leva anche sugli errori del movimento. La borghesia, spaventata dalle richieste mano a mano più radicali, invocava il ripristino dell’ordine. I sovrani abolirono o minimizzarono le concessioni e fu il ritorno all’assolutismo.
Ma questa reazione fu diversa da quella del 1815: la differenza stava nel fatto che il fronte delle potenze che volevano mantenere l’ordine europeo del 1815 non era più compatto. Durante le rivoluzioni del 1848 molti stati erano entrati in contesa fra loro, e mentre in Russia la situazione era stabile e sotto controllo, nell’Europa occidentale la situazione era incognita a causa dell’ ascesa al potere del nipote di Napoleone I nella Seconda repubblica francese. Che sarebbe successo?
Ma la «seconda Restaurazione» non rappresentÚ un ritorno puro e semplice allo statu quo
Non era più possibile un ritorno al passato: le strutture economiche e sociali erano cambiate e la borghesia voleva mantenere le nuove istanze. Così, mentre la prima Restaurazione era stata caratterizzata dall’alleanza trono-altare, la seconda
lo fu da quella tra monarchia e borghesia moderata.
L’Austria aveva chiesto aiuto alla Russia e aveva capito di non poter comandare nella Confederazione Germanica assieme alla Prussia. Quando infatti il governatore prussiano Guglielmo IV cercò di formare un’ unione degli stati della Germania del nord, l’Austria non fu d’accordo e Guglielmo, per non avere problemi, promise con gli accordi di Olmutz di rinunciare ad un’unione federale sotto la Prussia.
In Italia gli Austriaci lasciarono una guarnizione a tutela del Papa, ma i Francesi fecero lo stesso.
Solo nelle Due Sicilie gli Austriaci non intervennero, perchè fu Ferdinando II che riuscì a far ritornare l’ordine con metodi molto duri: gli uomini migliori del ceto dirigente meridionale furono esiliati o mandati in carcere, creando una frattura fra intellettuali e monarchia che portò al crollo del potere dei Borboni.
Con Vittorio Emanuele II incomincia a delinearsi il ruolo nazionale del Piemonte
Solo il Piemonte e la Prussia, in tutto questo, mantennero la costituzione.
Vittorio Emanuele II era il successore di Carlo Alberto, sconfitto definitivamente dall’Austria a Novara. Suo figlio aveva deciso di tener fede all’impegno preso dal padre: non si poteva alleare con gli stati conservatori cancellando tutte le speranze con un colpo di spugna! Il re mantenne la costituzione ma soffocò rivolte e fece terminare la guerra sciogliendo la Camera. Infatti, dopo questo atto, attraverso il proclama di Moncalieri, invitò il popolo a vedere le cose in modo più realistico e a costituire un’assemblea più moderata. Il popolo ascoltò il suo re: la nuova Camera moderata firmò la pace di Milano a condizioni a dire il vero non pesanti, con le quali l’Austria sperava di riacquistare autorità in Piemonte.
Il Piemonte continuò a concedere riforme e a mantener fede agli ideali nazional-liberali del ’48. Tutta l’Italia vide il regno sardo come l’unico che poteva unificare l’Italia...
Napoleone III si fa proclamare imperatore e attua una profonda trasformazione economica in Francia
Rinasce in Francia il mito napoelonico: ciò significava il ritorno alla paura di una nuova –gemonia francese.
L’impero nasceva con a capo Luigi Bonaparte, tra il 1848 e il 1852. In realtà l’idea di un secondo impero era nata durante il regno di Luigi Filippo, quando Thiers aveva riportato in patria le ceneri di Napoleone.
Luigi tentò l’ascesa al trono nel 1848, dopo i moti operai provocati dalla limitazione delle libertà, appoggiato dal partito dell’ordine.
Egli vivacizzò la pèolitica estera e operò una mediazione tra conservatori e rivoluzionari in politica interna.
Appoggiò la Chiesa contro la repubblica Romana non per ottenere la simpatia del papa, ma per il suo ideale di ordine che voleva stabilire in tutta l’Europa. Inoltre la Chiesa e la religione erano i pilastri di quest’ordine.
Con un colpo di stato nel 1851 liquidò tutta l’opposizione e abrogò la costituzione. Un anno dopo diventava Napoleone III, imperatore.
Il Piemonte partecipa alla guerra di Crimea e, al congresso di Parigi, Cavour solleva il problema italiano
Il primo intervento napoleonico si ebbe in occasione della questione d’Oriente. Lo zar Nicola I voleva estendere i suoi domini nell’impero ottomano: aveva quindi pensato di reclamare il protettorato dei cristiani ortodossi sudditi dell’impero. Naturalmente la Turchia non avva accettato e si era scatenata la guerra (1853).
Inghilterra e Francia, vedendo che veniva minacciato l’equilibrio del Mediterraneo, dichiararono guerra alla Russia. Tnetarono di far entrare in guerra dalla loro parte anche Prussia (che rifiutò) e Austria, che non poteva muovere guerra alla Russia che l’aveva aiutata a repriomere i moti in Ungheria. Accettò solo a patto che fossero riconosciuti e salvaguardati i suoi possedimenti in Italia. Francia e Inghilterra invitarono allora il Piemonte a muovere guerra contro la Russia, in modo che una parte dell’esercito non si trovasse in Italia e l’Austria non avrebbe dovuto temere una rivolta durante la sua assenza.
Significava però indiretamente oprendere le partio dell’Austria: tradire l’Italia o isolarsi dalla politica europea?
Per far sì che l’Italia sfuggisse alla condizione di stato satellite e assumesse una certa importanza, il conte di Cavour (primo ministro del governo piemontese), pur di fronte a molte polemiche, accettò di combattere la guerra di Crimea. L’Italia si distinse a Cernaia.
La morte di Micola I e la successione delò più moderato Alessandro II indussero Napoleone III a firmare la pace di Parigi: si garantiva l’indipendenza dell’impero ottomano e l’uguaglianza di diritti fra sudditi cristiani e musulmani.
Alla fine la russia si era avvicinata alla Francia, l’Austria era rimasta isolata sia dalla Russia (per la sua neutralità) sia dalla Francia (per i problemi che aveva creato).
Durante il congresso di pace Cavour aveva ottenuto di poter discutere della questione italiana, sottolineando che la presenza delle truppe austriache e il malgoverno del napoletano erano pericolosi per la pace in Europa.
Il Piemonte era diventato lo stato-guida dell’unificazione italiana.

Cavour nella sua politica si ispirò ai princìpi di un liberalismo realistico e concreto
Camillo Benso conte di Cavour era il presidente del Consiglio del regno sardo dal 1852. Aristocratico, aveva presto cominciato la carriera militare. Ritiratosi, cominciò a interessarsi di politica, cultura e della situazione agricola e industriale. I suoi erano ideali liberali moderati: nè rivoluzionario, nè assolutista.
Pensava che non si potesse frenare il progresso economico e che era grazie a questo che si era giunti all’emancipazione dei popoli. Aveva fondato l’Associazione agraria subalpina e aveva contribuito all’unificazione delle banche in una Banca nazionale.
Fondò con Cesare Balbo il giornale «Il Risorgimento» e l’anno successivo era deputato del Parlamento subalpino.
Si fece davvero notare grazie alla discussione sulle leggi Siccardi del 1850, che proponevano l’abolizione del foro ecclesiastico, della manomorta e del diritto d’asilo dei luoghi consacrati. Con queste leggi lo stato sabaudo dimostra la sua ferma volontà a proseguire lungo la via delle riforme, iniziando dall’affermazione dell’eguaglianza civile tramite l’abolizione di vecchi privilegi.
Con la politica del “connubio”, Cavour realizza un nuovo indirizzo politico di ammodernamento e di democratizzazione dello stato sabaudo
Chiamato al governo, Cavour si impegnò a rianimare l’economia firmando trattati di commercio con molti stati esteri.
Il progetto di Cavour aveva bisogno, per la sua attuazione, di un nuovo parlamento, più aperto: così Cavour, all’insaputa di D’Azeglio, presidente del Consiglio di destra, si accordò con la sinistra moderata di Urbano Rattazzi, atto chiamato «connubio», che isolò la destra conservatrice e portò alla formazione di un nuovo Parlamento. Il Piemonte era all’inizio di un nuovo corso, presieduto da Cavour dal 1852 al 1859, che da subito cominciò a costruire strade, ferrovie e porti per allargare il mercato.
La nuova politica economica incideva soprattutto sull’agricoltura, che vide l’introduzione di innovazioni tecniche, bonifiche e nuove colture. L’industria era ancora arretrata, ma l’agricoltura era fortemente in crescita. Venne riformata la struttura dell’esercito e della marina, specialmente nelle città di Genova e La Spezia. Tutto ciò accelerava il processo di trasformazione della borghesia in capitalistica.
Anche la politica ecclesiastica subÏ qualche cambiamento in direzione laica grazie alla riduzione dei beni che non erano dedicati alla beneficenza o all’istruzione, con la speranza di separare sempre di più la sfera civile da quella religiosa. La Chiesa si ribellò e lo stesso re fu sul punto di cedere (crisi di Calabiana), ma alla fine anche questa legge, ripresa poi dal Rattazzi, passò.
I cambiamenti della politica interna erano la premessa di una nuova politica estera: solo un cambiamento dei rapporti esteri avrebbe aiutato lo stato sabaudo a liberarsi dall’Austria e ad estendere l’egemonia piemontese su tutta l’Italia.
In politica estera, Cavour, d’accordo con Napoleone III, cerca di estromettere l’Austria dai suoi domini in Italia
La questione italiana presentata da Cavour, e cioè in chiave antiaustriaca e con il tentativo di revisionare l’ordine del Congresso di Vienna, incontrò il favore di Napoleone III, anche perchè Cavour era riuscito a far avvicinare i progetti antiaustriaci del Piemonte al desiderio egemonico di Napoleone III, preparandosi cosÏ ad una guerra contro l’Austria.
I rapporti tra Austria e Piemonte arrivarono a far rompere i legami diplomatici fra le due (da parte dell’Austria).Cavour ebbe un bel da fare, cercando di allearsi realmente con Napoleone e di far vedere alle grandi potenze che la politica piemontese era volta al mantenimento della pace. Nel frattempo invitò tutti gli schieramenti (moderati, repubblicani, federalisti, mazziniani) favorevoli all’unità ad unirsi nella Società nazionale (motto: Italia e Vittorio Emanuele).
Con gli accordi di Plombières, Francia e Piemonte si preparano alla guerra contro l’Austria
Sebbene avesse subito un attentato da parte di un italiano, Napoleone decise di aiutare il Piemonte e si incontrò con Cavour a Plombières nel luglio 1858, dove vennero fissati gli accordi per l’alleanza. Fu deciso che:
- in Italia si sarebbe formata una confederazione di stati formata dalla valle del Po, la Romagna e i territori pontifici sotto i Savoia
- il papa conservava Roma e i territori limitrofi
- la Toscana sarebbe stata un regno a sè
- il Regno di Napoli non sarebbe stato toccato
- la Francia otteneva la Savoia e la contea di Nizza (quest’ultima non convinceva troppo Cavour).
Condizione essenziale di questo accordo fu il matrimonio tra Girolamo, cugino dell’imperatore, e la, principessa Clotilde, figlia di Vittorio Emanuele II, e che la guerra fosse dichiarata dall’Austria.
Le insurrezioni mazziniane del 1857 esercitano una funzione di stimolo sulle iniziative del Cavour
Nel frattempo si sviluppava l’attività mazziniana, con centro nella Lombardia. I tentativi insurrezionali fallirono e, anzi, favorirono l’Austria che ottenne parecchi beni. Molti si allontanarono da Mazzini, attratti ora dalla politica di Cavour e uniti nella Società nazionale da lui stesso proposta. Ma Mazzini non cedette e pensò di spostare il movimento al sud, dove la situazione sotto i Borboni era insopportabile. La spedizione venne affidata a Carlo Pisacane, ex ufficiale borbonico. Ma a sud la situazione non era incoraggiante, perchè gli uomini migliori erano in carcere o esuli. Ma Pisacane contava sulla collaborazione della popolazione oppressa, e quindi decise di andare nel Cilento, quello maggiormente arretrato e oppresso. Il 27 giugno 1857 Pisacane salÏ su una nave che fece dirottare verso Ponza, dove sapeva che si trovavano dei detenuti politici. Ma l’informazione era falsa: mentre Pisacane si univa a dei normali detenuti, alla popolazione del Cilento i Borboni fecero credere che stavano arrivando dei briganti: fu una strage e Pisacane , ferito, si suicidò.
Mazzini aveva fallito ovunque e mentre cercava di organizzare altri moti fu condannato a morte in contumacia e, più tardi, giustiziato.
Questo fallimento aveva mostrato la crisi del movimento mazziniano e la sua fine e la difficoltà di aizzare il popolo per risolvere la questione italiana, ma nello stesso tempo aveva esercitato una funzione di stimolo e di concorrenza nei confronti di Cavour.
Nel 1859 scoppia la guerra fra Austria e Piemonte, in aiuto del quale intervengono le truppe francesi
La guerra scoppiò il 26 aprile 1859: il Piemonte aveva rifiutato l’ultimatum austriaco di disarmarsi, e così l’esercito era penetrato in Piemonte. L’esercito francese corse prontamente in aiuto del piemontese e, a Magenta (4 giugno), l’esercito austriaco fu sconfitto. Alle truppe franco-piemontesi si erano uniti anche dei volontari, i Cacciatori delle Alpi guidati da Garibaldi, che si occupò della zona prealpina da Varese a Brescia. A Martino e a Solferino ci furono altri scontri vittoriosi, ma ugualmente sanguinosi per entrambe le parti, fatto che impensierì Napoleone.
Intanto la Società nazionale aveva cacciato dalla Toscana e dai ducati i rispettivi prìncipi. Si erano formati dei governi provvisori che chiedevano l’annessione al Piemonte, che aveva mandato commissari in giro per tutta l’Italia durante la guerra.
A causa della lunga guerra e dell’intervento che forse sarebbe avvenuto a favore dell’Austria da parte di molte potenze, Napoleone decise di chiedere un armistizio all’Austria informandone Vittorio Emanuele. L’armistizio doveva valere per poco tempo, ma Napoleone si incontrò in segreto a Villafranca con Francesco Giuseppe, generale austriaco, per discutere sulla pace. Cavour, indignato, rassegnò le sue dimissioni a Vittorio Emanuele, che aveva accettato l’armistizio di Villafranca.
Ma perchè Napoleone aveva agito così? Per la solidarietà agli Asburgo che avevano dichiarato la Prussia e la Confederazione Germanica intimidendo la Francia e per le insurrezioni dell’Italia centrale e la formazione di governi provvisori che rischiavano di far perdere alla Francia quello che otteneva con gli accordi di Plombières e di avviare l’Italia all’unità.
L’armistizio di Villafranca e la pace di Zurigo di quattro mesi dopo prevedevano:
- la cessione della Lombardia, eccetto Mantova e Peschiera che facevano parte del Quadrilatero, a Napoleone III (che poi l’avrebbe riceduta a Vittorio Emanuele II;
- il ritorno dei prÏncipi spodestati;
- la formazione di una Confederazione di stati italiani presieduta dal papa (di cui entrava a far parte anche l’Austria per il suo dominio sul Veneto).
Vittorio Emanuele riuscirà comunque a far annettere i governi provvisori che lo avevano richiesto al Piemonte.
La situazione era ancora aperta.
L’Italia centrale viene annessa al regno sabaudo
In questo momento in cui i prìncipi stavano per riprendere il potere, le forze unitarie e annessionistiche si fecero forza e decisero di evitare ogni ritorno al regime prebellico, istituendo poteri dittatoriali. Il Piemonte era obbligato a restare passivo, e tutto il destino dell’unità d’Italia era nelle mani del centro.
CosÏ, grazie alla nuova forza e maturità del movimento unitario e grazie alla Società nazionale, Cavour tornò al governo nel 1860. Egli riuscì a convincere la Francia che sarebbe riuscita lo stesso ad ottenere Savoia e Nizza a patto che, mediante plebisciti, Toscana, Emilia e Romagna fossero annessi al Piemonte. Sempre con plebisciti, nonostante le proteste di Garibaldi, furono annesse alla Francia Nizza e Savoia.
Con la spedizione dei Mille, Garibaldi libera il Mezzogiorno dal dominio dei Borboni
Molti fatti erano sfuggiti di mano a Cavour, che ora si trovava di fronte ad una situazione del tutto diversa: era caduto il processo diplomatico, le tendenze unitarie-nazionali si erano rafforzate, era intervenuto Napoleone, l’ascesa al poter in Inghilterra del Palmerston, più vicino alla causa italiana. Ora Cavour non voleva limitarsi ad estendere il Piemonte fino agli Appennini, ma cercava l’unità nazionale sotto una guida monarchico-unitaria, però.
Sfaldatasi la Società nazionale, le maggiori forze, le più infervorate, si riunirono nel Partito d’azione, di tendenza democratica, sotto l’influenza di Mazzini, contro l’aiuto straniero, con capo Giuseppe Garibaldi.
Il Partito d’azione si rivolgeva più che altro al problema del Mezzogiorno e, vedendo che il moto di Pisacane dall’interno era fallito, si decise di provare dall’ esterno.
Morto, nel Regno di Napoli, Ferdinando II, era salito al trono suo figlio Francesco II, che si trovava ad essere re di un regno disastroso, formato da vecchi murattiani al governo e dalle strutture ormai logore. Tutti i Borboni sapevano gi‡ che il regno stava per cadere. Garibaldi, disponendo di molte informazioni sulla zona, decise di fare una spedizione.
La spedizione, composta da 1000 uomini di ogni ceto e zona d’Italia, partÏ da Quarto, vicino Genova, tra il 5 e il 6 maggio 1860 con due navi. Il Piemonte cercò di ostacolare la partenza, ma senza risultati perchè il re rimediava ogni volta ai sabotaggi. Le navi si fermarono a Talamone sia per rifornirsi, sia per mandare un gruppo di volontari verso lo Stato pontificio per sviare le attenzioni. Lo sbarco in Sicilia avvenne l’11 maggio, precisamente a Marsala. Con un decreto Garibaldi assunse la dittatura della Sicilia in nome di Vittorio Emanuele II, in modo da qualificare la sua impresa in senso unitario. La conquista di Palermo e la vittoriosa battaglia di Calatafimi contro i Borboni ne provocarono il crollo. Fu subito costituito un governo provvisorio a Palermo retto da Crispi. La vittoria di Milazzo liberò quasi tutta l’isola.
Intanto a Bronte, dove era in corso una rivolta contadina, fu inviato Bixio che represse duramente la rivolta: la cacciata dei Borboni non voleva dire liberazione. Molti avevano inteso male l’impresa di Garibaldi: persino dei preti stanchi del potere della Chiesa si unirono a lui compiendo ogni sorta di intemperanze contro la Chiesa.
Francesco II, intanto, aveva cercato di fare di tutto per frenare Garibaldi, concedendo ogni cosa, ma niente.
Tutto il Mezzogiorno era in rivolta. Garibaldi entrò anche a Napoli.
Sulla soluzione democratico-popolare prevale quella monarchico-sabauda e viene proclamato il regno d’Italia sotto i Savoia
Ma da subito il successo della spedizione garibaldina poneva dei problemi.
Cavour, abbiamo detto, cercava di portare la rivolta su una linea monarchico-sabauda, temendo non tanto Garibaldi che era fortemente legato a Vittorio Emanuele, ma i suoi seguaci, di tendenze repubblicane. Con l’arrivo di Garibaldi a Napoli, Cavour doveva preoccuparsi di non far fare capolino alla rivoluzione per evitare che le potenze europee si preoccupassero. Invano Cavour, aiutato dal marchese di Villamarina, cercò di far insorgere Napoli prima dell’arrivo di Garibaldi. Lo scopo di Cavour era quello di annettere tutto allo stato sardo. Gli si presentavano due scelte: o annettere senza condizioni il Mezzogiorno al Piemonte, o convocare un’Assemblea costituente italiana a Roma per decidere sull’ordinamento dello stato unitario, tesi che presupponeva anche la liquidazione dello stato pontificio.
La prima scelta era naturalmente più sicura, la seconda un salto nel buio, una situazione che nemmeno Garibaldi sarebbe riuscito a sbloccare.
Garibaldi aveva pensato di marciare anche su Roma, ma si era fermato pensando che Napoleone III avrebbe sicuramente difeso il potere temporale del papa. Cavour, temendo il peggio, riuscì a mediare tra le due parti: da un lato sostenne la rivoluzione, dall’altro cercò di far apparire lo stato sardo in Italia come un garante della pace e dell’ordine (stesso modo di fare del 1859 con l’Austria). Napoleone accettò che venissero attraversate con un esercito le Marche e l’Umbria e che il Piemonte attaccasse le truppe pontificie. A Castelfidardo le truppe erano sconfitte e Garibaldi, con la battaglia del Volturno, abbatteva definitivamente i Borboni.
Vittorio Emanuele intanto scendeva con l’esercito a sud. Si incontrò con Garibaldi a Teano (vicino Napoli) e si tennero i plebisciti per l’annessione dell’ex-regno napoletano allo stato sabaudo.
Il 18 febbraio 1861 si riuniva a Torino il primo Parlamento dell’Italia unita che proclamava il 17 marzo il regno d’Italia sotto la monarchia sabauda. Vittorio Emanuele II era re d’Italia.

CAP. XVII – I problemi del nuovo regno e la politica della «Destra storica»
Pur con la formula «libera Chiesa in libero stato», Cavour non riesce a risolvere la delicata e difficile questione romana
Nel 1861 si ebbero le elezioni per il Primo Parlamento italiano, con una percentuale di aventi diritto di voto circa del 22%. Il Parlamento ebbe sede a Torino e Cavour ne fu il presidente. Per prima cosa il Parlamento proclamò il regno d’Italia, Vittorio Emanuele divenne re e lo sarebbero stati i suoi eredi, Roma divenne la futura capitale. Cavour sostenne la scelta di Roma (questione romana) come capitale per tre motivi:
1) per il suo patrimonio culturale;
2) perché solo Roma poteva rompere l’antagonismo fra Torino e Milano da una parte e Napoli e Firenze dall’altra;
3) Roma era la città del papa e ciò indicava una presa di posizione rispetto al problema dei rapporti con il papato: non si poteva, se si voleva entrare a Roma, farlo con la forza senza destare il sospetto di tutti i cattolici. Fare Roma capitale significava scegliere una via pacifica.
Un altro modo di risolvere quest’ultimo problema (della Chiesa) sarebbe stato scegliere la via del negoziato: la Chiesa accettava garanzie dal nuovo stato italiano per compiere la sua missione. Il problema fu riassunto da (Rachele. Ah-ah) Cavour con la formula «Libera Chiesa in libero stato».
Nel 1861, ancora assillato dai nuovi problemi, Cavour morì, provocando una frattura nel processo di unificazione. Era un momento difficile: bisognava uniformare leggi, amministrazioni, sistema fiscale...
L’eccessivo accentramento provoca un grave distacco fra paese legale e paese reale
Altra intricatissima questione era la cosiddetta questione istituzionale: bisognava scegliere tra un’istituzione di tipo accentrata e uniforme o una attraverso la quale le regioni potessero mantenere una certa autonomia politica e istituti differenti. Le regioni erano MOLTO diverse fra loro, quindi la soluzione non era semplice.
I moderati preferivano un’organizzazione di tipo inglese (autogoverno con ampie autonomie). L’autogoverno popolare invece (di tipo svizzero) era sostenuto da Mazzini e specialmente da Carlo Cattaneo e dai democratici. Anche Cavour era stato favorevole alle autonomie e al decentramento regionale, come si dice nel progetto Cavour-Farini-Minghetti.
Ma il progetto fu bocciato e la soluzione fu molto radicale: nel 1861 lo statuto piemontese divenne legge costituzionale italiana.
Il regno fu diviso in 59 provincie uguali rette ciascuna da un prefetto. Le provincie erano divise in circondari e questi in comuni. Il ministro dell’Interno controllava tutti i prefetti, sottoprefetti e sindaci, così che la vita sociale era rigidamente controllata.
Jacini, uno studioso del Risorgimento, lombardo, tentò di far abbandonare questa politica accentratrice che frenava il libero sviluppo dell’economia.
I governi della «Destra storica» ebbero un forte senso dello stato, ma un debole senso della società civile
Dopo la morte di Cavour sembra che l’Italia si diriga verso un triste conservatorismo.
La destra storica (che fu al governo in quel periodo) era formata da uomini di alto livello politico: Quintino Sella e Giovanni Lanza (piemontesi), Ricasoli, Minghetti, Jacini, Visconti, Spaventa...
Questi uomini si impegnarono a mantenere la linea diplomatica di Cavour ed ebbero un rigoroso senso della gestione finanziaria.
La destra riuscì a consolidare l’assetto politico-amministrativo italiano, anche grazie ad un forte attaccamento agli ideali nazionali e allo spirito del rigore. Tuttavia, per questo culto dello stato forte e autoritario e per il sentimento aristocratico della politica, la destra portò delle chiusure proprie dei ceti da cui proveniva: un forte senso dello stato e un debole senso delle esigenze della società civile.
Il brigantaggio meridionale era alimentato anche dalle tristi condizioni sociali delle masse contadine
Il fenomeno del brigantaggio fu la prima minaccia alla stabilità del regno, per le sue enormi proporzioni che lo trasformarono da semplice episodio di delinquenza a vero e proprio conflitto civile. Il brigantaggio si diffuse soprattutto in Puglia, Calabria e Lucania ed alla base aveva dei seri problemi:
- la condizione di miseria delle masse contadine;
- l’oppressione dei ceti che monopolizzavano la proprietà fondiaria;
- il malgoverno borbonico (si trattava di tentativi di reazione borbonica subito dopo la caduta del regno).
Giuseppe Massari scrisse intorno al 1830 una relazione sul brigantaggio, che ci parla delle misere condizioni dei contadini per i quali la vita del brigante abbonda di attrattive. Il furto non desta ripugnanza, ma diventa un mezzo legittimo e facile di sussistenza. Dice Massari che se non ci fossero stati i Borboni il problema avrebbe sicuramente proporzioni minori: i Borboni hanno portato ignoranza, superstizione, mancanza di fede nelle leggi e nella giustizia..
La massima aspirazione dei contadini durante le frequenti rivolte era di ottenere il possesso della terra. Non essendo organizzato da nessuna forza, il movimento contadino finiva per essere influenzato dai leggittimisti e dai clericali.
Queste masse contadine del Sud erano rimaste estranee alla rivoluzione liberal-nazionale: gli interessi infatti erano prettamente borghesi (economia). I contadini che avevano accolto con gioia Garibaldi avevano sperato nella ridistribuzione delle terre, ma erano rimasti delusi. E delusi erano anche riguardo all’autonomia tanto sperata della Sicilia.
Con la nuova istituzione venivano meno le attività legate alle strutture paternalistiche e si inaspriva la pressione fiscale. Inoltre non era vista di buon occhio la coscrizione militare obbligatoria (molti scapparono).
Il brigante era spesso un tipo vendicativo, brutale, specialmente verso i ricchi, privo di organizzazione, spesso crudele e sanguinario.
Le operazioni militari riportarono l’ordine nel sud, ma non avviarono a soluzione il problema agrario e sociale del Mezzogiorno
Il Ricasoli, successo a Cavour, represse il fenomeno del brigantaggio aiutato anche dalla guardia Nazionale. Le lotte continuarono fino al 1870 e anche per l’esercito ci furono numerosissime perdite.
Ma questa repressione non servì a risolvere il problema agrario causato dalla borghesia che soggiogava i contadini. Anche la vendita delle terre dell’ex-regno borbonico e ecclesiastiche, che sarebbe dovuta servire a distribuire equamente la terra anche ai contadini, non raggiunse il suo scopo, perché raramente i contadini disponevano del denaro necessario per comprare tali terre. La borghesia riuscì ad acquistare, invece, i beni demaniali (terre dei comuni o dello stato) facendo perdere ai contadini il diritto di pascolo e di fare la legna.
Con la maggiore dipendenza dalla borghesia, le condizioni dei contadini peggiorarono.
Per questo scoppiò una grande rivolta in Sicilia, nel settembre 1866, con il sostegno di motli gruppi politici. La rivolta durò 7 giorni ma finì molto male.
Un altro problema che il nuovo regno d’Italia dovette affrontare fu la cosiddetta “questione romana”
Il solco tra stato e papato si era allargato dopo che Cavour aveva approvato in Piemonte delle leggi “laiche”, con cui il clero perdeva molti privilegi, alcuni ordini erano soppressi, fu introdotto il matrimonio civile e le scuole diventarono statali. Tali leggi si estesero ben presto a tutta l’Italia.
La risposta di Pio IX fu la scomunica di Vittorio Emanuele e di molti al suo seguito. Cavour aveva pensato che limitare il potere temporale del papa serebbe stato utile alla spiritualità della Chiesa. Ma Pio IX era convinto che il potere temporale fosse un patrimonio intangibile tramandato da secoli e che fosse utile per garantire l’indipendenza della sua autorità spirituale.
Era questa la “questione romana”. A riguardo i moderati speravano in una riconciliazione con il papa, che avrebbe comunque dovuto rinunciare al potere temporale. Comunque, tutta la destra pensava che solo con l’aiuto della Francia Roma sarebbe stata annessa al Regno d’Italia e che in ogni caso questa non avrebbe resistito all’attrattiva dello stato unito. La sinistra invece (mazziniani e garibaldini), sosteneva la necessità dell’iniziativa popolare per Roma e Veneto.
Rattazzi aveva ritentato la manovra di Cavour del ’60: mandare le truppe garibaldine nello stato pontificio ed avere così una ragione legittima per farvi entrare l’esercito. Era il 1862, e le cose non andarono allo stesso modo: Napoleone II minacciò di intervenire e nella battaglia dell’Aspromonte tra truppe regie e Garibaldi i rivoltosi ebbero la peggio.
Con la “convenzione di settembre” si pongono le basi per la conquista di Roma
Minghetti, ministro, tentò di accordarsi con la Francia. Si giunse alla convenzione di settembre (1864), con cui l’Italia non attaccava lo Stato pontificio e la Francia ritirava le proprie truppe da Roma mentre lo stato pontificio costituiva un proprio esercito. La capitale veniva spostata da Torino a Firenze.
I rapporti fra stato e Chiesa diventavano sempre più critici, finchè nel 1864 Pio IX pubblicò l’enciclica Quanta cura, in cui condannava la neutralità religiosa dello stato, la libertà di opinione e di stampa, l’assoluta sovranità popolare e la supremazia giuridica dello Stato sulla Chiesa. Era unito all’enciclica il Sillabo, con i principali errori dei nostri tempi. Tra le altre cose si condannava la libertà religiosa, la civiltà moderna e la pretesa dello stato di avere il monopolio dell’istruzione e la giurisdizione sul matrimonio.
Napoleone III e Vittorio Emanuele proibirono la pubblicazione del Sillabo, fatto che acuì le tensioni. Inoltre, per risanare il debito dell’ultima guerra, venivano liquidati quasi tutti i beni di alcune corporazioni ecclesiastiche e presi altri simili provvedimenti.
Nel frattempo Garibaldi si era organizzato per delle nuove rivolte. Dopo vari tentativi, era stato assalito dalle truppe francesi (poiché Vittorio Emanuele non voleva attaccare Garibaldi) e sconfitto a Mentana.
Con la terza guerra di indipendenza all’Italia viene assegnato il Veneto
In Veneto era stata forte la delusione dopo l’armistizio di Villafranca. Vari gruppi, i moderati dei “comitati segreti” e del Comitato politico centrale veneto, avevano mantenuto vivo il sentimento di indipendenza dallo straniero.
L’occasione per la cacciata degli Austriaci venne dalla Prussia che voleva escludere questi dalla Confederazione germanica. Per questo propose un’alleanza militare all’Italia ai danni dell’Austria (1866).
Le truppe italiane vennero sconfitte a Custoza (come nel ’48) e Lissa, tranne quelle di Garibaldi. Fra Austria e Prussia fu presto firmato un armistizio: l’Austria dava il Veneto all’Italia tramite Napoleone III (il che offendeva la dignità italiana, però!!).
Quintino Sella, indignato, scrisse una lettera al presidente del Consiglio, e Garibaldi mandò il famoso telegramma “Obbedisco”, arrestando la sua avanzata nel Trentino. Tutti erano molto amareggiati.
La pace fu firmata a Vienna.
Truppe italiane conquistano Roma e pongono fine al potere temporale del papa
Nel 1869 Pio IX convocò il concilio Vaticano I, in cui (per la prima volta) gli “stati cattolici” non erano tenuti ad inviare ambasciatori. Si discusse del bisogno di aumentare il potere del papa contro la penetrazione delle nuove idee liberali.
Fu votata l’infallibilità papale ex cathedra (quando il papa parla come dottore della Chiesa).
Fu in questo periodo di tensione e di malcontento verso la Francia che il governo italiano riuscì ad occupare Roma. Nel 1870 (rimasta una sola guarnigione francese vicino Roma) Raffaele Cadorna guidò le truppe alle porte della città, dopo un ulteriore tentativo di convincere il papa a cedere spontaneamente Roma. Il 20 settembre ci fu un breve combattimento, durante il quale gli italiani aprirono una breccia nelle mura di Porta Pia ed entrarono a Roma.
Si allarga il movimento cattolico intransigente che si avvia a diventare un’opposizione anche a carattere sociale
La capitale fu trasferita da Firenze a Roma (1871). Venne definita la legge delle Guarentigie riguardo al papa: la Chiesa era libera nell’organiz-zazione gerarchica e nell’azione spirituale; il papa poteva accogliere rappresentanze dall’estero o recarsi lui stesso; poteva avere una guardia armata in Vaticano, al Laterano e a Castelgandolfo.
Pio IX non accettò e si considerò prigioniero.
Ma c’era un altro problema: era sorta la Società della gioventù cattolica, che diffondeva stampa cattolica e formava giovani devoti al papa. La Società si divise in circoli, in cui affluirono giovani molto attivi e indipendenti. Questi circoli si riunirono in un congresso cattolico e nacque così l’Opera dei congressi e dei comitati cattolici, che difendeva la causa papale: i partecipanti si chiamarono intransigenti, perché rifiutavano ogni contatto con lo stato liberale.
Così nel 1874 Pio IX invitò, tramite il non expedit, i cattolici a non partecipare alla vita politica attiva (elezioni comprese).
Contraddizioni economiche e sociali caratterizzavano l’Italia al momento dell’unificazione
L’unificazione dell’Italia non portò grandi cambiamenti all’economia, ancora agricola molto dopo il 1861.
Il problema maggiore a riguardo è che la conformazione dell’Italia limita molto le pratiche agricole per le numerose zone aride, i boschi, i pascoli. L’economia era inadeguatissima ad uno sviluppo industriale, aveva poco credito, difficoltà nei commerci, larga prevalenza di sottoconsumatori.
C’erano comunque regioni dove l’agricoltura si era molto modernizzata e capitalizzata: la Lombardia per prima, l’Emilia e la Toscana.
Nel Meridione, invece, dominava il latifondo con attorno numerose piccolissime proprietà. Non c’erano forme organizzative avanzate.
E poi c’è da aggiungere la stasi demografica che colpì l’Italia fino al 1880.
Numerosi i tentativi per eliminare il pauroso deficit del nuovo regno d’Italia
Bisognava trasformare, dunque, l’unità territoriale in unità politica.
Innanzitutto era necessario fare un bilancio totale dell’economia del nuovo stato, che si trovò così ad avere un debito pubblico già di oltre 2 miliardi di lire e un disavanzo di circa 200 milioni. Nasce un problema: chi avrebbe pagato le spese del'unificazione finanziaria ed economica italiana? Naturalmente la spesa gravò sulle classi più povere e ciò ostacolò il progresso economico.
In questo periodo ricordiamo due importanti economisti, Bastogi e Sella. Quando fu il turno di Sella, il deficit era salito ad oltre 3 miliardi. Due erano le vie possibili: o espandere ulteriormente il debito pubblico o applicare nuove imposte. Scelse quest’ultima soluzione (con nostro disappunto…).
Si susseguirono altri tentativi di risanare il deficit:
1. Nel 1866 venne introdotto il corso forzoso, attraverso il quale le banconote non venivano più cambiate in oro (convertibilità). Naturalmente tali banconote avevano valore solo se avevano un riscontro in oro nelle casse dello stato. In tal modo, però, lo Stato aumentava l’inflazione, perché tendeva ad aumentare il numero di banconote anche se queste non avevano la copertura in oro richiesta: diminuiva così il valore degli stipendi (che dovevano essere aumentati – cosa che avveniva sempre in ritardo) e aumentavano i prezzi.
Il fatto positivo fu che entravano in Italia meno merci straniere (così ci tenevamo i soldi per noi) perché i pagamenti non venivano cambiati in oro. In tal modo l’industria italiana non dovette più competere con quella straniera ed ebbe vita più lunga.
2. Si provvedette affinchè molti beni appartenuti alla Chiesa fossero devolti allo stato, che avrebbe ottenuto così numerose entrate, ma non quelli delle parrocchie. Le parrocchie erano numerose al Nord e scarsissime al Sud, la cui Chiesa fu sconvolta dal provvedimento.
Ma la gran quantità dei terreni ne fece calare il prezzo.
3. Si impose la tassa sul macinato, definita tassa della disperazione.
Con il ritorno di Sella alla direzione delle Finanze, il bilancio venne finalmente pareggiato nel 1876. Tutto però era solo teorico e i miglioramenti della vita dei cittadini ancora non si erano visti.

CAP. XIX – IL MOVIMENTO OPERAIO NELLA SECONDA META’ DELL’OTTOCENTO
Carlo Marx fonda la I Internazionale e si scontra con l’anarchico Bakunin
Nel 1864 nasceva l’Associazione internazionale dei lavoratori, ossia la I Internazionale. Marx voleva attraverso di essa coordinare i vari partiti e associazioni dei lavoratori. Vi aderirono operai di tutta l’Europa.
Marx ed Engels rifiutavano i metodi degli anarchici e per questo trovarono l’opposizione di Bakunin, un rivoluzionario anarchico russo.
Egli negava l’utilità dei partiti e riconosceva come mezzo efficace solo la ribellione. La sua predica non era rivolta solo agli operai, ma soprattutto agli oppressi in genere. Per questo ebbe tanto successo nei paesi arretrati.
Marx lottò molto contro Bakunin affermando, assieme ad Engels, la necessità di conquistare il potere politico, non distruggerlo.
Anche Mazzini entrò in tensione con Bakunin nel 1871: Bakunin uscì vincitore e il mazzinianesimo tramontò del tutto. Mazzini predicava uno Stato unitario, l’armonia delle classi, … cose che Bakunin negava assolutamente.
Il congresso dell’Aja del 1872 segnò la definitiva rottura delle due correnti, quella marxiana e quella bakuniana, i cui membri fondarono l’Internazionale anarchica.
Il congresso di Filadelfia, invece, segnò la fine della I Internazionale che non era riuscita a raggiungere il suo scopo.
Praticamente, il socialismo era molto diviso al suo interno.
In Europa si sviluppa il movimento socialista e viene fondata la II Internazionale
Dopo il 1860 in tutta Europa si vide il fiorire dei movimenti operai:
• INGHILTERRA: il cartismo era nato già dalla prima metà del XIX secolo ma era ancora saldo. Predicava il suffragio universale, diede più impulso alle Trade Unions (organizzazioni sindacali), migliorò le condizioni di vita degli operai.
Ma un vero Partito socialista si ebbe solo con la nascita del Partito laburista indipendente.
• GERMANIA: Lassalle fondò l’Associazione generale degli operai tedeschi, che fu il primo passo per la fondazione del Partito socialdemocratico, che in Germania sarà molto forte. Lassalle credeva nella lotta degli operai per conquistare lo stato e poi competere con i capitalisti.
• FRANCIA: la nuova linea di pensiero iniziò a Parigi dopo la sconfitta della Comune. Guesde fondò il Partito operaio rivoluzionario. Attraverso la disciplina il Partito avrebbe conquistato lo stato contro i capitalisti.
Ma il momento più importante per il socialismo francese è stato l’avvento di Jaurès, che unificò tutte le varie ramificazioni del Partito socialista in un unico schieramento compatto che chiedeva molte riforme sociali.
Nacquero partiti socialisti anche il Spagna, Belgio e Russia.
Tutti questi partiti socialisti avevano bisogno di una guida: nacque a Parigi nel 1889 la II Internazionale, dominata dai tedeschi. Tali partiti non dovevano fare accordi con i borghesi, lottare per migliorare le condizioni di lavoro. I contrasti ci furono naturalmente anche qui, riguardo alla pace e alla guerra. Lenin e altri dicevano che gli operai dovevano agire e poi conquistare il paese nel momento della crisi, mentre l’altra fazione sosteneva che si doveva entrare in guerra solo se c’era bisogno. Iniziava la rottura anche della II Internazionale.
In Italia, accanto ai movimenti internazionalisti, si afferma il Partito operaio
Nel 1872 nasceva in Italia la Federazione dell’ associazione internazionale dei lavoratori che si organizzò in gruppi divisi nelle regioni.
L’internazionalismo italiano era anarchico e per questo Bakunin cercò di sollevare una rivoluzione. Naturalmente Marx ed Engels criticavano il movimento italiano.
Poi Bakunin organizzò un’insurrezione ad Imola, presto sedata, ma presto altri esponenti del Partito, tra cui Clafiero, fecero insorgere i contadini del Matese con incendi e uso di armi da fuoco. Ma la polizia ebbe la meglio e l’Internazionale italiana fu dichiarata fuori legge.
Si avvertiva il bisogno di organizzare meglio i movimenti. Costa fondò il Partito socialista rivoluzionario delle Romagne e Gnocchi-Viani il Partito operaio italiano. Costa fu il primo socialista ad entrare nel Parlamento italiano.
Il Partito operaio si disinteressò della politica elettorale (al contrario del PS) e lottò per le rivendicazioni economiche e la libertà di sciopero; era antiborghese e contrario all’autoritarismo; era formato da soli veri operai.
Intanto, il capitalismo aveva cambiato la figura dell’operaio tradizionale: non si parlava più di operai specializzati, ma anche di contadini, di donne, di bambini. Si lottava non più per la classe operaia, ma per tutta la classe lavorativa. Gli operai in genere non erano più sul fondo della società, ma si organizzavano da soli in movimenti, senza bisogno del padrone della fabbrica.
Il Partito operaio venne proclamato illegale da Crispi, e quindi si dovette riunire clandestinamente.
Sorge con Turati il Partito socialista italiano
Filippo Turati era un avvocato borghese, molto colto. Sentì il bisogno di dare alle masse operaie una coscienza marxista e socialista, che puntava alla lotta di classe e non solo a migliorare le condizioni di lavoro.
In un congresso dei lavoratori, Turati riuscì a far cadere la linea anarchica e a fondare il Partito dei lavoratori e poi divenne Partito socialista dei lavoratori italiani. I lavoratori erano di ogni categoria.
Assieme a Turati era Anna Kuliscioff, russa, che lo accompagnò fino alla fine.
Il nuovo Partito ebbe successo, anche se si sviluppo’ più a Nord tra gli operai e i contadini. Ma questo non preoccupò i socialisti, che ritenevano i contadini del Sud dei sottosviluppati.
Si incominciano le prime teorie del problema sociale anche nel campo cattolico
I cattolici invece ritenevano che si potesse provare una convivenza di padroni e operai: all’operaio più conforto, al padrone l’incitazione ad essere più vicini agli operai. Questa idea era diffusa soprattutto in Piemonte.
Fu anche grazie all’Opera dei congressi che il problema operaio si diffuse in ambito cattolico. I cattolici intransigenti avevano comunque paura di una rivoluzione.
Gli intransigenti pensarono di agire concretamente attraverso delle organizzazioni sociali per aiutare il lavoratore.
In campo europeo nacque l’Unione internazionale per gli studi sociali.
Ma visto che i socialisti riscuotevano più successo e si credeva che i lavoratori si sarebbero allontanati dal cristianesimo, si eliminò il piano solidaristico. Toniolo, un sociologo, elaborò il Programma dei cattolici di fronte al socialismo: egli era convinto che la Chiesa dovesse riprendere i beni che le erano stati tolti con la formazione dell’Italia unita e consegnarli per la coltivazione ai proletari.
Papa Leone XIII affronta il problema sociale con l’Enciclica Rerum Novarum
Leone XIII scrisse a riguardo del problema sociale l’Enciclica Rerum Novarum, in cui accusava i ricchi di dimenticare la dignità dei poveri e di esasperare il capitalismo.
Egli non considerava il socialismo la fine dei problemi: è convinto che l’operaio debba prestar fede al contratto lavorativo, ma che i padroni debbano cambiare radicalmente il loro atteggiamento.
Nell’Enciclica, inoltre il Papa dichiarava legittime le associazioni degli operai. La Chiesa si stava ammodernando e questo riempì di entusiasmo tutti.
Dopo l’Enciclica il movimento sociale cattolico si riorganizzò, soprattutto grazie a Romolo Murri.

CAP. XX – L’AVVENTO AL POTERE DELLA SINISTRA ITALIANA
La sinistra va al potere e attua alcune significative riforme
Nel 1876 il governo Minghetti di Destra venne battuto (rivoluzione parlamentare). Agostino Depretis (1813-1887), ex mazziniano, fu chiamato da Vittorio Emanuale per cercare di dare una svolta alla situazione italiana.
In realtà Depretis non aveva un programma che rompeva definitivamente con il passato, ma era più aderente alla realtà politica e sociale del paese.
Il programma di Depretis comprendeva l’istruzione elementare obbligatoria, alcuni favori ai contadini, l’abolizione della tassa sul macinato e il suffragio universale maschile. Gran parte del programma venne realizzato, ma i problemi furono molti.
La Legge Coppino del 1877 che prevedeva l’istruzione elementare obbligatoria non fu del tutto attuabile perchè non c’erano le strutture.
Le concessioni ai contadini non furono fatte.
L’abolizione della tassa sul macinato (1880) portò all’emanazione di altre imposte equivalenti.
La riforma elettorale, invece, fece passare il numero degli elettori da 600.000 a due milioni e mezzo (esclusi dal voto gli analfabeti, i contadini e gli operai nullatenenti). Vennero fatte molte critiche a questa riforma, si diceva di aver dato in mano a chi non la sapeva usare un’arma pericolosa…
Sia pure con il trasformismo parlamentare, Depretis riuscì ad avvicinare di più lo stato alla società civile
Il problema del suffragio universale finì per preoccupare anche Depretis. Da questo timore nacque il trasformismo, cioè la ricerca di una maggioranza parlamentare di centro che non tenesse conto delle ideologie dei partiti ma cercasse il consenso dei singoli a seconda delle circostanze.
Il trasformismo servì a mantenere una forma di governo moderata laddove la voce operaia si faceva sempre più forte. Questo metodo parlamentare proseguì anche dopo la morte di Depretis e accolse comunque molte critiche da parte dei più estremisti.
Critiche infondate tuttavia, perché Depretis riuscì ad avvicinare con questo metodo lo stato alla società civile.
In politica estera, la sinistra liberale si avvicina all’Austria e alla Germania e l’Italia aderisce alla Triplice Alleanza
In questi anni si ebbe un’importante svolta in politica estera. Tutto iniziò quando la Francia conquistò la Tunisia, deludendo tutte le aspettative degli italiani che fino ad allora erano emigrati in parecchi là.
Non solo, ma si scoprì anche che l’Italia non aveva amici: dopo l’occupazione di Roma la Francia si era allontanata, l’Austria era nemica da sempre, la Santa Sede si sentiva prigioniera.
Bismarck ne approfittò: aveva paura che la Francia potesse trovare alleati contro la Germania (Russia), e così si alleò con l’Austria e con l’Italia, che così evitava l’isolamento. Veniva firmata a Vienna nel 1882 la Triplice alleanza, in prevenzione contro la Francia. La difesa da parte dell’Italia fu mantenuta segreta, perchè il re aveva la facoltà di nascondere alla Camera gli impegni dei trattati internazionali.
Francesco Crispi attua importanti riforme in politica estera
Presidente del Consiglio dopo Agostino Depretis fu Francesco Crispi (1887), un ex-garibaldino pieno di passione.
Subito attuò alcune riforme: la polizia e i prefetti avevano maggiori funzioni di controllo, vennero emesse diverse regole carcerarie e un nuovo codice penale (preparato dal ministro Zanardelli da cui prese il nome) che aboliva la pena di morte. Comunque, represse molti movimenti operai e della stessa sinistra.
Sembrò quasi che la Chiesa e lo Stato riuscissero a tornare in pace (era papa Leone XIII). Ma dato che la Chiesa non rinunciava al suo potere temporale, Crispi divenne fortemente anticlericale e fece erigere a Campo de’ Fiori il monumento a Giordano Bruno.
L’alleanza con la Germania era sempre più stretta e sempre più grave era il dissidio con la Francia. Quaado questa, per dispetto, aumentò le tasse doganali sui prodotti italiani, Crispi fece lo stesso e si innescò la guerra doganale, che colpì duramente l’economia italiana (che esportava molto in Francia) e aumentò l’emigrazione.
La politica di conquista coloniale di Crispi
L’aspetto più importante della politica di Crispi furono le sfortunate e pericolose imprese coloniali.
L’Italia aveva ampliato i suoi possedimenti coloniali sul mar Rosso ma non era riuscita a conquistare l’Etiopia, dove molti soldati italiani morirono. Menelik, il nuovo negus, firmò con l’Italia il trattato di Uccialli, con cui l’Etiopia diventava (secondo il parere italiano e non etiopico – e da qui i futuri contrasti) quasi un protettorato italiano.
Gli italiani conquistarono la colonia di Eritrea sul mar Rosso.
Lo scopo era per alcuni di rendere l’Eritrea una colonia di popolamento, per altri era una conquista militare. Crispi e Rossi (un industriale) avevano sempre sostenuto di non voler operare come la Francia in politica coloniale: non voelvano colonie militari, ma luoghi dove dar sbocco ai prodotti italiani.
La politica coloniale di Crispi era però troppo dispendiosa e ciò aumentò le critiche da parte di repubblicani e radicali. Inoltre in città si parlava di varie speculazioni edilizie che compromettevano anche il governo. Crispi volle dimettersi nel 1891.
Il primo ministero Giolitti affronta la rivolta dei Fasci siciliani e lo scandalo della Banca romana
Nel 1892 divenne presidente del Consiglio Giovanni Giolitti, un anti-Crispi, esponente della sinistra liberale ed esperto di questioni amministrative. Era il primo presidente a non aver mai preso parte alle lotte del Risorgimento.
Il primo problema da affrontare fu quello della crisi siciliana, dovuta soprattutto alla guerra doganale che aveva accresciuto il malcontento e reso instabili le condizioni di vita. Le associazioni operaie avevano assunto un’impronta socialista e a Catania erano stati creati i Fasci di lavoratori, a metà tra il mutuo soccorso e il sindacato. I Fasci non erano inquadrati politicamente, ma avevano una grande sete di giustizia sociale. Molti aderenti erano contadini.
Nel 1893 il movimento sfociò in un’insurrezione che scappò di mano agli organizzatori: fu appiccato fuoco agli uffici pubblici, ci furono scontri sanguinosi, …
Il re e le classi dirigenti chiedevano l’intervento di Giolitti, che era però convinto che tali scontri dovessero risolversi da soli e non con la forza dello Stato.
Di fronte alla riluttanza di Giolitti, il re lo fece dimettere. Oltretutto Giolitti era coinvolto nello scandalo della Banca romana: durante il ministero di Crispi era aumentata fortemente l’inflazione, era stata falsificata la contabilità, e simili cose. Si scoprì durante il ministero di Giolitti che molti rappresentanti del governo erano stati implicati in affari di corruzione e che proprio in quel periodo Giolitti era ministro del Tesoro e aveva suggerito l’elezione a senatore di uno dei più corrotti politici. Molti furono lieti delle sue dimissioni forzate per questo motivo, altri perché non sopportavano il suo atteggiamento poco deciso nella questione dei Fasci: infatti fu suo successore di nuovo Crispi “dal pugno di ferro”, anche se era implicato nello scandalo della Banca.
Crispi ritorna al potere, colpisce con azioni repressive il movimento operaio e va incontro al disastro di Adua
Crispi risolse la questione siciliana con la forza: molti cittadini furono privati del diritto di voto e il Partito socialista fu sciolto d’autorità.
Ristabilita la clama, Crispi si potè dedicare alla sua politica coloniale, che stavolta si rivelò un fallimento.
Egli aveva infatti stipulato un accordo con la Gran Bretagna per cui veniva riconosciuto all’Italia una specie di diritto di influenza sull’Etiopia, per cui si riteneva ormai padrone della colonia: in realtà ci fu un terribile scontro ad Adua (1896) in cui morirono 5000 italiani.
Crispi fu costretto a dimettersi. Felicissima la borghesia industriale del Nord, che dopo la crisi economica aveva bisogno di un periodo di pace. Tutta la regione ne fu lieta, tanto che si parla di uno “stato di Milano” contro Francesco Crispi.
Da allora cominciò il decollo industriale italiano.
Si tenta di soffocare le opposizioni socialiste e cattoliche con una politica autoritaria
Successore di Crispi fu il marchese Antonio Rudinì, che non perse tempo e stipulò col negus il trattato di Addis Abeba (1896) per la pace con l’Africa.
Rudinì era anticlericale e autoritario.
I socialisti e il movimento cattolico si facevano sempre più strada fra le masse.
I socialisti si erano riorganizzati (dopo Crispi) e nel 1895 avevano fondato il Partito socialista italiano, con il suo giornale “Avanti!”, guidato dall’ideologia di Turati.
I cattolici stavano creando la democrazia cristiana, di nuovo orientamento, anche se restava vivo il movimento cattolico intransigente dell’Opera dei congressi che si asteneva dalle votazioni.
Molti si preoccuparono di questi fermenti e loro portavoce fu Sidney Sonnino, un conservatore, che scrisse un articolo in cui chiedeva al re di riprendersi il potere che gli veniva a poco a poco tolto.
Rudinì capì: tenne sotto stretta sorveglianza le associazioni cattoliche e socialiste, sottolineando che i cattolici intransigenti erano i più pericolosi.
L’autoritarismo di Rudinì era una strada pericolosa, ma a quanto pare se ne rese conto solo Giolitti che passò all’opposizione.
Il XIX secolo termina con una grave crisi economica, con vasti tumulti e con l’uccisione del re Umberto I
Il 6 marzo 1898 accadde un fatto imprevisto: Macola, un crispino, uccise Cavallotti, famoso uomo politico radicale, che aveva combattuto molto per la democrazia. Il fatto scosse molto gli italiani.
Oltretutto era aumentata l’emigrazione, specie dal Sud, dove quelli che restavano spesso organizzavano insurrezioni. A Nord i socialisti e i repubblicani spingevano gli operai allo sciopero.
Il prezzo del grano salì in quell’anno in tutta Europa ma il governo non abolì subito il dazio sul grano, e quando lo fece era troppo tardi.
Nel 1898 scoppiarno dei moti in tutto il paese, specie a Milano. Il governo fece intervenire l’esercito e ancora oggi si ricorda l’azione del generale Bava Beccaris che prese a cannonate la folla. Subito dopo vennero arrestati esponenti di praticamente tutti i partiti, furono sciolti i sindacati, le associazioni cattoliche, sopressi giornali, molti personaggi politici importanti furono arrestati. Il re concesse a Bava Beccaris i massimi onori.
Il nuovo governo fu presieduto da Luigi Pelloux, che pensò di restringere il diritto di stampa e associazione, incontrando lo sfavore delle sinistre, che per la prima volta usarono la tattica dell’ostruzionismo, e anche dei democratici capeggiati da Giolitti.
Alle successive elezioni (1900) la maggioranza andò ai liberali-moderati, ma con numerosi seggi alla sinistra liberale.
Un anarchico uccise il re Umberto I, successore di Vittorio Emanuele II nel 1878, provocando lo sdegno di tutto il paese.
Il governo Zanardelli-Giolitti segnò l’inizio di una nuova politica che durò fino alla prima guerra mondiale, permettendo al paese di progredire sul piano economico e sociale.
CAP. XXII – I nuovi schieramenti internazionali: l’egemonia tedesca in Europa e la nascita della potenza USA
Con Otto von Bismarck la Prussia conquista la Germania e procede all’unificazione tedesca
Nel 1850 la Prussia aveva firmato gli accordi di Olmutz con i quali prometteva all’Austria di rinunciare ad un’unione federale tedesca con a capo la Prussia. Liberali e patrioti avevano sempre sentito come un’offesa questo accordo ed avevano da allora nutrito un forte odio verso l’Austria.
Fu Guglielmo I Hohenzollern che iniziò la rivincita prussiana (1861), nominando per prima cosa come collaboratore Ottone di Bismarck, contrario alla politica liberale. Era un uomo intelligente ma estremamente nervoso, spregiudicato benché religioso. Il suo obiettivo era quello di mantenere la potenza della Prussia e ingrandirne i confini, non con le parole, ma «col ferro e col fuoco». Non era per questo un amante della guerra, che scatenava solo dopo aver tentato tutte le vie diplomatiche possibili.
E poichè il Parlamento non gli dava i soldi per rafforzare l’esercito, egli fece a meno della sua approvazione e rafforzò l’esercito.
Per riuscire nella sua impresa era necessario che l’Austria non si impicciasse più degli affari prussiani. Bismarck ottenne la promessa da Napoleone III che non sarebbe intervenuto a fianco dell’Austria, ottenendo per questo Venezia. L’Italia fu alleata di Bismarck. La guerra fu rapidissima (1866 – un mese) e terminò con la battaglia di Sadowa, con molte vittorie prussiane e molte sconfitte italiane. Nella pace di Praga fu stabilito che tutti gli stati a Nord del fiume Meno e la Sassonia entrassero a far parte della Confederazione della Germania del Nord, mentre molti stati posero i propri eserciti sotto il comando prussiano.
A sorpresa Bismarck propose di eleggere un Parlamento nella Confederazione a suffragio universale, e a sorpresa i contrari al Parlamento della guerra furono sconfitti. Questo gesto, aggiunto alla guerra contro l’Austria, spaventò molto una parte dei conservatori, provocando perciò la frattura del Partito con la formazione di un nuovo Partito liberal conservatore a sostegno di Bismarck e di uno contrario.
Praticamente l’unione della Germania era fatta, scavalcando ogni principio morale, ogni regola, mentre le grandi potenze europee non governavano più nel segno del benessere e della giustizia, ma solo per i propri interessi. L’Europa era cambiata e si era aperta l’era del colonialismo, dell’economia spregiudicata e del capitalismo.
In politica interna Bismarck avversa socialdemocratici e cattolici, ma alla fine cerca l’appoggio del «Centro»
Questo è anche il periodo dell’espansione della grande industria e delle banche, con il completo abbandono della campagna.
I due settori erano molto legati e le industrie si svilupparono sotto il controllo delle banche. I gruppi industriali si accordavano riguardo ai prezzi e il mercato.
Ma nemmeno Bismarck si trovava più a suo agio: la Germania era cresciuta troppo in fretta ed ora era la più grande potenza economica e militare del continente.
Inevitabilmente con il progredire delle industrie la classe operaia si era organizzata ed erano nati nuovi partiti: il cattolico, o Centro, e la Socialdemocrazia, che si aggiungevano ai vecchi partiti borghesi (conservatore progressista e nazional liberale). Il potere era comunque ancora in mano agli Junker, i nobili amministratori, di cui faceva parte anche Bismarck, grandi proprietari fondiari.
Il leader del Centro era Ludwig Windhorst, grazie al quale il Centro si sviluppò molto: proprie associazioni, propri giornali, ... Era un partito di massa contrario alla spregiudicatezza di Bismarck. Erano quelli che avevano votato contro la Confederazione.
Bismarck scatenò contro il centro una lotta che egli stesso chiamò Kulturkampf, battaglia per la civiltà. Il Centro, essendo una forza filo papale, era infatti accusato di essere antistatale. Per questo Bismarck provvide a rendergli la vita difficile approvando numerose legge antiecclesiastiche. Ma il Centro non si indeboliva, al contrario.
E poi, improvvisamente, Bismarck si alleò con i cattolici. Perchè?
1) si accorse che non avrebbe mai distrutto il centro senza compromettere l’unità tedesca;
2) aveva bisogno di alleati per combattere il Partito socialdemocratico, unione delle tendenze marxiste e del socialismo di Lassalle (grandi associazioni per strappare allo Stato le riforme).
I socialdemocratici erano più pericolosi del Centro perchè non erano basati su un’organizzazione gerarchica e ordinata, quindi non sarebbero mai stati degli alleati.
Mentre combatteva i socialdemocratici e limitava la libertà di associazione, Ottone di Bismarck provvedette ad un’assicurazione obbligatoria contro malattie, infortuni, per i vecchi e gli invalidi, ma non fece nulla per lo sfruttamento nelle aziende.
I socialdemocratici resistettero e si rafforzarono.
La Francia scende in guerra contro la Prussia, ma Napoleone III viene sconfitto: in Germania nasce il Reich
La Francia non voleva restare a guardare l’ascesa prussiana senza fare niente: perciò Napoleone III tentò di stringere alleanza con l’Austria e l’Italia, ma l’Austria temeva l’ostilità dei principi a questa alleanza, e l’Italia si sarebbe mossa solo per ottenere la cessione di Roma, che Napoleone III non era affatto d’accordo a cedere.
Fu la Spagna che offrì l’occasione del conflitto. La vecchia regina aveva dovuto lasciare il trono e Bismarck aveva proposto che Leopoldo, del ramo cattolico della famiglia Hohenzollern (Guglielmo era protestante), salisse al trono al suo posto. Quando Leopoldo accetto, la Francia si vide minacciata e minacciò la Prussia se si fosse mantenuta tale candidatura.
Questo era il momento di attaccare la Prussia, per evitare che si rafforzasse. Al principe Leopoldo fu chiesto dalla Francia di rinunciare al trono, quindi l’ambasciatore Benedetti si recò ad Ems per far approvare la rinuncia a Guglielmo. Questi accettò, ma rifiutò la seconda richiesta di Benedetti di non permettere più la candidatura di Leopoldo.
Bismarck fu informato con un dispaccio, il dispaccio di Ems, e il re ne rese pubblico il contenuto. Ma il testo fu manipolato dal cancelliere in modo che i Prussiani si sentissero offesi dalle richieste dei Francesi.
Nel 1870 scoppiò la guerra da parte della Francia e in breve tempo Napoleone III fu fatto prigioniero (a Sedan) e venne proclamata la repubblica. Gambetta, ministro dell’Interno, proseguì la resistenza francese, mentre giungevano Garibaldi e le camicie rosse dall’Italia per aiutare la Francia. Sempre seguito da una folta schiera di volontari, Garibaldi riportò un magnifico successo a Digione, ma l’esito della guerra non cambiò per questo. Nemmeno un anno dopo la Francia era sconfitta.
Si riunì un’Assemblea nazionale che promosse un governo retto da Thiers, un tempo orleanista ed ora repubblicano. Con il trattato di Francoforte del 1871 la Francia cedeva alla Prussia l’Alsazia e la Lorena e pagava una forte somma di denaro, fomentando nei francesi la voglia di rivincita.
Intanto a Versailles Guglielmo I veniva proclamato imperatore di Germania e nasceva l’Impero federale germanico o Reich.
Tutte le altre potenze europee, stranamente, non erano intervenute, ma avevano osservato la caduta di Napoleone III. L’Italia aveva occupato Roma, nel frattempo. L’Austria si tenne in disparte. Thiers non ottenne un minimo di solidarietà per la Francia.
A Parigi la rivolta della Comune viene soffocata nel sangue
Nel 1871, a maggio, scoppiò a Parigi una rivolta contro Thiers, accusato di arrendevolezza nei confronti del nemico. Si andavano ad aggiungere allo scontento la guerra e le condizioni di miseria della popolazione.
Il nuovo movimento rivoluzionario era di stampo socialista: venne eletta un’Assemblea municipale, la Comune, che aveva le funzioni del governo. Della Comune facevano parte sia blanquisti (i sostenitori del Terrore) sia alcuni esponenti del proletariato: la Comune non fece l’errore che avevano fatto i movimenti socialisti in passato cercando di legarsi ai contadini.
Ma il movimento ebbe breve vita e fu presto soffocato: Thiers aveva radunato un esercito di ex prigionieri rilasciati dai Prussiani che avevano una terribile voglia di vendetta. Si scagliarono contro l’esercito rivoluzionario (i comunardi) massacrandolo.
Da allora i socialisti rivoluzionari furono chiamati petrolieri, a ricordo dei rivoltosi che avevano utilizzato il petrolio per provocare incendi. Comunque bisogna essere cauti sull’attribuire a questi rivoluzionari il termine «socialista»: come può essere tale un movimento che unì ogni ramo della popolazione proletaria, impreparato militarmente, travagliato da dissensi interni? Si può dire invece che il loro pensiero era di tipo premarxista, di Proudhon e Blanqui, e certamente il pensiero di Marx non ebbe alcuna influenza. Questo episodio divise coloro che assegnavano al termine “socialismo” un significato rivoluzionario e quelli che invece vi attribuivano solo un significato di rappresentanza di classi (Mazzini).
Durante il breve periodo in cui ebbero potere, i comunardi emanarono leggi sociali.
Nella Francia repubblicana aumenta l’influenza del Partito radicale
Thiers aveva dimostrato in questo modo che non c’era bisogno di una monarchia per tenere a bada le folle rivoluzionarie, ma cio era avvenuto anche grazie a Leòn Gambetta, che per evitare che cio accadesse aveva convinto i repubblicani a seguire una linea più moderata. Il contrario fece Mac Mahon, un generale, che tentò di spingere i clericali, i conservatori e le forze rurali a imporre un governo autoritario.
Nel 1875 venne emanata una costituzione che durò 65 anni, merito di Gambetta, che denunciò, come presidente della Camera, le trame dei conservatori. Ma la costituzione fu anche dovuta al rafforzamento del Partito radicale, che si appoggiava agli operai e ai sindacati. Il momento di più grave scontro tra le due fazioni (monarchici, conservatori e clericali da un lato, radicali e socialisti dall’altro) fu a proposito dell’affare Dreyfus. Alfred Dreyfus, ebreo, ufficiale dell’esercito, era stato accusato di aver consegnato ai Tedeschi documenti che interessavano la sicurezza nazionale. Fu deportato all’isola del Diavolo, ma Emile Zola scrisse a proposito una lettera al presidente della repubblica in cui si chiedeva la revisione del processo, poichè Dreyfus era innocente. Questa lettera divise il paese in due fazioni: i dreyfusardi (repubblicani, socialisti, radicali) e gli antidreyfusardi (clericali, monarchici, nazionalisti e antisemiti). Il risultato fu che Dreyfus fu riportato in patria ma ugualmente condannato a 10 anni di carcere, che comunque non scontò tutti perché fu graziato.
Intanto Leone XIII invitava i cattolici a smetterla e ad abbracciare la repubblica.
Nel 1902 i radicali salirono al potere e naturalmente repressero duramente i clericali.
Nell’Inghilterra della regina Vittoria viene attuata una notevole politica sociale
Durante il periodo del regno della regina Vittoria (1837-1901), i conservatori ritornarono al potere con Benjamin Disraeli, estendendo il dominio coloniale del paese.
Disraeli pensava che non fosse possibile che un paese come l’Inghilterra, dopo la rivoluzione industriale, dopo uno sviluppo portentoso e dopo il movimento operaio, continuasse ad essere governato dall’aristocrazia terriera con l’esclusione dei lavoratori. Così propose una legge che dava diritto di voto agli operai (esclusi i lavoratori agricoli).
Ma gli operai non ringraziarono Disraeli con il loro voto: la maggioranza fu del Partito liberale di William Gladstone, democratico, oratore non meno abile di Disraeli.
Gladstone soppresse la Chiesa di stato protestante irlandese, liquidando così alcuni beni ecclesiastici. Promosse una legge a favore di coloro che affittavano le case nell’ambito della questione agraria irlandese; riformò la scuola introducendo le scuole pubbliche sovvenzionate dallo stato e rendendo, nel 1880, obbligatoria l’istruzione elementare. Favorì il sistema dei concorsi per il lavoro (in modo da non favorire l’aristocrazia), riformò il sistema giudiziario e fiscale.
Ma, per una legge che limitava le libertà di azione degli operai durante gli scioperi, Gladstone fu sconfitto.
Disraeli tornò al potere e bloccò la recinzione delle terre comunali, favorendo l’industria.
In politica estera, Disraeli applicò una politica filo turca e anti-Russia: aveva paura della potenza della Russia, che ora stava cercando di salvare i cristiani dei Balcani dalla dominazione turca. Stanchi di questa politica di Disraeli che li faceva guardare di mal occhi da tutti i paesi, gli inglesi rivotarono Gladstone, che concesse il voto anche ai lavoratori agricoli ed ai minatori (esclusi fino ad allora perchè risiedevano fuori dai borghi). Ma Gladstone si battè per l’autonomia piena dell’Irlanda, senza incontrare il favore degli elettori.
Il suo Partito si divise addirittura in due parti, di cui gli unionisti, contrari all’autonomia irlandese, si allearono con i conservatori.
Così unionisti e conservatori tornarono al potere e continuarono la politica coloniale.
La regina Vittoria morì e la successe Edoardo VII.
L’egemonia conservatrice finì per l’opposizione del Partito laburista alleato con i liberali che iniziarono una legislazione sociale senza precedenti.
Il congresso di Berlino crea in Europa un nuovo equilibrio di potenze imperniato sulla Germania
Bismarck aveva cercato di fondare la sicurezza del suo Reich sulla base di un’alleanza di tre grandi monarchie continentali, l’Impero tedesco, quello austro-ungarico e quello russo, attraverso l’intesa dei Tre imperatori (1873). Ma questa alleanza fu turbata dalla crisi balcanica del 1876: Bosnia, Erzegovina, Bulgari e Serbi si sollevarono contro l’oppressione turca, con l’aiuto dello zar Alessandro II. Questi vinse i turchi e le sue condizioni di pace posero praticamente tutta l’Europa balcanica sotto l’influenza russa.
Austria e Bretagna erano molto indignate. Bismarck convocò a proposito il congresso di Berlino (1878). Inghilterra e Francia si erano impegnate tempo prima a garantire l’integrità della Turchia e infatti erano intervenute al suo fianco. Alla fine del congresso la Russia vedeva molto ridimensionate le sue pretese, l’Impero austro-ungarico e la Bretagna ottenevano vantaggi nell’ Europa balcanica.
In tutto questo l’alleanza su cui si era basata la sicurezza del Reich era stata compromessa e Bismarck doveva preoccuparsi di ristabilirla e cercare comunque di non attirare il rancore russo per aver convocato il congresso.
Tutto l’equilibrio europeo girava attorno alla Germania. Ci furono 34 anni di pace dopo questo congresso.
Nella Russia degli zar vengono attuate timide riforme
In Russia era forte la diffidenza per gli ideali liberali europei e gli zar facevano di tutto per combatterli. Lo zar Nicola I rafforzò il controllo della polizia sulla vita morale, culturale e civile dei cittadini, approvò la censura, limitò la vita universitaria e la ricerca perché voleva che il popolo continuasse a credere nella religione e nella monarchia. Comunque provò ad abolire la servitù della gleba e varò la riforma agraria.
I dati riguardanti la popolazione russa sono allarmanti: nel 1815, su 45 milioni di abitanti, 21 milioni erano servi della gleba e oltre 15 milioni contadini di proprietà dello stato o dello zar.
Con molte incertezze Nicola approvò l’industrializzazione: temeva che gli operai sarebbero stati poco controllabili. Alla fine del 1860 c’erano mezzo milione di operai.
L’abolizione della servitù della gleba (1861) fu sotto Alessandro II, anche se le condizioni erano dure: il contadino poteva riscattare dal padrone parte della terra che lavorava, ma ad un alto prezzo. La comunità rurale (mir) era la garante dei diritti dei contadini.
Alessandro II creò anche delle assemblee provinciali (zemstov) formate per tre quarti da nobili e un quarto contadini e borghesi. Grazie a queste assemblee vennero fatti molti progressi, quali l’istituzione delle scuole e l’assistenza medica nelle campagne.
Alessandro II rinnovò anche il sistema giudiziario avvicinandolo ai modelli occidentali, ed in generale attenuò le tensioni che aveva creato Nicola I (meno censura, più spazio alla ricerca, …). Si leggevano più libri e quotidiani.
Ma un attentato allo zar fece frenare questa politica di riforme. Allo zar successe il figlio Alessandro III, che annullò molte riforme paterne.
Si tornò ad un clima oscurantista e di paura.
CAP. I – L’ETA’ DELL’IMPERIALISMO
Ragioni economiche e politiche spinsero le maggiori potenze alla conquista di colonie
Il termine imperialismo indica la rinnovata forza espansiva che alla fine del XIX secolo rivelarono alcuni grandi Stati europei e, in seguito, extraeuropei (Stati Uniti e Giappone).
Questa espansione ebbe soprattutto caratteristiche economiche, in seguito alla Rivoluzione industriale, ma anche politiche (competitività ed aggressività fra gli stati).
Molti studiosi si interessarono al fenomeno dell’imperialismo. Tra i tanti Hobson fu il primo che capì che tra le cause dell’imperialismo era il bisogno degli stati di investire al di fuori dei propri confini i capitali eccedenti. Chi però sviluppò questa tesi più di tutti fu Lenin nell’opera L’imperialismo, stadio supremo del capitalismo. Secondo Lenin le cause principali dell’imperialismo furono:
1) la concentrazione della produzione del capitale che crea monopoli;
2) la fusione di capitale bancario e industriale (capitale finanziario) che aveva formato un’oligarchia finanziaria;
3) la maggiore importanza dell’esportazione di capitali rispetto a quella di merci;
4) il sorgere di associazioni monopolistiche internazionali di capitalisti che si ripartiscono il mondo;
5) la ripartizione della terra fra le grandi potenze capitalistiche.
Questa oligarchia, secondo Lenin, imponeva la sua volontà su ogni campo. Le banche diventavano potentissime per il capitale che avevano a disposizione, la pressione dei monopoli obbligava all’esportazione di capitali. L’imperialismo era la fase suprema del capitalismo, diceva Lenin, e ad esso seguiva necessariamente una guerra, per le condizioni di ineguaglianza in cui esso si sviluppava: in Germania si richiedevano territori e mercati che non erano disponibili, per cui le richiesta erano soddisfatte solo con la minaccia della guerra. Imperialismo e guerra mondiale erano le tappe fatali del capitalismo (pensiero coerente a Marx).
Per altri non era possibile porre sullo stesso piano il problema morale e quello dello sviluppo economico. Secondo Schumpeter la tendenza di gruppi umani a dominarne altri era una costante della storia e non colpa del capitalismo.
La tesi di Lenin sembrava verosimile, eppure non ebbe riscontri nell’analisi economica degli anni dal 1880 al 1914 in cui si vedeva che c’era stata una fioritura delle piccole e medie imprese a discapito delle grandi società per azioni, mentre sarebbe dovuto succedere il contrario. E nemmeno risulta che la prima guerra mondiale sia figlia del capitalismo.
La smentita di queste tesi non toglie alla validità della definizione di imperialismo come l’espressione della politica di espansione delle grandi potenze per il controllo, il dominio delle terre coloniali e l’accaparramento delle risorse energetiche.
Il dominio delle terre coloniali fu una delle forme più appariscenti dell’imperialismo. Fino a quel momento il commercio britannico era il più forte, ma lo sviluppo di Germania, Francia, Stati Uniti e Giappone mise a repentaglio il suo sistema. Dopo un breve periodo di scambi commerciali basati sul libero scambio in tuta l’Europa, tutti gli Stati commerciali, a partire dal 1879, adottarono misure protezionistiche per difendere i propri mercati: i prezzi erano calati enormemente dopo l’invasione dei prodotti americani, dove era stata superata la crisi post-secessione.
Al nazionalismo politico si affianca il nazionalismo economico (protezione dell’economia come di una patria), che spinse gli stati a ripartirsi i domini coloniali (la Gran Bretagna fu costretta ad accettare).
La politica coloniale è imposta soprattutto a quegli stati che hanno bisogno dell’emigrazione per la povertà, a chi ha un sovrappiù di capitali, a chi ha eccedenza di prodotti, a chi ha bisogno di esportazione.
Le potenze europee estendono il loro dominio in Africa
Dopo il 1880 l’espansione coloniale europea nel mondo acquistò dimensioni spaventose. Le cause non sempre erano di ricerca di fonti energetiche, ma anche di prestigio e carattere strategico. Dopo il 1894 si uniscono alla corsa anche Stati Uniti e Giappone.
Il continente africano fu la meta prediletta dei colonizzatori. Le coste erano state tutte colonizzate ad occidente da Francesi, Portoghesi, Spagnoli e Inglesi.
Questi ultimi si erano spinti anche a Sud, dove avevano preso possesso della Colonia del Capo e del Natal, una volta possedimento olandese (che ora erano andati altrove in Africa).
I Portoghesi avevano anche il Mozambico (Oceano Indiano), quindi chiedevano da tempo che i loro possedimenti si estendessero per tutta la fascia equatoriale fino all’Angola senza interruzioni.
Dalla parte del mar Rosso, i Francesi si erano installati a Obock, gli Italiani ad Assab e gli Inglesi a Zeila.
Dopo il1880 mutò il tipo di insediamento in Africa. Venti anni prima il re del Belgio Leopoldo II aveva fondato l’Africa International Society allo scopo di promuovere attività esploratrici, civilizzatrici e missionarie in Congo (attuale Zaire). In realtà gli scopi erano affaristici, perché credeva in questo modo di poter fondare colonie belghe raggirando gli altri Stati.
Ma gli altri Stato gli rubarono l’idea e pensarono di cominciare tutti ad espandersi verso l’interno, pretendendo che fosse riconosciuto il possesso di una colonia sono dopo l’effettiva presa di possesso della stessa.
I Tedeschi, che si vedevano sfavorevolmente distanziati dalla gara, si diedero molto da fare: ottennero il Togo (attuale Golfo di Guinea), l’Africa sud-occidentale e l’Africa orientale tra i laghi Tanganica a Vittoria. Per questo Bismarck richiese la convocazione a Berlino di una conferenza che riunì 12 rappresentanti di paesi europei più gli Stati Uniti e il Giappone. La conferenza definì le rispettive zone d’influenza delle nazioni in Africa e riconobbe a Leopoldo II lo Stato libero del Congo, a cui però avevano accesso commerciale tutte le nazioni.
L’espansione in Africa provoca contrasti fra le potenze europee
Un secondo fatto mutò le caratteristiche della colonizzazione africana: nel 1882 scoppiarono dei disordini ad Alessandria e l’Inghilterra intervenne colonizzando l’Egitto. La Francia, che tradizionalmente aveva influenza sull’Egitto, protestò contro questa presa di potere, anche se aveva rifiutato di portare aiuto ad Alessandria quando questa glielo aveva chiesto. Si apriva così un forte dissidio fra Francia e Inghilterra.
Gli Inglesi, in seguito ad una sollevazione delle popolazioni del Sudan guidate dai Dervisci, una setta religiosa, furono costretti ad evacuare il Sudan e Khartum.
Alle preoccupazioni economiche che seguivano, l’Inghilterra dovette preoccuparsi anche dell’interesse dell’opinione pubblica per l’Africa. Infatti si era costituita la British South Africa Company che controllava i territori tra Angola e Mozambico. Fondatore fu Cecil Rhodes, il cui scopo era di unificare la striscia di terreno che andava da Città del Capo al Cairo. Questo progetto incontrava l’opposizione di tedeschi ed Inglesi. Questi ultimi infatti volevano unificare i propri territori dall’Atlantico al mar Rosso e il progetto inglese non lo permetteva.
La situazione peggiorò nel 1898 quando una colonna francese che attraversava il Sudan in mano ai Dervisci per stabilire contatti con i possedimenti sul mar Rosso incontrò una colonna inglese che marciava verso l’alto Sudan. Di fronte all’ostinazione inglese i francesi preferirono ritirarsi che far scoppiare una guerra. Dopo tale fatto il governo britannico decise di riconquistare il Sudan: i Dervisci persero definitivamente. L’accordo franco-inglese del 1899 segnava la fine delle tensioni e delle mire francesi a quella zona.
Per quanto riguarda l’espansione tedesca, l’Inghilterra riuscì a contenerla bene. Rhodes, che desiderava impadronirsi delle miniere del Transvaal, tentò un colpo di mano ma no ci riuscì. La Germania, che aveva investito molto in quelle miniere, protestò energicamente.
Ma la Gran Bretagna riuscì a far firmare ai Tedeschi un accordo segreto nel quale le due potenze si dividevano l’Angola e il Mozambico, approfittando delle gravi condizioni economiche del Portogallo (che possedeva queste colonie). La lettera non ebbe conseguenze, ma assicurò alla Gran Bretagna la neutralità tedesca nella guerra contro i Boeri per il Transvaal. Alla fine i Boeri cedettero e il loro territori fu unito nell’Unione Sudafricana, unita all’Inghilterra economicamente e politicamente (anche se godeva di autogoverno).
Si sviluppa la rivalità anglo-tedesca per la supremazia mondiale
Inghilterra, Francia e Belgio avevano il dominio sui migliori territori dell’Africa. In Germania dunque, che si era accontentata delle briciole, era molto lo scontento. Nel 1894 veinva fondata in Germania una lega pangermanista con un programma imperialista: far crescere una popolazione fortemente patriottica, aiutare le imprese tedesche, basare l’energia tedesca sulla forza in Europa e oltremare, rafforzare (soprattutto) i domini coloniali.
In questo periodo ,sia in Germania che in Inghilterra, nasce l’idea che l’una o l’altra nazione era destinata, per superiorità di cultura o di razza, ad avere la supremazia sul resto del mondo.
In Gran Bretagna si diffonde il “Daily Mail”, un giornale di stampoi imperialista. Dal 1889, poi, l’Inghilterra aveva adottato il principio del “two-power standard”, secondo il quale la sua flòotta non sarebbe mai dovuta essere inferiore a quelle di Francia e Russia unite.
Intanto, dopo aver tentato innumerevoli volte un’accordo con i Tedeschi, gli Inglesi capirono che con quelli non c’era niente da fare e ci rinunciarono.
Tenace assertore della politica del “two-power standard” in Germania fu Alfred von Tirpitz, ministro della Marina. Egli non pensò mai di raggiungere il numero di navi dell’Inghilterra, ma di creare una flotta temibile che equalgliase se non il numero almeno la forza della flotta inglese. Si delineava così chiaramente l’antagonismo anglo-tedesco
La Deutsche Bank riuscì ad ottenere la concessione da parte del sultano di Costantinopoli per la costruzione della ferrovia Bosforo-Baghdad (1903), a dispetto di:
- Inglesi, che temevano il suo arrivo sul golfo Persico;
- Francesi, i maggiori creditori della Sublime Porta;
- Russi, che non si rallegravano del rafforzamento dei turchi.
Nasce l’imperialismo americano che si esprime principalmente con la penetrazione economica nell’America latina
All’inizio del secolo i prodotti americani avevano già spopolato sui mercati europei e le forze economiche statunitensi premevano sul governo affinchè gli desse maggiori sbocchi rompendo l’isolazionismo che aveva caratterizzato quel periodo.
All’interno dell’organizzazione economica americana si formarono grandi cartelli finanziari, con alla testa personaggi come Rockfeller, re del petrolio, o Morgan, magnate della finanza. In ogni caso il libero mercato er ancora forte.
Anche l’America seguì la via imperialistica, ma con caratteri diversi dalla colonizzazione europea: le motivazioni non erano espansionistiche, ma volte a favorire l’esuberanza del nuovo mercato, a trovare nuove fonti energetiche, …
Theodore Roosevelt, repubblicano, divenne Presidente degli USA nel 1901 (per 8 anni). In politica estera Roosevelt favorì lo sviluppo del mercato. Seguì sempre la dottrina di Monroe (l’Europa non si deve impicciare negli affari americani) e sviluppò il controllo economico-politico degli USA sul Sud America. Si estese sul Pacifico e in Estremo Oriente, al modo degli Europei.
Per legittimare il controllo sul Sud America egli lesse la dottrina di Monroe e vi aggiunse un “corollario2 in cui diceva che gli USA sovevano intervenire ogni qual volta uno stato americano si fosse trovato incapace di garantire l’inoclumità personale e la sicurezza dei beni dei cittadini statunitensi.
Specialmente colpite nel Sud America furono le regioni dei centro, in cui gli Stati Uniti nonesercitavano un dominoo diretto, ma si limitavano alla penetrazione economica, garantendo questa penetrazione con la fusione di potere e forze locali (anche se talvolta si ricorse alle insurrezioni e all’intervento militare).
Per quanto riguarda il pacifico e l’Estremo oriente, gli USA ottennero le Hawaii e parte delle Samoa, poi Guam e le Filippine. Era cominciata in Estremo oriente la penetrazione commerciale, che si esplicò con la costruzione di una flotta apposta per il Pacifico e con l’intervento di Roosevelt per evitare lo smembramento della Cina e per arginare la forza del Giappone (così gli USA SI imponevano come mediatori nel conflitto russo-giapponese).
La costruzione del canale di Panama fu molto importante. Gli Stati Uniti volevano garantirsi il controllo sul canale ed iniziarono trattative con la Colombia, inglese. Dato che la situazione non cambiava, agenti statunitensi istigarono alla ribvolta i Colombiani cche, appena indipendenti, vendettero le due rive del canale agli Americani. L’opera fu maestosa.
Wilson affronta la soluzione del problema sociale negli Stati Uniti
Durante la presidenza di Roosevelt si acuirono le tensioni interne e i dibattiti sullo strapotere della finanza.
Due grandi partiti condussero una lotta a favore delle riforme sociali e contro l’imperialismo: il democratico e il repubblicano (William J.Bryan e Robert La Follette). In occasione delle elezioni presidenziali del 1912, i progrressisit di La Follette si staccarono dal gruppo per sostenere la candidatura autonoma di Roosevelt. Fu una mossa sbagliata: vinsero i democratici con Woodrow Wilson.
Fu la vittoria della battaglia dei porgressisti: Wilson promosse delle riforme a favore degli operai, istituì un Ministero del Lavoro, ocntrolli sulle banche e aveva simpatica per il Sud e gli agricoltori. Attraverso una legge anti-trust dichiarò illegale qualsiasi monopolio industriale o commerciale che danneggiasse la libera concorrenza. Fu esteso anche alla donna il diritto elettorale.
La penetrazione europea prepara la modernizzazione dell’Asia
Per molto tempo la storia dell’Asia fu vista sotto un aspetto decisamente eurocentrico: l’Asia evava cominciato a vivere nel momento in cui vi si erano stabiliti i primi insediamenti europei. L’Asia entrava nella storia come prolungaento della storia europea.
Da questa visione si passò a quella completamente opposta: l’Asia viosse, nel periodo dell’insediamento europeo, un periodi di decadenza. Eccessi, sia da una parte che dall’altra.
La nascita dell’Asia moderna non va vista dunque come il prodotto puro della penetrazione europea, ma come storia del conflitto tra la mentalità, la cultura, le leggi europee che spingono all’espansione coloniale e le strutture tradizionali asiatiche, completamente diverse da quelle europee.
La politica di penetrazione economica europea in Cina si ispirava al principio del profitto scontrandosi con l’ideale di vita confuciano
Per capire bene la storia della Cina, poiché non è possibile analizzarla tutta, è necessario fare un’analisi delle differenze che intercorrono tra gli USA e la Cina:
• la superficie è la stessa, ma la Cina ha una popolazione che supera il miliardo di abitanti, 4 volte quella degli USA, sebbene le terre coltivabili siano la metà.
• la continuità della civiltà cinese nello stesso spazio: la civiltà occidentale ha vosto lo spostarsi sempre verso ovest dei suoi centri culturali: Atene, Roma, Madrid, Parigi, Londra, New York. In Cina, invece, il centor della politica e culturale si è spostato solo di pochi km (ultimo Pechino). Il uoghi che hanno visto lo svolgersi di 4000 anni di storia cinese sono molto vicini fra loro e questo mostr ail carattere tradizionalista e resistente al cambiamento della Cina, al contrario di quello che avviene in Europa in cui la ricerca di autonomie e libertà è costante.
• fu fondamentale per la nascita della mentalità europea la concorrenza provocata dal commercio via acqua. Mentre a questo in Europa seguiva la Rivoluzione industriale, la Cina era ancora una società burocratico-agraria (anche se una forte fioritura era avvenuta ai tempi del Medioevo), fondata su una burocrazia colta e fedele al confucianesimo, che difficilmente avrebbe camibato modo di pensare.
• la politica di penetrazione europea si ispirava allla ricerca del profitto e della prosperità; la politica economica cinese era legata alla conservazione dell’ideale di vita confuciano che garantiva a tutti i mezzi necessari alla sopravvivenza a seconda del rango, quindi disdegnava il commercio europeo. Il cinese si accontantava di una vita semplice.
Anche quando le idee europee penetrarono nel sistema cinese, soprattutto negli ambienti borghesi, questi, invece di esaltare il capitalismo, presero consapevolezza della propria forza e si rivolsero contro l’imperialismo delle grandi potenze europee, le quali, pur di mantenere i propri privilegi, si appoggiarono alle forze più retrograde (linea contraddittoria perfettamente coerente con l’imperialismo).
Oltre a ciò anche gli ideali confuciani, che vedevano nel commercio un’attività parassitaria che esaltava l’imposizione fiscale e la truffa, e che consideravano al massimo gradino dei valori la solidarietà familiare (per cui ogni possibile attività commerciale doveva servire per il sostentamento della famiglia), furono di ostacolo alla modernizzazione.
Dunque il periodo della modernizzazione e della penetrazione eurpoea fu per la Cina molto difficile.
Le potenze europee dividono la Cina in sfere d’influenza
Agli inizi del XIX secolo si sentivano già in Cina gli effetti della penetrazione europea, quando il commercio con l’Inghilterra si fece più importante. L’Inghilterra importava il tè, ma contemporaneamente era aumentata l’esportazione verso la Cina dei prodotti della colonia dell’India, di propietà inglese, per cui la bilancia si era equilibrata. Fra i prodotti che la Cina importava era l’oppio, anche se era stato fatto un divieto a riguardo. Cosiì era iniziata la guerra dell’Oppio (1840-42) tra Cina e Inghilterra, che si concluse con il trattato i Nachino: gli Inglesi ottenevano Hong-Kong e venivano aperti 5 porti con precedenza e facilitazioni doganali per gli inglesi.
Il colpo più duro all’impero di Manciù fu rappresentato dalla rivolta dei Tai p’ing (1849-1864), il cui capo era Hang Hsiuch’iian. Costui si dichairava fratello di Gesù Cristo e predicava un cristianesimo misto a confucianesimo, buddismo e taoismo. Le sue prediche toccarono il cuore di milioni di contadini stremati dalle tasse e dalla miseria. Nel 1851 Hnag fondò una nuova dianstia, il Regno celeste della grande pace, di cui si proclamò re. Il suo programma consisteva in una specie di comunismo, con la nazionalizzazione della terra e la sua coltivazione a benficio di tutta la comunità.
La repressione della rivolta costò la vita a 20 milioni di cinesi. In segiuto si intensificarono i rapporti tra Cina e Inghilterra, che chiedeva sempre maggiori privilegi. Secondo la mentalità confuciana gli occidentali erano barbari, ma avevano delle armi e tecniche militari che i cinesi non conoscevano. Per preservare la società confuciana dalla penetrazione occidentale era necessario adottare le loro stesse tecniche.
L’espansionismo giapponese in Asia segue l’esempio europeo
In Giappone l’arrivo degli europei provocò effetti diversi dalla Cina. L’adeguamento si basò sullo sfruttamento delle classi più povere e arrivò alla forte concentrazione industriale e finanziaria in cartelli.
In dochi anni il Giappone occupò le isole Bonin, Riu-Kiu, Kurili e imoponendo il protettorato alla Corea.
Ai giovani veniva inculcato un forte sentimento nazionale, basato sulla devozione ala dinastia e il senso di superiorità nei confronti dello straniero. I soldati dovevano obbedienza assoluta ai superiori e dovevano avere vita frugale. Venne organizzato così un esercito e una flotta.
Anche il Gaippone era desideroso di spingersi oltre, e il suo interesse fu indirizzato verso il continete asiatico, ricco di riso e di minerali.
In seguito ad un conflitto tra l’Impero cinese e quello del Sol lvante (Giappoine), la Cina fu costretta a cedere Formosa, le isole Pescadores e la penisola di Liao Tung, nonché a concedere l’indipendenza alla Corea.
A questo punto Russia e Francia intervennero e imposero che il Giappone rivedesse le trattative di pace con la Cina e restituisse la penisola di Liao-Tung. Fu così che la Russia cominciò ad insidiere la supremazia inglese.
Nel 1896, attraverso un trattato con la Cina, la Russia otteneva, in cambio dell’aiuto contro un eventuale attacco giapponese, l’autorizzazione a proseguire la costruzione della ferrovia transiberiana in territorio cinese.
La rivalità anglo-russa giunse a tal punto che le due fecero a gara per concedere un prestito alla Cina! Dopo un vano tentativo inglese di dividere la Cina in due grandi sfere di influenza, ciascuna delle due potenze decise di fare di testa propria. Fu così che la Russia ottenne l’affitto per 25 anni di una parte della penisola di Kuang-tung (a nord del golfo di Pechili) e l’Inghilterra di una parte della penisola dello Shan-tung (a sud del golfo di Pechili). Questo processo è detto “break-up of Cina” e attraverso esso l’indipendenza politica dell’Impero cinese era annullata.
Allo stesso modo la Germania otteneva la baia di Kiao-Ciau, con il permesso di cotruire ferrovie e di sfruttare le miniere nella penisola dello Shan-tung. Anche la Francia ottenne il permesso di costruire ferrovie in territorio cinese e gli venne affittato un porto. Gli Stati Uniti d’America protestarono contro questa politica invocando il proncipio della porta aperta.
Tutti questi privilegi e concessioni rivelavano però la fragilità dell’impero mancese, aciuta dal confronto tra la situazione della Cina e quella del vicino Giappone. I tentativi cinesi di promuovere riforme cercando di mantenere intatti i valori tradizionali fallirono.
Quanto fossero radicati certi pregiudizi è dimostrato dalla rivolta dei Boxer (1899-1900), mopvimento xenofobo e anti-missionario che univa diseredati, contadini poveri, ex-soldati, che adducevano ai “barbari” la causa dei propri mali. La rivolta fu repressa con l’arrivo di Russi, Inglesi, Francesi, Americani, Italiani e Giapponesi.
Dopo la guerra russo-giapponese, contro la Triplice alleanza si forma la Triplice intesa
Dopo la spedizione contro i Boxer, alcune truppe russe rimasero in Manciuria nonostante le proteste cinesi. Le iniziative commerciali russe piacevano alla Corea. Ai Russi fu concessa una vasta zona forestale a sud del fiume Yalu, suscitando le appensioni dei Giapponesi. Insomma, i Russi spopolavano.
A causa delle tensioni che si crearono per questo fra Russia e Giappone scoppiò la guerra russo-giapponese, in cui i Russi vennero aspramente sconfitti e dovettero rinunciare alla penisola di Laio-Tung, a Port Arthur, evacuare la Manciuria e riconoscere gli “interessi speciali” del Giappone sulla Corea.
La Gran Bretagna naturalmente trasse vantaggio dalla disfatta russa. Il ministro degli esteri russo, Izwolsky, sosteneva il bosogno di una maggiore presenza russa in Europa equindi un rafforzamento dell’alleanza franco-russa. Stessa opinione aveva Edward Grey, segretario di Stato agli esteri inglese, che non poteva sostenere un’alleanza con la Francia e contemporaneamente essere in guerra con la Russia. Si formava così la Triplice intesa tra Francia, Inghilterra e Russia, in opposizione alla Triplice alleanza di Italia, Austria-Ungheria e Germania.
Nel 1908 l’Austria-Ungheria si faceva annettere la Bosnia-Erzegovina e la Russia non potè controbbattere perché era ancora fresca della sconfitta contro il Giappone. Non potè ORA.
La corsa per la conquista delle fonti energetiche nel mondo conduce alla formazione delle grandi compagnie petrolifere
L’imperialismo si basa sulla corsa per la conquista delle fonti energetiche.
Gas naturali e petrolio non furono scoperti nel XIX secolo, ma fu allora che si scoprì come adoperarli.
In America si pensò che il petrolio potesse servire per l’illuminazione eche potesse essere estratto dal terreno. Il primo a perforare il terreno in cerca di petrolio fu Edwin Drake, nel 1859 a Ttusville, in Pennsylvania. Il petrolio uscì dal pozzo senza cadere a terra. Da quel giorno cominciò la storia dell’industria petrolifera, una storia molto tormentata.
Al principio il petrolio fu utilizzato per l’illuminazione al posto del’olio di balena. Fu la’americana Standard oil di Rockfeller a diffondere le lampade a cherosene (prodotto dalla distillazione del petrolio), che si diffusero in tutto il mondo, dalle classi più elevate a quelle più povere.
La diffusione delle lampade a cherosene pose il problema del trasporto del liquido. La Standard oil inventò un bidone da 5 galloni che poteva portare il petrolio anche nei luoghi caldi. Anche i bidoni si diffusero ovunque: in Africa venivano usati anche come materiale da costruzione, e già in america era nata la figura del venditore ambulante di cherosene, che riempiva la tua botte da una cisterna ambulante.
Nel decennio seguente le piccole società petrolifere prosperarono. Ma con il passare del tempo, per evitare l’instabilità dovuta alla concorrenza sfrenata, alcune società si unirono per controllare meglio il mercato. Nacquero così i trust petroliferi, tra cui la Standard oil company of Ohio, la Standard oil of New Gersey e la Gulf.
Venne inventata la benzina. Nel 1905 Henry Ford lanciò il suo modello T per le automobili, a produzione di massa. Furono create raffinerie, perfezionati itrasporti sia per mare che per terra. I colossi americani si scontrarono con quelli degli altri stati: la Royal Dutch-Shell anglo-olandese e l’Anglo-persian oil company limited, che divenne l’Anglo-Iranian per trasformarsi nell’attuale British petroleum.
Crescevano i luoghi per la ricerca del petrolio e ci fu una vera corsa per lòa conquista delle fonti petrolifere fino al 1928, quando i trust di tutto il mondo si accordarono al Achnacarry per darsi una regolata. Con questo accordo si mirava ad eguagliare il prezzo di consegna del petrolio grezzo in ogni parte del mondo.
Fino alla seconda guerra mondiale le compagnie petrolifere furono avvantaggiate dal fatto che potevano ottenere direttamente da alcuni principi locali i diritti (royalties) per lo sfruttamento del petrolio nel Medio e Vicino oriente. Questo era possibile solo alle grandi potenze, mentre i paesi sottosviluppati non riuscirono a partecxipare alla corsa per il petrolio e rimasero tali.
Altro fattore importantissimo fu lo sviluppo della siderurgia, dovuta alla produzione dell’acciaio, che mano a mano si perfezionava.
L’invenzione di batterie e generatori consentì di pordurre energia elettrica su larga scala. L’energia elettrica fu trasformata in meccanica.
Nel 1887, utilizzando le scoperte di Faraday sull’elettromagnetismo, Hertz scoprì le onde dette hertziane, che consentirono a Guglielmo Marconi la trasmissione a distanza dei segnali Morse.
Furono importanti anche i progressi dell’industria chimica.
Alla fine del XIX secolo l’uomo aveva a disposizione un’immensa (rispetto alla precedente) quantità di energia. Il lavoro aveva subito un profondo cambiamento passando da manuale a meccanico. In passato l’artigiano segiuva la lavorazione dall’inizio alla fine, ora le fasi del lavoro erano tutte nettamente separate e ogni operario era specializzato in una sola di esse.
CAP. II – L’età giolittiana
Con Giolitti al potere, lo stato italiano non è più il difensore degli interessi padronali
Il 3 novembre 1903 salì alla presidenza del Consiglio Giovanni Giolitti (un tempo cacciato dallo scandalo della Banca Romana), piemontese. Nel 1901 Zanardelli lo aveva richiamato come ministro dell’Interno, e poi aveva raggiunto questa posizione.
Grazie a Giolitti cambiarono completamente i rapporti tra stato e masse lavoratrici, anche per l’apporto umano che questi vi inserì. Lo stato infatti per Giolitti deve essere un giudice sereno, conciliatore.
Quando, nel 1901, erano scoppiati degli scioperi
nel Nord Italia, egli mise alla prova il suo sistema e non fece intervenire le forze dello stato. Naturalmente, oltre alla visione umanitaria, Giolitti sperava in questo modo di avere maggiori consensi. Per mostrarsi più liberale, chiese addirittura a Turati di entrare nel governo. Questi rifiutò, ma Giolitti si era assicurato l’appoggio di tutti i socialisti turatiani.
Giolitti ha legato il suo nome a una ininterrotta serie di riforme sociali
In Sardegna nel 1904 ci furono le più gravi manifestazioni e la forza pubblica intervenne contro i dimostranti. Subito dopo i Socialisti proclamarono lo sciopero generale. Borghesi e moderati, preoccupati, chiedevano l’intervento dello stato. Ma Giolitti resistette e, per allentare la tensione, sciolse le Camere e indisse nuove elezioni con lo slogan “Né rivoluzione, né reazione”. Le elezioni diedero ragione a Giolitti (1904). Vi parteciparono, per la prima volta dopo molto tempo, anche i cattolici, perché Pio X aeva parzialmente abrogato il non-expedit.
Il programma di riforme di Giolitti fu vastissimo: provvedimenti a tutela della vecchi e dell’invalidità, del riposo festivo, degli infortuni sul lavoro, del lavoro delle donne e dei bambini. Costituì il Commissariato per l’emigrazione e il Consiglio superiore del lavoro.
Nel decennio giolittiano si assiste a una vera e propria “Rivoluzione industriale” italiana
Sul piano economico Giolitti volle stimolare le industrie e salvaguardare il bilancio dello stato, nel quale si ebbero anche dei momenti di attivo.
Il periodo giolittiano conobbe una vera e propria “Rivoluzione industriale”: le industrie manifatturiere raddoppiarono, quelle metallurgica e meccanica triplicarono.
Ci fu una breve crisi nel 1907 in cui la concorrenza tedescadivenne molto pericolosa, ma venne superata senza problemi.
Sorse l’industria automobilistica, prima la Fiat a Torino. Forte incremento anche per la produzione di energia elettrica e per le grandi banche (Credito italiano, Banca di Roma, …).
Calò il peso dell’agricoltura sull’economia del paese e il grano rimase la coltura principale, anche se la barbabietola da zucchero ebbe un forte incremento.
Purtroppo la vita in campagna non ebbe miglioramenti e numerose erano le lotte contadine. Per questo nel meridione cresceva il fenomeno dell’emigrazione, rivolto specialmente verso l’America.
Gli esponenti del meridionalismo italiano condussero una severa opposizione al regime giolittiano
Grazie ad abili giochi, Giolitti riuscì ad attirare verso il suo governo, a seconda dei bisogni, differenti fazioni politiche: socialisti, cattolici, radicali, … Era nato un nuovo tipo di trasformismo politico, molto mal visto soprattutto da alcuni meridionalisti, che sostenevano che Giolitti seguisse una politica economica protezionistica e filoindustriale a danno del Meridione.
Per la Destra, Sidney Sonnino e Luigi Albertini, direttore del “Corriere della Sera”, criticarono aspramente Giolitti.
La tacita intesa Giolitti-Turati favorì i progressi sociali ed economici del proletariato
Durante le elezioni del 1901 la corrente riformista del Partito socialista (quella che aveva a capo Turati e che credeva in un programma di riforme graduali a vantaggio dei lavoratori) aveva dato il suo favore alla Sinistra di Giolitti.
Turati, aiutato da Anna Kuliscioff (che lo influenzò moltissimo), favorì la mossa del Partito che doveva approfittare di questo presidente per attuare il maggior numero di riforme per i lavoratori.
Mentre però Turati predicava l’unità del Partito socialista, questo si divise in vari filoni. Da destra si sviluppò il filone revisionista, che voleva una revisione delle dottrine di Marx. Da sinistra invece crebbe la corrente massimalista, che mirava alla conquista rivoluzionaria del potere, e quella dei sindacalisti rivoluzionari, che predicavano lo sciopero generale come arma necessaria.
Nel 1908 finalmente Turati riuscì a riprendere le redini del Partito grazie anche alla Confederazione generale del lavoro (CGL), un sindacato che riuniva le Camere del lavoro e le Leghe contadine.
Ma l’aspetto più importante nel socialismo italiano di questo periodo resta la tacita intesa Giolitti-Turati, che favorì i progressi economici e sociali del proletariato, ma solo di quello del Nord. In questo modo si vedeva il socialismo come un evento possibile senza rivoluzione all’interno della società borghese. In realtà le forze borghesi si stavano voltando verso altre linee più sicure per i loro interessi…
Viene fondata la “Democrazia cristiana” e i cattolici partecipano alla vita pubblica, anche se Giolitti non riconoscerà mai il loro ruolo
Negli ultimi anni dell’800 si sviluppò all’interno del movimento cattolico un movimento chiamato Democrazia cristiana, fondato dai giovani cattolici. Il programma del Partito era più o meno questo: referendum, diritto di iniziativa popolare, il decentramento amministrativo, riforma tributaria basata sulla giustizia, l’allargamento del suffragio universale e altri.
Alla testa del movimento era un giovane prete, Romolo Murri. Anche papa Leone XIII approvò il movimento, che si diffuse ovunque, specialmente in Sicilia grazie a don Luigi Sturzo.
Purtroppo gli intransigenti che facevano parte dell’Opera dei Congressi misero i bastoni fra le ruote ai cristiano-democratici. Poi, con l’avvento di Pio X che voleva sottomettere tutti all’autorità papale, venne addirittura sciolta l’Opera, perché sembrava che i giovani del Partito avessero la meglio sugli intransigenti, e fu divisa in tre Unioni: popolare, elettorale ed economico-sociale, direttamente dipendenti dall’autorità ecclesiastica.
Il movimento democratico cristiano non ebbe molto successo, invece. Venne fondato un nuovo Partito (Lega democratica nazionale), ma pochi lo seguirono.
Si ebbe in questi anni la prima partecipazione dei cattolici alle elezioni politiche, autorizzata da Pio X. Era basata sulla formula del clerico-moderatismo, cioè i cattolici appoggiavano i candidati liberali moderati. Le continue elezioni erano volute da Giolitti per disorganizzare il movimento cattolico, favorendo le alleanze, appunto, fra cattolici e liberali. Per la prima volta alcuni cattolici entrarono alla Camera.
Contemporaneamente, don Luigi Sturzo gettava (in un discorso a Caltagirone) le basi per un nuovo Partito cattolico: un Partito laico, che accettava l’unità, fondato sui principi del cristianesimo ma autonomo dalla Chiesa. I cattolici dovevano cominciare a crearsi una propria coscienza autonoma.
Si sviluppò anche un movimento sindacale di ispirazione cattolica, guidato da Guido Miglioli che organizzò, fra l’altro, le Leghe contadine (o bianche), attraverso le quali voleva avvicinarsi al mondo contadino.
In politica estera Giolitti procede alla conquista della Libia
L’Italia, dopo la sconfitta di Adua, sentiva il bisogno di staccarsi dalla Triplice Alleanza per avere maggiori libertà di movimento.
Per questo il ministro degli Esteri italiano Visconti Venosta credette giusto riavvicinarsi alla Francia ponendo fine alla guerra doganale fra i due paesi (accordo commerciale italo-francese).
Oltretutto, l’Italia aveva bisogno che la Francia gli assicurasse di non voler estendere la sua influenza sulla Tripolitania, italiana. In cambio, ci impegnavamo a non opporci ad un’azione francese in Marocco.
Per quanto riguarda la Triplice, gli italiani si sentivano sempre più isolati dagli affari di Austria e Russia, che decidevano tutto da sole. Così, quando al momento del rinnovo dell’alleanza l’Italia si rese maggiormente conto della sua posizione subalterna, decise di avvicinarsi ancora di più alla Francia. Oltretutto il nuovo re, Vittorio Emanuele III, gli mostrava grande simpatia.
Con un accordo segreto (1902), l’Italia si impegnava a restare neutrale nel caso di una guerra franco-tedesca, anche se si fosse trattato di un attacco diretto (quindi in disaccordo con i patti della Triplice).
In questo modo l’Italia si preparava il campo per la conquista della Libia, turca. Molto vagamente, l’Italia aeva cominicato la penetrazione economica e commerciale in Libia, ma aveva finito con l’insospettire il governo turco che l’aveva biocottata.
Quando nel 1911 scoppiò il conflitto franco-tedesco che doveva terminare con la conquista del Marocco da parte della Francia, l’Italia ritenne che fosse giunto il momento di rivendicare le sue pretese, appoggiata da una forte campagna di stampa. I giornali cattolici dicevano che appoggiavano la conquista perché volevano “farsi perdonare” per la lunga opposizione all’unità, i nazionalisti perchè l’Italia doveva assumere maggior prestigio, molti perché dipingevano la Libia come un paese ricchissimo. I socialisti, preoccupati che Giolitti vedendo la loro opposizione non concedesse più il promesso suffragio universale, diedero il loro consenso.
Inizialmente insicuro, Giolitti si convinse di dover cogliere l’opportunità.
Con un ultimatum (settembre 1911) l’Italia intimò il governo turco, accusato di boicoittarla, a concedere l’occupazione. La Turchia rifiutò l’occupazione ma si mostrò disposta ad altre concessioni. L’Italia non si ritenne soddisfatta e dichiarò guerra.
Fu un disastro: non solo la resistenza fu fortissima, ma tutta la stampa estera, preoccupata che l’azione italiana potesse danneggiare l’equilibrio dei Balcani, le si schierò contro. Per uscire dalla difficile situazione l’Italia avrebbe dovuto colpire i punti vitali della Turchia per farla cedere, ma riuscì solo ad occupare il Dodecaneso. Con la pace di Losanna del 1912 Italia e Turchia tornarono in pace: noi ottenevamo la Libia e la Turchia che la religione libica fosse rispettata. In seguito, l’Italia soggiogò completamente la Libia.
Le conseguenze della guerra libica in Turchia e nei Balcani
La conquista della Libia mostrò la debolezza della Turchia. Una nuova organizzazione, i Giovani Turchi, costrinsero il sultano a concedere la costituzione.
All’interno questo movimento era profondamente diviso fra serbi, bulgari e greci.
Bulgaria e Serbia prima, e Bulgaria e Grecia poi firmarono un trattato di alleanza in cui il sovrano russo avrebbe dovuto fare da giudice in caso di rivalità.
Subito iniziarono le guerre balcaniche: la prima contro la Turchia che doveva rinunciare poraticamente a atutti i territori europei; la seconda riguardo alla spartizione della Macedonia, in cui la Russia non riuscì ad operare una mediazione.
Con il trattato di Bucarest (1913) Serbi e Greci ottenevano gran parte della Macedonia.
Si trastta sdi un punto molto importante,m perché mostra come l’Austria e più direttamente la Russia non siano più in grado di controllare i movimenti nei Balcani.
In Italia si diffonde il nazionalismo e il sistema giolittiano va in crisi
Il movimento nazionalista si sviluppa all’inizio del secolo, subito dopo la guerra di Libia, e si rivolge contro la noia, il giolittismo, il socialismo, la democrazia. Con il passare del tempo queste tendenze si accentuarono grazie al colonialismo e all’imperialismo.
Si sviluppa una corrente culturale priva di interesse per il sociale, ma solo rivolta a sogni di grandezza: basta pensare a D’Annunzio e Marinetti. Da queste persone la guerra era vista come un bene, un modo di affermarsi e di uscire dalla noia.
Senza fare apposta, Giolitti aveva posto le basi per la fine del suo governo, mentre in Italia si delineava già quello spirito che avrebbe portato all’intervento nella prima guerra mondiale.
Per quanto riguarda il socialismo, il riformismo era stato sconfitto e vincevanon i massimalisti, accentuando le divisioni interne.
Nonostante l’appoggio dei cattolici con il partito Gentiloni, Giolitti è costretto ad abbandonare il potere
Prima di addandonare il potere, Giolitti introdusse il monopolio delle assicurazioni (per salvaguardare i risparmiatori dai frequenti fallimenti delle società di assicurazione) e il suffragio universale maschile per i maggiorenni (per gli analfabeti solo dopo i 30 anni). Ora votavano più di otto milioni di persone.
Naturalmente questo incredibile aumento dei votanti portò non pochi problemi alla prassi elettorale, specialemtne per i cattolici che tenevano all’unità d’azione e non volevano lasciare le masse a votare allo sbaraglio. Da questo nacque il patto Gentiloni dal nome di Ottorino Gentiloni, presidente dell’Unione elettorale cattolica: un candidato che avesse voluto ricevere i voti dei cattolici doveva sottoscrivere sette punti programmatici.
Molti candidati giolittiani ne usufruirono. La stragrande maggioranza dei candidati fu eletta dai cattolici eiuniti in massa e per questo, trattandosi specialemnte di giolittiani, il governo fu accusato di aver trattato con il Vaticano.
Ma ormai l’età giolittiana era finita e il vecchio presidente si trovò stretto nella morsa della sinistra e della destra.
Suo successore fu Antonio Salandra (1914).
Durante il suo govenro, ci fu una manifestazione in cui la polizia sparò sulla folla: il paese fu agitato nei giorni successivi da molti tumulti, che in Romagan e nelle Marche furono chiamati settimana rossa. La sinistra socialista era guidata da Mussolini, anche se il movimento era più che altro anarchico. Fu assente nel Mezziogiorno.
CAP. III – La prima guerra mondiale
Alla vigilia della guerra erano forti i contrasti fra le nazioni europee
Dal 1905 l’Europa era stata scossa da una forte crisi nei rapporti fra le varie potenze:
1. il contrasto anglo-tedesco: l’Inghilterra era la più forte potenza navale, industriale e coloniale del mondo e per questo non sopportava la concorrenza della Germania di Gugliemo II che voleva la supremazia in Europa;
2. il contrasto russo-austriaco: la Russia voleva espandersi, come l’Austria, nella penisola balca-
nica. L’Austria era aiutata dalla Germania, che voleva a sua volta costruire una grossa ferrovia che attraversava quel territorio.
3. Il contrasto franco-tedesco: dal 1870 (sconfitta di Napoleone III) la Francia non aveva rinunciato all’idea di vendicarsi nei confronti della Germania e di riconquistare l’Alsazia e la Lorena. Altra fonte di attrito era la questione del Marocco, che la Francia, d’accordo con gli Inglesi, voleva sotto il suo protettorato. Ma anche la Germania aveva lo stesso desiderio e per due volte si rischiò la guerra. Dopo il congresso di Algeciras, la Francia ottenne (con l’appoggio di tutti) il protettorato del Marocco e la Germania un po’ del Congo francese.
Visti gli schieramenti, Francia, Inghilterra e Russia finitrono con lo stipulare un’alleanza, la Triplice intesa, nel 1914. Le tensioni, comunque, avevano causato per tutti un’affannosa corsa agli armamenti.
Il terreno su cui scoppierà la guerra sarà quello dei balcani. In Serbia erano infatti attivi gli irredentisti slavi, cosa che faceva temere all’Austria per l’integrità del suo regno.
La mobilitazione genrale fu la grande novità della prima guerra mondiale
Il 28 giugno 1914 a Sarajevo l’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo, erede al trono d’Austria, fu vittima di un attentato da parte di uno studente bosniaco, Princip.
L’Austria, arrabbiatissima, mandò (appoggiata dalla Germania) alla Serbia un ultimatum in cui chiedeva di stroncare ogni movimento irredentista e di permettere a dei funzionari austriaci di indagare sull’attentato. La Serbia si disse disposta a discutere ma non accettava l’ultimatum. Per questo il 28 luglio l’Austria dichiarò guerra alla Serbia.
Non pensava naturalmente che questo avrebbe scatenato l'’ntervento di tutte le forze europee, che non conoscevano guerra dal congresso di Berlino (1878).
Il 30 luglio la Russia proclamò la mobilitazione generale a sostegno della Serbia e fu seguita dalla Francia che scendeva in campo in virtù del patto stretto con la Russia.
Per lo stesso motivo il 1° agosto la Germania dichiarò guerra a Francia e Russia e, per entrare meglio in Francia, invase il Belgio, che era territorio neutro.
L’Inghilterra rimase indignata da questo fatto e il 5 agosto dichiarò guerra ai Tedeschi.
Italia e Romania erano per ora neutrali.
In genere le questioni di poco conto come quella per cui era scoppiata la guerra venivano risolte in breve con delle minacce, ma stavolta la Serbia non aveva chinato la testa e i governi si trovarono travolti dalle loro stesse trappole e sistemi di alleanze per la pace.
La grande novità di questa guerra fu la mobilitazione generale: si riunì una massa enorme di popolazione per combattere e tutte le strutture amministrative, economiche e sociali mutarono in funzione della guerra. Nacquero nuove mentalità e nuove esigenze.
Molti, comunque, credevano che la guerra si sarebbe risolta in poco tempo.
Dalla iniziale guerra di movimento si passa alla guerra di trincea
Per quanto riguarda l’organizzazione militare, bisogna dire che gli imperi centrali avevano una maggiore potenza, mentre quelli dell’Intesa un maggior numero di soldati. L’Intesa, poi, era geograficamente avvantaggiata.
Per quanto riguarda il fronte occidentale, le cose si svolsero in questo modo: per tutte le ragioni appena dette, la Germania pensò di sfruttare la sua potenza e la lentezza organizzativa di Russia e Inghilterra e optò per delle azioni rapidissime che avrebbero rotto il cerchio nel quale era rinchiusa. Bisognava cominciare ad attaccare la Francia dal Belgio mentre l’Austria invadeva la Serbia (11 agosto).
A questa fase della guerra si dà il nome di guerra di movimento.
Ma il Belgio resistette all’avanzata tedesca, stancando molto l’esercito, che però riuscì a proseguire sempre più stanco ma rapidissimo.
Nel frattempo i Francesi attaccarono la Germania e furono duramente sconfitti a Verdun, in cui persero i migliori uomini dell’esercito.
I Tedeschi, superata la frontiera, arrivarono alla Marna puntando verso Parigi. Ma sul fiume trovarono una forte resistenza (francesi e inglesi) che li costrinse ad arretrare.
Era fallito il tentativo di una guerra di movimento da parte della Germania, ed era iniziata la fase della guerra di trincea (quasi 800 km), in cui morirono circa 500.000 uomini inutilmente.
Intanto l’Inghilterra aveva istituito un blocco continentale sul mare per impedire i rifornimenti degli stati centrali. Come risposta la Germania iniziò una guerra sottomarina, in cui silurò anche navi passeggeri, come la Lusitana, piena di Americani.
Sul fronte orientale, il 2 maggio le truppe austro-tedesche occuparono la Polonia e le province baltiche occidentali.
Anche la Turchia era entrata a far parte del conflitto (31 ottobre 1914) a fianco degli imperi centrali, bloccando così la via marittima per il Mar Nero.
L’Italia, dopo un’accesa polemica fra neutralisti e interventisti, scende in guerra a fianco dell’Intesa
Nel momento in cui scoppiò la guerra era al governo Salandra. Anche se inizialmente tutti sembravano d’accordo per la neutralità, ben presto si sviluppò una polemica tra neutralisti e interventisti. Neutralisti furono i socialisti, i cattolici e i liberali giolittiani. Interventisti furono i repubblicani, i socialriformisti, i liberali conservatori, i nazionalisti e i sindacalisti rivoluzionari.
I socialisti erano neutrali per la loro tradizione pacifista. Il neutralismo dei socialisti si riflesse anche su operai e contadini.
I cattolici erano neutrali per principio, e così anche le parrocchie, i parroci, e via dicendo.
Giolitti e i giolittiani erano convinti che l’Italia potesse ottenere ciò che voleva solo con la diplomazia. Inoltre sapevano che la nostra preparazione militare era scarsa e la struttura economica debole.
Per gli interventisti, i nazionalisti furono il gruppo più convinto, guidati da Gabriele D’Annunzio, che d’apprima volevano allearsi con gli imperi centrali, poi cambiarono idea per seguire l’opinione pubblica.
I repubblicani e i socialisti riformisti diedero il via alla corrente dell’interventismo democratico, che vedeva nella guerra la possibilità di portare a compimento il Risorgimento italiano e combattere contro l’autoritarismo e l’imperialismo delle potenze centrali. In realtà, schierandosi con l’Intesa, si schieravano anche a fianco della più grande potenza assolutista: la Russia.
Per i sindacalisti rivoluzionari la guerra avrebbe portato ad una soluzione rivoluzionaria (interventismo rivoluzionario). Tra loro si trovava anche Mussolini, Direttore dell’ ”Avanti!”, che inizialmente aveva polemizzato contro la guerra, poi aveva preso posizioni completamente opposte ed estremiste (alla D’Annunzio).
Tra i liberali conservatori si trovava anche Salandra: egli credeva che fosse necessaria una “piccola guerra egoistica”, cioè una guerra solo contro l’Austria per ottenere il Trentino.
Quindi si tentò un dialogo con l’Austria, che inizialmente rifiutò, ma poi cambiò idea. Solo che a quel punto l’Italia aveva già stipulato un accordo con l’Intesa (patto di Londra – 26 aprile 1915): l’Italia entrava in guerra entro un mese e otteneva il Trentino, l’Alto Adige, Trieste, ed altre località.
Ma il Parlamento era in gran parte neutralista (infatti il patto era stato stipulato in segreto) e per imporre la volontà su tutti, gli interventisti operarono un vero e proprio ricatto morale. Dopo le “radiose giornate di maggio”, in cui gli interventisti organizzarono numerose dimostrazioni, la Camera, spaventata, votò pieni poteri al governo.
Il 24 maggio 1915 veniva dichirata guerra all’Austria.
Sul fronte italiano, dopo due anni di guerra, si verificano episodi di insofferenza e tentativi di diserzione
Il generale Cadorna ebbe il comando dell’esercito.
Riuscì a guidarlo in breve fino all’Isonzo, ma lì incontrò la dura resistenza austriaca. Ci furono 4 battaglie molto lunghe, che stremarono l’esercito italiano.
Tutti credevano di poter combattere ancora con i metodi ottocenteschi, quindi si trovarono svantaggiati. Inoltre la maggior parte dell’esercito era formanto da contadini , che non sentivano né capivano la guerra.
All’inizio del 1916 l’Austria tentò di distruggere l’esercito italiano con una spedizione punitiva (Strafexpedition), in modo da rafforzare altri fronti “più importanti”. Ma il generale austriaco Conrad non ebbe l’aiuto tedesco e i soldati italiani si dimostrarono coraggiosissimi e caparbi. Purtroppo l’Austria riuscì ad avanzare fino all’altopiano di Asiago, anche se con molte difficoltà. Alla fine l’altopiano fu sgombrato e l’Italia ottenne Gorizia.
Nel frattempo era caduto il governo Salandra, che fu sostituito da Boselli, che dichiarò guerra (agosto 1916) anche alla Germania.
Con l’arrivo dell’inverno si moltiplicarono i tentativi di diserzione.
Verdun e Somme: due inutili e sanguinose offensive sul fronte occidentale
Cosa succede intanto sul fronte occidentale? I Tedeschi volevano scatenare un’offensiva contro Verdun, fortezza francese alla quale questi erano molto legati. Benchè non fosse un punto strategico importante, i francesi combatterono molto per non perderla (12/2 – 15/12 1916), vincendo. Si calcola che in questa battaglia morirono più di 500.000 soldati.
Galvanizzati per la vittoria, i Francesi (assieme agli Inglesi) attaccarono i Tedeschi sul fiume Somme. Più che il limitato successo, questa battaglia è importante perché qui per la prima volta vennero usati i carri armati.
I tentativi per far cessare “l’inutile strage” rimangono senza esito
Entrambe le parti, ormai, volevano ritornare alla pace. Specialmente Carlo I (Austria), che temeva per la dinastia asburgica.
Approfittando della migliore situazione militare, gli Imperi centrali tentarono delle trattative di pace. Ma l’Intesa non accettò, e riconobbe nell’atto degli Imperi centrali una mossa propagandistica per far cadere la responsabilità della prosecuzione della guerra sull’Intesa.
Anche il papa Benedetto XV faceva continuamente appelli alla pace, ma inutilmente.
Nel 1917 in Russia scoppia la rivoluzione e crolla il regime zarista
Nel 1914 l’80% della popolazione russa era formata da contadini. Per sfamare la popolazione in costante aumento la Russia avrebbe dovuto importare grano, e invece ne esportava il 50%. Per questo, stanchi e affamati, i contadini si ribellavano molto spesso.
Gli operai avevano salari bassissimi e spesso erano pagati in natura. Per di più a volte le paghe erano ridotte del 40% per indisciplina sul lavoro.
Un ristretto gruppo di famiglie costituiva l’oligarchia finanziaria e controllava le industrie.
Lo zar Nicola II governava dispoticamente e aveva alle sue dipendenze un corpo di polizia spietato. Inoltre la corte subiva l’influenza di un monaco diabolico, Rasputin.
Ma col nuovo secolo i partiti si organizzarono. Si affermò tra i borghesi democratici il Partito costituzionale democratico (o dei Cadetti), mentre il vecchio movimento populista divenne Partito dei socialisti rivoluzionari. Ma il partito più popolare era il Partito socialdemocratico russo, diviso in due correnti:
- menscevica (minoranza), che credeva in una politica riformista e lottava contro lo zar. Suoi capi erano Martov e Pletchanov;
- bolscevica (maggioranza), con a capo Lenin, che voleva raggiungere il potere con ogni mezzo e credeva nell’idea di un partito-guida, accentrato ed elitario. Accanto a Lenin troviamo Trotzkij, ideatore della teoria della “rivoluzione permanente”.
Fu lo scoppio della prima guerra mondiale (con la crisi psicologica per le sconfitte e la crisi economica) a dare a Lenin la possibilità di attuare la sua rivoluzione per abbattere lo zar.
I moti del febbraio 1917 videro scioperi, saccheggi, operai e soldati uniti per la prima volta, la nascita di numerosi soviet (che univano il movimento organizzato a quello spontaneo).
Nicola II abdicò in favore del figlio Michele, il quale non ebbe il coraggio di reggere la situazione: venne formato un governo provvisorio con a capo Kerensky, un socialista menscevico.
Lenin si impadronisce del potere e firma la pace con i Tedeschi
Lenin, che fino ad allora si era dovuto rifugiare in Svizzera, riuscì a tornare a Pietroburgo, dove pronunciò il suo primo discorso al proletariato.
Il giorno dopo espose le cosiddette tesi del 4 aprile, con cui chiedeva al proletariato di abbattere il governo provvisorio, affidare tutto il potere ai soviet e passare dalla rivoluzione borghese a quella socialista. Promise che il Partito bolscevico sarebbe diventato Partito comunista.
I menscevici (al potere) non erano affatto d’accordo, ma Lenin credeva che il continuo logoramento della guerra avrebbe portato alla realizzazione del suo programma.
L’esercito russo, in realtà, si stava sfaldando: anche i soldati avevano sentito le promesse di Lenin e volevano tornare in Russia.
Il governo provvisorio, intanto, aveva fronteggiato una nuova rivoluzione bolscevica che nasceva nelle campagne. Cogliendo la siituazione, il 12 ottobre Lenin costituì un comitato militare rivoluzionario con a capo Trotzkij e di cui faceva parte anche Stalin: il comitato occupò i punti chiave della città e accerchiò il Palazzo d’inverno. I ministri che vi si trovavano furono arrestati e fu istituito un nuovo governo la cui presidenza spettò a Lenin.
Ecco i nuovi provvedimenti:
- abolizione della proprietà privata (che i soviet dovevano distribuire ai lavoratori);
- fabbriche sotto il controllo degli operai;
- istituzione di tribunali del popolo;
- banche nazionalizzate;
- Chiesa separata dallo Stato;
- forte limitazione della libertà di stampa.
Nel luglio 1918 venne proclamata la Repubblica socialista federativa sovietica. Al nuovo regime si opposero la borghesia, i nobili e i menscevici. Per difendere i frutti della sua rivoluzione, Lenin costituì una Commissione straordinaria (Ceka) che doveva lottare tenacemente contro ogni tentativo insurrezionale: nacque così il terrore rosso. In risposta, le forze del vecchio regime instaurarono il terrore bianco.
Tra il 16 e il 17 luglio 1918 lo zar e la sua famiglia vennero fucilati.
Per attuare il più presto possibile il suo programma, Lenin liquidò la questione della guerra e firmò l’armistizio di Brest Litovsk (dicembre 1917) con i Tedeschi, a delle condizioni pessime per la Russia.
Gli Stati Uniti d’America intervengono nella guerra
Queste notizie, che passavano di bocca in bocca, animavano le speranze di pace e numerosi furono gli scioperi.
Oltre che per la situazione russa, il 1917 fu un anno importante perché segnò l’ingresso in guerra degli Stati Uniti (6 aprile). In quel momento era presidente Thomas Wilson. I motivi furono molteplici: innanzitutto la campagna sottomarina della Germania che aveva ripetutamente attaccato le navi americane, poi la simpatia tra USA e Inghilterra e poi il fatto che una vittoria tedesca avrebbe compromesso gli interessi americani nel Mediterraneo e nel Medio Oriente.
Inizialmente l’entrata in guerra degli USA fu importante soprattutto per il fattore psicologico ed economico.
Contemporaneamente anche la Grecia era entrata nel conflitto contro la Germania.
Sul fronte italiano, dopo la ritirata di Caporetto, si riesce a risollevare il morale dell’eser-cito
Durante il 1917 le forze austro-tedesche concentrarono tutti i loro sforzi sul fronte italiano. A ottobre si ebbe la famosa ritirata di Caporetto a seguito dell’attacco degli Imperi centrali. L’Italia perse 400.000 uomini.
Di chi erano le responsabilità? Dei soldati ammutinati, della propaganda pacifista dei socialisti, dei cattolici che seguivano le proposte di pace del papa. Soprattutto furono i contrasti tra il generale Cadorna ed altri generali che resero possibile tale disfatta. Ad esempio Badoglio dette in ritardo l’ordine dell’apertura del fuoco! Contribuirono anche il morale basso delle truppe e le notizie insurrezionali che venivano dalla Russia che creavano un clima di attesa: i soldati credevano che da un momento all’altro sarebbe finita la guerra e non avevano più voglia di combattere. Molti si ritirarono durante la battaglia di Caporetto proprio perché volevano tornarsene a casa.
Comunque, l’esercito si ricompose e creò una linea difensiva sul Piave dove gli Austro-Tedeschi furono fermati.
Al debole governo Boselli si sostituì quello Orlando, che galvanizzò le energie del paese. Anche i socialisti diedero una mano.
Fatto decisivo fu l’esonero di Cadorna dal comando dell’esercito. Suo successore fu Armando Diaz, uomo comprensivo, il quale promise che al termine della guerra i contadini avrebbero avuto la terra, ci sarebbero state delle riforme sociali e dunque migliori condizioni di vita. Così i soldati avevano un interesse a combattere.
Nel 1918 si verifica il crollo degli Imperi centrali: la prima guerra mondiale è finita
Nel 1918 si ebbe la fine della guerra. Gli Imperi centrali tentarono con un ultimo sforzo di piegare gli Alleati sul fronte occidentale e italiano, ma grazie anche agli americani non ci riuscirono.
Il generale Diaz guidò la battaglia di Vittorio Veneto, che si concluse con la disfatta austriaca. L’Austria allora firmò l’armistizio di Villa Giusti e l’Italia conquistava Trento e Trieste.
Scomparve così l’impero austro-ungarico, che a tutto era sopravvissuto ma non a questa guerra.
Anche in Germania si sciolse l’impero ma la struttura statale rimase la stessa. Comunque, dopo una ribellione popolare, venne proclamata la repubblica. Il nuovo governo firmò l’armistizio con gli Alleati l’11 novembre.
La Conferenza della pace vede il trionfo degli interessi egoistici delle nazioni vincitrici
Il 19 gennaio 1919 a Parigi si apriva la Conferenza di pace. Parteciparono prima i vincitori e poi vennero chiamati i vinti. Wilson, il presidente degli Stati Uniti, sintetizzò 14 punti alla base del trattato di pace:
- libertà dei mari;
- diritto di autodecisione dei popoli;
- rispetto delle nazionalità e dei principi democratici;
- creazione della Società delle Nazioni, che doveva regolare pacificamente le controversie fra gli stati. Lo stato responsabile di un’aggressione avrebbe dovuto pagare una sanzione. Purtroppo spesso la potenza dei maggiori stati sottomise l’azione della Società delle Nazioni.
- bandite le barriere economiche, gli accordi segreti e la corsa agli armamenti.
Nei 14 punti si avvertiva la tendenza degli Stati Uniti a voler regolare la vita europea. Inoltre, mantenere patti come questi presupponeva una dedizione di tutti i governanti al solo bene comune, e questo non sarebbe mai stato possibile; i vincitori già cercavano tutti i modi per farla pagare ai vinti e trarne un grosso profitto.
I protagonisti della Conferenza furono i quattro grandi: Wilson, Lloyd George, Clemenceau e Orlando, rappresentante italiano.
Il 24 aprile la delegazione italiana si ritirò dal Congresso perché vedeva negati isuoi diritti. A giugno ritornò.
I trattati di pace conclusi furono 5:
1) Trattato di Versailles, che riguardava le condizioni di pace imposte alla Germania. Alsazia e Lorena venivano restituite alla Francia che otteneva anche il bacino carbonifero del Saar. Qualcosa fu ceduto al Belgio, alla Danimarca e alla Cecoslovacchia. Tutte le colonie furono tripartite tra Francia, Inghilterra e Giappone, e nulla toccò all’Italia. L’esercito fu ridotto a 100.000 uomini e la flotta ceduta all’Inghilterra.
La multa in denaro fu altissima e pagabile in 30 anni. Come garanzia una riva del Reno venne occupata per 15 anni dagli Alleati.
2) Trattato di Saint-Germain, che riguardava le condizioni imposte all’Austria. Al posto del vecchio impero sorgevano Ungheria, Cecoslovacchia e Iugoslavia. Veniva fatto divieto all’Austria di unirsi militarmente con la Germania. Fu ceduta Galizia alla Polonia, la Transilvania e la Bucovina alla Romania. L’Italia otteneva il Trentino e l’Alto Adige, Trieste, l’Istria esclusa Fiume e parte della Dalmazia.
Gli italiani tenevano molto a Fiume e per questo D’Annunzio organizzò una spedizione e la conquistò istituendovi un governo proprio. Fiume diverrà poi una città libera.
3) Trattato di Neuilly, che riguardava le condizioni imposte alla Bulgaria: veniva privata della Tracia a favore della Grecia. Cedeva la Macedonia alla Iugoslavia e qualcosa alla Romania.
4) Trattato di Sèvres, che riguradava le condizioni imposte alla Turchia. La Turchia perdeva moltissimo e conservava solo la zona degli Stretti e l’Anatolia settentrionale.
5) Trattato di Trianon, che stabiliva la separazione dall’Austria dell’Ungheria e la nascita del Regno d’Ungheria.
Furono ignorate le proposte del papa Benedetto XV, che aveva pensato ad una situazione più equilibrata tra vinti e vincitori. I debiti della Germania furono così forti da non permettergli di riformare una nuova economia e si acuirono così i dissidi interni.
CAP. IV – Il dopoguerra in Europa e in Italia
Nei paesi vinti, disoccupazione, aumento dei prezzi e inflazione si abbattono come flagelli
Le condizioni di pace, sinceramente, erano state assurde: i Tedeschi avrebbero dovuto lavorare per oltre mezzo secolo per solo per ripagare i danni causati.
La liquidazione dello stato asburgico aveva dato giustizia ai popoli che un tempo gli erano sottomesi, ma ora non si sapeva come tutelare le minoranze sparse qua e là.
Oltre a tutto, vennero erette invalicabili barriere doganali tra gli Stati, che risultavano più divisi che prima del conflitto. Inutili ripicche facevano salire i prezzi alle stelle.
Le industrie che utilizzavano le materie prime di altri stati non potevano più funzionare.
In Austria, Ungheria, Polonia, Germania, Russia crebbero la disoccupazione e l’inflazione in modo spaventoso. I prezzi salirono, in Germania, di un milione di milioni di volte.
La Società delle Nazioni, formata solo da Italia, Francia, Inghilterra e Giappone, non potè fare nulla. L’America l’aveva abbandonata nel momento del bisogno e la Russia non aveva partecipato alle trattative di pace.
La guerra aveva rivoluzionato mentalità, costume, comportamento sociale e civile dei popoli
La guerra aveva portato ad uno sconvolgimento sociale interno molto forte, in ogni campo. C’erano numerosissimi invalidi, reduci e le industrie di guerra erano state completamente trasformate.
I reduci erano persone nuove, più impegnate socialmente, più sensibili a causa delle sofferenze che avevano provato. I reduci credevano che il mondo, dopo tutte quelle promesse, sarebbe davvero cambiato.
Erano cominciate le proteste delle donne, che erano scese in piazza contro l’aumento del costo della vita.
Gli uomini erano più facilmente manipolabili e la dedizione verso la patria venne trasfromata in cieca obbedienza, il combattente in eroe. Il disfattismo, un nuovo termine in voga in quegli anni, bollava di infamia chiunque desiderasse sinceramente la pace.
In Italia, lo stato diventa il centro motore dell’economia
Ma soprattutto il settore economico e dei servizi mutarono volto. Lo stato dava esso stesso per la prima volta lavoro e commesse produttive (costruzione di strade, ponti, palazzi, … erano ora a carico dello stato).
I lavoratori aumentarono moltissimo, concentrati nel triangolo Milano-Torino-Genova.
Lo Stato si fece sentire soprattutto nel settore siderurgico e meccanico, in cui intervenne per salvare le piccole industrie che non reggevano al dopoguerra.
Lo stato era il centro motore dell’economia.
Si sviluppano i sindacati e avvengono trasformazioni significative nei partiti
I sindacati si svilupparono moltissimo, ma soprattutto si trasformarono i partiti.
Compare il Partito popolare italiano (fondatore Luigi Sturzo, 1919), che rappresentava gran parte del movimento cattolico e diede quindi alle masse cattoliche una propria identità politica. Viene indicato come il Partito delle grandi mediazioni sociali, molto democratico, il primo a proporre delle riforme per adeguare lo stato alla nuova società di massa.
Il Partito socialista cambiò orientamento ideologico. I massimalisti, una corrente interna del Partito, volevano prendere il potere con la forza, come era accaduto in Russia. Ma l’organizzazione russa mancava ai socialisti. Inoltre il loro programma si basava sull’imminente sfaldatura della borghesia che invece, di lì a poco, diede un duro colpo ai socialisti. Sempre per questa avversione alla borghesia, i socialisti non seppero sfruttare l’opportunità che ebbero di avere numerosi deputati in Parlamento: questo infatti era considerato uno strumento borghese e quindi da non utilizzare.
La rivoluzione attesa dai massimalisti non sarebbe mai arrivata. Ma all’interno del Partito qualcuno riuscì a superare i massimalisti, e fu un gruppo che si raccoglieva attorno ad Antonio Gramsci, sardo. Vicino a Gramsci era, tra gli altri, Palmiro Togliatti.
Nasceva in questi anni il fascismo, giudato da Benito Mussolini. Prese il nome dai Fasci italiani di combattimento ed inizialmente si trattava di un partito confuso d’elite, pieno di ogni genere di persone, tra cui ex socialisti ed ex sindacalisti che predicavano l’agitazione violenta e il nazionalismo.
In un difficile momento politico-economico Giolitti ritorna al potere
Al governo Orlando successe quello di Francesco Saverio Nitti, che introdusse il metodo proporzionale nelle elezioni politiche.
Nitti si trovò a reggere il governo in un momento molto teso, reso ancor più caotico dalla notizia della spedizione di Fiume che violava i patti di Parigi per la pace. Nitti, che era contrario alla spedizione, fu accusato di essere un vile: non resse più la situazione e si dimise.
Il suo posto fu occupato da Giolitti (a volte ritornano), che avviò il ministero più fattivo e positivo del dopoguerra. Varò nuove riforme sociali specialmente nei confronti dei lavoratori della terra. Rese pubblico il patto di Londra (quello con la quale l’Italia era entrata in guerra). Ripristinò l’autorità dello Stato e del Parlamento e propose la revisione dei contratti stipulati con le grandi aziende di guerra...
Anche il Partito popolare appoggiò Giolitti (anche se Sturzo gli era sempre stato nemico) e partecipò al governo con i suoi migliori uomini: Meda al Tesoro e Micheli all’Agricoltura.
Praticamente il governo di Giolitti realizzò il convincimento che tutti avevano che i ricchi dovessero pagare i debiti di guerra, che bisognava venire incontro ai lavoratori della terra e che la politica estera doveva essere controllata anche dal popolo.
Durante l’occupazione delle fabbriche, Giolitti mantiene un atteggiamento neutrale
Gli operai e i sindacati socialisti occuparono le fabbriche. Gli operai metallurgici della FIOM avevano chiesto l’aumento dei salari agli industriali, in relazione al crescente costo di vita. Ma gli industriali, per i forti debiti e per le difficoltà di cambiare registro da quello di pace a quello di guerra, rifiutarono. Il problema era sempre quello: chi doveva pagare i debiti di guerra?
I sindacati rossi proclamarono uno sciopero bianco, vale a dire che gli operai entravano in fabbrica ma non lavoravano. Gli industriali risposero con la serrata e allora gli operai occuparono le fabbriche, prima solo gli operai della FIOM, poi tutti. Era il settembre 1920.
Non ci furono incidenti gravi e gli operai furono molto bravi a regolare da soli la produzione. Ma sorgeva un altro problema: che cosa si voleva ottenere dall’occupazione delle fabbriche?
Per i riformisti bastava l’aumento di salario, i massimalisti credevano che fosse cominciata la rivoluzione come in Russia, gli operai si aspettavcano direttive dai partiti. Ma queste non vennero e il movimento si trovò isolato.
In questo frangente Giolitti assunse una posizione neutrale evitando di intervenire con la forza. Il movimento operaio si trovò così, alla sua prima rivoluzione, in una situazione nuova per tutti.
La borghesia aveva paura, gli operai erano senza guida, i contadini non erano stati coinvolti. Messi in un vicolo cieco, i socialisti riformisti di Turati invocarono il soccorso di Giolitti che riuscì a mettere d’accordo sindacati e industriali e promise agli operai una legge che gli permettesse di avere il controllo amministrativo sulle fabbriche. Ma tale legge non venne mai.
Giolitti cerca nella politica estera la via per acquisire i consensi dell’opinione pubblica liberal-democratica e socialista
Gli operai uscirono delusi dalla loro rivoluzione che, al contrario di come predicavano i massimalisti, rivoluzione non fu per niente.
La borghesia invece aveva dimostrato una forte resistenza.
Ma ora il metodo giolittiano, con la sua politica di riforme, era inadeguato, perché gli operai si stavano svegliando e avrebbero ottenuto da lui sempre di più. L’occupazione del 1920 era un segnale di pericolo.
Resosi conto della situazione, Giolitti fece quello che dice il titolo. Così mandò il ministro degli esteri Carlo Sforza a Rapallo, dove prese un accordo con gli Jugoslavi (1920) per cui Fiume –diventava indipendente, l’Italia si insediava nell’Istria e a Zara e lasciava alla Jugoslavia il resto della Dalmazia.
D’Annunzio non se ne volle andare da Fiume, mentre Mussolini si dichiarava d’accordo con la decisione, ma solo per motivi politici. Giolitti ordinò che D’Annunzio fosse cacciato e così accadde.
Il governo di Giolitti aveva dimostrato di saper placare anche con la forza una ribellione quando ce ne era bisogno.
Mussolini aveva fatto bene a schierarsi contro D’Annunzio, anche se in tal modo aveva perso alcuni tra i suoi più accesi compagni. Egli aveva capito che lo stato non poteva essere conquistato dall’esterno, dove nessuno per paura lo avrebbe seguito e dove avrebbe potuto far rompere l’amicizia dell’Italia con l’Intesa. Per raggiungere il suo obiettivo doveva lottare contro il socialismo e i nuovi partiti di massa. La borghesia aveva già un’anima antisocialista, quindi non avrebbe avuto problemi in quel senso.
Dalla scissione del Partito socialista si forma il Partito comunista
Nel gennaio 1921 si tenne il congresso del Partito socialista. Tale Partito faceva parte della III Internazionale, ispirata al Partito comunista sovietico. Lenin chiese a Serrati, un massimalista che dirigeva il Partito socialista italiano, di cacciare i riformisti, considerati dei controrivoluzionari. I massimalisti si rifiutarono, cosicchè una parte di loro capeggiata da Gramsci si staccò e fondò il Partito comunista italiano.
Le due parti del Partito non potevano più ricorngiungersi, erano troppo diverse. I riformisti erano più volti alle conquiste salariali, all’emancipazione dei lavoratori; i comunisti volevano un partito obbediente alla disciplina internazionalista, un partito alla Lenin, unito nella lotta contro la borghesia.
I comunisti credevano che ormai si fosse arrivati alla fase finale del capitalismo borghese e che fosse questo il momento in cui gli operai dovevano fare più attenzione ai suoi sussulti.
CAP. V – La crisi dello stato liberale e i primi anni del regime fascista
Nella valle padana si moltiplicano gli scioperi e le lotte dei contadini, mentre aumenta la volontà di rivalsa della borghesia
Le campagne, in questi anni, divennero teatro di molte rivolte, guidate dal grido “La terra ai contadini”. Guido Miglioli, cattolico, capo del Partito popolatre, ne fece la sua bandiera e ottenne, dopo una battaglia contro gli agrari, che l’agricoltore non fosse più padrone ma direttore, che avesse uno stipendio e un piccolo interesse sul capitale impegnato. Il contadino non era più salriato ma socio dell’azienda. L’unico problema era riguardo alla richiesta di ottenere, qualora gli opperai avessero raggiunto più della metà del capitale dell’azienda, l’estromissione del direttore.
Si trattava comunque di un movimento disunito. I socialisti, ad esempio, volevano che la terra non fosse dei contadini ma diventasse una proprietà comune, altrimenti i contadini sarebbero diventati tanti piccoli proprietari.
I movimenti sollevarono soprattutto gli animi dei contadini del Meridione. I moti più accesi si ebbero però nella Val Padana, in Toscana e in Puglia.
Gli agrari furono battuti. Si sentivano incastrati in una rete organizzativa con a capo i socialisti: è normale dunque la sete di vendetta che si spandeva lungo tutta l’Italia.
Dopo l’eccidio di Palazzo d’Accursio a Bologna, rapidissima e incontenibile diventa la formazione dei Fasci
Il 21 novembre 1920, a Palazzo d’Accursio a Bologna, i socialisti, che avevano ottenuto una larghissima maggioranza, stavano per entrare nel consiglio comunale. Durante il discorso del nuovo sindaco ci furono spari e morti e per l’accaduto socialisti e fascisati si accusarono a vicenda.
Era in quel momento presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi.
I proprietari terrieri, spaventati dal socialismo, aderirono ai Fasci che si formavano ad una velocità impressionante. I Fasci si rivolgevano contro il Partito Popolare, accusato di tradire la religione cattolica, contro la democrazia liberale, accusata di troppa arrendevolezza, contro gli operai.
Le squadre fasciste organizzavano, appoggiate dalla polizia, spedizioni punitive. Giolitti, che riteneva che il fascismo non fosse pericoloso, accettò che alcuni candidati fascisti partecipassero alle elezioni del 1921 (pensava di levare così voti ai popolari e ai socialisti. Ma in seguito alle elezioni 35 fascisti entrarono alla Camera e Giolitti fu costretto a dare le dimissioni.
Le squadre fasciste, ora meglio organizate, passarono ad agire nelle industrie, sotto lo sguardo benevolo dei vecchi dirigenti. Molti infatti cxredevano che il fascismo fosse solo un movimento esuberante e giovanile che presto si sarebbe spento. Persino Benedetto Croce lodava i metodi fascisti dei primi anni.
I fascisti marciano su Roma
Nel 1922 i Fasci ottennero la maggioranza contro il governo di Luigi Facta. Mussolini cambiò orientamento per rafforzare il suo movimento ed abbandonò l’anticlericalismo e il repubblicanesimo, inquadrando così le froze fasciste come forze di destra. Attaccò Sturzo, dato che il suo Partito godeva dell’appoggio di molti cattolici, e fece credere alla gente che Sturzo volesse portare in Italia la rivoluzione bolscevica.
Nel giro di tre anni lo schieramento dei partiti democratici era lacerato.
Mussolini decise la marcia su Roma. Mobilitò tutte le squadre fasciste rette dal triumvirato De Bono, Balbo, De Vecchi, Bianchi.
Il re si rifiutò di firmare lo stato d’assedio e i fascisti poterono entrare senza problemi a Roma il 28 ottobre 1922.
Mussolini forma il primo ministero con un programma nettamente conservatore
Il nuovo governo era formato da fascisti, liberali, popolari (non Sturzo) e indipendenti.
Mussolini presentò un programma conservatore; promise che sarebbero state salovaguardate le libertà dello Statuto; confermò il trattato di Rapallo; sciolse le,amministrazioni rette da socialisti o popolari; liquidò le cooperative, ossatura del socialismo; pose limiti alla libertà sindacale; colpì le lege nelle campagne; rivalutò la lira.
Il maggiore problema era quello della normalizzazione. Con questo termine si intendeva il ritorno alla normalità, ossia l’abolizione dello squadrismo e il rispetto delle leggi anche da parte dei fascisti. Mussolini non rifiutò: la parte più estremista del movimento, capeggiata da Roberto Farinacci, si oppose e l’opposizione chiese lo sciogliemtno delle squadre fasciste. Mussolini invece le trasfromò il Milizia volontaria per la sicurezza nazionale.
Istitruì il Gran consiglio del fascismo; riformò la legge lettorale in modo da ottenere sempre la maggioranza; allontanò i popolari dal governo.
Dopo le elezioni politiche del 1924 avviene l’assassinio di Matteotti
Alle elezioni dell’aprile 1924 la maggioranza toccò al listone formato da fascisti e alcuni liberali.
I partiti democratici riuscirono comunque ad ottenere numerosi seggi.
Anche dopo le elezioni il fascismo non si acquietò e non si procedette alla normalizzazione. Il giorno dopo le elezioni il socialista Giacomo Matteotti, che aveva denunciato alla Camera gli imbrogli elettorali dei fascisti e le loro intimidazioni, fu ucciso.
Nei giorni successivi l’opposizione non si presentò alla Camera. Si riunirono a Montecitorio e decisero che non vi sarebbero più rientrati se non si fosse provveduto al più presto alla normalizzazione (secessione dell’Aventino – come quella della Roma del V secolo a.C. in cui la plebe si rifugiò sull’Aventino per protestare contro i patrizi). La secessione fu guidata, tra gli altri, anche da Alcide De Gasperi e Filippo Turati
Mussolini instaura la dittatura fascista, gli oppositori finiscono in carcere o prendono la via dell’esilio
Dopo un attimo di perpelssità, Mussolini si riprese. Si fece forte della paura della gente di –ornare ad una siotuazione simile a quella del primo dopoguerra, con i partiti di massa in prima fila.
Nel disocrso del dicenbre 1925 accusò i secessionisti e ne precluse il ritorno alla Camera come se fossero loro i fuori legge.
Ci si stava avvicinando all’instaurazione del regime autoritario. Mussolini proclamò che il governo non si sarebbe MAI dimesso e che avrebbe tenuto a freno le forze fasciste più estremiste.
La secessione aveva perso la sua battaglia, perché non era riuscita ad isolare il fascismo.
Sturzo e Nitti furono mandati in esilio.
Durante il 1925 lo stato si fece sempre più accentrato: furono aumentati i poteri della polizia, ridotta la libertà di stampa, abolito il termine di presidente del Consiglio e sostituito da quello di capo del governo, che poteva esercitare il suo potere senza l’approvazione del re o del Parlamento.
Mussolini si liberava poi dei fascisti più esttemisti, come Farinacci, proclamando di aver provveduto alla normalizzazione. Abolì le elezioni amministrative.
Quando un certo Zamboni attentò alla vita di Mussolini (1926), le pressioni si fecero maggiori e vennero sciolte tutte le associazioni, partiti ed organizzazioni democratiche.
Il nuovo Tribunale specilae per la difesa dello stato condannò Antonio Gramsci, Alcide De Gasperi, Palmiro Togliatti.
Alla luce della carte del lavoro il diritto di sciopero diventa un non-senso
La situazione dell’economia era precipitata ancora di più per la svalutazione della lira.
Il problema della stabilizzazione del regime e del risanamento economico erano strettamente connessi.
Mussolini decise di fissare la quotazione della sterlina a circa 92 lire italiane. Questa rivalutazione fu troppo alta e la moneta liquida divenne molto rara. Inoltre i prezzi delle merci da esportare divennero più alti con conseguente dominuzione dell’esportazione e della produzione: i disoccupati aumentarono molto.
La situazione precaria convinse Mussolini ad accelerare il processo di introduzione della nuova disciplina cooperativa sul lavoro. Fu imposto un regime di collaborazione di classe che si basava su un richiamo ai superiori interessi della nazione.
Nel 1927 fu varata la Carta del lavoro in cui veniva sancito questo principio di collaborazione.
Il diritto di siopero diventava un non-senso. Le condizioni dei lavoratori furono regolate da contratti collettivi e, in caso di probelmi, si ricorreva alla magistratura del lavoro. In pratica i lavoratori avevano meno possibilità di contrattare con le classi dirigenti, ma maggiori riconoscimenti nel campo dell’assistenza sociale.
Pio XI nell’enciclica Quadragesimo anno del 1931 dichiarò di apporvare l’organizzaizone fascista, ma aveva paura che gli obiettivi del fascismo mirassero non al bene dei cittadini ma piuttosto all’affermazione politica.
La conciliazione fra stato e Chiesa con i Patti lateranensi non fa diminuire le diffidenze e i contrasti fra laicato e fascismo
La formazione della gioventù fu affidata all’Opera nazionale balilla.
Ma fra gli atti più importanti del fascismo fu la conciliazione fra stato e Chiesa.
Nel 1919 il presidente del Consiglio Orlando si era incontrato con il segretario della congregazione degli affari ecclesiastici, Bonaventura Cerretti. Ma il re Vittorio Emanuele III si oppose alla conciliazione.
Nel 1929 Mussolini firmò i Patti lateranensi con la Chiesa e il re non si oppose. I Patti si basavano su tre documenti:
- un trattato che riconosceva il Vaticano indipendente e sovrano;
- un concordato che stabiliva una serie di norme che regolavano la condizione della religione cattolica in Italia: fu riconosciuta validità al matrimonio civile, fu introdotto l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole, furono negati pieni diritti civili ad alcuni sacerdoti, erano aboliti l’exequatur (che riguardava il conferimento di benefici da parte della Chiesa) e il placet (assenso da parte dello stato per il conferimento di benefici minori), i vescovi dovevano prestare giuramento di fedeltà allo stato;
- un aconvenzione che prevedeva l’indennizzo al Vaticano per la perdita degli antichi Stati pontifici e dei beni acclesiastici.
Ma comunque ci furono numerose divergenze a proposito dell’Azione cattolica: l’Azione cattolica estendeva la sua attività anche al campo sociale, che il fascismo voleva tutto per sé. In seguito ad un accordo, l’azione cattolica poteva operare ma solo in ambito diocesano; non doveva avere bandiere; i suoi esponenti non dovevano essere appartenuti a partiti contrari al fascismo.
In ogni caso, fra Chiesa e fascismo restò sempre una forte diffidenza.
Il regime fascista si consolida e attua alcune importanti riforme nel campo sociale ed economico
Gli anni tra l 1929 e il 1936 furono gli anni di maggior consenso, perché il paese usciva da dopo guerra e aveva bisogno di un governo forte e stabile.
Al fine di impedire il ritorno del socialismo, il fascismo iniziò una grande propaganda per sensibilizzare alla superiorità della civiltà rurale rispetto a quella urbana. Nasceva il mito del duce, che assegnava la priorità ai valori rurali e al focolare domestico: questo mito faceva dimenticare tutte le libertà negate. Il duce era un padre carismatico.
Furono per questo varate numerose bonifiche, fra cui famosissime quella dell’Agro Pontino.
Ma la propaganda per le campagne finì con lo svalutare i prezzi dei terreni agricoli e con la riduzione degli allevamenti, perché erano diminuite le terre per il pascolo.
Per procedere alla “ruralizzazione” del paese era necessario un forte aumento demografico: furono imposte tasse ai celibi, dati premi alle famiglie numerose e assistenza alle donne. Furono arrestate lòe migrazioni interne, soprattutto dal sud al nord.
Venne fondato l’IRI (Istituto ricostruzione industriale), che aiutò le industrie colpite dalla crisi del 1929. Furono fondati numerosi enti previdentiali, che sopravvissero anche dopo la caduta del fascismo.
A sciuola si cercava di integrare le normali attività con l’attività sportiva e paramilitare. Veniva insegnata l’esaltazione dello spirito nazionalistico e delle virtù eroiche del popolo italiano.
Fu fondata una casa editrice fascista di bassissimo livello, l’Istituto nazionale fascista di cultura. Ebbero omlto successo i quegli anni i romanzi americani che parlavano della crisi del 1929 e dell’immiserimento delle campagne.
Fra gli scrittori attivi durante il fascismo ricordiamo Pavese, Vittorini, Montale, Ungaretti, Saba, Svevo, Pirandello. La letteratura sepsso contrastava con gli ideali fascisti, come se storia e letteratura camminassero su due piani opposti, che si ignoravano l’un l’altro. La gioventù rimaneva molto colpita dai diversi tipi di opere che predicavano da una parte la visione superomistica fascista, dall’altra la realtà di una frattura allpinterno della società. Questo spiega perché molti giovani passavano spesso da un’ideologia all’altra.
Con la nascita del ministero della Cultura Popolare e con l’alleanza con Hitler il controllo sulla stampa si fece più stretto.
La Carta della scuola ideata da Bottai permise una maggiore integrazione tra scuola e organizzazioni fasciste, come GIL (Gioventù italiana del –littorio, una volta Balilla) e GUF (Giovani universitari fascisti). Veniva insegnato i lavoro nelle scuole: Mussolini aveva sempre sognato di creare clessi di lavoratori nettamente divise: la classe dei giudici, la classe dei guerrireri, degli inventori,… Fortunatamente non si arrivò alla formazione di questa scuola-laboratorio, anche per le resistenze dei cattolici che accusavano il fascismo di sottrarre i figli all’educazione delle famiglie, ma soprattutto a causa della guerra.
In sintesi, si può dire che fra il 1936 e il 1940 Mussolini accelerò la fascistizzazione dello stato, spezzando il rapporto fra stato e società: lo stato er ail pianificatore della storia, manipolatore della società.
Gli appoggi e i consensi francesi e inglesi concorsero a rafforzare il potere di Mussolini
L’amicizia con l’Intesa rimase la stessa.
Mussolini strinse un patto di amicizia con la Jugoslavia con cui Fiume era annessa all’Italia (1924). Per dei favori resi all’Albania, questa accettò l’egemonia italiana.
Era diffidente verso la Germania.
La sua politica fu moltoi elogiata sia dai francesi che dagli inglesi, deludendo molti gli antifascisti. In Francia era addirittura nata una Concentrazione d’azione antifascista, proprio a causa della consapevolezza che il fascismo non era un fenomeno passeggiero.
CAP. VI – La crisi del 1929, l’avvento del nazismo e l’Europa degli anni Trenta
Il collasso economico del 1929 produsse fallimenti, disoccupazione e restrizioni commericali
Un ruolo decisivo ebbe nella storia economica mondiale la crisi che si verificò negli Stati Uniti fra il 1929 e il 1932.
In Europa fu la Germania a farne le maggiori spese, per i numerosi prestiti che aveva dovuto chiedere alla banche americane per ripagare i debiti di guerra.
Perché questa crisi?
Nei primi due anni del dopoguerra l’economia americana crebbe moltissimo a cuasa della forte richiesta di merci dall’Europa distrutta dalla guerra. Gli agricoltori, vista la grande richiesta, avevano aumentato la loro produzione e si erano impegnati in prestiti da parte delle banche che sorgevano ogni giorno più numerose, per comprare le attrezzature e le terre.
Ma mano a mano che l’Europa si riprendeva, la domanda cadde e il prezzo dei prodotti agricoli con essa. I fallimenti bancari furono numerosissimi, perché gli agricoltori non potevano più pagare i loro debiti.
Si cercò di rimediare al collasso economico aumentando i dazi sulla merce agricola importata, ma gli altri paesi risposero allo stesso modo, anzi, all’interno della stessa Europa aumentarono i dazi fra stati. Molte fabbriche dovettero chiudere e le fattorie erano in grave difficoltà. La disoccupazione aumentò moltissimo: prima dell’introduzione del New Deal in America c’erano 13 milioni di disoccupati.
Il presidente Hedgar Hoover, spaventato, non volle concedere sussidi ai disoccupati e sperava di risolvere la crisi incentivando le industrie.
La conseguenza fu la diminuzione della produzione anche in Germania: la popolazione, timorosa del futuro, preparava un terreno facile per l’avvento di Hitler.
In Italia si arrivò all’autarchia; si cercava di produrre la maggior quantità di beni interni.
In tutta l’Europa le tariffe doganali rimasero altissime per molto tempo.
Inghilterra e Stati Uniti dovettero abbandonare il Gold Standard, la parità aurea. Ciò provocò una svaluitazione della sterlina e del sistema monetario internazionale, tutto legato al dollaro.
I paesi che risentirono meno della crisi furono l’Inghilterra, che non aveva avuto nessun boom prima del 1929, e la Russia, che non era legata all’economia del dollaro.
Con la politica economica del New Deal, Roosevelt riuscì a far superare agli Stati Uniti la crisi in cui erano caduti
Nle 1932 divenne presidente degli Stati Uniti Delano Roosevelt, che elaborò il New Deal (nuovo corso) con cui sarebbe riuscito a risollevare l’economia americana.
Egli abbandonò la linea ottimistica repubblicana e intraprese una politica antitrust attraverso la quale controllava che fra le aziende ci fosse una corretta competizione.
Aiutò molto il settore agricolo riducendo le superfici coltivate (diminuiva l'’ccedenza di prodotto); incentivò la ripresa della produzione industriale; offrì lavoro ai disoccupati impegnando lo stato in numerosi lavori pubblici, ponendo fine al vagabondaggio di masse di operai.
Molti si opposero alla politica di Roosevelt accusandolo di sprecare il denaro dello stato.
Il potere era stato centralizzato estendendo il potere dell’esecutivo, ma poi questa centralizzazione si risolveva in un’articolazione molto ampia e ramificata, che avrebbe preparato le basi della futura dmocrazia.
La repubblica di Weimar nacque debole e incerta in una Germania dominata ancora dai vecchi gruppi latifondisti e industriali
Alla fine della prima guerra mondiale si era costituita in Germania una repubblica detta di Weimar, dominata dai socialdemocratici (1918).
I sostenitori di questa repubblica speravano in una lenta e graduale politica di riforme ed erano favorevoli a una politica di pace con i vicini.
Ma il poetere era ancora in realtà in mano agli Junker, ai capi militari, ai mastodontici monopoli industriali, alla polizia. Lo spirito militarista era ancora radicato nei cuori dei tedeschi, che vedevano nbel termine “repubblica” una proclamazione di disordine e anarchia.
Molti consideravano la repubblica un ripiego a causa della sconfitta, che a milioni di tedeschi parve ingiusta frutto del tradimento dei nemici interni.
Il trattato di pace era considerato un oltraggio e la repubblica che l’aveva accettato era vista di cattivo occhio. I tedeschi si sentivano umiliati.
Ma c’era un gruppo repubblicano che chiedeva riforme, la liquidazione delle forze m,ilitariste, l’instaurazione di un regime comunista: erano i cosiddetti Spartachisti. Nel 1919 l’esercito e alcune forze volontarie repressero nel sangue il movimento repubblicano.
L’inflazione e la crisi economica resero ancora più precaria la sorte della democrazia tedesca
La crisi economica rese ancora più precaria la repubblica di Weimar. Durante il primo dopoguerra l’ecxonomia tedesca si era subito ristabilita e la disoccupazione quasi scomparsa.
Purtroppo il problema del risarcimento dei debiti di guerra rovinò completamnte l’economia tedesca appena risollevata: il governo francese rifiutò una richiesta di proroga per il pagamento e in cambio occupò il bacino della Ruhr, centro dell’economia tedesca.
La Francia odiava la Germania e gli voleva dimostrare che la condizione della Germania era del vinto e quella della Francia del vincitore.
L’economia tedesca fu paralizzata e il marco crollò: per acquistare un dollaro presto occorsero miliardi di marchi. Di conseguenza salari e stipendi non avevano più quasi valore, i pensionati furono molto colpiti per i già scarsi reddiit, i risparmi non valevano più nulla.
Solo i proprietari dell’industria pesante ne trassero vantaggi, perché riuscirono a disfarsi con poco di tutti i debiti.
L apropaganda di destra incitava ala rivolta copntro la repubblica.
Ma grazie a Gustav Stresemann, capo del Partito nazional-liberale, l’economia riuscì a riprendersi. Fu introdotto (1923) un nuovo marco e fu deciso, fra mille proteste, il pagamento delle riparazioni.
L’America, ocn il piano finanziario Dawes, restituì fiducia al marco.
Stresemann aiutò la Germania anche a riavvicinarsi alla Francia. Nel 1925 fu concluso il trattato di Locarno che prevedeva una garanzia alla Francia e al Belgio contro un’eventuale minaccia tedesca e una garanzia alla Germania contro l’attacco francese. I garanti erano Italia e Inghilterra.
Nle 1926 la Germania entrava nella Società delle Nazioni. Tra il 1924 e il 1929, poi, le cose filarono liscissime. Però erano sempre vive le forze controrivoluzionarie che avevano minato dalle origini le basi della republica di Weimar.
La Destra nazional-socialista, che guidava questi movimenti, era forte soprattutto in Baviera.
Le origini e l’ideologia del Partito nazista in Germania
Quando scoppiò la criosi del 1929 il nazismo non costituiva ancora una minaccia mortale per la democrazia tedesca.
Nelle elezioni del 1928 i nazisti ebbero pochi voti. La maggioranza fu per i socialdemocratici. Già nelle successive elezioni, però, il Partito di Hitler aumentò notevolmente i suoi voti. Questo anche a causa della crisi economica e del duffuso senso nazionalistico tedesco che i nazisti esaltavano. Infatti Hitler era riuscito ad incanalare nel suo Partito tutte le correnti nazionalpatriottiche.
Già dal 1848 si era sviluppatoa una nuova ideologia, l’ideologia del Volk: la democrazia, il progresso industriale, la tecnologia erano visti come un tradimento verso il popolo tedesco ad opera degli ebrei per snaturare il senso creativo della Germania. Prima della guerra mondiale uesta ideologia era seguita da pochi, ma dopo la sconfitta della Germania divenne un fatto di massa.
Ma il movimento nazionalpatriottico sarebbe rimasto un movimento di semplice resistenza alla democrazia se Hitler non l’avesse conquistato con il suo dinamismo. Hitler liquidò ogni corrente anticapitalistica, antimodernista o antindustrialista, esasperò l’elemento antiebraico, divise fra capitalismo ebraico e tedesco, si alleò con l’alta finanza e la borghesia.
Adolf Hitler era il figlio di un doganiere austriaco. Ncque nel 1889 sul confine austro-tedesco. Visse la sua giovinezza a Vienna, in grande miseria. Sognava di diventare un pittore. Studiò i metodi del Partito socialdemocratico che odiava e nel 1913 abbandonò Vienna che trovava troppo plurinazionale e si trasferì a Monaco, in Baviera.
Scoppiata la guerra si arruolò come volontario e ottenne due medaglie. Giudicò la sconfitta della Germania ingiusta.
Fondò nel 1920 il Partito nazista (NSDAP) con programma nazionalista e antiebraico e lo munì di squadre di ex-combattenti con uniformi brune (SA), gente di ogni tipo.
Hitler cercò sempre i consensi della polizia e dell’esercito.
Nle 1923 organizzò il putsch a Monaco: cercò di rovesicare il governo della Baviera, per poi marciare su Berlino. Ma il suo oclpo fu sventato e Hitler fu rinchiuso per nove mesi in carcere, dove scrisse il Mein Kampf (La mia battaglia), dove espone le idee del Partito nazista: la Germania aveva bisogno di uno spazio vitale che avrebbe trovato espandendosi ad est, dove abitavano gli slavi. Sostenne il bisogno di instaurare un nuovo Reich retto da un Fuhrer.
Fascismo e nazismo: due movimenti di massa, ma con profonde differenze
Le somiglianze fra fascismo e nazismo riguardano: lo squadrismo, l’esaltazione dello stato forte, il nazionalismo esasperato, la violenza antidemocratica.
Ma le differenze furono sicuramente più numerose:
1) il nazismo era antisemita e razzista, e la persecuzione contro Ebrei e comunisti fu uno dei suoi cardini; il fascismo non era antisemita (molti Ebrei infatti vi aderirono) e non esaltava alcuna razza
2) il nazismo aveva un’ideologia coerente che nasceva dal Volk; un’ideologia fascista non esisteva
3) il fascismo era una controrivoluzione a sfondo agrario e industriale; il nazismo era un movimento di reazione
4) il fascismo non rifiutò i rapporti con gli Alleati in funzione antitedesca; il nazismo violò i patti del trattato di pace
5) entrambi i movimernti furono movimenti di massa, ma mentre il fascismo tutelava la tranquillità sociale e le tradizioni borghesi, il nazismo ruppe con la tradizione conservatrice tedesca ed iniziò una guerra antiumanitaria.
Hitler diventa cancelliere della Germania e consolida il suo potere con il terrore e il massacro
Uscito di prigione, Hitler non desistette.
Creò una nuova organizazione più forte e fidata, le SS, reparti di difesa; rafforzò i legami con la grande industria cosicchè al momento della crisi del 1929 Hitler si sentì pronto ad instaurare la sua dittatura.
Le elezioni del 1929 videro quasi la vittoria del Partito nazista. L’opposizione era praticament einesistenze perché occupata in lotte interne.
Nel 1933 Hitler diventava cancelliere della Germania, e la democrazia poteva dirsi finita.
Per ottenere la maggioranza assoluta per governare, Hitler indisse nuove elezioni. Casualemnte, prima delle elezioni fu dato alle fiamme la sede del Reichstag: i nazisti accusarono i comuinisti e viceversa. Hitler, da cancelliere, fece firmare al rpesident eHindenburg un decreto con il quiale venivano soppresse tutte le libertà costituzionali ed iniziò una persecuzione contro i comunisti.
Alla fine delle elzioni, Hitler riuscì ad ottenere la maggioranza, aiutato anche dal Partito conservatore.
Ora Hitler doveva liquidare le SA: aveva un altro corpo di guardia migliore (le SS) e poi le SA di Rohm aspiravano a diventare il vero esercito tedesco. L’esercito, preoccupato, promise il suo appoggio ad Hitler se questo si fosse sbarazzato di Rohm, che presto fu assassinato.
Ora non c’erano altre forze nello stato abbastanza forti da poter togliere il potere ad Hitler.
La politica di mediazione del fascismo si scontra con il desiderio di rivincita del nazismo hitleriano
Vennero abolite in Germania tutt ele libertà costituzionali e civili, liquidata l’opposizione e i sindacati, perseguitati gli Ebrei, i comunisti, i socialisti, i democratici e i cattolici, tutto grazie all’aiuto delle SS e della polizia (la Gestapo). Numerosi intellettuali furono costretti a fuggire, per lo più negli Stati Uniti.
Hitler fece superare alla germania la crisi economica riducendo le tasse dell’industria pesante, favorendo i lavori pubblici, il riarmo, organizzando un imponente sistema assistenziale , dando nelle mani dei datori di lavoro il controllo dei salari.
Ma le enormi spese per gli armamenti causarono una forte inflazione nel 1938 dalla quale Hitler potè uscire solo con la guerra, depredando i territori che conquistava.
Per quanto riguarda la pollitci estera, Hitler non volle sottostare agli obblighi del trattato di pace (infatti riarmò l’esercito). Gli Alleati si allarmarono. La Francia si avvicinò all’Italia e venne stpulato il Patto a Quattro (Italia, Francia, Germania, Inghilterra) nel 1933: le potenze si impegnavano a prendere accordi su tutte le questioni di interesse comune, a rispettare i diritti di ogni stato, a realizzare una politica di collaborazione e di pace, ad impegnarsi per il disarmo.
La Russia vide il patto come una congiura contro il regime sovietico, e per questo Mussolini strinse con la Russia un patto di non-aggressione (1933). Nello stesso periodo Mussolini appoggiò il New Deal di Roosevelt.
Ma già nel 1933 la germania usciva dalla Società delle Nazioni e rifiutava il disarmo. La stampa italiana, pur mostrando simpatie per il nazismo, era perplessa, soprattutto di fronte alla politica razzista di Hitler e alla pratica della sterilizzazione, condannata dalla Chiesa.
Il mento critico nei rapporti italo-tedeschi si ebbe però con la questione austriaca: i nazisti austriaci tentarono il colpo di stato e ferirono Dollfuss, capo del governo austriaco. Gli italiani mandarono alcune divisioni per mostrare alla Germania che avrebbero difeso l’indipendenza dell’Austria a tutti i costi.
Italia, Francia e Inghilterra firmarono, durante il convegno di Stresa del 1935, un patto a favore dell’integrità dell’Austria, contro il riarmo tedesco e per la sicurezza dei paesi orientali.
Questa politca favorì il consenso delle potenze europee verso il fascismo.
L’impresa etiopica pone fine all’amicizia anglo-franco-italiana. Hitler, con l’occupazione della Renania, intraprende la sua politica espansionistica
L’aggressione dell’Etiopia provocò l’avvicina-mento di Mussolini a Hitler.
Mussolini riteneva, grazie al favore di quasi tutte le potenze europee, di aver avuto una specie di consenso per occupare l’Etiopia.
I conflitti tra Somalia ed Etiopia prepararono un terreno favorevole a Mussolini.
La propaganda fascista a rigurado puntava sulla necessità degli italiani di avere uno sfogo per la sdua popolazione. Le motivazioni che adottava il fascismo erano però ormai state superate: tutte le potenze conquistavano colonie per motivi di tipo capitalistico-finanziario. Questo, e iò fatto che l’Etiopia facesse parte della Società delle Nazioni fecero sì che questa condannasse l’ato dell’Italia.
Per cercare di distogliere l’Italia dalle sue mire, la Società delle Nazioni impose delle sanzioni economiche, alle quali Mussolini rispose con manifestazioni come la raccolta dell’oro: milioni di italiani offrirono i loro anelli nuziali. Gli italiani vedevano come un torto l’opposizione della Società delle Nazioni e il fascismo non aveva mai ottenuto consensi così vasti.
Fu il periodo dell’autarchia economica, che consisteva nel ridurre al minimo le importazioni dall’estero.
Nel 1936 Badoglio occupò Addis Abeba: veniva proclamata la nascita dell’impero e Vittorio Emanuele III diventava imperatore d’Etiopia.
Quest’impresa colpì molto la S. delle N. che non era riuscita a far rispettare un suo volere; pregiudicò i rapporti anglo-italiani; impresse al fascismo un indirizzo economico nazionalistico.
Hitler approfittò di questa situazione e fece occupare la Renania, che secodno gli accordi di Versailles doveva restare smilitarizzata.
Francia e Inghilterra non fecero nulla.
La conquista del potere da parte dei bolscevichi non aveva risolto i problemi dello sviluppo economico in Russia
La Russia era in condizioni disastrose, al limite del collasso economico. La situazione aumentava le speranze dei controrivoluzionari di arrivare ad una restaurazione. E’ il periodo del comunismo di guerra.
Mancavano pane e abiti. Si decise di intervenire con la nazionalizzazione delle industrie; furono requisiti i prodotti agricoli per darli alle città.
Nel 1921 i marinai di Kronstadt insorsero contro la legge ferre adel partito bolscevico e ddei soviet. La rivolta fu repressa nel sangue e così tutta l’opposizione.
La nuova politica economica (NEP) e le riforme sociali in Russia ebbero importanti influssi anche sugli orientamenti internazionali
Lenin capì che non era possibile mantenere un livello di vita così basso.
Secondo le teorie del marxismo evoluzionista era possibile arrivare alla rivoluzione socialista solo passando attraverso la fase capitalistica, anche se Marx aveva detto che a volte da società rpimitive si poteva passare alla rivoluzione socialista direttamente.
Il passaggio dalla forma feudale al governo rivoluzionario in Russia ne era un esempio. Il problema er aora far nascere una vera città industriale da una società feudale. Bisognava assolutamente coinvolgere anche i contadini attraverso le concessioni, perché questi non sentivano affatto il bisogno dell’industrializzazione.
Nacque la NEP (Nuova politica economica). Fino al 1928 questa politca ebbe carattere misto: da una parte lo stato controllava lo sviluppo economico, dall’altra consentiva la liberalizzazione aricola e privata.
La NEP si occupò, oltre che di problemi economici, anche di riforme sociali: lottò l’analfabetismo, costruì un’organizzazione sanitaria e assistenziale, fu riconosciuto il diritto di autodecisione delle varie nazionalità.
Da quest’ultima riforma il nuovo nome dello stato: URSS, Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (1922).
Lenin modificò anche la visione della famiglia romai disastrosa: matrimoni brevi, divorzi come pure formalità, aborti ovunque, libero amore, bande di ragazzini che spesso furono represse nel sangue.
La Chiesa greco-ortodossa fu molto colpita dal comunismo ateo: fu proibita l’istruzione religiosa ai giovani (i preti che avessero trasgredito quest’ordine erano condannati ai lavori forzati), venne insegnato l’ateismo nelle scuole, fu vietata la letteratura religiosa.
Con questa nuova politica non aveva più senso preparare una rivoluzione che coinvolgesse tutto il mondo occidentale: era più logica la formula “Il socialismo in un solo paese”.
In politica estera, l’URSS paertecipò alla conferenza economica di Genova e a quella di Losanna che discusse la pace con la Turchia anche grazie all’abile Cicerin. Venne firmato un accordo con la Germania a Rapallo: riprendevano le relazioni diplomatiche, si favorivano nei commerci e la Germania rinunciava alle riparazioni di Brest Litovsk.
Con una feroce politica repressiva, Stalin consolida il potere dei comunisti e trasforma la Russia in potenza industriale
Lenin morì nel 1924. Suo successore fu Josif Stalin, georgiano, sostenitore del centralismo nel partito, nemico delle correnti interne del partito che avevano a capo Trotzkij.
Stalin cercava uomini capaci di guidare il partito in questi momenti difficili in cui bisognava industrializzare il paese per avvicinarlo alle potenze occidentali. Trotzkij era d’accordo, macredeva che tutto Questo potesse avvenire senza bisogno di liquidare le correnti interne del partito. Costretto a fuggire all’estero, Trotzkij fu ucciso.
Stalin accelerò il processo di industrializzazione con la politica dei piani quinquennali.
Ma chi avrebbe pagato tutto questo? Furono i contadini agiati, i kulaki, restii all’industrializza-zione forzata: ai kulaki venne requisito il bestiame, i prodotti agricoli, furono deportati, fucilati, …
L’URSS stava per diventare un paese molto industrializzato, ma a che prezzo! Tutti gli oppositori di Destra furono eliminati. Mentre l’occidente era in preda alla crisi del 1929, l’URSS diventava la seconda potenza industriale del mondo.
L’atmosfera in URSS era repressiva: il dispotismo industriale si trasformò in dispotismo esteso ad ogni cosa. Molti politici furono cacciati: fra questi anche molti militari, per cui si dice che la Russia si sia preclusa da sola la vittoria in guerra.
Ancora ci si chiede se questi metodi repressivi furono o no necessari per lo sviluppo dell’URSS, e cosa sarebbe successo se Stalin non fosse mai intervenuto. Soprattutto ci si chiede se questa via fosse la logica conseguenza della politica di Lenin o se ne fu una deviazione.
La rivolta di Lenin era contro l’ingiustizia degli zar. Adottò un metodo pacifico per riformare la Russia (NEP) ed era convinto che il socialismo avesse bisogno dell’industrializzazione.
Stalin si servì invece del terroe, delle “purghe”, delle repressioni di masse contadine. La partecipazione degli operai alla direzione economica come voleva il socialismo fu nulla e lo stato perdette ogni autorità di fronte al partito.
La guerra di Spagna fu la prova generale della seconda guerra mondiale
Oltre in Italia e in Germnia, formazioni squadriste si ebbero anche in Romania (Guardie di ferro), in Jugoslavia (Ustascia), in Ungheria, in Polonia (maresciallo Pilsudski).
Germania e Polonia firmarono un patto di non-aggressione 1934, che preoccupò l’URSS, la quale si avvicinò alle potenze occidentali ricordando le mire espansionistiche di Hitler nell’Est (Mein Kampf): l’URSS entrava nella Società delle Nazioni e firmava un patto di mutua assistenza con la Francia e poi con la Cecoslovacchia, ma solo se la Francia fosse intervenuta anch’essa ad aiutare la parte aggredita.
Nel 1935 si riunì il Komintern, il congresso internazionale dei partiti comunisti, che proclamava la necessità di alleanze per difendersi dal fascismo e dal nazismo.
Anche in Francia alcuni esponenti della Destra avevano tentato di instaurare una dittatura. Subito l’opposizione si era riunita formando un Fronte popolare antifascista. Il Fornte ottenne la maggioranza assoluta alle elezioni e il nuovo governo fu presieduto dal socialista Blum.
Anche in Spagna si formò un Fronte popolare che cercò con varie riforme di smantellare le vecchie strutture. La Destra era naturalmente contraria a questo governo, tant’è vero che si formarono due blocchi: uno con i grandi proprietari terrieri e gli ecclesiastici (Destra) e l’altro con la borgehsia progressista, il proletariato e gli anarchici (Sinistra).
L’uccisione di un monarchico fece scoppiare la scintilla della guerra a partire dal Marocco (1936). Il generale Francisco Franco muoveva contro la repubblica, mentre in molte cittadine i fascisti del movimento della Falange fomentavano alla rivolta. Il clero appoggiò il movimento.
La Sinistra intanto preparava la risposta armata.
Furono commesse gravi crudeltà da entrambe le parti.
Mussolini e Hitler, per difendere il fascismo, inviarono le loro truppe in Spagna, mentre l’URSS mandava le sue alla fazione opposta.
Francia e Inghilterra incitarono al non-intervento, ma nessuno le ascoltò.
Alla fine i falangisti uscirono vincitori: in Spagna venne instaurata la dittatura, priva delle mire espansionistiche di Hitler e Mussolini.
Hitler, “il signore della guerra”, annette l’Austria, la Boemia, la Moravia e la Cecoslovacchia, mentre le democrazie occidentali stanno a guardare timorose
Durante la guerra civile spagnola Italia e Germania formarono un asse Roma-Berlino (1936), un accordo dei rispettivi governi sulla politica da seguire verso la S. delle N., sul progetto francese per la proterzione dei paesi dell’Est, su7lla guerra spagnola, sulla lotta al comunismo, sulle –relazioni con l’Austria.
Contemporaneamente, Italia, Germania e Giappone firmavano un patto anti-Komintern.
Nel 1938 le truppe naziste entravano in Austria, che veniva annessa alla Germania, senza che le democrazie europee intervenissero. Il fatto provocò perplessità nell’opinione pubblica italiana, che ora vedeva il problema del Trentino molto più delicato.
Ora Hitler mirava alla Cecoslovacchia, che però era legata alla Francia attraverso il trattato di Locarno, che l’impegnava ad agire in caso di attacco tedesco.
Ma in Cecoslovacchia vivevano circa 3 milioni di Sudeti, gente tedesca. Hitler voleva annettersi il territorio dei Sudeti, dove si trovavano importanti risorse industriali. La Francia sperava nell’intervento inglese, ma l’Inghilterrra spingeva la Cecoslovacchia a fare concessioni.
Tutto per salvare la pace in Eurtopa e nno far scoppiare un’altra guerra.
Mussolini propose una conferenza: a Monaco (1938) si incontrarono Hitler, Mussolini, Chamberlain (presidente inglese) e Daladier (presidente francese). La Germania ottenne tutti i territori della Cecoslovacchia che desiderava.
Vista la facilità con cui ottenne questi territori, Hitler provò ad annettersi anche la Boemia e la Moravia (1939). Ci riuscì . Anche Praga e la Slovacchia si posero sotto la Germania.
Gli Alleati si svegliarono: se Hitler avesse attaccato la Polonia, l’Inghilterra doveva intervenire.
L’Italia intanto era solo una pedina utile a Hitler. Per conformarsi alla Germania, Mussolini emanò una legislazione discriminatoria contro gli Ebrei: nonc’erano violenze fisiche contro gli Ebrei, ma questi si sentivano ugualmente umiliati: furono allontanati dagli uffici pubblici, gli fu vietato di insegnare, di frequenatre l’università, di fare servizio militare, vietati i matrimoni misti. I Tedeschi organizzarono delle deportazioni.
Hitler invade la Polonia dopo aver firmato un patto con la Russia: scoppia la seconda guerra mondiale
Anche l’Italia, a questo punto, pretendeva di ottenere qualcosa: si decise per l’occupazione dell’Albania e per la rivendicazione verso la Francia della Tunisia, Gibuti, Corsica, Nizza e Savoia.
Nel 1939 Germania e Italia firmavano il Patto d’acciaio, che Mussolinin firmò frettolosam,ente, senza avere ben chiaro il programma di Hitler e solo per avere un aiuto contro la Francia. Aveva firmato l'’ccordo di una guerra senza riserve, senza la clausola di un accordo nel caso in cui la Germania si fosse gettata in un’impresa che avrebbe scatenato una guerra e quindi l’intervento anche dell’Italia.
Italia e Germania erano profondamente diverse. L’imperialismo tedesco era tecnologicamente e idealmente evoluto, adeguato ad affrontare una guerra di grosse proporzioni. L’imperialismo italiano era armato di molta retorica e poche armi, con industrie arretrate e un esercito non pronto alle guerre lampo tedesche.
Quando la Germania informò Mussolini di voler attaccare la Polonia, questi capì e firmò una dichiarazione di non-belligeranza per mancanza di preparazione.
Hitler voleva Danzica e una “strada” attraverso la Polonia per raggiungere la Prussia orientale. La Polonia non accettò.
Francia e Inghilterra offrirono garanzie alla Polonia e cercarono l’aiuto anche dell’URSS. Ma i sovietici con Molotov erano scettici di fronte a Francia e Inghilterra, che non avevano accettato l’aiuto che l’URSS aveva offerto a suo tempo alla Cecoslovacchia e non l’avevano fatta partecipare alla conferenza di Monaco. Per di più, la Polonia non voleva che le truppe sovietiche entrassero nel suo territorio. Stalin aveva paura che Francia e Inghilterra si sarebbero unite alla Germania per lanciarla contro l’URSS. Per questo cercò di firmare un patto con la Germani. Voleva assolutamente che i due schieramenti si scontrassero e si sfibrassero a vicenda.
Nel 1939 URSS e Germania firmavano un patto di non aggressione in cui una parte della Polonia sarebbe andata all’URSS.
Mentre la polonia piangeva disperata, i comunisti non capivano il gesto di Stalin, guidato da nessuna ideologia.
Nel 1939 le truppe tedesche invasero la Polonia. Due giorni dopo Inghilterra e Francia dichiararono guerra alla Germania.

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