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URSS
Alla morte di Lenin nel 1924 si aprì la lotta per la successione che vedeva opposti Josif Stalin, segretario generale del partito comunista, e Lev Trotskij, che, denunciando la crescente burocratizzazione del regime, sosteneva la necessità di esportare il modello rivoluzionario anche fuori dai confini dell'Unione Sovietica. Il conflitto interno si protrasse fino al 1927, quando Stalin, forte dell'appoggio dell'apparato del partito, riuscì ad imporsi facendo espellere dal partito stesso Trotskij e altri importanti personaggi politici come Kamenev e Grigorij Zinov'ev. Nel 1929 Trotskij fu costretto all'esilio e dopo una decina d'anni di peregrinazioni tra Europa e America venne assassinato in Messico, nel 1940, presumibilmente da un sicario di Stalin. Sgombrato il campo da ogni opposizione e nominati suoi fidati collaboratori alle cariche strategiche di governo, Stalin divenne dittatore incontrastato del paese.
Costituzione dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche
Costituita formalmente nel 1922 dall'unione della federazione delle Repubbliche socialiste di Russia con le tre repubbliche di Ucraina, Bielorussia e Transcaucasia, l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS) nel 1924 si diede una nuova costituzione. Con questa venivano stabilite le relazioni politiche e amministrative che regolavano i rapporti tra le singole repubbliche e il governo centrale, a cui spettava fondamentalmente il controllo della politica estera, della difesa e, soprattutto, della pianificazione economica generale. Nella seconda metà degli anni Venti l'assetto territoriale dell'URSS subì alcuni importanti mutamenti: la Transcaucasia si divise in tre distinte repubbliche, Georgia, Armenia e Azerbaigian, e sorsero nuove entità federali, Kazakistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan. Già dal 1924 la maggior parte delle grandi potenze internazionali aveva riconosciuto la costituzione dell'URSS e stabilito relazioni diplomatiche; nel 1933 il riconoscimento avvenne anche da parte degli Stati Uniti.
Trasformazioni economiche
Nel 1927 il piano di nuovo corso economico programmato da Lenin aveva dato soddisfacenti risultati, riportando la produzione agricola e industriale agli stessi livelli dell'anteguerra. Poteva quindi essere avviato un nuovo programma economico che mirasse a realizzare un sistema di produzione socialista: nel 1928 Stalin inaugurò il primo dei piani quinquennali il cui fine principale era quello di trasformare gradualmente la nazione da grande paese agricolo a potenza industriale e, conseguentemente, di incidere sulla natura profonda della società. La realizzazione di grandi progetti infrastrutturali e la creazione di un'industria pesante furono obiettivi prioritari che richiesero grandi investimenti di manodopera. L'intensificarsi del processo di collettivizzazione e la nazionalizzazione forzata della produzione agricola venne ostacolato dal vasto ceto dei piccoli proprietari terrieri, i kulaki, la cui opposizione venne però sconfitta con massacri e deportazioni di massa. La stessa produzione agricola subì una forte depressione, causando condizioni di estrema miseria nelle campagne.
Le grandi purghe e i gulag
Nel 1934, con l'assassinio di Sergei Kirov, suo vecchio alleato e segretario del Comitato centrale, Stalin, per rafforzare ulteriormente la sua egemonia, diede avvio a una nuova stagione di epurazioni interne al partito. Ogni individuo sospettato di essere oppositore del regime veniva imprigionato e quindi deportato in Siberia o direttamente ucciso. Le "purghe" staliniane andarono a colpire soprattutto i membri del Comitato centrale del partito comunista, tra cui importanti dirigenti come Zinoviev e Nikolaj Bucharin, e gli ufficiali dell'Armata rossa. Quest'operazione di sistematico sterminio a fini politici provocò la generale condanna della comunità internazionale nei confronti dell'URSS e indebolì la nazione alla vigilia della seconda guerra mondiale. Terribili strumenti di questa politica repressiva furono i gulag, nati all'epoca della rivoluzione bolscevica come campi di lavori forzati in cui venivano reclusi detenuti comuni e controrivoluzionari. Con le purghe staliniane, nel corso degli anni Trenta, vi furono condannate circa dieci milioni di persone, parte delle quali venne utilizzata come manodopera per la costruzione dei grandi lavori di modernizzazione del paese.
La seconda guerra mondiale
Impegnato in una guerra di confine con il Giappone e temendo un’invasione tedesca a ovest, nel 1939 il governo sovietico, che in precedenza aveva inutilmente tentato di avviare una comune politica in funzione antitedesca con Francia e Inghilterra, aprì negoziati segreti per un patto di non aggressione con la Germania, proseguendo tuttavia anche i colloqui, già avviati, con Francia e Inghilterra. Nell’agosto 1939 venne annunciata la stipulazione di un patto tedesco-sovietico di non aggressione (patto Ribbentrop-Molotov), che in una clausola segreta prevedeva la spartizione della Polonia a vantaggio dell’URSS e la creazione di sfere d’influenza in Europa orientale per la Germania.
Il 1° settembre la Germania invase la Polonia e le immediate dichiarazioni di guerra di Inghilterra e Francia scatenarono la seconda guerra mondiale. Due settimane dopo, l’Armata Rossa attraversò la frontiera polacca, occupò la Polonia orientale e avviò la sovietizzazione delle aree occupate. Il 29 settembre, i governi tedesco e sovietico siglarono un trattato che delimitava le rispettive sfere d’influenza. Il patto con Hitler testimoniò l’apertura di un nuovo indirizzo nella politica estera sovietica, caratterizzata da una fase di espansionismo e di annessioni.
Nell’autunno 1939 il governo sovietico chiese alla Finlandia la cessione del territorio a nord-est di Leningrado e il permesso di stabilire una base navale sulla costa finlandese. Il rifiuto del governo di Helsinki portò alla guerra finnico-sovietica, che iniziò con l’invasione della Finlandia da parte dell’URSS il 30 novembre 1939. Dopo un’inutile resistenza, i finlandesi vennero sconfitti e la guerra terminò il 12 marzo 1940: in base ai termini del trattato di pace l’URSS acquisì i territori della Carelia e il porto di Viborg.
Nell’estate 1940 l’Armata Rossa occupò l’Estonia, la Lettonia e la Lituania, istituendovi governi fantoccio; in un secondo tempo i tre stati furono annessi all’Unione in qualità di repubbliche. Simultaneamente l’URSS si rivolse ai Balcani, richiedendo alla Romania la cessione della Bessarabia e della Bucovina settentrionale. Verso la metà del 1940 la Romania acconsentì e i territori entrarono a far parte della repubblica sovietica di Moldavia. Nell’autunno del 1940 i tedeschi stabilirono un governo fantoccio in Romania a garanzia della frontiera russo-rumena.
Il 22 giugno 1941 la Germania invase l’Unione Sovietica. Italia, Romania, Finlandia, Ungheria e Albania dichiararono guerra all’URSS, provocando l’intervento di Gran Bretagna e Stati Uniti a fianco dell’Unione Sovietica. Nel gennaio del 1942, quattro mesi dopo aver siglato la Carta atlantica, il governo sovietico e altri venticinque governi alleati unirono i propri sforzi per combattere le potenze dell'Asse.
Le potenze dell’Asse sferrarono l’attacco all’URSS dal mar glaciale Artico e dal mar Nero. Nell’estate 1941 i tedeschi oltrepassarono i confini sovietici colpendo Leningrado (l’odierna San Pietroburgo), Mosca e l’Ucraina. Anche sul versante meridionale i tedeschi riportarono numerosi successi, ma vennero infine fermati e sconfitti nella battaglia di Stalingrado (agosto 1942 - gennaio 1943). Tra la primavera e l’estate del 1944 gli stati baltici e l’Ucraina furono liberati. Dopo aver conseguito altre importanti vittorie in Polonia e in Romania, il 22 aprile 1945 l’Armata Rossa raggiunse la periferia di Berlino e tre giorni più tardi le truppe sovietiche e quelle statunitensi si incontrarono sul fiume Elba. La guerra terminò in Europa l’8 maggio.
Tre mesi dopo l’URSS dichiarò guerra al Giappone. Le armate sovietiche occuparono gran parte della Manciuria, la Corea del Nord, le isole Curili e la parte meridionale dell’isola di Sahalin.
L’assetto postbellico
Alla fine del secondo conflitto mondiale l’URSS entrò nel novero delle grandi potenze. Stalin partecipò insieme ai capi di stato americano e inglese alle conferenze di Jalta e di Potsdam per gettare le basi di una linea politica comune in Europa. Decisivo fu anche il ruolo sovietico nelle conferenze internazionali preliminari che condussero alla creazione delle Nazioni Unite nel 1945.
Berlino venne divisa in quattro settori e la parte orientale venne affidata ai sovietici, insieme con la parte settentrionale della Prussia orientale: vennero così poste le basi della Cortina di Ferro che dal 1947 avrebbe separato l’Europa orientale e parte dell’Europa centrale da quella occidentale.
La Guerra Fredda
Nei paesi in cui l’influenza sovietica era dominante (Polonia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Albania, Iugoslavia e Germania orientale) la struttura politico-economica venne gradualmente riorganizzata sul modello di quella sovietica.
Nello stabilire il proprio dominio politico in queste aree, la tecnica sovietica mirò prima alla cooperazione nei governi di coalizione, in cui i comunisti rappresentavano una minoranza, controllando però i ministeri, dirigendo le forze dell’ordine, l’esercito e l’economia. A ciò seguì, a partire dal 1947, la nascita di regimi controllati dai comunisti. Nel 1948 anche la Cecoslovacchia, paese non rientrante direttamente nell’orbita sovietica, passò sotto il dominio comunista. Nello stesso anno la Iugoslavia, guidata dal maresciallo Tito, resistette alle pressioni sovietiche. Di conseguenza, il paese venne espulso dal Cominform (vedi Internazionale) e Tito divenne l’esponente di spicco del non allineamento (vedi Nazioni non allineate). Questi sviluppi allarmarono i paesi occidentali e gli Stati Uniti e portarono alla creazione dell’Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord (NATO) nel 1949. Nello stesso anno, per coordinare le attività economiche degli stati sotto il controllo sovietico, l’URSS costituì il Consiglio di mutua assistenza economica (Comecon), insieme con Albania, Bulgaria, Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia, Romania e Germania orientale.
La morte di Stalin e la lotta per il potere
Stalin mantenne il controllo assoluto sino alla sua morte, nel marzo 1953, quando prese il potere un gruppo di alti dirigenti. Georgij Malenkov, segretario del partito, divenne primo ministro; Vjaeslav Molotov ministro degli Esteri e a Lavrentij Beria spettò il ministero degli Interni; Voroshilov venne nominato presidente del presidium del Soviet Supremo. Nikita Kruscev successe a Malenkov in qualità di segretario del partito.
Gli equilibri tuttavia si ruppero rapidamente: Beria venne rimosso, accusato di svolgere “attività criminali e antipartitiche” e nel dicembre 1953 venne riconosciuto colpevole di cospirazione e fucilato. Altri suoi collaboratori subirono la stessa sorte l’anno seguente. Nel 1955 Malenkov fu costretto alle dimissioni e il maresciallo Bulganin venne eletto capo di stato.
La destalinizzazione
Durante il XX Congresso del partito, tenutosi a Mosca tra il 14 e il 25 febbraio del 1956, furono denunciati i crimini di Stalin. L’attacco più violento venne da Kruscev, che lo accusò di aver abbandonato il metodo di direzione collegiale proprio del marxismo per istituire il culto della sua persona, con conseguenze disastrose per l’URSS. Kruscev lo accusò inoltre di essere colpevole di “arresti di massa e deportazioni di migliaia di persone, di condanne capitali senza processo”; di non aver approntato una difesa adeguata contro l’invasione tedesca, causando in tal modo la morte di migliaia di soldati; di “progettare l’eliminazione dei vecchi membri del Politburo” e infine di essersi reso responsabile della rottura con la Iugoslavia e di aver messo in pericolo “i rapporti amichevoli con le altre nazioni”.
Questi attacchi sconvolsero profondamente non solo i sovietici, ma i comunisti di tutto il mondo. Durante la campagna di destalinizzazione furono rimossi i ritratti di Stalin da tutti i luoghi pubblici e le località che portavano il suo nome vennero ribattezzate, i testi scolastici riscritti.
La crisi in Polonia e in Ungheria
Durante il periodo della destalinizzazione il controllo sovietico sui paesi satellite venne seriamente minacciato da una serie di rivolte scoppiate nel 1956 in Polonia e in Ungheria. Il malcontento popolare polacco sfociò nelle sommosse operaie di Poznan, che innescarono a loro volta numerose dimostrazioni. Minacciando dapprima un intervento militare, Mosca riuscì a risolvere la crisi imponendo un cambiamento forzato del governo, e offrendo alla Polonia la cancellazione di parte dei debiti e la concessione di ulteriori crediti.
In Ungheria le rivolte si fecero via via più numerose, sino a quando le truppe sovietiche intervennero brutalmente per sedare il movimento indipendentista; successivamente venne costituito un governo fantoccio sotto la guida di Janos Kadar. La tragedia ungherese lacerò profondamente i partiti comunisti europei; alcuni, fra i quali quello italiano, cominciarono a mettere in discussione la validità del modello sovietico.
La caduta di Kruscev e l’era Brenev
Nel 1964 il presidium del Comitato centrale del partito destituì Kruscev da ogni carica e decise di affidare il potere al governo collegiale di Leonid Brenev, Aleksej Kosygin e Nikolaj Podgornij. Le ragioni della destituzione di Kruscev risiedono con ogni probabilità nei deludenti andamenti dei settori agricolo e industriale e nei fallimenti in politica estera, in particolare la crisi dei missili a Cuba nel 1962 e la mancata acquisizione di Berlino Ovest.
Mantenendo il metodo utilizzato alla morte di Stalin, il potere venne diviso. Brenev fu nominato segretario del partito e Kosygin divenne primo ministro. Podgornij fu presidente dal 1965 al 1977. Tuttavia, negli anni Settanta, Brenev assunse un ruolo dominante. Nel 1976 fu confermato segretario generale del Partito comunista, e dopo le dimissioni forzate di Podgornij, ottenne anche la carica di presidente dell’URSS nel 1977. Una nuova costituzione venne promulgata nello stesso anno.
Sviluppo economico
L’economia sovietica dopo la seconda guerra mondiale seguì le linee già elaborate per i piani quinquennali e per il piano settennale (1959-1965).
Il settore agricolo, che occupava gran parte della popolazione, conobbe un periodo di grave crisi a causa delle cattive condizioni meteorologiche che caratterizzarono numerose stagioni dal 1963 al 1975. Anche il settore industriale, che aveva conosciuto una rapida crescita durante l’attuazione dei piani quinquennali di Stalin, facendo dell’URSS la seconda potenza industriale e militare al mondo, entrò in crisi senza che il regime di Kruscev riuscisse a sanare la situazione. Si decise quindi l’attuazione di una serie di riforme, che prevedevano anche l’introduzione di alcuni elementi del capitalismo (ad esempio il profitto), con lo scopo di aumentare la produzione. Di grande importanza per la crescita dell’economia sovietica fu lo sviluppo di un’area considerata periferica, la Siberia: gli immensi giacimenti di petrolio e gas naturale della Siberia occidentale incrementarono considerevolmente i rifornimenti energetici del paese.
Anche nel campo sociale e culturale vi furono significativi cambiamenti a partire dal secondo dopoguerra: l’istruzione gratuita, nella forma di scuole diurne, serali, corsi universitari o per corrispondenza era a disposizione di tutti coloro che si attenevano alla linea del partito. Si cercò anche di rendere partecipi le aree più isolate del paese. Il tasso di analfabetismo passò dal 70% dell’epoca imperiale a una percentuale irrisoria.
Nel campo delle scienze naturali le conquiste furono straordinarie e grande attenzione venne rivolta all’energia nucleare e all’esplorazione dello spazio. Nel 1957 furono lanciati i primi satelliti Sputnik 1 e 2, e nel 1961 Jurij Gagarin compì la prima orbita completa intorno alla Terra sul Volstok 1.
Una certa libertà d’espressione venne concessa durante gli anni della destalinizzazione dal 1955 al 1964, cui tuttavia seguì un ritorno a una politica più repressiva, specialmente dopo i tentativi di liberalizzazione in Cecoslovacchia nel 1968. Centinaia di dissidenti, considerati elementi sovversivi, furono imprigionati oppure internati in istituti di igiene mentale o costretti ai lavori forzati. Tra questi vi furono lo scrittore Aleksandr Solgenitsyn e il fisico nucleare Andrej Sacharov. Solgenitsyn, al quale nel 1968 fu vietata ogni pubblicazione in Unione Sovietica, venne espulso dal paese nel 1974. Sacharov, per la sua reputazione scientifica, sfuggì a lungo alla punizione, ma, dopo aver denunciato l’intervento sovietico in Afghanistan, nel dicembre del 1979, fu isolato a Gorki, dove fu sottoposto agli arresti domiciliari; soltanto nel 1986 gli fu concesso il permesso di rientrare a Mosca.
Politica estera
Dopo la seconda guerra mondiale l’Unione Sovietica stabilì stretti rapporti con le nazioni confinanti dell’Europa orientale, i cosiddetti paesi “satellite”; a partire dal 1949 il Comecon cercò di elaborare piani per l’integrazione economica delle nazioni del blocco orientale. Si sviluppò una certa opposizione a questo sistema sovranazionale dominato dai sovietici, particolarmente in Romania; tuttavia, nonostante il malcontento, vennero stabiliti ulteriori legami economici, inclusa la creazione di una Banca internazionale di mutua assistenza.
I rapporti con i paesi satelliti
La Iugoslavia, che immediatamente dopo la seconda guerra mondiale sembrava interessata a cooperare con l’Unione Sovietica, nel 1948 ruppe ogni rapporto con quest’ultima. Negli altri stati satelliti il dominio sovietico andò aumentando sino al 1955, quando venne siglato l’accordo di assistenza militare noto come patto di Varsavia, che si contrappose alla NATO. Dopo la morte di Stalin, i rapporti con la Iugoslavia migliorarono, ma subirono un declino in seguito all’invasione della Cecoslovacchia nel 1968 (vedi Primavera di Praga). Dopo il 1961 l’Unione Sovietica perse il controllo dell’Albania, che si alleò con la Cina. I fatti di Praga indebolirono i partiti comunisti al di fuori del blocco sovietico, divisero il movimento comunista internazionale, allarmarono l’Occidente e rallentarono i negoziati per il disarmo.
I rapporti con la Cina
Nel 1949 l’Unione Sovietica si alleò con il governo comunista cinese di Mao Zedong, siglando un trattato trentennale che includeva la concessione di prestiti alla Cina all’1% di interesse. Entrambi i paesi sostennero la Corea del Nord durante la guerra di Corea (1950-1953). Tuttavia, negli anni Sessanta la situazione si deteriorò; la tensione aumentò nel 1972 con la visita ufficiale in Cina del presidente statunitense Richard Nixon e, dopo la morte di Mao (1976), raggiunse l’apice: la Cina incoraggiò gli stati dell’Europa orientale all’indipendenza, riconobbe la Comunità economica europea (CEE) e si rivolse all’Occidente per ottenere aiuti militari ed economici.
I rapporti con gli altri paesi asiatici
Nel 1950 l’URSS riconobbe ufficialmente le forze comuniste di Ho Chi Minh nel Vietnam. Nel 1954 partecipò agli accordi di Ginevra che divisero il paese in Vietnam del Nord e Vietnam del Sud e continuò a sostenere i comunisti del nord. Durante la guerra del Vietnam, i rapporti tra URSS e Stati Uniti si fecero sempre più tesi. Dopo la vittoria delle forze nordvietnamite, l’Unione Sovietica continuò ad appoggiare la causa vietnamita nel conflitto con la Cina.
I rapporti con gli altri paesi asiatici furono contraddistinti da fasi alterne. Il premier Kosygin fu di notevole aiuto alla causa della pace mondiale nel 1966, effettuando un’importante mediazione nello scontro tra l’India e il Pakistan per il possesso della regione del Kashmir. D’altro canto, nonostante i buoni rapporti con il Giappone, non venne mai siglato un trattato di pace relativo alla seconda guerra mondiale, dato il rifiuto sovietico di restituire le isole Curili, acquisite nel 1945.
Nel dicembre 1979 l’URSS, al fine di impedire la caduta del regime comunista in Afghanistan, occupò militarmente il paese instaurando un governo fantoccio. Gli scontri con i gruppi islamici nazionalisti all’opposizione continuarono sino al 1991, nonostante la condanna dell’opinione pubblica mondiale.
I rapporti con i paesi africani
I tentativi sovietici di condizionare la politica degli stati africani subirono due sconfitte negli anni Sessanta: nel Congo il primo ministro Patrice Lumumba, sostenuto dai sovietici, venne ucciso nel 1961 durante una rivolta; in Ghana, Kwame Nkrumah e il suo governo comunista furono spodestati nel 1966. Nel corso degli anni Settanta l’URSS riuscì a far insediare al potere elementi comunisti in Angola, aiutò l’Etiopia a respingere i somali e sostenne il Fronte patriottico antigovernativo in Rhodesia (odierno Zimbabwe). Questi sviluppi allarmarono l’Occidente che vedeva svilupparsi una nuova forma d’imperialismo sovietico anche nel Medio Oriente.
I rapporti con l’Egitto furono abbastanza stabili durante gli anni Cinquanta e Sessanta. L’URSS appoggiò la nazionalizzazione del canale di Suez nel 1956, fornì aiuti economici per la costruzione della diga di Assuan e aiuti militari durante la guerra arabo-israeliana: nel 1971 i due paesi firmarono un trattato di cooperazione, ma l’anno seguente l’Egitto ordinò che tutti i consiglieri sovietici lasciassero il paese. La visita del presidente egiziano Anwar al-Sadat a Gerusalemme nel 1977 allontanò ulteriormente i due paesi; nel dicembre del 1977 Sadat ordinò all’Unione Sovietica di chiudere i propri consolati.
I rapporti con l’Europa occidentale
Nel 1955 l’Unione Sovietica concordò l’indipendenza e la neutralità dell’Austria e ristabilì le relazioni diplomatiche con la Germania occidentale, ma negli anni Sessanta il "miracolo economico" tedesco e la nuova Ostpolitik del ministro degli esteri tedesco (e futuro cancelliere) Willy Brandt allarmò i sovietici. I rapporti migliorarono solo alla fine del decennio con l’avvento di un governo socialdemocratico nella Repubblica Federale.
I rapporti con gli Stati Uniti
Dopo la seconda guerra mondiale i rapporti con gli Stati Uniti furono contraddistinti da fasi alterne di crisi e distensione. Nel 1962 le due superpotenze si scontrarono sulla questione di Cuba (vedi Crisi cubana dei missili); in seguito, l’URSS continuò a sostenere la vacillante economia cubana attraverso la concessione di prestiti e assistenza tecnica.
Il problema del disarmo era all’ordine del giorno sia all’interno sia all’esterno dell’ONU. Nel 1954 e nuovamente nel 1959, l’Unione Sovietica suggerì il disarmo bilaterale completo, ma il progetto fallì quando l’URSS rifiutò le ispezioni di verifica. I vertici tra le due superpotenze sulla limitazione delle armi strategiche (SALT), iniziati nel 1969, sfociarono in una serie di accordi nel 1972 e 1974.
Nel maggio del 1972, il presidente Nixon visitò l’Unione Sovietica e fu avviata una prima fase di distensione. Gli accordi inclusero la cooperazione nei campi della ricerca medica, della protezione dell’ambiente, nei settori scientifico, tecnologico e spaziale, e nella limitazione degli armamenti.
Gli sforzi per giungere a un nuovo accordo culminarono nella firma di un nuovo trattato SALT nel maggio del 1979. L’intervento armato sovietico in Afghanistan nel dicembre dello stesso anno congelò tuttavia la ratifica dell’accordo da parte del Congresso statunitense.
L’era Gorbaciov
Brenev morì nel novembre del 1982; il suo successore in qualità di segretario generale del Partito comunista, Jurij Andropov, venne a mancare dopo una lunga malattia nel 1984. Il successore di quest’ultimo, Konstantin ernenko, che morì solo tredici mesi dopo la nomina, venne a sua volta sostituito, nel marzo 1985, da Michail Gorbaciov.
Glasnost e Perestroika
Dopo aver consolidato il proprio potere sostituendo i membri del Politburo, Gorbaciov lanciò una campagna per la riforma della società sovietica. Le parole chiave furono: perestroika (“ricostruzione”) in campo economico e glasnost (“trasparenza”) negli affari politici e culturali. Durante il Congresso del Partito comunista tenutosi nel giugno 1988, Gorbaciov propose una serie di riforme costituzionali che avrebbe spostato il potere dal partito agli organi legislativi eletti a suffragio universale, riducendo il dominio del partito nella gestione dell’economia locale e aumentando i poteri della presidenza. Tre mesi dopo il capo dello stato Andrej Gromyko si dimise e Gorbaciov prese il suo posto. Nel marzo 1989, si tennero le prime libere elezioni, e il ricostituito Congresso dei deputati del popolo elesse Gorbaciov quale presidente; tuttavia, un grave incidente presso la centrale nucleare di ernobyl (1986) complicò il processo delle riforme economiche interne.
Politica estera
Tra il 1985 e il 1991, Gorbaciov tenne una serie di conferenze al vertice con i presidenti americani Ronald Reagan e George Bush. Gorbaciov e Reagan firmarono un accordo nel dicembre 1987 per l’eliminazione dei missili a medio e a corto raggio. Nell’aprile 1988 fu siglato un accordo che prevedeva il ritiro dei sovietici dall’Afghanistan. Nel maggio 1990, Gorbaciov e Bush firmarono un trattato per porre fine alla produzione delle armi chimiche; nel luglio del 1991 i due presidenti siglarono un accordo per una forte riduzione delle armi nucleari strategiche.
Precedentemente, nel dicembre del 1988, presso l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il presidente sovietico aveva annunciato la riduzione unilaterale delle armi convenzionali, in particolare in Europa orientale e lungo il confine con la Cina. Durante la visita di Gorbaciov a Pechino nel maggio del 1989, Cina e URSS riallacciarono i rapporti interrotti trent’anni prima. Nel corso di un incontro con papa Giovanni Paolo II a Roma, Gorbaciov promise che il suo paese avrebbe concesso la piena libertà di culto. I rapporti con Israle migliorarono considerevolmente, dopo che l’URSS mitigò le restrizioni sull’emigrazione degli ebrei sovietici.
La crisi del comunismo
Fra le più drammatiche inversioni di rotta della politica sovietica vi fu il rifiuto di intervenire nell’Europa orientale quando i movimenti di riforma tra il 1989 e il 1991 fecero cadere i governi comunisti in Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia, provocando la dissoluzione della Germania orientale che divenne parte della Repubblica Federale di Germania e lo scioglimento del Comecon e del patto di Varsavia. Nel febbraio del 1990, con un’economia in rapido deterioramento, anche il Partito comunista sovietico decise di abbandonare il monopolio del potere politico. Gorbaciov nel frattempo aveva perso il sostegno popolare a causa della linea politica interna e l’11 marzo la Lituania si proclamò stato sovrano e indipendente, mentre anche nelle altre repubbliche si attivavano movimenti indipendentisti e nazionalisti.
I sostenitori di una linea dura tentarono un colpo di stato nell’agosto del 1991, ponendo Gorbaciov agli arresti domiciliari. Nell’arco di tre giornate i riformatori, guidati dal presidente russo Boris Eltsin, respinsero l’attacco e smantellarono l’apparato del partito. Il 5 settembre il Congresso dei deputati del popolo stabilì un governo di transizione con un Consiglio di stato, guidato da Gorbaciov e dai presidenti delle repubbliche partecipanti. Il giorno seguente fu riconosciuta la completa indipendenza di Estonia, Lituania e Lettonia. L’influenza di Eltsin tuttavia andava oscurando quella di Gorbaciov e, in breve tempo, il governo russo assunse i poteri esercitati prima dal governo centrale sovietico.
Il 21 dicembre 1991 l’URSS cessò formalmente di esistere e undici repubbliche, Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Moldavia (rinominata Moldova), Russia, Tagikistan, Turkmenistan, Ucraina e Uzbekistan, formarono la Comunità degli Stati Indipendenti. Gorbaciov si dimise il 25 dicembre e il parlamento sovietico riconobbe la dissoluzione dell’URSS il giorno seguente.