Storia dal 1914 al 1939

Materie:Riassunto
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Testo

STORIA

CAP.1 la prima guerra mondiale
Le ragioni che portarono allo scoppio della prima guerra mondiale sono molteplici. All’inizio delle ostilità contribuì senza dubbio la volontà di espansione da parte dei vari stati, soprattuto da parte del kaiser Guglielmo II, che mostrò di voler assecondare le mire espansionistiche lanciando il progetto della “grande Germania”. Un altro importante elemento è costituito dalla perdita del centralismo economico della Gran Bretagna e dalla guerra balcanica, dove dietro i paesi balcanici stavano le potenze europee ognuna con i propri interessi. Questo spinse Francia e Gran Bretagna a stipulare un accordo, che presto sarebbe diventato un vera e propria alleanza politico-militare, verso cui si avvicinò anche la Russia(Intesa Cordiale). Si vennero a formare in questo modo due blocchi distinti di alleanze, da una parte Francia, Gran Bretagna e russia; dall’altro Germania, Austria ed Italia. Per questi motivi l’uccisione a Sarajevo dell’arciduca Francesco Ferdinando per mano di uno studente serbo, fu solo un “casus belli”. La risposta dell’Austria non si fece attendere, che dopo aver mandato un ultimatum con condizioni inaccettabili alla Serbia, dichiarò guerra a quest’ultima (1914). La Russia proclamò il suo appoggio allo stato serbo. Subito seguì la dichiarazione di guerra della Germania alla Russia e alla Francia, cui gli inglesi risposero con l’entrata nel conflitto a fianco di Francia e Russia. La Germania invase immediatamente il Belgio ed il Lussemburgo, mentre entravano a far parte dell’Intesa il Giappone e degli Imperi centrali l’Impero Ottomano. L’Italia si proclamò neutrale. La strenua resistenza dell’esercito belga, permise alla Francia di organizzare meglio la difesa. Tuttavia l’esercito tedesco riuscì a penetrare sul suolo francese fini a poche decine di km da Parigi, ma venne fermato dall’esercito francese aiutato da un corpo di spedizione inglese. Un altro teatro di guerra fu il mare del Nord. La Gran Bretagna decise di bloccare tutti i rifornimenti indirizzati alla Germania e quando quesra strategia cominciò a dare i suoi frutti, la Germania rispose scatenando la guerra sottomarina. L’episodio più clamoroso fu l’affondamento del piroscafo Lusitania, in cui viaggiavano anche passeggeri americani. La risposta degli USA fu durissima ed il presidente intimò che fatti di questo tipo non si dovessero più ripetere. Nel 1915 scesero in campo nuovi belligeranti: la Bulgaria con gli Imperi centrali e Portogallo, Romania e soprattutto l’Italia con l’Intesa. Lo scoppio della guerra trovò l’Italia scossa dai disordini della “settimana rossa”. Il ministro degli Esteri, a nome del governo, giustificò la scelta neutralista sulla base di tre ragioni: la Triplice alleanza aveva carattere esclusivamente difensivo, l’Italia non era stata consultata al momento dell’ultimatum alla Serbia, Vienna non intendeva accogliere l’articolo 7 del trattato (che prevedeva compansi territoriali all’Italia nel caso in cui l’Austria fosse uscita rafforzata dall’area balcanica). L’Italia si divise in due blocchi contrapposti: i neutralisti e gli interventisti. Giolitti i liberali, i cattolici ed i socialisti si schierarono verso la neutralità, considerando la guerra inutile ed estranea alle questioni italiane; i liberali di destra, i gruppi industriali, gli irredentisti, i socialisti rivoluzionari ed altri ancora proposero invece la scelta interventista, affermando che la guerra avrebbe placato i tumulti nella penisola e avrebbe accentuato il carattere autoritario dell’Italia, oltre che a guadagnare altri territori in caso di vittoria. L’episodio che sancì l’entrata italiana nel conflitto fu il patto segreto (patto di Londra) che il ministro degli Esteri Sonnino stipulò segretamente con l’Intesa, impegnandosi ad entrare in guerra nel giro di un mese proprio a fianco di quest’ultima e che garantiva all’Italia l’acquisizione di alcuni territori. Giolitti protestò con questa scelta, ma venne accusato di vigliaccheria da un popolo che ormai chiedeva la guerra a gran voce. Il parlamento diede il suo sostegno al governo, così venne dichiarata guerra all’Austria (1915).
CAP.2 dinamica ed esiti del conflitto
Durante la guerra (che non fu come i tedeschi avevano sperato una guerra-lampo) i soldati si contrapponevano lungo km e km di trincee, senza mai affrontarsi direttamente. Questa situazione di stallo si protrasse allungo, sfavorendo proprio gli Imperi centrali, che circondati dalle forze nemiche, subivano anche il blocco commerciale. In questo contesto si verificarono due grandi fatti d’arme: la battaglia di Verdun (per sfondare le linee nemiche il capo di stato maggiore degli eserciti austro-tedeschi, decise di concentrare le armate tedesche nei pressi della fortezza di Verdun, ma gli anglo-francesci lanciarono il contrattacco che rovesciò la situazione a favore dell’Intesa) e la battaglia dello Jutland (la marina tedesca si scontrò con quella inglese pesso la penisola dello Jutland; tuttavia la parziale vittoria tedesca non implicò significativi cambiamenti), entrambe originate dal tentativo tedesco di rompere l’isolamento. Tutti e due gli sforzi tedeschi fallirono. Così i tedeschi annunciavano la guerra sottomarina totale. Nel frattempo l’Austria lanciò una violenta spedizione punitiva, che portò all’occupazione dell’altopiano di Asiago. L’unica vittoria italiana rilevante, fu la presa di Gorizia. Nel frattempo all’interno dei vari stati si andavano formando governi di unità nazionale. Questo accentramento del potere si combinò con una traformazione dell’organizzazione economica, che favorì uno sviluppo notevolissimo delle attività produttive e degli investimenti. Nel IV anno del conflitto si verificarono avvenimenti di importanza decisiva, come la rivoluzione bolscevica, l’intervento americano e il rifiuto militare e civile della guerra. In Russia l’esercito aveva pagato duramente l’impreparazione tecnica e strategica, mentre il popolo aveva espresso vari volte il suo malcontento. La goccia ke fece traboccare il vaso fu la rivolta di operai e soldati scoppiata a Pietrogrado (1917). Questa provocò l’abdicazione dell zar e la formazione di un governo provvisorio, dove il presidente decise di scatenare un’offensiva in Galizia, risoltasi in un totale fallimento. Fu il segno decisivo della totale estraneità dei soldati alla guerra, che determinò l’abbandono del conflitto da parte della Russia. Nel frattempo gli USA presero parte alle ostilità schierati a fianco dell’Intesa, spinti dalla ripresa tedesca della guerra sottomarina. Gli americani puntavano soprattutto alla salvaguardia dei capitali prestati ai paesi dell’Intesa ed a tutelare le loro esportazioni in Europa. In tutti i paesi belligeranti si stava diffondendo una generalizzata stanchezza ed insofferenza nei confronti della guerra.
I soldati, in modo particolare, erano costretti a vivere quasi sotterrati nelle trincee. Su tutti i fronti si manifestarono diserzioni di massa ed ammutinamenti. I fattori di crisi erano diffusi anche tra la popolazione civile, nonostante gli sforzi attraverso propagande e promesse, che non sarebbero mai state mantenute (generale Diaz). I generi di prima necessità scarseggiavano e i prezzi salivano sempre più, riducendo la popolazione allo stremo. Gli Imperi centrali si prepararono a uno sforzo offensivo eccezionale, nella speranza di risolvere il conflitto a loro favore prima dello sbarco delle truppe americane. L’esercito italiano non resse all’urto, i nemici presero Caporetto e fecero indietreggiare gli italiani fino al Piave. Lì il generale armando Diaz con una serie di promesse, animò l’animo dei soldati e riuscì ad arginare la rotta delle truppe italiane. Ci furono alcuni scontri intermedi, ma si susseguirono ugualmente uno dopo l’altro la resa della Bulgaria e della Turchia e l’armistizio dell’Austria con l’Italia. Anche la germania sconvolta da una grave crisi sfociata nell’ammutinamento della marina, nella fuga del Kaiser e nella declamazione della repubblica nella città di Waimar, fu costretta alla resa (1918). Alla conferenza per la pace, che si aprì a Versailles, si incontrarono solo i paesi vincitori, mentre i vinti furono convocati solo per firmare i trattati di pace. Si verificarono forti contrasti tra l’indirizzo della diplomazia europea (Clemenceau) e le tendenze del presidente Wilson. L’Italia, invece, non riuscì ad ottenere l’annessione di Fiume e della Dalmazia, intorno al quale nacque il mito della vittoria mutilata. Vinse comunque la linea dura di Clemenceau, mirante a paralizzare la Germania, imponendole una pace dalla quale non si sarebbe più risollevata. Infatti gli fu addebitato un pesante pagamento dei danni di guerra, la smilitarizzazione e la restituzione dei territori ottenuti durante il conflitto. Un ultimo risultato della conferenza di Versailles fu la creazione della Società delle nazioni, con lo scopo di tutelare la pace esercitando una funzione di arbitrato nelle controversie internazionali. Di fatto risultò un organismo scarsamente rappresentativo poiché Germania, Russia e Stati Uniti ne restarono fuori.
CAP.3 la rivoluzione russa
Nel febbraio del 1917 uno sciopero operaio e un’insurrezione di soldati fecero crollare il plurisecolare impero degli zar. Il sovrano Nicola II abdicò e il potere venne assunto da un governo costituente. Il processo di modernizzazione della Russia era stato avviato già da tempo, ma il problema della terra continuava ad alimentare gravi tensioni. i grandi proprietari terrieri possedevano, insieme ai kulaki (contadini agiati), il 40% dei terreni, mentre il resto era diviso in piccoli appezzamenti tra milioni di contadini. Ad essi si affiancava una classe operaia ancora poco numerosa. Le poche industrie erano sorte grazie a capitali stranieri oppure sostenute dallo Stato. La Russia dei primi del ‘900 era una paese autocratico, non esisteva un parlamento e l’attività politica era sottopostaa uno stretto controllo poliziesco. In questo clima si andarono organizzando partiti politici di opposizione come il Partito socialrivoluzionario ed il Partito operaio socialdemocratico russo. In seguito però all’interno del partito socialdemocratico, emerse un profondo dissidio tra la frazione più moderata, i menscevichi e quella rivoluzionaria, i bolscevichi capeggiati da Lenin. Il dissidio verteva sulla concezione del partito, infatti per i bolscevichi doveva essere costituito da un ristretto e combattivo manipolo di quadri rivoluzionari, mentre per i menscevichi doveva configurarsi come un’organizzazione di massa. Inoltre i tempi della rivoluzione stavano rapidamente maturando secondo Lenin, mentre i suoi avversari consideravano tale condizione assai remota. Secondo i bolscevichi la rivoluzione doveva essere guidata dal proletariato, invece secondo i menscevichi essa doveva essere di impronta democratico-borghese. Una prima grande esplosione rivoluzionaria fu prodotta dall’impatto della guerra russo-giapponese; dilagarono manifestazioni contro il governo che misero a nudo la crisi del regime zarista. Un imponente sciopero operaio (1905) fu seguito da una manifestazione popolare pacifica in cui si chiedeva un miglioramento delle condizioni dei lavoratori. La reazione delle truppe zariste fu brutale, i soldati spararono sulla folla. Intanto a San Pietroburgo prendeva forma un nuovo organismo politico-rappresentativo, il soviet dei lavoratori, mentre nelle campagne i contadini procedevano a occupare le terre dei nobili. Lo zar fu costretto a concedere l’istituzione di un parlamento, la duma, dotato di poteri legislativi ed eletto da tutte le classi sociali. A questo punto i liberali abbandonarono le altre forze d’opposizione. In seguito la duma fu rieletta a suffragio più ristretto, in modo che prevalessere gli interessi dei grandi proprietari e una maggioranza conservatrice. Nella rivoluzione del 1905 trovò conferma il giudizio dei bolscevichi sulla debolezza della borghesia russa, che pur di non scontrarsi con il potere, preferì rinunciare ad assumersi direttamente responsabilità di governo. Il nuovo governo era consapevole che l’arma della repressione non avrebbe potuto avere un successo duraturo se non fosse stata accompagnata da una politica riformatrice. Così il primo ministro Stolypin varò una serie di leggi allo scopo di favorire la formazione di un ceto medio agrario. Il programma consentiva ad ogni capofamiglia di appropriarsi della parte di terra che gli era stata assegnata dalla comunità. Tuttavia il progetto di Stolypin ebbe una serie di ripercussioni negative e contraddittorie, poiché i contadini privi di mezzi economici adeguati furono in gran parte costretti a cedere nuovamente le terre, che venivano ricomprate ad un prezzo più basso dai ricchi. In questa situazione i contadini senza terra e senza lovoro, si trasformavano in braccianti o si riversavano nelle grandi città, ma le poche industrie non erano in grado di occuparli. Durante la guerra, a causa delle rivolte militari e civili, il governo dello zar si trovò del tutto impreparato e la duma fu sciolta. La miseria ed i disastri militari accrebbero l’avversione verso lo zar ed il governo. Una rivolta di operai e di soldati scoppiata nel marzo 1917 (rivoluzione di febbraio) a Pietrogrado, ebbe come conseguenza l’abdicazione dello zar Nicola, con la creazione di due distinti ed indipendenti organismi di potere: il governo provvisorio e il soviet di Pietrogrado. il governo provvisorio intendeva presentarsi agli alleati dell’Intesa come il legittimo detentore del potere e tra i suoi scopi c’era la prosecuzione della guerra. Diversamente il soviet di Pietrogrado premeva per la pace immediata e per la distribuzione delle terre. Lenin ed altri dirigenti bolscevichi in esilio durante la rivoluzione di febbraio, riuscirono a rientrare in patria in questa situazione di debolezza e furono accolti alla stazione da una grande folla accorsa per acclamarlo. In una riunione di partito, Lenin lesse per la prima volta il breve scritto entrato nella storia come le “tesi di aprile”. Egli non aveva dubbi sul fatto che bisognava mettere fine alla guerra e che fosse giunto il momento di superare il dualismo politico tra il governo provvisorio ed i soviet. Inoltre Lenin ottenne il favore dei delgati, facendo approvare una mozione in cui la condanna del governo provvisorio si combinava con l’obiettivo di un rapido passaggio di tutti i poteri ai soviet!
La possibilità di realizzare questo programma aumentò quando il nuovo governo provvisorio guidato da kerenskij scatenò un’offensiva in Galizia, risoltasi in un totale disastro. Il governo provvisorio perse credibilità e nello stesso mese un’insurrezione di soldati e marinai costrinse nuovamente i bolscevichi alla cladestinità. Nel frattempo l’inflazione saliva vertiginosamente e grandi manifestazione percorsero le strade di Pietrogrado fra cui quella dei marinai della base di kronstadt. Nelle elezioni di settembre per il soviet di Mosca, i bolscevichi conquistarono la maggioranza relativa. Lenin aveva riassunto la sua strategia in pochi, ma significativi punti: pace immediata senza annessioni e senza indennità, la terra ai contadini e la liberazione delle nazionalità oppresse. Il comitato bolscevico si riunì e approvò la rivoluzione; fu eletto per la prima volta un “ufficio politico” cui facevano parte Lenin, Stalin e Trockij. Ormai i soviet erano diventati l’unico punto di riferimento politico. In una notte di novembre i rivoluzionari guidati da Trockij si impadronirono dei punti strategici per il controllo della città, che fu in poche ore nelle loro mani. Il governo provvisorio fu sciolto, Kerenskij fuggì e nel palazzo d’Inverno la strenua difesa di un manipolo di ufficiali cadetti fu facilmente sbaragliata. Il nuovo governo rivoluzionario era presieduto da Lenin, che promulgò le prime disposizioni come la pace immediata e la distribuzione delle terre. si votò per l’Assemblea costituente, ma stavolta i bolscevichi erano in minoranza. Alla prima riunione dell’Assemblea la maggioranza rifiutò di riconoscere il governo in carica. L’Assemblea fu sciolta e mai più riconvocata, mentre la fonte della sovranità fu riconosciuta soltanto ai soviet. Il compito più complesso del nuovo governo era rappresentato dalle conseguenze dell’uscita russa dalla guerra. Le nazioni alleate assicurarono il loro appoggio alle forze che si opponevano al nuovo governo. Le condizioni della pace separata con gli Imperi centrali, firmata a Brest-Litovsk, furono molto gravose per la Russia. Lenin riteneva comunque indispensabile questa catastrofica resa, se si voleva ricostruire il paese e prepararsi all’imminente guerra civile.
CAP.4 il primo dopoguerra
La guerra si era conclusa con un disastro di enormi proporzioni, intere nazioni erano in ginocchio. La conferenza di pace ebbe inizio a Parigi nel 1919. Vi parteciparono solo i paesi vincitori. I trattati presero il nome dalle località in cui furono firmati. Una delle posizioni emerse fu quella del presidente americano Wilson con i suoi 14 punti: soppressione barriere economiche e libertà di navigazione in ttti i mari, un disarmo generale e l’autodeterminazione dei popoli. Gli obiettivi delle potenze europee vincitrici si distaccavano dalla linea wilsoniana. In particolare la Francia voleva imporre alla Germania condizioni durissime dalle quali non si sarebbe risollevata facilmente. I tedeschi dovettere consegnare ai vincitori l’armamento pesante, le truppe furono smilitarizzate e dovettero cedere i possedimenti coloniali. Il trattato firmato a Versailles rispondeva al principio di attribuzione della responsabilità del conflitto alla Germania e all’onere della ricostruzione. I confini tedeschi vennero ridisegnati. L’entità delle riparazioni economiche fu fissata con una somma enorme, che la Germania avrebbe dovuto pagare in 30 anni. La spartizione dell’ex Impero austro-ungarico fu regolata a Saint-Germaine più tardi a Trianon. Anche l’Austria fu duramente punita, smembrato l’Impero, si ridusse a un’entità poco più che regionale. La creazione di nuovi stati dopo lo smembramento austriaco, contribuiva però a creare pericoli di destabilizzazione ed inoltre apriva problemi poiché il principio di nazionalità creava nuove minoranze nazionali e nuove cause di attrito. L’italia partecipò alla conferenza di pace come paese vincitore ed intendeva far rispettare gli accordi presi con il patto di Londra. Però non tutte le clausole furono rispettate, comprese quelle riguardanti la città di Fiume, che aveva dichiarato di voler far parte del Regno d’Italia. Di fronte all’impossibilità di far accettare le loro condizioni, Olando e Sonnino abbandonarono la conferenza per protesta. Le posizioni però restarono irremovibili ed i due rappresentanti italiani furono costretti a tornare alla conferenza senza aver ottenuto nulla di quanto chiedevano. I risultati della conferenza furono sentiti come un tradimento del principio di autodecisione dei popoli e contro l’Italia; nacque così il mito della vittoria mutilata. Il trattato di Sèvres regolò la spartizione dell?impero ottomano. Le potenze vincitrici furono guidate dall’obiettivo pressochè esclusivo di traformare i territori ex ottomani in aree semicoloniali sottoposte al loro controllo. Questa strategia non tenne però conto di quanto forti e radicate fossero le spinte del nazionalismo turco ed arabo. Il diverso atteggiamento delle maggiori potenze coloniali nei confronti delle colonie non riuscì comunque a frenare il loro lento ma inesorabile declino. Il governo inglese promosse la formazione del Commonwealth, che prevedeva la trasformazione dei territori coloniali in dominions (solo a quelle in maggioranza bianca), mentre l’India e i nuovo possedimenti mediorientali rimanevano sotto lo stretto controllo britannico. La Francia, invece, si attenne ai classici modelli del colonialismo ottocentesco, imponendo un governo centralistico. Questo alimentò l’esplosione di sanguinose rivolte. Particolarmente acceso fu nel dopoguerra il nazionalismo arabo, che fondava le sue rivendicazioni indipendentiste su elementi etnico-linguistici, che spingevano le singole identità nazionali al reciproco antagonismo. Questo risveglio dei popoli affondava le sue radici in diversi fenomeni: prima di tutto, durante il conflitto centinaia di uomini provenienti dalle colonie erano venuti a contatto con il pensiero occidentale, tanto che in Cina e in Estremo Oriente la lezione di Lenin ebbe largo seguito; e poi poiché l’Europa aveva perso il suo ruolo predominante. Le durissime condizioni del trattato di Sèvres suscitarono un forte movimento di opposizione nella nazionalità turca. Un generale dell’esercito, di nome Kemal, capeggiò una durissima guerra d’indipendenza: rovesciò il sultanato e proclamò la repubblica. Con il trattato di Losanna gli accordi di Sèvres furono annullati e fu riconosciuto il nuovo stato. Kemal diede vita ad un regime autoritario, dove impose energicamente la laicizzazione e la modernizzazione del paese. In egitto, anche la Gran Bretagna, dovette fare i conti con il movimento nazionalista. In cambio di aiuti finanziari ottenne iò controllo del canale di Suez. Analogalmente in Iraq favorì la nascita di un governo costituzionale mantenendo il controllo sul petrolio. La progressiva colonizzazione ebraica della Palestina creava un ulteriore elemento di tensione, che si acuì sempre di più. In India la Gran Bretagna aveva fatto ampie promesse in direzione dell’autogoverno. Era nato il Partito del congresso, di impronta occidentale, che chiedeva riforme costituzionali e maggiore autonomia. In questi anni emerse la figura di Gandhi, un avvocato, che in India aveva iniziato la sua battaglia contro le discriminazioni e contro il dominio inglese, con un metodo di lotta basato sulla disubbidienza civile e la non violenza. Gandhi rappresentò una guida politica e morale non solo per la sua gente che cominciò a chiamarlo il mahatma (grande anima), ma anche per i movimenti non violenti nel resto del mondo. L’azione del mahatma fu incentrata sul boicottaggio delle merci inglesi, il rifituto di usufruire di servizi pubblici coloniali, l’astensione dal lavoro, l’insubordinazione alle leggi ritenute ingiustee così via.l’esempio di Gandhi coinvolse milioni di indiani , suoerando le antiche barriere di casta e le tradizionali divisioni religiose tra induisti e musulmani. Intorno a questa grande personalità si formò un gruppo di leader politici con intenti indipendentisti, tra essi si distinse Nehru (futuro presindente dell’India). Il governo inglse tentò prima i contrastare il movimento nazionalista, ma alla fine cedette e concesse la nuova Costituzione e ampie autonomie locali. Anche l’Estremo Oriente fu caratterizzato da forti spinte nazionaliste. Nacquero il Partito nazionalista vietnamita ed il Partito comunista indocinese. Il movimento indipendentista diede vita ad una serie di rivolte duramente represse dai francesi che costrinsero i comunisti alla clandestinità. L’evoluzione tra il Partito nazionalista ed il Partito comunista scandisce i tempi della lotta contro il colonialismo europeo. Gli anni della Prima Guerra Mondiale segnano il momento più buoi della crisi politica e sociale in Cina dopo il crollo dell’Impero celeste e la proclamazione della repubblica. Pue essendo entrata in guerra a fianco dell’Intesa, la Cina non potè neanche riappropriarsi dei possedimenti coloniali tedeschi sul proprio territorio. Il Partito comunista cinese si alleò con il Guomindang (Partito nazionalista cinese) nella lotta ai signori della guerra ( capi militari che controllavano intere regioni ed erano fedeli al vecchio regime). Nel gruppo dirigente del Partito comunista assunse un ruolo di primo piano Mao Zedong, che individuò nelle masse contadine il vero soggetto rivoluzionario. L’allenza tra comunisti e nazionalisti resse e consentì di sconfiggere i signori della guerra per raggiungere l’unificazione della Cina. Tuttavia dopo la morte di Sun Yat-sen, prevalse nel Guomindang l’ala più conservatrice, che temeva dei consensi popolari attorno al Partito comunista. Con un colpo di stato, il nuovo leader nazionalista Chiang Kai-shek sciolse e mise fuorilegge il Partito comunista e ruppe l’alleanza con l’Unione Sovietica.il governo di Chiang durò 10 anni. Successivamente però le truppe dell’imperatore Hirohito invasero la Manciuria e piano piano continuarono la loro penetrazione in Cina. I comunisti perseguitati da Chiang si spostarono in massa nelle regioni settentrionali del paese, dove stabilirono la propria base. Durante il drammatico trasferimento verso nord, le schiere comuniste restarono compatte e la lunga marcia consolidò il prestigio dei comunisti di Mao. E furono proprio loro, dopo essersi riorganizzati, a guidare la resistenza nazionale contro i giapponesi. Dopo la conquista nipponica di pechino, comunisti e nazionalisti si allearono nuovamente per combattere nel conglitto cino-giapponese, conflitto che si intrecciò con le vicende della Seconda Guerra Mondiale.
CAP.5 il biennio rosso
Il principale fattore di crisi dell’economia europea consisteva nel problema di riconvertire in tempi brevi gli apparati poduttivi, molte industrie infatti fallirono. Inoltre contribuirono pesantemente i grossi debiti di guerra e l’inflazione sempre crescente. In questo clima europeo, gli Stati Uniti si affermarono come potenza egemone a livello mondiale. Poiché essi possedevano quasi metà della riserva mondiale di oro, poterono riscattare i titoli americani e divenire grandi esportatori di capitali. La crisi economica europea fu resa ancor più acuta dall’esplosione di una lunga serie di scioperi e agitazioni, per una più equa distribuzione della ricchezza e per difendere i loro redditi dall’inflazione. Lo stato rafforzò la sua centralità come promotore regolatore delle attività economiche e sociali. Cominciarono a prendere forma nuove teorie economiche: ogni branca produttiva doveva organizzarsi in istituzioni statali composte da rappresentanze, allo scopo di indirizzare le attività dei diversi settori produttivi secondo direttive provenienti dai vertici dello stato. Gli scopi erano: l’eliminazione della concorrenza tra aziende ed il controllo del conflitto fra capitale e lavoro. Queste teorie, designate con il termine di corporativismo, vennero sostenute soprattutto dai movimenti di destra e dai nascenti partiti fascisti. Il corporativismo andò di pari passo con la nuova cultura politica che sosteneva la necessità di rifondare il sistema politico attorno alla figura di un capo. Fra le novità ci fu il bisogno crescente di partecipazione manifestato da larghi strati di cittadini. Molti soldati tornati a casa, dopo aver affrontato l’esperienza nelle trincee, non riuscivano più ad adattarsi alla vita quotidiana on tempo di pace. Nacquero così, ad esempio, associazioni di ex combattenti. Ma questo bisogno di partecipazione si manifestò in modi diversi, ma soprattutto favorirono lo sviluppo di sindacati e partiti politici, come pure la ripresa dei movimenti femministi. I processi di rafforzamento del ruolo delle masse nella vita politica, si intrecciarono ai problemi suscitati dalla crisi economica, quali disoccupazione ed inflazione che provocarono ondate di lotte sociali. La risposta delle istituzioni fu perlopiù inadeguata. Questo favorì lo sviluppo di movimenti di matrice reazionaria. Il culmine di questa complessa riorganizzazione della società si raggiunse nel biennio 1919-20, quando in quasi tutti i paesi, la crisi postbellica spinse al massimo grado il conflitto tra i tre principali fattori in gioco (mobilitazioni civili, spinte reazionarie e risposta delle istituzioni). Negli stati con una più lunga tradizione democratica gli scontri sociali, vennero arginati, in altri paese invece il sistema politico non resse all’impatto, che si determinò con una serie di sussulti rivoluzionari il cui esito fu l’istaurazione di regimi politici autoritari e reazionari. Anche la Gran Bretagna entrò in una crisi economica e sociale. Il suo potere coloniale cominciava a vacillare e la questione irlandese subì un’accellerazione decisiva, cui seguì una cruenta guerra civile. Alla fine fu proclamato lo Stato libero d’Irlanda (1921).nell’intento di rivalutare la sterlina e riportarla al valore precedente, i governi di coalizione liberalconservatrice condussero una rigorosa politica deflazionistica. La convertibilità in oro della sterlina era uno dei cardini del sistema monetario internazionale (gold exchange standard). Tuttavia i costi della politica deflazionistica furono alti: la conseguenza più drammatica furono due milioni di disoccupati. Le agitazioni e mobilitazioni sindacali si succedettero numerose, ma l’indirizzo sostanzialmente riformistico del Partito labuista e delle Trade Unions impedì che lo sciopero dei minatori del ’26 sfociasse in una guerra civile. Sul piano politico la vita interna inglese si semplificò, lasciando protagonisti della dialettica politica soltanto conservatori e laburisti. In Francia le forze politiche cercarono di arginare la crisi economica. Al congresso di Tours la maggioranza dei partecipanti fondò il Partito comunista francese che aderì alla Terza internazionale. L’economia francese conobbe una ripresa più vivace rispetto a quella britannica, arrivando quasi alla piena occupazione delle industrie. Gli Stati Uniti furono in grado di superare più rapidamente i disagi e gli squilibri. La maggioranza repubblicana al Congresso fece prevalere le tendenze conservatrici e isolazioniste. Con l’elezione del presidente Harding, i repubblicani inaugurarono un lungo periodo di predominio politico interrotto soltanto dalla vittoria di Roosevelt. Per paura del diffondersi del bolscevismo, furono adottate severe misure restrittive sull’immigrazione. In un clima di crescente intolleranza politica e religiosa, divenne tristemente famoso il movimento razzista del Ku Klux Klan. In gran parte degli ex Imperi centrali le tensioni sociali e politiche si radicalizzarono rapidamente. In germania sembrava imminente un esito rivoluzionario. A Berlino ed in altre città tedesche furono creati consigli di operai e soldati. Dopo la rivolta di marinai a Kiel e la fuga del Kaiser Guglielmo II, fu proclamata la repubblica. L’anno successivo venne promulgata la nuova Costituzione, eleggendo Ebert presidente della repubblica. All’estrema sinistra si agitava la Lega di Spartaco, nata da una scissione del Partito socialdemocratico. Questo gruppo premeva per una svolta rivoluzionaria. Ebert era intenzionato a soffocare immediatamente i fermenti rivoluzionari, così durante una manifestazione gli spartachisti si trovarono coinvolti in uno scontro armato. Il ministro della difesa costituì i Freikorps, squadre d’azione controrivoluzionarie, che si diederoad una repressione sistematica, eliminando tutto il nucleo dirigente comunista. Repressa la rivolta spartachista, i Freikorps continuarono ad operare autonomamente, attuando numerosi attentati terroristici. Il problema più grave della Repubblica di Waimar fu il precipitare della crisi economica. L’inflazione, divenne insostenibile. Su questa situazione si abbattè la richiesta dei risarcimenti per i danni di guerra. Il governo degli Stati Uniti, avanzò la richiesta di restituzione dei prestiti di guerra concessi agli alleati e la Francia pretese l’afflusso delle riparazioni appunto per rimborsare i prestiti americani. Una somma gigantesca che il governo tedesco cercò di pagare stampando ancora cartamoneta, innescando così una nuova ondata inflazionistica, che fece salire alle stelle i prezzi e precipitare il valore della moneta sui mercati internazionali. La Germania dichierò l’impossibilità di pagamento per i danni di guerra. La francia rispose passando all’offensiva: le truppe franco-belghe occuparono la Ruhr, mentre il governo tedesco proclamò la resistenza passiva contro l’occupazione. In questa situazione il nuovo governo di coalizione mise in atto una serie di importanti provvedimenti: sul piano internazionale mise fine al boicottaggio della Ruhr, sul piano interno avviò una dura persecuzione a sinistra, sul piano economico creò il “marco di rendita” garantito da un’ipoteca su tutti i beni del territorio nazionale. In questo modo la Germania potè giungere ad un accordo sulle riparazioni. Secondo il piano Dawes furono stanziati prestiti e investimenti americani a sostegno della produzione tedesca. La riconciliazione tra Francia e Germania fu sancita dagli accordi di Locarno. Nei confusi programmi della destra estrema i temi nazionalistici si combinavano con il risentimento razzista. Si veniva imponendo il Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori, dove tra i suoi fondatori si mise in luce Adolf Hitler. Egli impostò il partito secondo il principio dell’assoluta autorità del capo e formando squadre paramilitari. A Monaco tentò un colpo di mano per trasformare la città in una base di potere da cui sfidare il governo di Berlino. Hitler venne arrestato ed il suo fallimento lo convinse dell’impossibilità di prendere il potere con un colpo di mano. In carcere scrisse “la mia battaglia” in cui espose il suo programma politico, basato sull’opposizione al trattato di Versailles, la riunificazione di tutti i tedeschi, la privazione di cittadinanza per i non tedeschi e la necessità di garantire alla Germania uno “spazio vitale” che ne ampliasse i confini a est.
CAP.6 la costruzione dell’Unione Sovietica
Immediatamente dopo la presa di potere, i bolscevichi si trovarono a dover affrontare gravissime difficoltà sia interne che esterne, ma dopo una sanguinosa guerra civile riuscirono a far prevalere la loro linea politica e ad assumere il controllo. All’interno si opponevano al governo rivoluzionario i grandi proprietari aristocratici, i kulaki ed alcune regioni; all’esterno gli alleati di un tempo, intervennero con forze proprie e portarono aiuto alle “armate bianche” che si contrapponevano alle “armate rosse” dell’esercito rivoluzionario. Le armate bianche puntarono su Mosca e pietrogrado tentando un’azione di accerchiamento. Nel corso della gueraa civile venne fucilato lo zar con tutta la sua famiglia. L’armata rossa sconfisse una dopo l’altra le armate controrivoluzionarie. L’ultimo scontro fu quello con la Polonia. Le potenze europee mediante il sostegno ai governi anticomunisti dei paesi confinanti costituirono un “cordone sanitario” allo scopo di contenere il contagio bolscevico. I bolscevichi si ponevano come l’avanguardia di un movimento rivoluzionario che doveva estendersi in tutta europa. Ma il fallimento della rivoluzione in occidente rese ben chiaro che la rivoluzione socialista non aveva possibilità concrete di diffondersi in tempi brevi fuori dalla Russia. Il Partito bolscevico diede vita alla Terza internazionale per poter meglio organizzare tutte le spinte rivoluzionarie esistenti nel movimento operaio internazionale. Il primo dato saliente riguarda il forte accentramento del potere nelle mani dei leader del Partito bolscevico. Nello sforzo di disciplinare la società e per respingere l’attacco dei nemici, soffocarono ogni voce di dissenso e annullarono ogni autonomia delle forze sociali. Il secondo dato riguarda la sostanziale incomprensione della questione agraria. Il governo mise in atto una serie di drastici provvedimenti economici (requisizione integrale dei prodotti dell’agricoltura). Con questi provvedimenti (comunismo di guerra) il gruppo dirigente comunista che intendeva colpire i contadini ricchi, finì con lo schiacciare proprio i contadini più poveri. Questa dittatura alimentare generò una netta contrapposizione tra città e campagna: entrambi mostravano segni di un progressivo distacco dai bolscevichi che minacciava le basi della rivoluzione. Sconfitte le forze controrivoluzionarie, il regime comunista potè aprire una fase di stabilizzazione interna. Il gruppo dirigente bolscevico cominciò ad attuare un Nuova politica economica (Nep); inoltre fu definito l’assetto istituzionale federale dello stato che assunse la denominazione di Unione delle repubbliche socialiste sovietiche. L’Urss cominciò a ottenere i primi riconoscimenti diplomatici, mentre la ripresa economica ne garantiva la sopravvivenza materiale. Tra le trasformazioni che aderirono alla Terza internazionale si delinearono due tendenze: una fedele al sindacalismo rivoluzionario e ad una concezione di democrazia popolare, l’altra vicine alle posizioni di Lenin e Trockij. Al secondo congresso dell’Internazionale Lenin riuscì a far prevalere la sua linea, mentre al secondo congresso di Mosca vennero stabilite le 21 condizioni per aderire all’Intenazionale (centralismo democratico e solidarietà con l’Urss). Successivamente venne introdotta una sorta di economia di mercato (es: i contadini potevano vendere liberamente i loro prodotti una volta pagata un’imposta in natura). Fu inoltre ricostituita la proprietà privata. Nel settore industriale le imprese con meno di 20 lavoratori conservarono una direzione privata, mentre le altre restavano sotto il controllo statale. Nel complesso la Nep consentì di raggiungere il risanamento finanziarioe la fine dell’inflazione. Essa, il cui massimo teorico fu Bucharin, era in sostanza una forma di economia mista basata sul presupposto che lo sviluppo industriale avrebbe potuto avviarsi solo quando si fosse consolidato nelle campagne un processo di accumulazione di risorse tale da innescare la domanda di prodotti industriali. Contro il programma di Bucharin si mosse l’opposizione di sinistra capeggiata da Trockij, fautore di un rapido processo di industrializzazione da realizzare grazie a una pianificazione economica fortemente centralizzata. Stalin si trovò ai vertici del partito nel momento in cui la malattia e la morte di Lenin portarono alla ridefinizione degli equilibri e dei ruoli all’interno del partito. Essa assunse due forme: dibattito teorico o lotta personale per il potere. I principali contendenti furono Trockij e Stalin. Quest’ultimo per sconfiggere l’avversario si era alleato con Bucharin. Lo scontro tra i due contendenti al potere non si limitò alla politica economica, ma anche alla politica estera. Dopo il tramonto delle prospettive rivoluzionarie in Cina, Stalin potè facilmente accusare di avventurismo coloro che credevano ancora nella rivoluzione mondiale: Trockij ed altre persone furono espulse. Alla fine Trockij fu assassinato dai sicari di Stalin a Città del Messico (1937). Divenuto il padrone incontrastato del paese, affrontò il problema dell’industrializzazione e varò così il primo piano quinquennale facendo proprio il programma trockista di industrializzazione forzata.
CAP.7 dallo stato liberale al fascismo
L’Italia, pur essendo un paese vincitore, fu scosso alle fondamenta da una radicalizzazione dello scontro sociale. Lo stato liberale venne travolto e prese corpo un nuovo regime autoritario. Gli effetti della guerra furono particolarmente gravi: disoccupazione, inflazione e riconversione produttiva. Il conflitto rafforzò senza alcun dubbio il settore industriale: si verificò un processo di espansione e insieme di concentrazione dell’industria. La necessità di capitali acrebbe l’esposizione delle imprese nei confronti delle grandi banche. Si infittì così l’intreccio tra gruppi monopolistici e quel “quadrumvirato” onnipotente di banche. L’intervento dello stato contribuì ad alterare profondamente i meccanismi della concorrenza. La guerra plasmò dunque la formazione di un sistema capitalistico monopolistico. Le maggiori aziende erano quasi tutte concentrate nel triangolo industriale Milano-Torino-Genova. Questo creava un forte squilibrio con le regioni meridionali, dove una popolazione sovrabbondante di contadini poveri non riusciva ad avere accesso alla proprietà fondiaria e che quindi avevano come unica chance quella di emigrare. L’emigrazione però rappresentava un problema dopo che gli USA approvarono una serie di provvedimenti restrittivi per ridurre l’afflusso di stranieri. I governi liberali non furono in grado di affrontare un’adeguata riforma agraria. Di conseguenza i contadini occuparono le terre dei latifondisti e chiedevano la distribuzione delle terre incolte. Lo stato restò inerte. Solo Antonio Gramsci ed un gruppo di giovani intellettuali socialisti raccolti intorno al foglio “l’Ordine Nuovo” intuirono la centralità della questione meridionale. I contadini, dopo l’insuccesso dell’occupazione delle terre, rimasero risucchiati nei meccanismi tradizionali della società del sud e pronti ad accogliere passivamente l’avvento della dittatura. Si aprì una difficile fase (biennio rosso, 1919-20), nella quale fallimenti e contrazione della produzione si combinano a interventi di salvataggio. Gli italiani, infatti, erano troppo poveri per garantire un livello di consumo privato in grado di alimentare la base industriale del paese. Ciò ebbe la conseguenza di aumentare la disoccupazione e ad aggravare la situazione si aggiunsero l’inflazione ed il crollo della lira. L’esito di questi processi fu l’esplosione di un ciclo di lotte operaie, dove si chiedevano la riduzione della giornata lavorativa, aumenti salariali ed il riconoscimento delle “commissioni interne”. Nelle aree industrializzate le lotte operaie si unirono alle lotte dei braccianti. Durante il biennio rosso italiano, la rivoluzione sembrava alle porte. Il culmine venne toccato quando scioperi contro il rincaro dei generi alimentari esplosi a La Spezia si propagarono in tutta l’italia centro-settentrionale e in Puglia. Lo stato intervenne lasciandosi alle spalle morti e feriti, ma al tempo stesso ad abbassare i prezzi dei generi di più largo consumo. L’inflazione colpiva anche la piccola e media borghesia e li colpiva non solo come salariati, ma anche come risparmiatori. Queste frustrazoni sfociavano in una sorda opposizione alla classe operaia, ma anche verso la borghesia agiata. Fra coloro che con maggiore acutezza colsero questo disagio, cercando di incanalarlo entro forme organizzate, ci fu Benito Mussolini. Ex direttore dell”Avanti!”, Mussolini fondò a Milano il Movimento dei fasci di combattimento. Egli intendeva catalizzare variegate correnti di opposizione prive di chiari riferimenti politici. Incendiò la sede milanese dell”Avanti!”; il suo principale obiettivo era indebolire il movimento operaio e le sue organizzazioni, sostituendosi allo stato e facendo uso della violenza. L’azione del fascismo si intrecciò con il movimento nazionalista, infatti entrambi affondavano le proprie radici nello stesso clima culturale e si richiamavano ad una comune concezione ideologica. Tuttavia resto sospesa la questione di Fiume, intorno la quale era nato il mito della vittoria mutilata, usato dalla propaganda nazionalista contro il governo liberale. Questo groviglio di tensioni portò alle dimissioni del governo Orlando. Il nuovo governo non fu però in grado di sciogliere alcun nodo della crisi italiana. Alcune settimane dopo le risoluzioni della conferenza, sembrò profilarsi un accordo in base al quale Fiume sarebbe diventata città libera. Il clima però si riscaldò nuovamente quando si sparse la notizia che a Fiume erano scoppiati gravi incidenti tra italiani e truppe francesi. Fu nominata una commissione d’inchiesta e si arrivò alla decisione di ridurre il contingente italiano, trasferendo a Ronchi un reggimento di granatieri di Sardegna. Proprio da Ronchi D’Annunzio partì alla volta di Fiume dove rimase padrone per poco più di un anno. La debolezza del governo si evidenziò soprattutto nel fatto che non seppe reagire in questa occasione, ma con il trattato di Rapallo Fiume fu finalmente dichiarata città libera e D’Annunzio fu scacciato con la forza. Nel frattempo maturò la formazione del Partito popolare italiano, fondato da don Luigi Sturzo (1919) , che nacque dopo l’approvazione del papa con l’intento di raccogliere l’adesione dei cattolici per costruire una nuova forza politica. Programmaticamente interclassista, raccoglieva più consensi nelle campagne, tra i coloni, fra gli artigiani e così via. Gli obiettivi erano il rispetto della proprietà privata unito però allo sviluppo della solidarietà sociale, la riforma agraria e la riforma tributaria. Sturzo puntava al decentramento amministrativo e ad una maggiore autonomia degli enti locali. Ma con l’avvento del nuovo papa, più orientato a rafforzare i legami con i poteri tradizionali, il Partito perse parte della sua influenza fino allo scioglimento per opera del fascismo. Il paese fu chiamato alle urne, la tornata elettorale si svolgeva con il nuovo sistema proporzionale, che prevedeva l’elezione di più candidati in ciascun collegio in proporzione al numero dei voti. Ne uscirono vittoriosi il Partito socialista ed il Partito popolare. In questo clima difficilissimo, Giolitti sembrò l’unico uomo politico in grado di tenere insieme una maggioranza forte e in grado di riprodurre quel compromesso tra borghesia e classi lavoratrici. La proposta di Giolitti non fu sufficiente, la questone fiumara restava aperta e l’azione violenta del fascimo assumeva dimensioni sempre più inquietanti. Il culmine si ebbe con l’occupazione delle fabbriche da parte degli operai, che alla fine raggiunsero un accordo che prevedeva forti aumenti salariali e il riconoscimento di forme di controllo operaio. Gli industriali abbandonarono il riformismo moderato di Giolitti e cominciarono a guardare con favore al nuovo movimento fascista. Le continue polemiche all’interno del Partito popolare iniziarono a minarne la credibilità politica ed il consenso elettorale. Già nelle elezioni amministrative erano visibili i primi cedimenti, dove liberali conservatori, nazionalisti e fascisti, raccolti nelle liste del “blocco nazionale” ottennero risultati a loro favorevoli. Cominciava a farsi sentire l’effetto di una nuova, breve ma acutissima, crisi economica. In occasione della nuova amministrazione socialista a Bologna, gruppi fascisti armati, presero d’assalto il municipio. Un mese dopo fu la volta di Ferrara. Si passava dal biennio rosso al biennio nero. Quando le due maggiori industrie siderurgiche italiane si trovarono sull’orlo del fallimento, i nodi vennero al pettine e solo l’intervento dello stato permise la loro sopravvivenza, che comunque incrementò la disoccupazione. Intanto il fascismo si era trasformato da movimento minore violento a soggetto politico in grado di dare uno sbocco alla crisi. Mussolini orientò il Movimento dei fasci in senso decisamente conservatore e lo trasformò, inoltre, in un partito organizzato gerarchicamentee dando vita nel 1921 al Partito nazionale fascista. Mussolini si adoperò a riscuotere le simpatie del pontefice Pio XI , anche se restava ancora in uso su larga scala l’uso della violenza organizzata contro il movimento operaio. Teatro delle azioni squadriste furono le campagne, con uno spostamento della proprietà dai grandi proprietari ai piccoli e medi agricoltori. Nella società rurale si aprì un’ampia frattura tra cui si inserì il movimento fascista, facendosi paladino della proprietà e organizzando squadre armate finanziate dagli agrari per distruggere le sedi dei sindacati, delle leghe e delle cooperative. L’avvento del fascismo fu possibile grazie all’atteggiamento consenziente delle forze liberali. Infatti le incursioni delle squadre fasciste continuarono iindisturbate, trovando in molti casi coperture da parte di prefetti e autorità militari. Dunque la sconfitta del movimento operaio è imputabile anche alla debolezza del Partito socialista. Alle elezioni politiche del ’21 i socialisti si trovarono isolati; da lì a poco Mussolini avrebbe preso il potere con la marcia su Roma. A causa delle enormi fratture al suo interno interno, il Partito socialista non resse all’urto decisivo del fascismo che aveva intensificato l’azione squadristica. Mussolini fondò il Partito nazionale fascista per poter svolgere un’azione politica di più ampio respiro rispetto a quella dello squadrismo. A questo punto capì che i tempi erano maturi per mettere in atto una decisiva azione insurrezionale. Al comando di un “quadumvirato” composto dai massimi esponenti del partito, colonne di migliaia di fascisti in armi confluirono verso la capitale, occupando militarmente città e paesi dell’italia centro-settentrionale. La proposta Facta di decretare lo stato d’assedio fu respinta dal re Vittorio Emanuele III che anzi affidò a mussolini il compito di formare un nuovo governo. Il primo risultato tangibile dell’avvento del regime fu la ripresa economica. La leva principale utilizzata fu quella del fisco: si dichiararono decadute le leggi fiscali, si sottoposero i salari operai e i redditi dei contadini alle imposte sul reddito, si incrementarono i prelievi sui consumi attraverso le imposte indirette. Parallelamente si ridusse drasticamente la spesa pubblica con l’obiettivo di mettere sotto controllo il debito pubblico. Mentre sul piano politico e istituzionale il regime restringeva progressivamente le libertà di azione e di espressione. Intanto si verificò un piccolo boom economico, cui seguì un nuovo ristagno e per farvi fronte Mussolini lanciò due grandi inziative: la battaglia del grano e la bonifica integrale. Egli avviò anche un programma di radicali trasformazioni istituzionali. Il fascismo intaccò progressivamente le prerogative essenziali del parlamento, con nuovi organismi: il Gran consiglio del fascismo e la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale. Fu approvata una nuova legge elettorale che assicurava un ampio premio di maggioranza alla lista o a gruppi di liste che risultassero vincitori alle elezioni. Nelle consulte elettorali del ’24 il “listone” dove confluirono fascisti e conservatori, ottenne una netta vittoria. Giacomo Matteotti che denunciò in parlamento quanto si era verificato, fu rapito da emissari fascisti e ucciso. Questo avvenimento sconvolse l’opinione pubblica e rimase un gesto simbolico l’abbandono della camera da parte di alcuni parlamentari per protesta morale. Il sostegno della chiesa cattolica si faceva sempre più forte, tanto che don Sturzo dimesso dal suo incarico, preferì l’esilio. Passata la bufera Matteotti, Mussolini diede una svolta radicale alla sua politica; prese corpo il regime fascista. Egli aveva ridotto la possibilità di azione politica e sociale fino a farla quasi sparire, aveva svuotato il parlamento della sua funzione e cercò di trovare consensi presso i ceti popolari. Furono ridotte anche la libertà di stampa e di attività politica, modificando l’organizzazione dello stato in direzione accentratrice. Il parlamento fu privato della funzione legislativa che fu data al governo; comuni e provincie persero il loro carattere di enti locali a base elettorale, i sindaci e i presidenti delle province furono sostituiti con podestà e presidi, mentre veniva accentuato il controllo sul potere locale da parte del prefetto. Tutti i movimenti e partiti politici furono dichiarati illegali e fu creato un tribunale speciale per la difesa dello stato. Antonio Gramsci venne arrestato, così molte personalità della politica si avviarono all’esilio spontaneo (fuoruscitismo). Vennero anche promulgate le cosiddette leggi sindacali, che rendevano illegali gli scioperi e di fatto scioglievano i liberi sindacati dalla loro autorità. Gli organi di rappresentanza sindacale venivano riconosciuti come organismi di stato e inquadrati nelle corporazioni professionali. Fu emanata anche la Carta del lavoro, che disegnava le linee della politica sociale del regime presentandole come finalizzate alla collaborazione tra le classi. Con il ritorno della crisi economica, prese avvio la politica monetaria rivolta alla rivalutazione della lira (quota 90). Con il famoso discorso di pesaro, Mussolini lanciò una nuova fase della politica economica, dove era necessario imboccare un rigido protezionismo. “Quota 90” produsse una grave crisi congiunturale dell’economia italiana che colpì tutti i settori economici particolarmente legati alle esportazioni. Ne derivarono un’impennata della disoccupazione e una continua erosione dei salari. Ripresero le lotte operaie e la Carta del lavoro dimostrò tutta la sua inconsistenza. I piccoli risparmiatori accettarono con favore la rivalutazione della lira, così la piccola borghesia divenne la base di massa del regime, la più sensibile alla propagande del fascismo e ad aderire con maggior convinzione alle sue aspirazioni totalitarie. A ciò contribuì anche l’appoggio della chiesa.
CAP.8 la grande crisi e il new deal
La crisi economica esplose nel 1929, il cosiddetto giovedì nero, con il crollo della Borsa di New York che ha sede in Wall Street. Era diventata la sede di movimenti spaculativi di gigantesche dimensioni, che non erano sottoposti a freni né a controlli. Si erano diffuse pratiche assai pericolose, come quella dell’acquisto delle azioni a credito con il risultato di alimentare la formazione di una “economia di carta” sempre più slegata dall’economia reale. La Banca centrale americana aveva messo in azione una manovra che era stata sperimentata sempre con successo: aumentava il tasso di interesse nei rapporti con le altre banche, facendo così crescere tutti gli interessi, con il risultato di scoraggiare le richieste di credito volte a fini speculativi. Negli anni precedenti era nato un grande numero di società nei più diversi settori, portando la disoccupazione a tassi bassissimi. La conseguenza però fu una sovrapproduzione di prodotti invenduti che fecero crollare i prezzi all’ingrosso e ne seguirono fallimenti e licenziamenti da record. L’aspetto saliente che aveva provocato l’eccesso di capacità produttiva era stata una profonda riorganizzazione dei sistemi produttivi e sulla diffusione del taylorismo (sistema di organizzazione del lavoro basato su semplici operazioni e finalizzato all’aumento della produttività). Questa profonda trasformazione della produzione industriale era stata favorita da una crescita costamte della domanda nella quale le espostazioni avevano svolto un ruolo decisivo. Il mercato adesso, però, risultava troppo ristretto per la crescente quantità di merci prodotte, poiché gli USA non trovavano più in Europa il numero necessario di acquirenti. Per sostenere il potere d’acquisto interno si diffusero ampiamente agevolazioni creditizie. Ai finanziamenti bancari non ricorrevano solo le grandi imprese, ma anche i semplici consumatori di beni durevoli. Così il crollo borsistico non provocò solo il fallimento di società e imprese, ma gettò sul lastrico anche chi aveva contratto debiti per acquistare case o automobili. La sovrapproduzione costrinse le industrie a ridurre la produzione e di conseguenza a licenziare grandi masse di operai. Gli imprenditori non furono più in grado di restituire i prestiti avuti dalle banche. Si aprì in tal modo una drammatica spirale che travolse l’economia americana e che toccò il culmine nel 1932 con tantissimi disoccupati ed un sistema produttivo al collasso. Tutte le nazioni dell’occidente industrializzato avevano manifestato un’analoga tendenza alla sovrapproduzione e alla stagnazione. Il crollo dei prestiti e degli investimenti americani in Europa investì quindi un organismo economico già profondamente minato. La reazione consistette nel contrarre la produzione e sostenere i prezzi, questa scelta ebbe come conseguenze una caduta verticale della produzione industriale e una crescita abnorme della disoccupazione. in un quadro monopolistico la comparsa di una nuova crisi di sovrapproduzione non determinò un immediato taglio dei prezzi. Ciò fu possibile perché i prezzi non erano più regolati dal rapporto domanda-offerta, ma erano stabiliti dai grandi trust, che decisero di tagliare l’offerta pur di sostenere i prezzi e tutelare i profitti. I governi dei paesi maggiormente coinvolti misero in atto una serie di misure, esse furono sostanzialmente improntate a elevare barriere protezionistichesempre più rigide. Gli Stati Uniti furono i primi ad adottare questa misura. Il presidente Hoover decise un forte rialzo delle tariffe doganali. A questa decisione si adeguarono altri paesi. I paesi maggiormente investiti furono la Gran Bretagna e la Germania. Il commercio venne posto sotto il controllo dello stato e in questo quadro vanno inseriti anche gli interventi di politica monetaria. L’atto formale che decretò la fine del gold exchange standard fu la decisione presa dal governo inglese di svalutare la sterlina e di sganciarla dall’oro dichierandone l’inconvertibilità. Altre nazioni europee risposero con nuove svalutazioni. Ma la dinamica delle svalutazioni a catena travolse gli equilibri delle transazioni internazionali, paralizzando ancor di più il commercio mondiale. La crisi economica americana conobbe un sostanziale aggravamento. I programmi messi in atto dalla presidenza Hoover fallirono ed i consensi intorno al Partito repubblicano crollarono. Nel ’32 venne eletto alla presidenza Roosevelt che aveva condotto tutta la campagna elettorale su un vasto programa di risanamento. Due erano i principi fondamentali: che il rilancio dell’economia fosse possibile non sostenendo i prezzi, ma sostenendo il mercato e che il mettere sotto controllo il sistema bancario e le grandi corporation per impedire il ripetersi delle speculazioni borsistiche. Iniziava negli Stati Uniti il New Deal. La direzione di fondo dell’intervento rooseveltiano fu dunque il sostegno alla domanda interna. I primi provvedimenti furono fatti approvare dal congresso nei primi 100 giorni di presidenza: il governo rafforzò la Federal Reserve Bank e sottopose la Borsa, le grandi holding e le banche a controlli più rigidi. Il presidente avviò la ricostruzione industriale limitando la concorrenza sfrenata tra le industrie, favorendo la ripartizione di quote di mercato e sostenendo i prezzi. In agricoltura limitò e programmò le aree da mettere a coltura per arginare la sovrapproduzione. Creò inoltre organismi speciali per aprire cantieri di lavori pubblici al fine di riassorbire la disoccupazione. le resistenze non mancarono, soprattutto dalle grandi corporation. Una di esse animò una battente campagna di opposizione e la stessa Corte suprema dichiarò incostituzionali i piani di intervento sull’industria e sull’agricoltura. Roosevelt comunque accentuò gli aspetti sociali del suo programma e condusse una dura battaglia contro i monopoli privati dei servizi pubblici che praticavano tariffe troppo elevate. Le basi dello stato sociale americano furono poste dal Social Security Act, che per la prima volta proteggeva i lavoratori con un sistema di assicurazioni per la vecchiaia e che erogava sussidi secondo un sistema misto di finanziamento. Si aggiunse anche una riforma tributaria per un più equa distribuzione del reddito. Nel 1936 Roosevelt fu rieletto, ma la disoccupazione fu pienamente riassorbita solo quando gli Stati Uniti avviarono una politica di riarmo.
CAP.9 l’Italia fascista
Mussolini aveva abbandonato i bellicosi propositi di revisione dei trattati di pace e aveva cercato di accreditarsi come un artefice dell’equilibrio continentale. Ci fu la nascita di movimenti che si ispiravano al modello italiano. Nelle zone periferiche dell’Europa la deriva autoritaria di matrice nazionalista aveva fatto breccia. Il messaggio nazionalista che costituiva l’ossatura della proposta ideologica di capi come Primo de Rivera in Spagna, Horthy in Ungheria o Antonio Salazar in Portogallo era funzionale allo sforzo di impedire che le istanze democratiche e socialiste coinvolgessero anche le classi medie, tradizionale base di massa del conservatorismo. La crisi degli anni ’30 indebolì le capacità di difesa delle democrazie, ciò nonostante il centro dell’Europa resse alla sfida. Ma nel resto dell’Europa continentale e mediterranea la soluzione totalitaria di matrice fascista si impose come vincente. La forza propulsiva del totalitarismo trovò il suo principale agente motore nel nazismo. I fulcri attorno ai quali ruotò questa svolta furono tre: fascistizzazione della società; il dirigismo economico fondato sul proibizionismo assoluto; una nuova politica estera imperniata sull’alleanza con il nazismo e sulla scelta imperialista. Il progetto autoritario del regime aveva mirato al controllo della società con la creazione di un vero e proprio stato di polizia, con il compito di colpire ogni forma di dissenso politico. Venne istituita l’Opera nazionale dopolavoro con il compito di controllare il tempo libero dei lavoratori, l’Istituto nazionale fascista di cultura con lo scopo di sviluppare una politica culturale espressamente fascista e di condizionare la libertà intellettuale degli studiosi. Uno sforzo specifico fu indirizzato al controllo dell’istruzione pubblica, che trovò la sua risoluzione nella sostituzione nelle scuola elementari e medie dei libri di testo con il testo unico di stato. Un processo analogo riguardò il mondo giovanile con la fondazione dell’Opera nazionale Balilla, dedicata alla formazione delle giovani generazioni secondo i dettami dell’ideologia fascista. A queste iniziative se ne unirono molte altre. Uno dei passaggi chiave del fascismo, fu la pacificazione con la chiesa cattolica sancita dai Patti lateranensi, costituiti da tre documenti: il trattato (garantiva l’assoluta indipendenza alla Santa sede), la convenzione finanziaria (con la quale venne pagata un’indennità a risarcimento dei beni espropriati con la presa di Roma) e il concordato (imponeva ai vescovi di giurare fedeltà allo stato italiano e assicurava importanti privilegi alla chiesa cattolica). Non a caso nelle elezioni del ’29, dette plebiscitarie perché i cittadini potevano soltanto approvare o respingere una lista di nomi predisposta dal Gran consiglio del fascismo, i “sì” furono la stragrande maggioranza. Mussolini fu salutato dal pontefice come l’uomo della provvidenza. Però il rapporto con la chiesa rimase non sempre pacifico, perché quest’ultima non intendeva rinunciare al suo magistero educativo dei giovani. Questo contrasto degenerò in scontro quando Mussolini impose di sciogliere tutte le organizzazioni cattoliche giovanili e inviò ai prefetti l’ordine di chiudere le sedi dell’Azione cattolica perché la sua azione era considerata contraria al regime. Nonostante questo conflitto la pace religiosa favorì il fascismo , che potè dispiegare la sua azione di fascistizzazione della società italiana. Tutti gli organismi fino ad allora creati, vennero unificati nella Gioventù italiana del Littorio, posta sotto la diretta responsabilità del partito, che si occupava solo di educazione e di svago, ma anche di prevenzione e cura delle malattie. Tra campi militari, colonie marittime e montane, gite e spettacoli teatrali e cinematografici il regime si incaricò di riempire interamente il tempo libero delle giovani generazioni per finalizzarlo alla loro politicizzazione. La fascistizzazione dei giovani comportò anche la rivitalizzazione dei Gruppi universitari fascisti; il regime fece un poderoso investimento economico e politico per mobilitare gli studenti universitari proponendo una vasta gamma di attività culturali e di svago che ebbero notevole successo. Questa pressione sulle giovani generazioni coinvolse direttamente la scuola, imponendo agli insegnanti di diventare dei pedagoghi al servizio del fascismo, secondo i dettami della Carta della scuola (1937). Il controllo sul tempo libero non si limitò ai giovani, ma a tutta la società, attraverso gite di massa e viaggi organizzati, spettacoli e attività ricreative, gli italiani venivano messi in contatto con le opere pubbliche realizzate dal fascismo oppure erano ammessi al contatto con il duce. Al motto “il duce ha sempre ragione” venne costruita l’immagine di un capo carismatico e infallibile cui era affidato il compito di realizzare la grandezza della nazione. La fascistizzazione della stampa fu attuata in modo graduale maw intransigente e curata direttamente da Mussolini; l’iscrizione all’albo professionale dei giornalisti fu subordinata alla presentazione di un certificato di buona condotta politica rilasciato dal prefetto. Sulla produzione cinematografica fu esercitata una stretta censura e solo in un secondo tempo fu favorita la produzione cinematografica nazionale; fu statalizzato l’Istituto Luce, che deteneva il monopolio dell’informazione cinematografica. Anche le trasmissioni radiofoniche erano monopolio dell’agenzia di stato, l’Eiar. La policizzazione di massa era del tutto passiva, interamente diretta dal partito unico e concentrata sulla figura mitizzata del duce. L’organizzazione del consenso non andava mai disgiunta dall’esercizio repressivo, attraverso l’azione capillare degli organi di polizia, le iniziative dell’Ovra (polizia segreta) e le sentenze del Tribunale speciale per la difesa dello stato. “Quota 90” aveva riportato lo stato al centro del sistema esonomico e si confermava il modello di sviluppo centrato sulla triangolazione fra stato, grandi gruppi industriali e banche. La natura reazionaria del regime fece ricadere il costo della stretta deflazionistica sui salari dei lavoratori dipendenti ed in particolare sugli operai. A questa situazione si aggiunse il terremoto causato dalla grande crisi del ’29. Anche in Italia tutto lo sforzo del mondo imprenditoriale fu orientato a sostenere i prezzi e i profitti, con il risultato di alimentare la disoccupazione. Essa unita alla riduzione degli stipendi ebbe l’effetto di deprimere ulteriormente i consumi ed il mercato interno. In questo contesto il regime tentò di superare la crisi piegando l’intero sistema economico all’interno dei confini nazionali e rompendo i legami di dipendenza dell’economia italiana con gli altri paesi capitalistici. L’agricoltura fu finalizzata soprattutto a soddisfare i bisogni interni e dovette pertanto rinunciare alle esportazioni. Nei settori più legati ai consumi privati si verificò una riorganizzazione produttiva che marginalizzò produzioni di grande tradizione, mentre irrobustì quelle che avevano conosciuto una più intensa innovazione tecnologica. La crisi accentuò la dipendenza della grande industria dall’erogazione dei prestiti delle banche. In questo quadro il tradizionale intervento dello stato nella vita economica si trasformò in una vera e propria svolta dirigista. Attraverso una serie di interventi venne smantellata la banca mista (finanziamenti sia a breve che a lungo termine), e le sue funzioni vennero attribuite ad appositi enti economici pubblici, assorbiti poi dall’Iri. In questo istituto si trovò concentrato un impero industriale costituito dall’intera industria siderurgica bellica. A ciò si agginse la proprietà delle tre principali banche miste. Nel crogiuolo della crisi erano nate due istituzioni originali: l’industria di stato o a partecipazione statale e la banca pubblica. Le 14 corporazioni riunite nel ministero delle Corporazioni, erano chiamate a disciplinare l’intera vita economica con l’obiettivo di porre sotto rigido controllo gli interessi contrapposti di lavoratori e datori di lavoro, infatti la concorrenza era ritenuta la causa principale del collasso economico del 1929 e per combatterla le uniche armi ritenute efficaci erano da un lato la regolamentazione del mercato interno e dall’altro la dilatazione delle politiche protezionistiche. Era la politica dell’autarchia, che oltre all’indirizzo protezionistico assunse una forte valenza ideologica, divenendo uno strumento di mobilitazione dell’opinione pubblica a favore del fascismo. Essa inoltre prefigurava in una certa misura un mondo in guerra, guerra che si manteneva sul piano economico, ma che avrebbe potuto generare uno scontro militare. In effeti nel’35, quando era iniziata l’invasione dell’Etiopia, l’Italia era un paese belligerante. La guerra fu avviata prendendo a pretesto alcuni incidenti avvenuti alla frontiera dei possedimenti italiani in Somalia e in Eritrea. Le operazioni belliche furono portate a termine in breve tempo e la Somalia italiana, l’Eritrea e l’Etiopia formarono l’Aoi (Africa orientale italiana). La retorica imperiale era parte integrante dell’ideologia del regime per propagandare l’Italia come nqzione contadina e operaso in cerca di un “posto al sole”. Alla conferenza di Stresa, dove i vincitori della Grande guerra avevano condannato il riarmo tedesco, Mussolini era riuscito ad accreditarsi presso le grandi potenze come uno dei garanti della pace europea. L’irruzione sulla scena di una potenza quale la Germania, ridusse i margini di manovra del fascismo che inizialmente , preoccupato delle mire espansionistiche della Germania nei confronti dell’Austria, accentuò il suo sforzo di diventare “ago della bilancia” facendosi mediatore tra la Germania nazista da un lato e Francia e Gran Bretagna dall’altro. Con la guerra d’Africa il fascismo scelse una via di aperta rottura dell’equilibrio internazionale: le sanzioni economiche che la Società delle nazioni inflisse all’Italia per l’aggressione di uno stato membro, se ebbero scarso esito sul piano materiale, ebbero però l’effetto di peggiorare le relazioni diplomatiche con le due grandi democrazie europee e un inevitabile avvicinamento alla Germania nazista. L’Asse Roma-Berlino, stabilito con gli accordi diplomatici del 1936, che prevedevano un comune indirizzo di politica estera nello scacchiere europeo, sanciva la fine del sistema di equilibri che faticosamente si era venuto a creare. L’alleanza potè subito concretizzarsi con il sostegno alle truppe nazionaliste del generale Francisco Franco nella guerra civile scoppiata in Spagna, dove Mussolini inviò uomini e mezzi e si rafforzò con l’adesione dell’Italia al patto anti Comintern che già univa Germania e Giappone. Questa alleanza si basava su una marcata mobilitazione ideologica in senso antidemocratico e anticomunista, e su una sempre più evidente subordinazione italiana al nazismo.
CAP.10 il nazismo
Nel corso del 1930 gli effetti della crisi statunitense si abbatterono con particolare durezza sulla Germania, dove la questioneirrisolta delle riparazioni di guerra fu improvvisamente aggravata dal rapido esaurirsi dei prestiti internazionali e dalla paralisi del commercio estero. La disoccupazione crebbe rapidamente. La crisi mutò il quadro politico, accelerando la disgregazione della Repubblica e delle forse che la guidavano, che si dimostravano sempre più incapaci di promuovere efficaci politiche anticrisi. Si aprirono così notevoli spazi al Partito nazionalsocialista guidato da Adolf Hitler. Nel ’32 i nazisti conseguirono un grande successo elettorale, ottenendo la maggioranza relativa dei voti. Il presidente della repubblica, un anno dopo, incaricò Hitler di formare il nuovo governo. L’incendio del palazzo del parlamento tedesco, la cui responsabilità fu attribuita ai comunisti, fornì ai nazisti il pretesto per scatenare una sanguinosa repressione contro le opposizioni. Il giorno dopo furono limitati i diritti civili e fu ripristinata la pensa di morte per crimini contro la sicurezza dello stato. Alle nuove elezioni i nazisti ottennero un successo che consentì a Hitler di mettere in atto i suoi programmi di sospensione delle garanzie democratiche; i deputati comunisti furono espulsi dal parlamento, il quale votò i pieni poteri a Hitler. La vertiginosa ascesa al potere del nazismo fu però resa possibile dall’appoggio che gli garantirono le caste militari e la grande borghesia industriale e agraria. Ma il Partito nazista dovette la sua vittoria anche al fatto di essere un’organizzazione politica nuova. Il partito di Hitler raccoglieva nelle proprie file soprattutto quelle categorie appartenenti agli strati medio-bassi e in particolare quei settori di rpoletariato dequalificato, che costituiva una delle categorie sociali più numerose. Il volto più aggressivo e distruttivo del movimento nazista si manifestò senza indugio: in quella che passò alla storia come la “notte dei lunghi coltelli”, Hitler fece massacrare i capi dell’ala sinistra del partito. Dopo aggiunse alla carica di cancelliere quelle di capo dello stato e assumendo il titolo encomiastico di Fuhrer (capo carismatico). I partiti politici vennero sciolti e tutti gli avversari del regimesubirono violenze di ogni tipo, e spesso venivano assassinati o portati in campi di concentramento. Le Ss, i reparti militari di difesa del Partito nazista, seminavano terrore con azioni di inaudita ferocia. Molti oppositori cercarono scampo all’estero, tra cui figuravano anche uomini di cultura. La messa al bando delle loro opere “degenerate”, fu avviata con l’immenso rogo dei libri proibiti nel 1933. la dottrina hitleriana esaltava il nazionalismo e la superiorità genetica della razza ariana. Hitler proclamava la necessità di assicurare al popolo tedesco lo “spazio vitale”. Secondo lui una delle minacce più gravi alla purezza della razza ariana e all’integrità e alla potenza della Germania era “l’infezione ebraica”. Questa concezione si tradusse fin dagli inizi in una serie di azioni persecutorie ai danni dei cittadini ebrei. Infatti la grande industria tedesca aveva bisogno di denaro e le banche erano in gran parte controllate da ebrei. Il Fuhrer, facendo leva su sentimenti antisemiti diffusi tra la popolazione e sui pregiudizi che vedevano gli ebrei oscuri manovratori dell’economia e della finanza, additò i cittadini di cultura e religione ebraica come i responsabili delle ripetute crisi economiche che continuavano ad affliggere la Germania. Con le leggi di Norimberga gli ebrei furono esclusi dal diritto di voto e dagli impieghi pubblici, dall’esercizio di professioni liberali, dal commercio, dalle banche e dall’editoria. Si proibivano inoltre i matrimoni misti e quelli già celebrati vennero annullati. Gli ebrei vennero privati di ogni diritto di cittadinanza e si diffuse la pratica della “arianizzazione” dei beni ebraici, cioè il sequestro dei loro patrimoni a favore del Partito nazista. Nella notte chiamata la “notte dei cristalli”, in germania si svolse la più dura e violenta manifestazione di antisemitismo che l’Europa avesse mai visto. I campi di concentramento fecero la loro comparsa quasi contemporaneamente alla presa di potere nazista. I primi lager furono installati già nel ’33 per rinchiudervi i dissidenti politici. A partire dal 1936 la macchina cfu organizzata in modo più sistematico. Nel ’42 Hitler varò la “soluzione finale”, ovvero lo sterminio sistematico di tutti gli ebrei e pre questo furono allestiti veri e propri campi di sterminio. Il lager serviva a riprodurre il terrore come strumento di potere. Esso rappresentava, inoltre, il perfetto modello della società totalitaria spersonalizzata e organizzata sulla base di un sistema di disciplina integrale. Ogni categoria in cui sono suddivisi i prigionieri è individuata da un contrassegno visibile e collocata in un preciso gradino della struttura gerarchica. Alla base della piramide stanno gli ebrei, mentre al vertice ci sono i criminali comuni ai quali le Ss affidavano generalmente il compito di mantenere la disciplina fra i prigionieri. Alle Ss spettavano le esecuzioni esemplari. A tutto ciò bisogna aggiungere le malattie, la malnutrizione, la mancanza di igiene, l’umiliazione e tanti altri elementi. Uno degli strumenti fondamentali di controllo della società fu la direzione totale dell’educazione, con il compito di indirizzare i giovani all’ideologia del regime. Il tempo libero si trasformava in esercitazioni militari per i maschi e preparazione alla maternità per le femmine. A ciò si aggiungeva l’azione martellante della propaganda. Inoltre vennero eliminati tutti gli organismi di rappresentanza sindacale, sostituiti dal “Fronte del lavoro” che comprendeva datori di lavoro, operai e impiegati. Queste forme di controllo si combinarono con un rigido dirigismo economico, attraverso il quale lo stato coordinò la politica industriale, promuovendo grandi piani di lavori pubblici per ridurre la disoccupazione. ma fu soprattutto attraverso un’accentuata politica ri riarmo che venne sostenuta la ripresa produttiva dell’industria pesante. Il riarmo però era stato proibito dagli accordi di Versailles. La Germania uscì dalla Società delle nazioni e con un colpo di mano a Vienna conclusosi con l’uccisione del cancelliere austriaco, tentò di rovesciare il governo per inglobare l’Austria nella “grande Germania”. L’annessione era solo rimandata di qualche anno, ma da lì a poco sarebbe cominciata la politica delle annessioni territoriali che avrebbe fatto esplodere la Seconda guerra mondiale.
CAP.11 i fronti popolari
Anche in Francia si fecero sentire gli effetti della crisi. La strategia fu quella di tutelare la moneta sui mercati internazionali e di difendere il mercato interno innalzando pesanti barriere doganali. Si tentò di combattere l’inflazione. In questa situazione, che vide un notevole aumento della disoccupazione operaia, si polarizzò lo scontro tra il Partito comunista e la destra filofascista. I movimenti di destra tentarono di marciare sul palazzo del governo per attuare un colpo di stato. Il tentativo fallì. Di fronte al rischio di una svolta autoritaria nonché al pericolo esterno del nazismo, le sinistre riuscirono a trovare un’intesa. Intanto la stessa Internazionale comunista aveva varato la politica del Fronte popolare antifascista, favorendo il riavvicinamento fra i comunisti europei e le varie formazioni socialiste. Nel ’36 il Fronte popolare vinse le elzioni e il leader del socialismo francese assunse la guida del governo. La vittoria del fronte popolare diede fiato al movimento operaio e diede subito avvio a un imponente ciclo di lotte. Furono stipulati fra lavoratori e industriali degli accordi che accolsero in gran parte le rivendicazoni sindacali.su questa scia il governo francese cercò di attuare rilevanti riforme economiche e avviò finalmente la svalutazione del franco. La borghesia imprenditoriale rispose però con una netta opposizione attuando il blocco degli investimenti e l’esportazioni di capitale. Questa azione indebolì rapidamente il sistema economico e provocò la precoce crisi dell’esperienza del Fronte popolare. Il capo del governo rassegnò le dimissioni e l’anno successivo il governo era di nuovo alla guida di un rappresentante conservatore di centrodestra. In Spagna si era formato un governo delle sinistre costituitosi sulla base di una formula politica analoga a quella francese. Però la Spagna era rimasta ai margini della modernizzazione europea e degli stessi sconvolgimenti causati dlla guerra mondiale. L’arretratezza del paese si manifestava nel perdurare di rapporti sociali di stampo feudale, nella prevalenza della grande proprietà fondiaria. La stessa unità del paese era minacciata da rivendicazioni autonomistiche. Il re Alfonso XIII di Borbone aveva appoggiato il regime autoritario e militare del generale de Rivera, che uscì indebolito dalle ripercussioni della grande crisi. Le elezione nel ’31 segnarono una netta vittoria per le forze di sinistra. Il re abbandonò il paese e fu proclamata la repubblica.il governo a guida repubblicana, tentò subito di attuare riforme urgenti: laicizzazione dello stato e limitazione del poter della chiesa, nazionalizzazione dei servizi pubblici e riforma agraria. Già due anni dopo con la vittoria del cattolico di destra, la situazione si rovesciò: la nuova maggioranza di centrodestra attuò una dura repressione sociale, soffocando nel sangue uno sciopero dei minatori delle Asturie. Alle elezioni del 1936 tutte le sinistre si presentarono unite e il Fronte popolare conquistò il governo della repubblica. Il governo tentò subito di attuare la riforma agraria e una laicizzazione dello stato. Le forze reazionarie che rimanevano molto forti nonostante la sconfitta elettorale, presero la via della contrapposizione frontale. Le truppe di stanza in Marocco guidate dal generale Francisco Franco marciarono su Madrid con l’intenzione di rovesciare il governo con la forza. Fu l’inizio di una durissima guerra civile che durò tre anni. Le forze reazionarie raccolte intorno a Franco diedero forma a uno schieramento clerico-fascista fondato sulla forza militare dell’esercito, il generale fu appellato con l’epiteto “caudillo” con evidente riferimento al duce e al Fuhrer. Le città più importanti resistettero. Ma la guerra fu decisa altrove, dalle politiche estere degli stati europei: le maggiori nazioni democratiche, Francia e Gran Bretagna, optarono per il non-intervento, mentre l’Italia fascista e la Germania nazista intervennero a fianco dei nazionalisti. Solo l’Urss diede il suo appoggio concreto con uomini e mezzi al governo repubblicano. Volontari antifascisti affluirono in Spagna a difesa del governo repubblicano, senza però riuscire a controbilanciare la superiorità militare dei rivoltosi. La caduta di Madrid (1939) dopo un assedio durato un anno, segnò la vittoria del franchismo, un regime autoritario clerico-fascista fondato sul partito unico, che si conservò fino alla morte di Francisco Franco.
CAP.12 l’internazionale comunista e lo stalinismo
Per oltre tre anni l’Urss si impose come modello storico del socialismo e come stato-guida del movimento operaio internazionale. Stalin l’accantonamento dei propositi di rivoluzione mondiale. La necessità di rafforzare l’unico stato socialista esistente determinò la progressiva subordinazione delle strategie della linea politica dell’Internazionale agli interessi preminenti dell’Urss e del suo leader. All’interno dell’Internazionale non aderire a linee che fossero correlate con le direttive di Mosca significava “tradire” la causa rivoluzionaria. La linea di fondo del movimento comunista internazionale fi quella di riassunta nella parola d’ordine del fronte unito. L’Internazionale comunista elaborò una strategia che ammetteva la pertecipazione dei partiti comunisti a governi di coalizione che vedevano la presenza dei socialdemocratici e dei partiti democratici. Questo orientamento diede almeno inizialmente frutti positivi in Germania e in Cina. Quando i nazionalisti di Chiang Kai-shek ruppero l’alleanza con i comunisti dando vita a una lunga serie di cruente repressioni, la strategia staliniana del fronte unito mostrò tutte le sue debolezze. Ritenendo che la crisi del 1929 creasse prospettive rivoluzionarie più concrete in occidente, l’Internazionale comunista divulgò la parola d’ordine “classe contro classe”, il che significava lanciare i partiti comunisti in uno scontro frontale con i partiti socialisti e socialdemocratici. Fu una scelta che si rivelò tragica. Anche all’interno dell’antifascismo italiano la tesi del socialfascismo aprì una frattura verticale tra comunisti e socialisti. Dopo la presa del potere di Hitler e l’uscita dalla Società delle nazioni, dopo il fallito tentativo di un colpo di stato in Francia da parte dei filofascisti e via via che l’imperialismo nazifascista aggravava le tensioni in Europa, l’unità antifascista divenne il nuovo indirizzo politico-strategico del Partito comunista sovietico e dell’Internazionale comunista. Al VII congesso del Comintern venne sottolineata la gravità del nazifascismo e vene lanciata così la parola d’ordine dei Fronti popolari antifascisti. Da qui discesero non solo patti di unità d’azione fra comunisti e socialisti sul versante dell’opposizione ai fascismi, ma anche significative esperienze di governo, come i Fronti popolari in Francia e in Spagna. Alla fine del primo piano quinquennale, l’Unione Sovietica vide un enorme sviluppo dell’industria pesante e una netta diminuzione della disoccupazione. Anche durante il secondo piano quinquennale si ebbe un ulteriore incremento della produzione industriale, mentre l’agricoltura languiva sempre più ai margini del sistema economico. La collettivazione delle campagne costituiva il presupposto di una modernizzazione imperniata sullo spostamento di capitali e risorse dall’agricoltura all’industria. Dopo l’abbandono della Nep e la ripresa degli ammassi obbligatori nelle campagne, si era svolta anche la prima fase della collettivizzazione forzata e basata sulla distribuzione della borghesia agraria e sulla concentrazione della grande massa di contadini-piccoli proprietari on grandi aziende che consentissero di ottenere più facilmente i tributi statali per avviare la meccanizzazione della produzione e per assorbire i macchinari agricoli prodotti dall’industria di stato. “Dekulakizzazione” e collettivizzazione furono condotte come una guerra, con saccheggi e deportazioni. L’asprezza dello scontro costrinse Stalin a decretare una pausa, ma visto che i contadini tentavano di fuggire dalle aziende collettive, il processo fu subito energicamente riavviato. Concluso il primo piano quinquennale, infuriò una terribile carestia. L’unica alternativa rimaneva l’abbandono delle campagne e l’afflusso nelle città industriali, per disciplinare il quale fu introdotto il passaporto interno. Nonostante immani sciagure falciassero a più riprese la popolazione, ciò che in pochi anni era successo in Unione Sovietica appariva comunque straordinario. La produzione industriale aveva livelli altimissimi, ma poi a causa della minacia hitleriana, la Russia fu spinta a costituire sempre più velocemente un apparato militae-industriale commisurato alla potenza tedesca. I risultati furono profondi squilibri e il sacrificio dell’industria leggera. Però, nonostante tutto, la politica di pianificazione guidata con ostinata determinazione dal Partito comunista consentì una grande trasformazione della società sovietica, non solo economica, ma anche sociale e culturale: eliminazione quasi totale alfabetismo, grande sviluppo dell’istruzione e dei servizi sociali. Questa radicale trasformazione si verificò attraverso la creazione di un immenso apparato di controllo e di coercizione rappresentato dalla burocrazia di partito. La conseguenze della grande trasformazione della società sovietica furono milioni di persone uccise dalla fame, dalla prigionia e dalle deportazioni e un processo di totale sradicamento della popolazione rurale, reclutata per formare aziende collettive o per colonizzare regioni remote o concentrata in campi di lavoro forzato. Gli anni dei piani quinquennali portarono con sé una serie di modificazioni nell’organizzazione del lavoro e nell’ideologia a esso sottesa. I salari furono compressi al minimo e aumenti retributivi erano possibili solo con l’incremento parossistico della produttivà in linea con i nuovi valori dell’emulazione socialista. I dirigenti ed i tecnici divennero il tramite di una continua pressione sugli operai, indotti a lavorare a ritmi crescenti e compensati con incentivi e premi individuali. Il modello ideologico imposto era quello dello stakhanovismo e per sostenerlo venne utilizzata tutti una forte propaganda. Nonostante questi mezzi però, l’assenteismo e la bassa produttività rimasero mali enedemici dell’economia sovietica. La crescita della produzione industriale, venne ottenuta dall’enorme massa di forza-lavoro impiegata nell’industria. In questi anni Stalin si volse al “rinnovamento” degli apparati di partito , eliminando chiunque fosse sospettabile di fedeltà men che assoluta alle sue direttive. Queste azioni repressive furono chiamate “purghe”. Tra il 1034 e il 1938 un’ondata di repressione e di terrore, guidata dalla polizia segreta, investì milioni di cittadini sovietici che furono uccisi o subirono la deportazione nei gulag. Leningrado fu tatro di fucilazioni di massa, arresti e deportazioni. Attraverso migliaia di processi su basi giuridiche aberranti. Senza prove e senza strumenti di difesa da parte degli accusati, si attuò un’epurazione di dimensioni gigantesche contro uomini di cultura, funzionari dello stato, dirigenti del partito e molti altri. L’ultimo processo fu contro Bucharin, che fu condannato a morte nel ’38. L’Armata rossa venne decapitata del suo stato maggiore e privata dei quadri che si erano formati negli anni del comunismo di guerra. La polizia politica rimaneva l’unico potere attivo nel paese. Intanto Stalin costruiva intorno a sé il mito del padre della patria, aprendo la stagione del culto della personalità. Si verificò una drastica sottomissioni dei poteri alla volontà del capo e del ristretto gruppo dirigente che a lui faceva riferimento. I diritti universali degli individui erano resi del tutti inerti da un potere politico personale privo di qualunque controllo che si reggeva su una complessa miscela di terrore poliziesco, di consenso popolare al capo carismatico e di continuità con i caratteri autocratici della tradizione politica russa.

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