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Categoria: | Storia |
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Testo
1. LE ORIGINI DI ROMA
La posizione di Roma era favorevole dal punto di vista militare ed economico. Essa costituiva lo sbocco al mare delle popolazioni appenniniche, presso le quali arrivava la via Salaria (collegava le saline di Ostia con i monti della Sabina). L’asse commerciale che collegava l’Italia settentrionale e meridionale, inoltre, passava proprio per Roma.
Il colle Palatino era una fortezza naturale in grado da poter accogliere un gran numero di persone e dominava il Tevere nel punto in cui era guadabile.
L’importanza era anche etnica e culturale perché in esso transitavano genti e civiltà diverse che qui s’incontravano.
L’origine del nome è incerta: dall’etrusco rumon (fiume) - dal greco rome -forza-
Gli scampati alla guerra di Troia, guidati da Enea, dopo lunghi viaggi giunsero nel Lazio. Qui Ascanio, figlio di Enea, fondò Albalonga. Dopo alcune generazioni, Numitore, re di Albalonga, fu deposto dal fratello Amulio il quale, per impedire la nascita di discendenti di Numitore che lo vendicassero, costrinse Rea Silvia, figlia del re, a diventare vestale.
La principessa, però, violata da Marte ebbe due gemelli, Romolo e Remo.
Amulio per non essere spodestato, fece gettare i due bambini nel Tevere. Essi però si salvarono e furono allattati in seguito da una lupa fino a quando un pastore, Faustolo, li trovò e li allevò con la moglie, Acca Larenzia.
Divenuti grandi i due gemelli uccisero Amulio, riportarono sul trono Numitore e fondarono una nuova città nel luogo dove erano stati allevati. Era il 754-753 a.C. Romolo e Remo, per mezzo dell’auspicio (osservazione del volo degli uccelli), decisero chi avrebbe dato il nome alla città ed il responso fu favorevole a Romolo. Questi tracciò i confini sacri della Roma quadrata con l’aratro. Ma Remo per dispetto oltrepassò i confini e così il fratello lo uccise, divenendo il primo re della città.
Roma veniva presentata dalle leggende degli scrittori latini come l’erede diretta della civiltà troiana. Questo racconto sottolinea il disegno divino e provvidenziale che avrebbe sorretto e guidato le sorti di Roma. I romani intendevano così glorificare le loro origini, fondandole su una presunta superiorità di stirpe e di destino.
Intorno all’VIII secolo, comunità di latini si erano insediate sui colli del Tevere, dove questo formava una profonda ansa e dove l’isola Tibertina costituiva un agevole guado. Questa facilità aveva permesso il passaggio dei traffici commerciali che si erano intensificati con la diffusione della civiltà etrusca e delle colonie greche. Poiché qui si innestava anche il traffico da e per le regioni appenniniche, si creò un grande emporio commerciale.
Siccome la valle era paludosa e malarica, i villaggi di capanne nacquero sui colli, primo tra tutti il Palatino.
Gli intensi commerci 1) favorirono i contatti con le civiltà più evolute -Etruschi e Greci-
2) accelerarono l’evoluzione verso un’organizzazione sociale più complessa; da piccole comunità indipendenti sorse un vero e proprio nucleo urbano.
Roma fu il risultato di queste fusioni che interessarono tutti i villaggi dei sette colli tradizionali: Palatino, Esquilino, Celio, Quirinale, Viminale, Capitolino, Aventino (dopo il IV secolo a.C.)
2. IL PERIODO MONARCHICO
Il re aveva diverse funzioni:
Ÿ Amministrava la giustizia
potere giudiziario e legislativo
Ÿ Era a capo dell’esercito
Ÿ Svolgeva i compiti di sommo sacerdote
suprema autorità religiosa
Il periodo monarchico durò dalla metà dell’VIII secolo alla fine del VI secolo a.C., durante i quali governarono, secondo la tradizione, sette re. È poco probabile che un numero così limitato di monarchi abbia regnato per un arco di tempo così ampio, in ogni caso questi personaggi e i compiti loro attribuiti dalla tradizione rappresentino precise fasi dello sviluppo della città.
Per ciascun regno la tradizione romana ha calcolato 35 anni in media. Nella prima fase i re furono eletti per acclamazione dall’assemblea dei guerrieri; con i Tarquinii il potere si trasmise all’interno della famiglia reale.
Fase latino sabina
Romolo il fondatore eponimo, ossia colui che diede il nome alla città e all’intero popolo romano Ÿ Fusione dei romani con i sabini (ratto delle sabine) Ÿ Ordinamenti sociali e politici (fondazione senato)
Numa Pompilio Ÿ Istituzioni religiose Ÿ Riforma del calendario
Tullo Ostilio Ÿ Conquista di Albalonga Ÿ Orme di diritto militare
Anco Marzio Ÿ Guerre contro la lega latina Ÿ Costruzione del porto di Ostia e del ponte Sublicio
Romolo
1. La leggenda del ratto delle sabine:
Poiché Roma era scarsamente popolata, egli fece rapire le giovani donne dei sabini che furono costrette a diventare mogli dei romani; il ratto delle fanciulle scatenò la reazione dei sabini, che si prepararono a una guerra contro Roma. Ma la guerra fu scongiurata dalle donne che non avrebbero mai permesso uno scontro tra i loro padri e i loro mariti. Romani e Sabini si riappacificarono e Romolo governò con Tito Tazio, il re sabino.
2. Fondò il senato, il cui nucleo originario era di cento membri scelti tra le famiglie nobili.
Numa Pompilio
(vedi tabella)
Tullo Ostilio
1. Rafforzò i confini territoriali del Lazio tramite lo scontro vittorioso con Albalonga.
2. Codificò la procedura che regolava le dichiarazioni di guerra.
Anco Marzio
1. Sul finire del VII secolo si rivolse contro i vicini fidenati e latini e portò Roma ad affacciarsi direttamente sul mare conquistando Ostia, che permetteva l’ingresso di Roma nei traffici sul Tirreno.
2. Costruì il ponte Sublicio, primo ponte stabile sul Tevere, tutto di legno e senza chiodi metallici (indice di una crescente partecipazione di Roma agli scambi commerciali).
Gli Etruschi, si interessarono a Roma, questo nuovo centro urbano, e lo sottoposero al proprio controllo dalla fine del VII alla fine del VI secolo, come dimostra la dominazione di Roma da parte di re con origini etrusche. Si trattò probabilmente di un’infiltrazione di alcuni capi, legati a qualche potente città dell’Etruria desiderosa di assicurarsi il controllo di una zona così importante per le comunicazioni con l’Italia meridionale. Ciò comportò un approfondimento dei rapporti economici, commerciali e politici e una specie di sovrapposizione delle più avanzate forme istituzionali etrusche alle elementari forme di amministrazione della Roma primitiva.
Fase estrusca
Tarquinio Prisco Ÿ Opere di bonifica nella valle paludosa tra il Palatino ed il Campidoglio Ÿ Sistema fognario (Cloaca Massima)
Servio Tullio Ÿ Riforma sociale censitaria Ÿ Tribù territoriali Ÿ Mura serviane
Tarquinio il Superbo Ÿ Trasformazione della monarchia in dittatura assoluta
Tarquinio Prisco
(vedi tabella)
Servio Tullio (figlio di un dio e di una schiava)
1. Divise il popolo in cinque classi sociali sulla base del censo (riforma sociale timocratica)
2. Creò delle tribù territoriali (si era cittadini non più in base alla cittadinanza ma alla residenza)
3. Fece costruire le mura della città (agger Servianus). I resti archeologici sono però posteriori, anche se è probabile che ai tempi di Servio Tullio Roma fosse circondata da fortificazioni di terra.
Tarquinio il Superbo
(figura del tutto leggendaria che avrebbe ripreso e completato le opere pubbliche iniziate da Tarquinio Prisco)
1. Fu descritto come autoritario, violento e crudele (proprio come la tradizione dipinse i contemporanei tiranni greci); per questo fu cacciato dalla città e fu costituita la repubblica.
3. L’EVOLUZIONE POLITICA E SOCIA- LE NELL’ETÀ MONARCHICA
Roma si dette in questo periodo alcune delle istituzioni che la reggeranno nel corso dei secoli. Il senato dove si riunivano i patres, i capi delle grandi famiglie aristocratiche.
La struttura patriarcale della società romana arcaica si riflette nei nomi: patres = padri; senatus ð senes = anziani.
La popolazione era in origine divisa in tre tribù: Tizi (Tities), Ramni (Ramnes), Luceri (Luceres), ciascuna delle quali era formata da dieci curie (= co-viria, riunione di uomini). L’assemblea dei comizi curiati, raggruppanti ognuna dieci gentes, controllava l’operato del re e del senato.
La tradizione fa risalire a Servio Tullio la divisione di cittadini secondo criteri geografici ed economici.
Come Solone infatti, divise la popolazione in classi (6) a seconda del censo, con un complesso di 193 centurie (unità di reclutamento dell’esercito). Questa divisione comportò una diversità nella loro utilizzazione nell’esercito nonché nell’attribuzione di ruoli politici. I più ricchi davano il massimo contributo all’esercito, ma potevano accedere alle massime cariche dello stato; i più poveri erano esenti dal servizio militare ma non potevano accedere ad alcuna carica pubblica. Pertanto la prima classe doveva fornire 98 centurie, la sesta solo 5. Quando si andava a votare ogni classe disponeva di tanti voti quante erano le sue centurie ð il sistema politico era controllato dalla prima classe che aveva più della metà dei voti (193 - 98 = 95 voti di tutte le altre classi insieme.)
Come Clistene, inoltre, Servio Tullio sostituì le tribù gentilizie con delle tribù territoriali (4 sul territorio urbano e un numero imprecisato extraurbane), che davano vita all’assemblea dei comizi tributi: il diritto di cittadinanza era quindi legato alla residenza.
Le strutture portanti della società Romana arcaica erano la gens e la familia.
La gens era composta dalle famiglie che avevano acquistato potere; era un clan che raggruppava tutti coloro che discendevano da un antenato comune. Tutti i suoi membri condividevano lo stesso nomen. L’appartenenza a una gens era indispensabile per partecipare alla vita politica. Il membro più anziano era il pater familias: egli amministrava le proprietà , dominava sulla moglie e sugli schiavi e poteva vendere i figli come schiavi. Egli rappresentava la famiglia verso il mondo esterno, decideva in merito ai matrimoni dei suoi membri e celebrava il culto degli antenati e delle divinità domestiche.
La donna era concepita solo in funzione della famiglia: non era ritenuta in grado di provvedere da sé in condizione libera pertanto doveva essere sempre sotto l’autorità di un uomo: prima del padre e poi, con il matrimonio, del marito.
Gli schiavi era considerati come beni materiali.
La plebe (plebs ð plere = riempire), la maggioranza della popolazione, si andò sempre più contrapponendo ai patrizi (ð patres), proprietari delle terre, che si ritenevano i discendenti degli originari fondatori della città.
I plebei non godevano di diritti politici ed erano costituiti da un gruppo eterogeneo di persone: potevano essere poveri o ricchi, ma il loro peso economico non corrispondeva comunque ad un riconoscimento politico:, perché questo era legato alla rendita fondiaria, prerogativa delle gentes.
4. LA NASCITA DELLA REPUBBLICA ROMANA
La tradizione dice che l’anno della cacciata della monarchia e della costituzione della repubblica fu il 509 a.C., ma in realtà il passaggio al nuovo regime fu più lento e graduale.
Tra il VI e il V secolo a.C., Roma era diventata una città importante e aveva raggiunto un livello di civiltà decisamente più complesso rispetto a quello delle popolazioni circostanti. È quindi probabile che le funzioni del re fossero state delegate ad altri, forse proprio ai membri del senato, il cui potere era in crescita. Sembra che l’ultimo re, Tarquinio il Superbo, avesse appoggiato le nuove classi mercantili e artigianali per fermare lo strapotere degli aristocratici; questi ultimi avrebbero perciò provocato la caduta della monarchia romana per ripristinare il loro potere. La nuova repubblica fu aristocratica.
Le gentes influenzavano la vita e la politica di Roma grazie alle loro ricchezze e al numero di clientes. In origine i clienti erano poveri che cercavano un sostegno presso le gentes, rinunciando alla loro autonomia. Essi si legavano con un vincolo di fedeltà al loro capo, il quale garantiva loro protezione e aiuto economico. In cambio i clienti erano tenuti ad appoggiare il patrono, a lavorare le sue terre, a combattere per difendere la sua persona o la sua famiglia. I clienti era cittadini regolarmente votanti dei quali l’aristocrazia si serviva come massa di manovra politica. Le famiglie più importanti potevano radunare migliaia di seguaci che militavano contro le città nemiche come una sorta di esercito privato; diverse guerre contro le città vicine nacquero da iniziative ed interessi privati. I vinti in guerra si ponevano poi sotto la clientela del condottiero vittorioso. La clientela era il riflesso di una società chiusa, aristocratica.
Roma stava diventando una città autonoma; gli Etruschi provarono a ristabilire un controllo sulle vicende della città laziale, ma il re Chiusi Porsenna, fallì.
I Cartaginesi, vista la potenza di Roma, decisero di stabilire con i romani un trattato di navigazione: esso garantiva a Roma libertà di movimento nel Lazio e riconosceva ai Cartaginesi il predominio sui mari.
Anche le popolazioni vicine se ne accorsero: i Latini si unirono in una lega per difendersi dalla nuova potenza di Roma. Nel 496 a.C. presso il lago Regillo si combatté una battaglia che si concluse nel 493 a.C. con la firma di un trattato di alleanza, il foedus Cassianum (dal console Spurio Cassio): Latini e Romani si impegnavano a difendersi a vicenda in caso di pericolo esterno. In questo modo Roma si assicurava il controllo indiretto di quelle popolazioni.
Pochi anni più tardi, Roma dovette contrastare le incursioni verso le zone costiere portate da popolazioni seminomadi provenienti dalle regioni appenniniche e attratti dalla fertilità della pianura laziale. Intorno alla metà del V secolo a.C., i Romani contennero quelle intrusioni e per prevenirne altre, insediarono loro coloni su quei territori.
Fu contro Veio che Roma ebbe il maggior conflitto. Quest’ultima era interessata al controllo del tratto di Tevere dove sorgeva Roma, poiché esso assicurava i rapporti con le altre città laziali e i collegamenti sull’asse nord-sud. All’inizio del IV secolo a.C., Roma, dopo un assedio decennale, espugnò la città rivale
5. IL CONFLITTO TRA PATRIZI E PLEBEI
Il V secolo a.C., fu caratterizzato da forti scontri politici e sociali causati dalle tensioni tra patrizi e plebei. Erano rivendicazioni economiche (da parte della plebe più povera) e politiche (da parte della plebe più ricca) poiché si chiedeva l’accesso alle cariche pubbliche.
Nei periodi di guerra la plebe sosteneva un impegno gravoso: sostenevano le spese per l’armamento e dovevano lasciare incolti i campi. I territori acquisiti dai nemici vinti, che ampliavano l’agro pubblico, erano poi fonte di ricchezza per i soli patrizi. I plebei, che spesso s’indebitavano, erano poi costretti a diventare schiavi del creditore. Le rivendicazioni della plebe comprendevano anche la riduzione dei debiti, il diritto di utilizzare i terreni statali, il godimento di distribuzioni gratuite di grano in caso di carestia; i plebei volevano rompere quelle barriere che li escludevano da ogni tipo di carica e che vietavano i matrimoni misti tra patrizi e plebei.
La ribellione della plebe si trasformò in una secessione (sciopero generale). I plebei, nel 494 a.C., si ritirarono sul monte Sacro; subito istituirono la proprio assemblea ed elessero i propri magistrati in carica per un anno: i tribuni della plebe e gli edili. Entrambi erano eletti dall’assemblea della plebe, che deliberava anche i plebisciti (disposizioni valide soltanto per i plebei). Il tribunato della plebe era una magistratura sancita come sacra e inviolabile e rappresentata da due tribuni. Solo in un secondo momento i patrizi riconobbero ai tribuni il diritto di veto (ovvero di bloccare le decisioni dannose per la plebe). Gli edili erano due magistrati che si occupavano del tesoro della plebe e della manutenzione di strade, templi, edifici pubblici; in seguito assunsero anche funzioni di polizia urbana.
Nel 451 - 450 a.C., furono stese le “leggi delle dodici tavole” (così chiamate perché incise su tavole bronzee) da un collegio di dieci uomini, i decemviri. Essi sancirono l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e, per renderle pubbliche a tutti, le Dodici Tavole furono esposte nel Foro. L’istituzione di leggi scritte fu una conquista importante per la plebe, poiché tutelava i cittadini da pratiche giudiziarie arbitrarie e da soprusi che la classe al potere aveva attuato fino ad allora (dato che le norme del diritto erano state trasmesse per via orale solo tra i patrizi).