stalinismo fascismo nazismo

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Testo

L’edificazione dello Stato sovietico
Il regime staliniano
Stalin concentrò nelle proprie mani un potere assoluto e indiscusso, fondato su una sorta di culto della personalità. Le masse popolari, in dottrinnate da una propaganda costante e capillare, attribuirono alla figura di Stalin un carattere quasi religioso e lo fece oggetto di una vera e propria venerazione.
Tuttavia non mancarono dissensi e tentativi di opposizione. Nel 1934 Stalin scatenò una campagna persecutoria contro ogni forma di opposizione al regime.
Una lunga serie di processi politici permise al dittatore sovietico di condannare a morte o alla deportazione in Siberia centinaia di migliaia di oppositori o di semplici dissidenti. Con le grandi purghe Stalin rinnovò radicalmente la classe dirigente del partito comunista, dello Stato e dell'esercito, imponendo personaggi a lui fedeli e ottenendo così il dominio assoluto del paese.
L'Italia è il fascismo
L'immediato dopoguerra
La crisi economica e il malessere generale
L'Italia uscì stremata dalla grande guerra, con oltre mezzo milione di morti in battaglia. L'industria doveva essere convertita alla produzione di pace. L'aumento dei salari e degli stipendi era inferiore all'aumento dei prezzi dei beni di prima necessità. Le risorse dello Stato erano insufficienti sia per promuovere la realizzazione di opere pubbliche volte ad assorbire la disoccupazione, che per garantire un minimo di assistenza ai mutilati, alle vedove e agli orfani.
La grande borghesia era preoccupata per la crescita della forza politica e sindacale del movimento operaio.
I proprietari terrieri erano allarmati per le rivendicazioni dei braccianti, sostenute soprattutto dai socialisti.
I ceti medi erano delusi per i risultati della vittoria e amareggiati per il declino del loro prestigio sociale.
La classe operaia, animata dall'entusiasmo per le conquiste della rivoluzione russa, reclamava maggiore potere nelle fabbriche e manifestava tendenze rivoluzionarie.
I contadini infine, tornati dal fronte, chiedevano l'assegnazione delle terre demaniali e dei latifondi incolti.
I governi si dimostrarono deboli e del tutto incapaci di gestire la difficile situazione che si venne creando tra il 1919 e il 1922.
La vittoria mutilata
Pur avendo ottenuto il Trentino e l'Alto Adige, Trieste e l'istria, ciò che maggiormente bruciava era la mancata espansione dell'Italia nei Balcani e l'esclusione del nostro paese dalla spartizione dell'ex colonie tedesche. Per le classi meno abbienti, assai più intollerabile era il fatto che gli impegni assunti dopo il disastro di Caporetto non fossero stati mantenuti. Infatti, non soltanto non erano state distribuite ai contadini le terre demaniali e quelle incolte, ma non fu neppure assicurato agli operai un lavoro in fabbrica, nè venne garantita agli ufficiali la carriera che era stata loro promessa. Da questo stato di delusione di smarrimento derivò e si diffuse il mito della vittoria mutilata, della patria tradita.
Le elezioni del 1919
I risultati delle elezioni del 1919 videro una forte flessione delle liste liberali, che persero per la prima volta la maggioranza assoluta, mentre il partito socialista si affermò come primo partito italiano. Un notevole successo ottenne anche il partito popolare italiano, di ispirazione cristiana, fondato nel 1919 da Don Luigi Sturzo.
Il partito socialista non era disposto a collaborare né con le forze liberali, espressione della borghesia, né con il partito popolare, che si identificava con il movimento cattolico e con la Chiesa. Questa intransigenza portò il governo guidato dal liberale Francesco Saverio Nitti ad allearsi con il partito popolare.
Il biennio rosso
Gli anni 1919 e 1920 sono passati alla storia con il nome di biennio rosso. Nell'estate del 1919 si succedettero quasi ininterrottamente manifestazioni, scioperi e tumulti, senza che il governo riuscisse a controllare la situazione e a riportare l'ordine.
Tra la primavera e l’estate del 1921 all'ondata di scioperi promossi dai consigli di fabbrica, gli industriali risposero con una serrata, cioè con la chiusura delle fabbriche.
Queste allora vennero occupate dagli operai, che continuarono a lavorare portando avanti la produzione fino all'esaurimento delle scorte di magazzino. Ma l'azione del movimento operaio era destinata a fallire. La lotta suscitò timore e allarme tra i ceti moderati. La borghesia da allora cominciò ad avvicinarsi sempre più all'estrema destra, considerandola un male minore rispetto alla temuta sovversione di sinistra. Nel giugno del 1920 il debole governo Nitti venne sostituito da un nuovo esecutivo diretto da Giolitti.
Giolitti convinse gli imprenditori e i sindacati a sottoscrivere un contratto di lavoro che prevedeva consistenti aumenti salariali. La conclusione dell'accordo allentò la tensione e favorì il ritorno alla normalità delle fabbriche che furono sgomberate.
Le origini e l'affermazione del fascismo
Mussolini e i fasci di combattimento
Del disagio sociale e dell'instabilità politica approfittò Benito Mussolini. Con un programma intriso di nazionalismo e di facili promesse, con la sua abilità oratoria e gli articoli pubblicati sul giornale il popolo italiano di cui era direttore, Mussolini riuscì infatti a procurarsi simpatie e appoggi in settori sociali sempre più vasti: ex combattenti, studenti, borghesia impiegatizia, insegnanti, commercianti e piccoli proprietari.
Nel 1919 Mussolini fondò a Milano i fasci di combattimento, un movimento politico il cui programma prevedeva tra l'altro limitazioni alla proprietà privata, la partecipazione degli operai alla gestione tecnica delle fabbriche, la socializzazione dei servizi pubblici da affidare a organizzazioni proletarie, l’inasprimento dei imposte sul capitale e sui profitti realizzati in tempo di guerra.
Inizialmente i fasci di combattimento raccolsero consensi soprattutto tra gli ex combattenti, che ne dividevano lo spirito nazionalistico e l'esaltazione dei valori del militarismo, poi si affermarono anche nelle campagne, specialmente nella pianura padana. Proprio da questi settori sociali venne il più concreto appoggio al movimento fascista, anche attraverso cospicui aiuti finanziari.
La violenza degli squadristi
Nel corso del 1920 i fascisti crearono una propria struttura paramilitare. Si trattava delle famigerate squadre l'azione, i cui membri indossavano la camicia nera che in guerra caratterizzava i reparti d'assalto. Queste squadre armate sferrarono continui attacchi contro sezioni del partito socialista, camere del lavoro, cooperative, amministrazioni comunali di sinistra. Nei primi cinque mesi del 1921 le spedizioni punitive delle camice nere provocarono circa 300 morti e la distruzione di centinaia di sedi delle organizzazioni di sinistra. Gli squadristi ebbero peraltro il sostegno dei ceti miti e dell'alta borghesia, che nel fascismo vedevano ormai il mezzo migliore per soffocare la lotta delle classi subalterne. Nel maggio del 1922, dopo un anno caratterizzato da una serie impressionante di violenze contro gli antifascisti, Mussolini poteva contare su oltre 300.000 iscritti organizzati in circa 2000 fasci locali.
Il partito nazionale fascista
Il governo non prese posizione contro le violenze fasciste e non adottò alcun provvedimento repressivo. Giolitti pensava addirittura di coinvolgere il fascismo nel sistema democratico parlamentare. Lo stesso Mussolini aveva cercato di frenare la violenza squadristica: da ciò i suoi tentativi di trovare un accordo con le forze sindacali operaie e la sottoscrizione, nell'agosto del 1921, di un patto di pacificazione con i socialisti. Ma i capi fascisti della pianura padana i ras continuarono le aggressioni tra l'indifferenza del governo e le forze dell'ordine. Nel novembre del 1921 Mussolini trasformò i fasci di combattimento in partito nazionale fascista. Il suo programma corrispondeva ormai all'esigenza d'ordine espresso dalla borghesia imprenditoriale, difendeva la proprietà privata, riconosceva il ruolo fondamentale di istituzioni come la Chiesa e la monarchia.
La marcia su Roma
La situazione politica, si presentava sempre più difficile per l'impossibilità di formare maggioranze stabili in Parlamento. A questo punto, sicuro che non sarebbe stato osteggiato dagli organi e dalle forze dello Stato, il 16 ottobre 1922 Mussolini convocò a Milano i maggiori dirigenti del fascismo, ai quali espose il piano militare per la conquista del potere. Il 28 ottobre, migliaia di camice nere raggiunsero Roma per far cadere il governo. La sera dopo Vittorio Emanuele III, forse illudendosi che il fascismo avrebbe finalmente ristabilito l'ordine, diede l'incarico a Mussolini di formare un nuovo governo. Giunto al potere, Mussolini costituì un esecutivo composto, oltre che da fascisti e nazionalisti, anche da liberali e parte dei popolari.
Le elezioni del 1924 e l'assassinio di Matteotti
L'ascesa al potere del fascismo fu sancita dalle elezioni politiche del 1924. Mussolini aveva fatto approvare una legge elettorale che aveva eliminato il sistema proporzionale e introdotto il sistema maggioritario: al partito o alla coalizione di partiti che avessero raggiunto la maggioranza relativa dei voti venivano assegnati i due terzi dei seggi dellla camera dei deputati. La vittoria fu superiore a ogni previsione. Il 30 maggio, durante una delle prime sedute della nuova camera, il deputato socialista Giacomo Matteotti, dopo aver denunciato con estrema chiarezza le irregolarità compiute nei seggi e le aggressioni subite dagli elettori antifascisti, chiese l'annullamento delle elezioni.
Il 10 giugno il coraggioso parlamentare fu rapito nei pressi della propria abitazione da sicari fascisti e caricato a forza in un'automobile. Due mesi dopo il suo cadavere venne ritrovato nella campagna romana. Ma i partiti democratici non seppero approfittare del momento favorevole: l'opposizione, a eccezione dei comunisti, si limitò a disertare le sedute parlamentari in segno di protesta. La convinzione che questa presa di posizione a avrebbe indotto Vittorio Emanuele III a revocare la fiducia a Mussolini, andò delusa. Il re, infatti, lasciò al suo posto Mussolini come se nulla fosse accaduto.
La costruzione della dittatura
Le leggi eccezionali
In un tuo discorso tenuto alla camera dei deputati il 3 gennaio 1925, il dittatore si assunse la responsabilità politica, morale e storica di tutto ciò che era accaduto per il delitto Matteotti. L'opposizione tacque allibita, la piazza non si mosse. Aveva inizio così il regime fascista, destinato a durare vent'anni. Il governo emanò una serie di leggi eccezionali che cancellarono definitivamente il vecchio stato liberale. Furono rafforzati i poteri del capo del governo, il Parlamento fu completamente esautorato, l'opposizione parlamentare venne eliminata. Inoltre, furono sciolti i partiti, soppresso il diritto di sciopero, dichiarate illegali le organizzazioni sindacali, tranne quelle fasciste, le corporazioni. La stampa contraria al fascismo fu ridotta al silenzio. I sindaci vennero sostituiti da podestà nominati dal re su proposta del governo. Fu creatoa infine la polizia politica segreta e venne istituito il tribunale speciale per giudicare e condannare anche con la pena di morte, coloro che si fossero resi colpevoli di reato contro il regime.
L'opposizione alla dittatura fascista
Gli oppositori del fascismo furono condannati al carcere come Antonio Gramsci, al confino come Sandro Pertini, Carlo Levi, Altiero Spinelli e Ernesto Rossi o all'esilio come Filippo Turati, Pietro Nenni, Luigi Sturzo, Palmiro Togliatti. Altri vennero addirittura colpiti a morte come Giovanni Amendola e il sacerdote Giovanni Minzoni. Coloro che si rifugiarono in Francia crearono a Parigi due organizzazioni politiche per favorire il ritorno della democrazia in Italia: la concentrazione antifascista, fondata da socialisti repubblicani e l'associazione giustizia e libertà, di ispirazione liberale socialista. L'azione degli antifascisti venne costantemente sorvegliata dalla polizia segreta fascista. Di diverso carattere fu l'opposizione del partito comunista. I comunisti italiani potevano contare su una vasta rete di gruppi operativi, attivi specialmente nelle fabbriche. Nonostante i frequenti arresti dei militanti, la loro struttura rimase efficiente durante il fascismo, impegnandosi al proselitismo e nella diffusione della stampa di opposizione proveniente dall'estero.
I patti Lateranensi
Dopo una lunga trattativa, l'11 febbraio 1929 furono stipulati tra il Vaticano e il governo italiano i patti Lateranesi, un concordato con il quale venne sancita la conciliazione tra Chiesa e Stato. Con tale accordo il governo riconobbe la piena ed esclusiva sovranità del pontefice sulla città del Vaticano, mentre il Papa riconobbe il regno d'Italia con capitale Roma e abbandonò il proposito di restaurare lo stato della Chiesa.
La nascita dell'impero e l'alleanza con la Germania
Mussolini impresse alla politica estera italiana un carattere decisamente aggressivo. Cogliendo a pretesto alcuni scontri di modesta entità avvenuti a Ual Ual, il dittatore considerò l'incidente come una deliberata aggressione da parte di Addis Abeba e ordinò l'invasione dell'Etiopia.
La società delle nazioni decretò allora le sanzioni contro l'Italia, che tuttavia non produssero alcuna conseguenza negativa per il nostro paese anche perché poté avvalersi degli aiuti della Germania hitleriana.
Al contrario, le sanzioni servirono a Mussolini per esaltare la sfida dell'Italia a 50 nazioni. Dopo alcune difficoltà iniziali, le operazioni militari procedettero rapidamente. Esse furono condotte sul fronte settentrionale del Gen. Badoglio e sul fronte somalo dal generale Graziani. Il 5 maggio 1936 Badoglio entrò ad Addis Abeba. Il 9 maggio Mussolini, dal balcone di palazzo Venezia, annunciò a una folla di italiani entusiasti e al mondo intero che la guerra era finita e che sui colli fatali di Roma era riapparso l'impero.
Nel 1939 l'esercito italiano invase poi l'Albania, che fu conquistata in una settimana e Vittorio Emanuele III divenne anche re d'Albania. L'isolamento internazionale in cui si venne a trovare l’Italia a causa delle sanzioni economiche favorì l'avvicinamento di Mussolini alla Germania nazista, che aveva fornito nostro paese materie prime indispensabili, come il ferro e il carbone, e ne aveva prontamente riconosciuto la sovranità sull’Etiopia. Nel 1939 Mussolini firmò poi il patto d'acciaio con Hitler che praticamente asservì l’Italia alla Germania.
Le leggi razziali
La conseguenza più odiosa della sudditanza dell'Italia nei confronti di Hitler, fu l'introduzione anche nel nostro paese delle leggi razziali contro la popolazione ebraica. La politica antisemita del fascismo fu preannunciata nel luglio 1938 dalla pubblicazione del manifesto della razza, a opera di un gruppo di intellettuali con l'approvazione del ministero della cultura popolare. A partire da settembre l'antisemitismo si tradusse in una serie di leggi che portarono tra l'altro all'espulsione dalle scuole pubbliche degli studenti e insegnanti ebrei, al divieto di matrimoni tra italiani di razza ariana e di ebrei, alla limitazione dei diritti di proprietà e di attività commerciale, industriale e professionale degli israeliti.
La Germania e il nazismo
Le origini del nazismo
La Repubblica di Weimar
Il 19 gennaio 1919 venne eletta l'assemblea costituente, incaricata di preparare la nuova costituzione. La costituente si riunì a Weimar. Formata in prevalenza da socialdemocratici, da cattolici di centro e da liberali moderati, la costituente proclamò la nascita della Repubblica federale tedesca che approvò la costituzione di weimar. Con la nuova carta costituzionale fu creato uno stato parlamentare e federale diviso in 17 Lander (regioni) parzialmente autonomi. Al capo dello Stato vennero attribuiti larghi poteri. Eletto direttamente dai cittadini per sette anni e rieleggibile, aveva tra l'altro la facoltà di sciogliere il Parlamento e di autorizzare i primo ministro a governare mediante decreti-legge. Il sistema elettorale scelto, di tipo proporzionale, favorì però la formazione di piccoli gruppi politici che rese quindi impossibile, a causa delle liste di dispersione dei voti, il conseguimento di una forte maggioranza parlamentare, tale da assicurare la necessaria stabilità ai governi.
La nascita del partito nazista e il putsch di Monaco
In Germania riscossero sempre maggiori consensi le forze di estrema destra, tra le quali il partito nazionalsocialista o nazista. Questa formazione politica contava i propri iscritti e simpatizzanti soprattutto tra la piccola e media borghesia e tra i militari. Nelle elezioni del 1920 molti voti si riversarono sui partiti di destra e i socialdemocratici, che avevano contribuito alla nascita della Repubblica di Weimar, dovettero lasciare il governo ai conservatori e ai nazionalisti. Portavoce di questi ultimi era Adolf Hitler, un reduce di guerra figlio di un doganiere austriaco, che impresse al partito nazista una inconfondibile fisionomia antidemocratica. Al partito nazista Hitler affiancò le SA. Si trattava di formazioni paramilitari, meglio noti come camice brune, che assicuravano in breve tempo ai nazisti il controllo di tutti i movimenti di estrema destra. Nel novembre del 1923, approfittando delle forti tensioni sociali determinate dalla crisi economica e dall'eccezionale rialzo dei prezzi, Hitler mise in atto un colpo di Stato a Monaco di Baviera. Ma è tentativo fallì: Hitler fu imprigionato e condannato a cinque anni di prigione, dalla quale tuttavia fu presto liberato.
L'ascesa del nazismo
Dopo il fallito colpo di Stato di Monaco e l'arresto di Hitler, il partito nazista venne soppresso dal governo. Esso, tuttavia, si ricostituì nel febbraio 1925, all'uscita dal carcere di Hitler, che in quella occasione creò le SS, un fanatico corpo di polizia guidato da Heinrich Himmler. Il partito nazista divenne sempre più un partito di massa. Alle elezioni del 1930 Hitler ottenne 107 seggi e due anni dopo addirittura 230, diventando così il leader del più forte gruppo parlamentare del Reichstag, il Parlamento tedesco. Il motivo di questa rapida ascesa fu soprattutto dovuto allo smarrimento dopo il crollo della borsa di New York. La disoccupazione aveva infatti assunto dimensioni impressionanti. I nazisti attribuirono la responsabilità della crisi alle forze politiche che avevano governato nel dopoguerra, in particolare ai socialdemocratici. Nel frattempo il partito comunista registrava un progressivo aumento di voti, alimentando nella borghesia la paura di un violento scontro sociale. Questa preoccupante situazione favorì i nazisti, che seppero guadagnarsi non soltanto la fiducia della piccola borghesia e degli operai colpiti dalla crisi, ma anche l'appoggio della grande borghesia imprenditoriale e finanziaria. Il partito hitleriano prometteva infatti di risolvere la crisi in modo rapido e totale sostenendo l'espansione commerciale tedesca nei mercati mondiali.
I nazisti al potere
La nascita del terzo Reich
Il 30 gennaio 1933, il presidente della Repubblica, il conservatore Paul Ludwing Hindenburg, incaricò Hitler di formare un nuovo governo nel quale, erano presenti esponenti dei partiti conservatori e dell'esercito.
Assunto il potere Hitler procedette rapidamente all'instaurazione di un regime dittatoriale totalitario.
Nei posti chiave della pubblica amministrazione insediò funzionari i fedeli all'nazismo e scatenò la violenza delle formazioni paramilitari naziste contro il movimento operaio e le sedi sindacali.
Il 27 febbraio 1933 fu misteriosamente dato alle fiamme il palazzo del Reichstag e la responsabilità venne attribuita ai comunisti.
Prendendo a pretesto questo atto terroristico, Hindenburg sospese le libertà costituzionali, sciolse il Parlamento e indisse nuove elezioni. Queste si tennero il 5 marzo 1933 e videro la netta affermazione del partito nazista. Messo fuorilegge il partito comunista Hitler chiese e ottenne dalla Reichstag i pieni poteri.
Ebbe inizio il terzo Reich.
Come già avvenuto in Italia, i sindacati e i partiti di opposizione furono dichiarati fuorilegge e i loro dirigenti condannati a morte o imprigionati. La stampa fu imbavagliata, gli avversari politici vennero ridotti al silenzio dalla violenza sanguinaria delle SS.
L'assunzione di pieni poteri
Alla morte di Hindenburg, Hitler ne assunse le funzioni. Subito dopo un referendum popolare ratificò la legge che riuniva nella sua persona le cariche di capo dello Stato e di capo del governo (agosto 1934). Nel 1938, infine, si riservò anche il comando supremo delle forze armate. Sull'esempio di Mussolini, Hitler si attribuì il titolo di Fuhrer.
Hitler prese una serie di decisioni radicali: sciolse il Parlamento nazionale e il Parlamenti regionali; trasferii tutti i poteri locali a governatori da lui nominati; sospese la costituzione del 1919 e trasferì la capitale da Weimar a Berlino; inquadrò i lavoratori in un'unica organizzazione sindacale, il fronte tedesco del lavoro.
I campi di concentramento e la legislazione antisemita
Il nazismo si caratterizzò per la criminalizzazione e l'eliminazione degli oppositori politici. Questi vennero incarcerati o deportati nei campi di concentramento, i famigerati lager, la cui gestione fu affidata alle SS. Il regime nazista introdusse inoltre una durissima legislazione razziale, volta a colpire gli ebrei e tutte le minoranze etniche che si pensava potessero minacciare l'integrità della razza ariana. Nel 1935 vennero infatti promulgate le leggi di Norimberga, che dettero inizio alla persecuzione sistematica degli ebrei. Esclusi dai pubblici uffici, dall'esercizio delle professioni liberali, dal commercio e dalle banche, gli ebrei furono costretti a premettere al loro nome, sul passaporto e sulla carta d'identità, la lettera J, iniziale di Juden. Agli ebrei fu inoltre impedito di frequentare cinema, teatri, ristoranti e furono obbligati a portare una stella gialla cucita sui vestiti per poterli facilmente identificare e allontanare dai luoghi pubblici. Nella notte tra il 9 e il 10 novembre 1938, conosciuta come la notte dei cristalli, i nazisti distrussero negozi, incendiarono case, sinagoghe, e profanarono i cimiteri ebraici.
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