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Testo
LO STATO LIBERALE E LO STATO LIBERAL - DEMOCRATICO
L'evoluzione dello stato nel corso del secolo xix è caratterizzata da un duplice conflitto:
1) nella prima metà del secolo i movimenti liberali e democratici si impegnano in una lotta contro l'assolutismo sostenuto dalla politica di restaurazione delle potenze europee. Momenti culminanti di tale lotta saranno i moti del '20 - '21 e del '30 - '31.
2) In un secondo momento, dopo la diffusione dello stato liberale in parte dell'Europa, si assiste al suo graduale evolversi in senso democratico. Tale processo comportò anche momenti di conflittualità tra democratici e liberali che divennero evidenti durante i moti del '48.
Con l'affermarsi in Europa tra fine '800 ed inizio '900 del suffragio universale, prenderà forma una organizzazione statale fondata su un compromesso tra istanze democratiche e liberali.
3) Vi è un terzo aspetto che caratterizza l'evoluzione dello stato tra la seconda metà del xix e i primi anni del xx secolo, si tratta di quel processo di nazionalizzazione delle masse che gli storici denominano con l'espressione "nation building". Si trattò di un fenomeno storico fondamentale poiché esso da luogo allo "stato nazionale" che, nei suoi aspetti essenziali, perdura fino ad oggi.
1 - Modello costituzionale liberal - democratico
1.1 - Cronologia
La riforma dello stato attraverso il ricorso alla costituzione scritta costituisce l'aspetto centrale tanto del conflitto politico, quanto dell'evoluzione dello stato nel corso del xix secolo. Per comprendere tale processo è necessario ricostruire brevemente la cronologia degli eventi che, tra il 1789 ed il 1812, portano alla formulazione delle prime costituzioni scritte. Le carte costituzionali che si affermeranno nell'arco di questi anni saranno infatti i modelli cui faranno riferimento i movimenti politici liberali e democratici del xix secolo.
03/09/1791: l'Assemblea Costituente proclama la nuova costituzione francese cui Luigi xvi giura fedeltà il 14 settembre. Essa prevede un regime monarchico costituzionale a rappresentanza limitata in base al censo, garantisce i diritti dell'uomo e costituirà il modello cui faranno riferimento le future costituzioni liberali - moderate del xix secolo.
giugno 1793: la borghesia perde il controllo del processo rivoluzionario a vantaggio degli esponenti della sinistra più radicale (montagnardi ed in seguito i giacobini). La Convenzione Nazionale approva una nuova costituzione detta dell'anno I e preceduta da una nuova dichiarazione dei diritti. Sia la nuova dichiarazione che la nuova costituzione posseggono un carattere più accentuatamente democratico e costituiranno uno dei modelli dei movimenti democratici radicali del xix secolo.
settembre 1795: il 27/07/1794 (9 termidoro), in conseguenza di un colpo di stato, viene abbattuta la dittatura di Robespierre e si pone termine al periodo detto del "grande terrore". I termidoriani, sostenitori di una politica moderata di ispirazione liberale, varano una nuova costituzione, detta dell'anno III. Di carattere liberale ed antidemocratico, si rifà alla costituzione dell'anno I, pur mantenendo in vigore il regime repubblicano.
1812: a Cadice, durante l'assedio delle truppe napoleoniche, viene proclamata dalla giunta centrale quella che passerà alla storia col nome di "Costituzione spagnola dell'anno dodici". Essa prevedeva un regime monarchico parlamentare ed era fondata sul principio democratico del suffragio universale. Anche questa costituzione riprende quella francese del 1791, ma la sviluppa in una direzione nettamente democratica. Costituirà uno dei riferimenti privilegiati dei movimenti democratici.
04/06/1814: Luigi xviii, designato dal congresso di Vienna legittimo sovrano di Francia dopo la caduta di Napoleone, promulga la Carta del 1814 che, in quanto frutto di una concessione regia, prende il nome di "Charte Octroyée". Essa è espressione di una posizione politica conservatrice moderata che cerca un compromesso con il liberalismo rifiutando la radicale chiusura verso il nuovo e la pretesa di riaffermazione pedissequa del passato propria dei movimenti reazionari più radicali. Costituirà un importante riferimento delle forze monarchiche e liberali più moderate nel corso del xix secolo.
1.2 - Organizzazione dello stato liberal - democratico
Si prenderanno ora in esame le varie costituzione per cercare di individuare e definire il principio liberale e quello democratico e i differenti modelli costituzionali in cui essi si incarnano:
1) costituzione 1791: prevede un regime monarchico costituzionale di tipo liberale che costituirà i modello per tutte le costituzione del xix secolo di ispirazione sociale borghese e di ideologia liberale moderata. Si fonda sulla divisione dei poteri atta a salvaguardare i cittadini dal dispotismo e sulla garanzia dei diritti civili e politici. La magistratura diviene elettiva, il sistema parlamentare è monocamerale e detiene il potere legislativo. Il sovrano nomina i ministri che formano il governo e sono responsabili politicamente verso il re, egli inoltre conserva un potere di veto sospensivo verso le leggi. Viene affermata l'uguaglianza giuridica dei cittadini, difesa la proprietà privata e salvaguardati i diritti umani.
Piuttosto complesso risulta il "sistema elettorale" che viene adottato e che verrà ripreso nella costituzione del 1795 e nella Charte Octroyée. I cittadini vengono divisi in "attivi" (coloro che possedevano un censo minimo di circa due lire tornesi, circa 2,5 milioni di persone in tutta la Francia) e "passivi" (con censo al di sotto della soglia minima). Tuttavia i cittadini attivi non eleggevano direttamente i membri dell'assemblea legislativa, ma eleggevano dei "cittadini elettori" tra coloro che avevano un censo superiore alle 10 lire tornesi (circa 500000 persone). Questi infine avevano la possibilità di eleggere i rappresentanti alla camera scegliendoli tra coloro che avevano un censo superiore alle 52 lire tornesi (circa 50000 persone).
2) Costituzione dell'anno I: la costituzione democratica del '93, votata il 24 giugno, istituisce un regime repubblicano, abolisce la separazione dei poteri, prevede il suffragio universale dell'assemblea legislativa. Essa conferisce inoltre allo stato un potere di intervento per garantire un'uguaglianza non solo giuridica, ma anche economica tra i cittadini, secondo i principi di una democrazia sociale. Tale costituzione non entrerà mai in vigore a causa della situazione di guerra in cui la Francia si trova e per la successiva caduta del regime di Robespierre che ne aveva promosso la elaborazione. Essa verrà considerata nelle epoche successive come la più radicale delle costituzioni cui il processo rivoluzionario diede luogo.
3) Costituzione dell'anno III: approvata il 22 agosto 1795 conferma il regime repubblicano e la libertà economica e di proprietà. Anche l'uguaglianza giuridica viene mantenuta mentre tutto ciò che nella precedente costituzione del '91 comportava la creazione di uno stato sociale e la realizzazione di una democrazia anche economica viene espunto dal testo della nuova carta. Viene anche ripristinata la divisione dei poteri:
potere legislativo: è affidato due camere, il consiglio dei 500 e il consiglio degli anziani, elette con un complesso sistema a base censitaria simile a quello previsto dalla carta del 1791;
potere esecutivo: detenuto da un direttorio di 5 membri eletto con il concorso di entrambe le assemblee legislative. Tale organo nominava ministri e capi dell'esercito.
Vengono garantite anche la libertà religiosa, di pensiero e di stampa.
Nel complesso tale costituzione è espressione delle tendenze moderate della borghesia che riafferma i principi di fondo del liberalismo ed elimina dall'organizzazione dello stato ogni elemento democratico.
4) Costituzione dell'anno dodici: esaltata dai democratici radicali e vista con sospetto dai liberali, la carta spagnola del '12 è fondata sull'affermazione della sovranità nazionale, su un sistema monocamerale eletto a suffragio universale e sulla restrizione dell'autorità regia. Essa prevede uno stato caratterizzato da un regime democratico parlamentare in cui il governo è responsabile verso il parlamento e non verso il re.
5) Charte Octroyée: frutto di un compromesso tra assolutismo monarchico e liberalismo moderato non era il risultato di un riconoscimento da parte del sovrano di diritti naturali propri dei cittadini, ma nasceva come concessione che ai sudditi veniva fatta dal sovrano. Prevede un regime monarchico costituzionale, il governo è responsabile verso il re e non verso il parlamento. Riconosce le libertà civili dei cittadini, la libertà di culto e, in misura parziale, la libertà di stampa. Non attua una autentica divisione dei poteri in quanto il sovrano li concentra tutti su sé. Egli ha potere di nominare e revocare i ministri, proporre e promulgare le leggi, nominare i giudici. Il Parlamento è diviso in due camere. La prima è la Camera dei Pari i cui membri sono di nomina regia, la seconda è la Camera dei Deputati eletti su base ristrettissima censitaria. Il parlamento aveva solo funzioni consultive e propositive ma era privo di qualsiasi effettivo potere. Il sistema elettorale prevedeva la distinzione in cittadini elettori ed eleggibili. Erano elettori coloro che pagavano almeno 300 franchi di imposte (circa 100.000 persone), eleggibili coloro che pagavano 1000 franchi (circa 15000 in tutta la Francia). Solo la nobiltà terriera e la grande borghesia potevano quindi partecipare alla vita politica.
Un'analisi comparata delle caratteristiche che le costituzioni sopra riportata possiedono, consente di definire i principi di fondo del liberalismo e della democrazia e di formulare il modello costituzionale ideale a cui l'applicazione di tali principi da luogo.
1) Principio democratico: la sua formulazione classica risale a Rousseau. Individua nella nazione, intesa come insieme di tutti i cittadini, il soggetto detentore della sovranità e concepisce lo stato come fondato sulla legge e questa come espressione della volontà generale. Tutti i cittadini partecipano alla vita politica e concorrono alla formazione delle leggi. I concetti di "sovranità nazionale" e "volontà generale" rimandano ad una concezione assoluta della sovranità, ovvero la sovranità dei cittadini non ha limiti. Il concetto liberale di "libertà individuale" passa in secondo piano rispetto alla necessità di subordinare tutti gli individui alla sovranità dello stato, espressione della volontà popolare. D'altro canto tale principio tende a fondare il potere politico dello stato sul consenso e la partecipazione di tutti i cittadini.
modello costituzionale democratico - tale principio da luogo a un modello costituzionale che possiede i seguenti requisiti:
a) suffragio universale: essendo la sovranità del popolo nella sua totalità il sistema elettorale sarà a suffragio universale in modo da garantire che siano salvaguardati i diritti politici di tutti i cittadini. Il parlamento, detentore del potere legislativo, rappresenta la volontà dei cittadini.
b) responsabilità del governo verso il parlamento: qualunque sia il regime politico previsto dalla costituzione democratica (monarchia o repubblica costituzionali) il governo, detentore del potere esecutivo, sarà espressione del parlamento e responsabile politicamente verso il parlamento. Nella democrazia rappresentativa tutti i poteri, compreso l'esecutivo, devono scaturire dall'organo che rappresenta la volontà dei cittadini.
c) uguaglianza giuridica, politica ed economica: nel sistema democratico è prevista l'uguaglianza di tutti i cittadini per quanto concerne i diritti civili, politici ed anche economici. Nelle costituzioni democratiche, come nel caso della costituzione del 1791 o nel welfare state moderno, lo stato si assume la responsabilità di salvaguardare anche il benessere materiale dei cittadini.
d) carattere assoluto della sovranità: nelle prime costituzioni democratiche (è il caso di quella del 1791) la sovranità è conferita al popolo e definita come assoluta: "una, indivisibile e inalienabile". In altri termini non viene accettato il principio liberale della "separazione dei poteri" con la conseguenza di instaurare un dispotismo della maggioranza che impedisce di salvaguardare i diritti e le libertà dei singoli e delle minoranze.
2) Principio liberale: riscontrabile nelle posizioni di Montesquieu. Assume la libertà dei singoli individui come fondamento dello stato e vede nella separazione dei poteri la garanzia fondamentale affinché essa sia rispettata. Il principale problema è quello di porre dei limiti alla sovranità dello stato, la sovranità non è quindi assoluta come nel caso del principio democratico, ma limitata, in questo modo è possibile la salvaguardia della libertà dell'individuo che il principio liberale assume come valore assoluto.
Modello costituzionale liberale: il principio liberale trova espressione sul piano costituzionale attraverso i seguenti punti:
a) rappresentanza limitata: il principio di rappresentanza non è esteso a tutti i cittadini ma è limitato alla classe dei proprietari secondo un criterio censitario. Non si ha quindi "sovranità della nazione", solo una parte dei cittadini partecipa alla vita politica (in genere: proprietari terrieri e borghesia) gli altri sono esclusi e quindi privi di qualsiasi diritto politico perché non proprietari. Solo a chi possiede proprietà e versa tributi allo stato vengono riconosciuti: competenza, disinteresse, senso dello stato ed istruzione che lo rendono atto a godere dei diritti politici.
b) suffragio limitato secondo il censo: dalla caratteristica precedente derivano i sistemi elettorali tipici delle costituzioni liberali che dividono i cittadini in attivi e passivi, riconoscendo di fatto solo alle classi agiate i diritti politici.
c) Responsabilità del governo verso il sovrano: il modello liberale originario (sia che peveda un regime monarchico o repubblicano) tende a riservare al capo dello stato (in genere il re) il controllo dell'esecutivo, sottraendolo quindi ai rappresentanti dell'elettorato. Questo aspetto non nasce in realtà dall'ideologia liberale che anzi prevede la responsabilità del governo nei confronti dell'assemblea rappresentativa, ma dalla necessità in cui le forze liberali si trovarono di giungere ad un compromesso con il ceto nobiliare e conservatore. La costituzione del 1891 e la Charte Octroyée (come poi lo statuto albertino) conferiscono al sovrano il potere di nominare capo del governo e ministri, nonché il potere di revocare tali nomine. Al capo dello stato è anche conferito il potere, a sua discrezione, di sciogliere le camere. Questi meccanismi istituzionali portano ad un ulteriore ridimensionamento del peso effettivo che gli elettori, tramite i loro rappresentanti eletti nelle assemblee, posseggono nella gestione politica dello stato.
d) uguaglianza unicamente giuridica: il modello liberale ricavabile dalle costituzioni precedentemente esaminate, prevede un'uguaglianza unicamente giuridica. La cittadinanza comporta la salvaguardia dei soli diritti civili (libertà di pensiero, di proprietà, economica, religiosa, ecc.), i diritti politici sono riservati ad una ristretta cerchia, mentre i diritti sociali vengono esclusi. Infatti lo status socio - economico dei singoli deve essere il risultato della loro libera iniziativa e non dell'intervento dello stato.
Gli sviluppi delle vicende politiche europee, su cui non è qui possibile soffermarsi, produssero uno evoluzione in senso democratico dello stato liberale che diede luogo allo stato liberal - democratico. Interessa ora rilevare come, da un punto di vista costituzionale, questo comportò la conciliazione dei due principi in un modello costituzionale che recepiva da quello democratico il concetto di sovranità nazionale, il suffragio universale (inizialmente solo maschile) e la responsabilità del governo verso il parlamento; da quello liberale il principio della "separazione dei poteri" e l'importanza della difesa da parte dello stato delle libertà individuali.
2 - Liberalismo politico e Liberismo economico
Pur non essendovi una perfetta corrispondenza tra liberalismo e liberismo da una parte e quello che gli storici definiscono "stato liberale", le premesse teoriche che fungono da guida all'operato ed alla organizzazione di quest'ultimo sono da ricercare in tali concezioni.
2.1 - Il Liberalismo
Essendo impossibile ripercorrere l'intera storia del liberalismo si illustreranno sinteticamente gli aspetti più significativi del liberalismo filosofico e politico senza fare alcun riferimento alla storia del liberalismo ed ai principali esponenti di questo movimento culturale.
Le costanti riscontrabili nell'azione del liberalismo nel xix secolo sono due:
1) sul piano dell'organizzazione costituzionale dello stato, la creazione di istituzioni rappresentative di tipo assembleare che consentivano la partecipazione indiretta di una parte dei cittadini alla politica ed al governo della società (in genere il liberalismo riconobbe questo diritto politico solo alla classe dei proprietari costituita dalla borghesia e dal vecchio ceto nobiliare);
2) sul piano dell'organizzazione sociale viene invece affermata l'autonomia e l'autogoverno della "società civile" che deve essere libera da ogni ingerenza da parte del potere politico. Questo autogoverno richiede la libertà economica intesa come libero scambio di beni sul mercato e la libertà culturale intesa come libero confronto delle idee nell'ambito dell'opinione pubblica. Tale duplice libertà era considerata come condizione per il progresso economico e culturale della società.
A tale strategia politica corrisponde sul piano filosofico una precisa concezione morale imperniata sulla valorizzazione del concetto di "individuo" e "libertà individuale". Per il liberalismo è infatti primaria la difesa dell'individuo da qualsiasi forma di potere o coercizione venga su esso esercitata. Da qui l'importanza dei diritti umani e della necessità di garantirne una solida difesa, necessità che si esprime nelle dichiarazioni e carte costituzionali ispirate ai principi del liberalismo.
L'individualismo che anima il liberalismo si giustifica con il valore che viene riconosciuto alle differenze tra gli uomini. Se l'essenza dell'umanità è data da ciò che accomuna tutti gli esseri umani, la natura propria di ogni singolo uomo è data da ciò che lo differenzia da tutti gli altri. Questa peculiarità, originale ed irripetibile, che ogni individuo reca in sé è insostituibile e va preservata da qualsiasi tentativo teso ad uniformare ogni differenza. Da questo punto di vista la difesa dell'unicità di ogni individuo ed il diritto di ciascuno a realizzare le proprie originali potenzialità disponendo liberamente della propria vita, acquistano nel liberalismo un valore quasi sacrale.
A tale forma di individualismo risulta complementare la concezione relativistica della morale propria del liberalismo. Esso infatti esclude la possibilità di definire o imporre una dottrina o sistema di valori come verità assoluta, universale e necessaria, che escluda ogni altra posizione. Nessuna dottrina - religiosa, filosofica, politica, ecc. - può pretendere di avere il monopolio della verità, pertanto il liberalismo si batte perché venga riconosciuto il pluralismo dei valori. Questa posizione è di tipo antidogmatico e nasce dal riconoscimento dei limiti della ragione umana e della conseguente impossibilità di giungere ad una verità assoluta. Come sul mercato deve esistere la libera concorrenza tra produttori che esclude ogni forma di monopolio, così nel mondo culturale deve dominare il "libero confronto" tra posizioni diverse e deve essere garantito il "diritto alla critica", ciò esclude qualsiasi forma di intolleranza intesa come pretesa avanzata da una dottrina di imporsi con la forza su ogni altra ponendosi come unica vera. Anche in sede filosofico - culturale deve quindi esistere una libera competizione tra posizioni diverse ed a ciascuna devono essere garantite le stesse possibilità.
La competizione costituisce la molla del progresso tanto economico quanto politico, è infatti attraverso il meccanismo conflittuale della libera concorrenza che avviene la selezione delle migliori merci e valori. Naturalmente, affinché la competizione possa svolgere il suo ruolo selettivo, è necessario che tra le parti in conflitto si diano pari opportunità, se nel mercato - sia esso quello economico o quello culturale - alcuni fossero privilegiati, la competizione risulterebbe falsata e non garantirebbe più che a vincere fossero i migliori. Il problema di offrire pari opportunità diviene quindi essenziale nel liberalismo e tale problema può essere risolto solo se il rapporto di competizione - concorrenza è regolato da norme che pongono tutti i concorrenti nelle stesse condizioni impedendo forme di monopolio.
L'assolutismo, che priva l'uomo della sua libertà politica, economica e culturale, costituisce il principale avversario del liberalismo; contro questo esso si batte richiamandosi al "principio della tolleranza", ma a sua volta tale principio può funzionare solo se esistono regole che assicurino a tutti identiche condizioni per realizzare le proprie capacità e far valere i propri meriti.
2.2 - Liberismo economico
CENNI STORICI: con la denominazione di liberismo si indica quella scuola economica che si sviluppa tra la seconda metà del xviii secolo e la prima del xix e che viene definita "economia politica classica". Principali esponenti di tale corrente di pensiero sono gli inglesi Adam Smith che nel 1776 pubblicò la sua opera principale: Ricerche sopra la natura e le cause della ricchezza delle nazioni; David Ricardo, che pubblicò nel 1817 i Principi di economia politica. Il liberismo economico influenzò in modo decisivo la rivoluzione industriale e costituì il principale indirizzo di politica economica seguito dai principali paesi europei nella prima metà del xix secolo, è per questo motivo che tale periodo viene generalmente definito dagli storici come l'età del libero scambio.
PRESUPPOSTI: la dottrina economica classica si articola a partire da due fondamentali presupposti teorici alla cui validità è vincolata la validità dell'intera teoria:
1) razionalità dei soggetti economici: gli individui agirebbero entro il mercato secondo criteri razionali, il loro comportamento economico sarebbe organizzato al fine di massimizzare i risultati conformemente al proprio personale interesse. Il principio della "massimizzazione dei risultati" implica che chi agisce agisca sempre al fine di ottenere col minimo costo il massimo utile possibile. Se i singoli soggetti economici vengono lasciati completamente liberi di agire sul mercato il loro comportamento non darà quindi luogo ad una situazione di disordine che degenererebbe in anarchia, ma i diversi comportamenti seguirebbero tutti una logica razionale.
In conclusione il liberismo assume che il comportamento umano in campo economico sia razionale e che gli individui siano sempre consapevoli del proprio interesse e in grado di giudicare e calcolare razionalmente i mezzi più efficaci per conseguirlo.
Da tale premessa derivano alcuni fondamentali corollari che il liberismo assume quali regole che la politica economica deve seguire perché sia garantito il massimo sviluppo:
a) libertà di iniziativa: i soggetti che agiscono nel mercato devono essere lasciati totalmente liberi, la loro iniziativa non deve conoscere limiti o vincoli. Questa regola trovava espressione sintetica nella massima del "laissez faire" (lasciate fare).
b) libera circolazione delle merci: non solo i soggetti, ma anche le merci dovevano essere lasciate circolare liberamente sul mercato senza alcuna limitazione protezionistica, tale concetto viene espresso nell'altra massima tipica del liberismo del "laissez passer" (lasciate passare), che in inglese assume la denominazione di "free trade" (libero scambio).
2) Armonia nel mercato di interesse individuale e bene comune: il presupposto della razionalità dei soggetti economici non basta da solo a garantire che il conseguimento da parte dei singoli dei propri egoistici interessi comporti automaticamente un miglioramento per la società nel suo insieme. L'idea stessa appare paradossale se si pensa che, da Aristotele in poi, aveva dominato per secoli la tesi contraria secondo cui "il guadagno di una persona comporta automaticamente la perdita di un'altra". Secondo Smith invece il mercato è regolato da una sorta di armonia spontanea per cui l'interesse egoistico del singolo viene necessariamente a coincidere con il bene comune. Quindi chi agisce in vista del proprio tornaconto personale consegue, inconsapevolmente, un risultato utile per tutta la società. Smith illustra tale tesi con la metafora della "mano invisibile" che guiderebbe i comportamenti individuali verso fini socialmente utili.
Egli illustra questa coincidenza con un esempio: il bottegaio tende a massimizzare il proprio guadagno, ma questo non va a scapito del suo acquirente. Il nostro venditore può infatti incrementare i propri guadagni non certo imbrogliando il cliente con merce scadente, ma offrendo la miglior merce possibile al minor prezzo possibile, egli dovrà quindi trovare il rapporto ottimale tra qualità del prodotti e costi sostenuti per la sua produzione che gli consenta di essere competitivo sul mercato. Se così non facesse la concorrenza avrebbe facilmente ragione di lui. La condizione necessaria affinché egli consegua il suo interesse è quindi che soddisfi l'interesse del cliente. L'esempio dimostra che interesse del singolo e interesse della società (in questo caso dei consumatori) tendono a coincidere e non per la bontà d'animo del venditore, ma per le leggi stesse del mercato che lo costringono ad assumere tale comportamento.
Da questo secondo presupposto deriva uno dei concetti chiave dell'economia classica:
il "criterio del massimo utile" secondo cui: tutti i vantaggi che ogni possibile iniziativa economica comporta per la società si traducono in ricavi e tutti gli svantaggi in costi, per l'impresa che ha promosso tale iniziativa. Lo sviluppo economico delle aziende private nel loro insieme comporta necessariamente un progresso per l'intera società. In altri termini il mercato, grazie al meccanismo che ne determina il funzionamento (la libera concorrenza), costringe le imprese che vogliano rimanere competitive ad assumere quale loro fine il miglior soddisfacimento possibile delle esigenze dei consumatori, quindi la ricerca del profitto è una sola cosa con la ricerca di prodotti sempre più adatti a soddisfare le richieste delle persone. Nel mercato di concorrenza il successo viene infatti conferito dal pubblico a coloro che meglio soddisfano le sue richieste.
MERCATO E LIBERA CONCORRENZA: essenziale nella dottrina liberista è il ruolo svolto dal mercato che è il luogo di incontro tra l'offerta complessiva e la domanda collettiva. Dal rapporto tra i valori della domanda e dell'offerta dipendono il prezzo dei beni e la loro quantità. Infatti tale rapporto è governato dalla legge della domanda e dell'offerta: "i prezzi salgono se l'offerta è superiore alla domanda e scendono nel caso contrario". Secondo il liberismo il mercato raggiunge una situazione di stabilità quando domanda ed offerta si equivalgono per cui si raggiunge:
a) un prezzo stabile che soddisfa l'interesse che ha l'imprenditore a conseguire un profitto adeguato e quello dei consumatori ad avere un prodotto in cui il rapporto qualità - prezzo sia ottimale;
b) una quantità di merci che sia contemporaneamente adeguata alle capacità produttive delle imprese ed alla domanda collettiva. Questo impedisce che si producano crisi di sovrapproduzione (la quantità di beni è superiore alla domanda) - con conseguente crollo dei prezzi - o di sottoproduzione (la quantità di beni è inferiore alla domanda) - con conseguente inflazione da domanda.
c) una situazione di autoregolamentazione del mercato: affinché la stabilità del rapporto domanda - offerta sia conseguita non è necessario che l'autorità politica intervenga dall'esterno sul mercato imponendo quote di produzione fisse per i diversi beni o prezzi controllati. La peculiarità del liberismo consiste proprio nell'asserire che il mercato è capace di realizzare spontaneamente tale equilibrio, poiché è un meccanismo che agisce impersonalmente secondo la legge della domanda e dell'offerta. Questa legge viene concepita secondo il modello di legge naturale deterministica tipico della fisica classica newtoniana1: tutti i fenomeni economici sono determinati secondo rapporti causali necessari, universali e uniformi nello spazio e nel tempo. Il rapporto tra domanda ed offerta è quindi il riflesso di relazioni causali oggettive che producono l'automatico equilibrio tra i due fattori.
Da questa concezione del mercato deriva l'impostazione di fondo tipica della politica economica liberista che si può riassumere in due principali indicazioni:
1) astensionismo statale: essendo il mercato dotato di meccanismi automatici che ne garantiscono l'equilibrio, non è necessario che lo stato intervenga per regolamentare l'andamento dei prezzi o condizionare la domanda e l'offerta, anzi un simile comportamento da parte dello stato produrrebbe l'alterazione dei naturali rapporti tra tali fattori e determinerebbe il loro squilibrio con conseguenze disastrose sul piano economico. Da qui la tipica dottrina liberista dello stato astensionista secondo cui: l'organizzazione della produzione e della distribuzione dei beni deve essere affidata non all'interventismo dello stato, ma ai meccanismi naturali e razionali del libero mercato.
2) libera concorrenza: tutte le considerazioni fin qui svolte possono essere sintetizzate in una sola regola, quella della libera concorrenza: deve essere lasciata assoluta libertà ai produttori di competere sul mercato, tale regola garantisce la selezione naturale delle imprese migliori, cioè di quelle imprese capaci di offrire prodotti in cui il rapporto qualità prezzo sia il più vantaggioso per il consumatore. Ciò garantisce lo sviluppo economico della società e la coincidenza tra profitto dei singoli privati e bene comune.
CONCLUSIONI: si sono esaminati i principali elementi in cui si articola la teoria economica liberista cercando di mostrare come essi siano interconnessi e formino un sistema compiuto e coerente. A questo punto rimane un'ultima ma fondamentale considerazione da fare, essa riguarda la condizione necessaria affinché la politica economica di libera iniziativa e libera concorrenza possa effettivamente permettere di conseguire tutti i vantaggi che promette. Tale condizione può essere così formulata: richiedenti ed offerenti devono essere privi di ogni potere di influire sul mercato, ovvero consumatori e produttori di beni non devono disporre del potere di condizionare il mercato determinando i prezzi indipendentemente dalla libera concorrenza. Se infatti si hanno concentrazioni oligopolistiche o monopolistiche della produzione vengono a mancare quelle condizioni che consentono l'esistenza del libero mercato ed il corretto funzionamento della legge della domanda e dell'offerta. Questo divenne chiaro soprattutto all'epoca della grande depressione, quando le concentrazioni economiche esercitarono, nei principali paesi industriali (Usa, Germania), il quasi totale controllo dei mercati e si passò ad un regime monopolistico che segnò la fine dell'età del libero scambio e del liberismo classico in quanto il prezzo e la quantità di beni non dipendevano più dalla libera concorrenza, venuta a mancare, ma venivano imposti dai trust e cartelli.
In conclusione, si può identificare la condizione necessaria affinché una politica di tipo liberistico sia possibile, nel controllo che l'autorità statale deve esercitare sul mercato al fine di evitare che si costituiscano concentrazioni economiche che determinerebbero il venir meno della libera concorrenza. Per il liberismo il compito proprio dello stato in economia, analogamente a quanto prescrive il liberalismo in campo politico, è quello di garantire a tutti gli operatori economici che operano sul mercato (compresi i consumatori) uguali possibilità al fine di consentire la libera concorrenza nella cui affermazione e difesa consiste l'essenza stessa di questa dottrina economica2. Solo la libera concorrenza tra diversi gruppi per la conquista del potere sul mercato, economico o elettorale, può consentire un effettivo pluralismo ed un progresso generale della società.
1 Fu Montesquieu che, intorno alla metà del xviii secolo, propose per primo di estendere la nozione di legge dal campo dei fenomeni naturali a quello dei fenomeni politico - sociali.
2 Fu il marginalismo, dottrina economica neoliberista diffusasi tra xix e xx secolo, ad insistere particolarmente su tale delicato punto. Solo evitando il costituirsi di monopoli - oligopoli attraverso una legislazione antitrust era possibile conseguire tutti i vantaggi che il liberismo garantiva.
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