Materie: | Appunti |
Categoria: | Storia |
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Testo
Negli anni ’80, i benefici sociali della Rivoluzione ci diedero lo status di cittadini-tutelati.
Negli anni ’90 la privatizzazione di quei benefici ci diede un nuovo status nel mercato: cittadini-clienti.
Come è stato possibile sopportare questa transizione così brutale senza rivolte sociali?
Perché il modello neoliberale genera migranti e i migranti generano rimesse.
Con il ritorno del FSLN al potere, quanto avanti andranno i poveri di questo mondo neoliberale che è oggi il Nicaragua?
Negli ultimi 27 anni i quattro governi che hanno governato il Nicaragua hanno applicato due modelli economici apertamente contrapposti: quello di un’ economia pianificata e quello di un’ economia neoliberale. I modelli di politica sociale legati a questi modelli economici produssero il cittadino-tutelato e il cittadino-cliente. Che tipo di cittadino nascerà dal nuovo governo del FSLN?
Il primo modello si avvicinò ad un miscuglio tra lo Stato del benessere conservatore e corporativo e lo stato del benessere socialdemocratico. Il secondo modello cerca di replicare vari aspetti dello Stato del benessere liberale. Il modello del “salario sociale” del progetto rivoluzionario degli anni ottanta si appoggiò all’ egemonia ideologica e causò una profonda inversione sociale, sebbene in un contesto di guerra poco propizio, e così un trattamento disorganizzato della finanza pubblica e una segmentazione dei benefici scalzarono la sua viabilità finanziaria e sociale. Il modello attuale, quello del cittadino-cliente, implicò una riconversione dello Stato in un subnegoziatore di servizi e un trasferimento di costi alle famiglie, possibile solo grazie all’ appoggio della cooperazione esterna e all’ incremento della spesa sociale proveniente dalle tasche delle famiglie. Potrà il nuovo governo sandinista alterarlo senza fare riforme radicali?
SALARI NOMINALI CONGELATI,
SALARIO SOCIALE GARANTITO
Quando il Fronte Sandinista prese il potere nel 1979 assunse il compito di costruire un nuovo ordine più egualitario. Il Ministero di Pianificazione recentemente creato lanciò le sue proposte partendo dalla premessa che la rivoluzione avesse scombussolato l’ economia. Bisognava adempiere la promessa di migliorare la situazione dei segmenti più poveri della popolazione. Come farlo? Aumentando l’ occupazione e ridistribuendo più equamente i beni e i servizi prodotti dalla nazione.
Il miglioramento dei servizi della salute e dell’ educazione sarebbe pietra angolare nella nuova struttura di benefici sociali. Un corollario di questa politica era il congelamento dei salari nominali. Tutto il beneficio sociale proverrebbe dall’ aumento dell’ occupazione. I benefici sociali includevano precocemente sussidi per gli alimenti, per il trasporto e per i servizi della salute e dell’ educazione. Il salario sociale risultante era la somma di una componente fissa –il salario nominale in denaro- e una componente crescente di maggior accesso ai servizi pubblici migliorati.
Per raggiungere l’ obiettivo della piena occupazione, lo Stato diventò una fonte di impiego determinante. L’ aumento dell’ apparato poliziesco e militare, la moltiplicazione delle imprese statali di produzione agropastorali o e industriale-, il controllo del commercio interno ed esterno e la nazionalizzazione della banca furono i primi passi in questa direzione. La conversione di tutte le imprese della famiglia Somoza e affiliate in imprese del settore pubblico assunse il significato di un palese protagonismo dello stato come attore economico e come creatore di impiego.
L’ FSLN proclamò l’ instaurazione di un regime basato su tre pilastri: pluralismo politico, economia mista e non allineamento internazionale. Forzati dalle circostanze e dalle opzioni ideologiche, i tre pilastri furono parzialmente cesellati. L’ economia mista fu condizionata dal peso statale. Con la confisca dei beni dei somocistas, il 23% della miglior terra arabile del paese passò nelle mani dello stato, insieme ad una gran varietà di imprese agroindustriali.
L’ espansione della così chiamata Area di Proprietà del Popolo (APP) –che includeva tutte le imprese pubbliche di vocazione agropastorale- arrivò ad assorbire più del 10% della PEA. Nel 1987, prima della compattazione dello stato, forzata dalla guerra, i 108.847 impiegati del settore pubblico, insieme ai 78 mila operai dell’ APP, ai 10 mila poliziotti e ai 134.400 effettivi dell’ esercito, davano un totale di 331.247 impiegati diretti dello stato (31% della PEA). A questo gruppo potremmo sommare i membri delle cooperative e i produttori affiliati ai sindacati sandinisti beneficiari della riforma agraria- più di 160 mila persone secondo i dati della CIERA-, la cui partecipazione nell’ economia nazionale era ……..dal sistema di licenze di prestiti, dallo stretto controllo di prezzi attraverso il monopolio statale sulla commercializzazione di prodotti e investimenti di beni agropastorali e dalle imprescindibili compensazioni attraverso la condonazione sistematica dei debiti o su pagamento in scudi svalutati. Ricorda Brizio Biondi- Norra, in una sua analisi critica del suo esperimento, che le banche furono nazionalizzate, tutte le operazioni di credito e assicurazione erano realizzate da istituzioni statali, i canali di importazione, esportazione e commercializzazione interna furono assegnati a compagnie statali e la Banca Centrale aveva il controllo esclusivo di qualsiasi moneta straniera. Direttamente e indirettamente , lo stato comprendeva più del 47% della PEA, posizione che conferiva al governo sandinista un controllo diretto sulle entrate e sulla applicazione delle politiche lavorative per un’ ampia fetta di popolazione.
UNA RIVOLUZIONE NELL’ EDUCAZIONE
Gli obbiettivi raggiunti nel benessere sociale e sviluppo umano furono significativi. L’ infrastruttura in salute e educazione aumentò più del doppio. Una massiccia Crociata della analfabetizzazione -che mobilitò più di 95 mila alfabetizzatori- ridusse il tasso di analfabetismo dal 50,3% al 13%. La gratuità dei servizi sociali fu un principio plasmato nella Costituzione Politica del 1987. Il livello di statalizzazione fu totale. L’ educazione prescolare passò da soddisfare 9 mila bambini e bambine nel 1978 a 50163 nel 1983. L’ iscrizione all’ educazione primaria salì da 396.640 a 564.996. Nel settore rurale -storicamente il più emarginato nella copertura educativa e altri servizi- l’ aumento annuale dell’ iscrizione fu del 14.3% nei primi quattro anni della Rivoluzione. I tassi grezzi di scolarizzazione primaria e secondaria arrivarono al 98.6% e 34.5% nel 1988. Si istituirono l’ educazione popolare per adulti – che si attestò a 166208 nel 1983 – l’ educazione di lingue biculturale per le etnie della Costa Caribe. Il numero di docenti passò da 14546 a 43988 tra il 1978 al 1987. Alcuni di questi docenti erano maestri empirici. Altri erano professionali, alunni dell’ università e delle scuole secondarie che prestavano servizio volontario. Così , la rivoluzione, per opera della sua egemonia generò un sistema solidale di pagamento in servizi dal qual si capisce che la gran parte dell’ inversione sociale non era stata preventivata. Un’ attribuzione costituzionale fissò al 6% del bilancio nazionale l’apporto dello stato all’ educazione superiore. Considerate come la “retroguardia” strategica della rivoluzione sandinista, Cuba ,URS, RDA, Bulgaria e Cecoslovacchia diventarono fonte inesauribile di borse di studio per migliaia di universitari nicaraguensi. L’ Unione Sovietica concedeva 300 borse di studio annuali, Bulgaria e Germania dell’ Est 50.
UNA RIVOLUZIONE NELLA SALUTE E SICUREZZA SOCIALE
La sicurezza sociale arrivò alle sue cifre massime. Nel 1978, l’ Istituto Nicaraguense di Sicurezza Sociale (INSS) assicurava il 20.5% della PEA. Tra il 1980 e il 1990 coprì in media il 26%. Nel 1984 raggiunse la storica copertura record del 30.34% della PEA. Nel 1982 diversificò i benefici -pacchetti alimentari, buoni per i tragitti del bus e sconti per l’ acquisto di occhiali- e incluse un regime per i non contribuenti di cui ne beneficiavano le vittime di guerra e gli infermi cronici, orfani, anziani senza famiglia, persone con handicap e indigenti. L’ apporto al Sistema Nazionale Unico della Salute (SNUS) era concepito come “ un’ apporto solidale” e non come l’ acquisto di un diritto esclusivo. Lamentevolmente, l’ attivo dell’ INSS diminuì sostanzialmente quando nel 1982 l’ infrastruttura ospedaliera- nella quale si aveva investito la maggior parte della riserva tecnica- passò nelle mani del Ministero della Salute (MINSA) senza che si pagasse all’ INSS una compensazione imprescindibile. Con gli anni, le pensioni, nello stesso modo dei salari dei lavoratori furono erosi per l’ aumento dell’ inflazione. La costituzione dello SNUS era un progetto già sostenuto dalla BID alla vigilia della rivoluzione. Ma si arrivò alla fine solamente con la volontà decisa negli anni ottanta. Il sistema includeva una rete di farmacie che vendevano a basso costo le medicine non fornite dal MINSA. Nel 1983 il Nicaragua raggiunse un investimento record nella salute di 50 dollari pro capite e si ridussero i tassi di mortalità e quelli delle principali malattie infettive. A partire da allora, iniziò un declino dell’ investimento e una discesa più lenta di questi tassi con alcuni riflussi di tubercolosi polmonare, congiuntivite emorragica, varicella e scabbia. Ma si mantenne la gratuità dei servizi dell’ ampliamento della sua copertura, specialmente nel settore rurale. Durante il decennio, il MINSA passò dall’ avere 1349 medici a 2095. Da 808 infermieri a 2092. Da 1879 infermieri ausiliari a 5398. Circa 1200 medici si formarono all’ estero.
NONOSTANTE TUTTO…
In alcune aree, per effetto dei numerosi reclami che domandavano la guerra –il 40% del bilancio nazionale a partire dal 1984- subì un deterioramento alla fine del decennio. La salute e l’ educazione furono le aree più colpite. Ci fu un regresso nei tassi di analfabetismo al 22%. Il tasso netto di scolarità nel 1989 fu stimato pari al 76%, ciò significa che rimanevano fuori dalla scuola145 mila bambini e bambine. Il tasso di promozione era sotto l’ 80%, 180 mila studenti presentavano problemi di boccatura e/o abbandono. Il numero dei diplomati come docenti scese da 727 a 445 tra il 1985 e il 1988. Il consumo di medicine si ridusse notevolmente per effetto dell’ aumento dei prezzi del chilogrammo medicinale da 3.1 a 8.2 dollari tra il 1986 e il 1990.
Nonostante tutti questi giri, il modello costituiva una vera rivoluzione nei benefici sociali:Ampliamento della copertura e diversificazione e miglioramento dei servizi, includendo novità come l’ educazione speciale e l’ educazione per adulti, le pensioni per vittime di guerra e la giornata di vaccinazioni massicce o di prevenzione dell’ influenza e della malaria.
IN GROPPA AD UN’ INFLAZIONE GALOPPANTE:
LA CRISI DELL’ ESPERIMENTO.
Simili disponibilità d’ impiego e di servizi per la salute e l’ educazione, in un contesto di guerra e di abbassamento dei prezzi internazionali dei prodotto agropastorali, fu possibile solamente con continue emissioni inorganiche di denaro circolante. L’ inflazione che questo causava esercitò un controllo indiretto dei salari, attraverso la determinazione del suo potere d’ acquisto. Nel 1980-84, il tasso di inflazione generale si mantenne ad un livello compreso tra il 23,41% e il 35,45% all’ anno. Nel 1985 saltò al 219,46% per passare al 681,63% e al 911,22% nel 1986 e nel 1987. Nel 1988 raggiunse la cifra record mondiale di 14315,78%. Nei due anni seguenti superò il 4700% e il 7400% secondo i dati della Banca Centrale.
Gli aggiustamenti salariali non permisero mai di mantenere il potere d’ acquisto.Sebbene il salario nominale medio si triplicò tra il 1980 e il 1985, il suo potere d’ acquisto diminuì più dell’ 80%. L’ indice dei prezzi al consumo era 124volte maggiore e il consumo reale pro capite era al 52% di quello che si era registrato nel 1980. Tra febbraio e dicembre del 1988 il salario medio statale passò a coprire dal 100% al 13% di un paniere di base di 46 prodotti. L’inflazione galoppante funzionava come una imposta addizionale. Gli operai pagarono i costi del sistema in un paese dove i salari non rappresentavano nemmeno il 7% dei costi di produzione. Nel periodo dal1980 al 1988, con poche oscillazioni, il salario medio reale scese incontenibilmente da 2585 a 705 scudi mensili (approssimativamente da 258 a 70 dollari). Il governo Sandinista decise di disegnare una politica salariale basata su un regime di salari minimi che garantissero un paniere di sussistenza minimo: man mano che l’ inflazione logorava il paniere base, i salari sperimentarono aumenti mensili. Nonostante ciò il salario medio reale appena raggiunse i 1732,3 scudi nel 1990. La stessa esistenza di un fluttuante mercato nero contrapposto a un mercato ufficiale in declino -che serviva come base di calcolo per gli aggiustamenti dei salari- dava uno scacco matto all’ efficacia di questa politica. I produttori agropastorali evadevano il controllo dei prezzi erodevano parte del salario sociale dei lavoratori urbani che includeva grano di base a basso prezzo. Nella seconda metà del decennio, un amministratore di un’ impresa agricola statale, osservò con insolita lucidità: “Con il salario di una settimana, un lavoratore della mia impresa può comprarsi una Coca-Cola. Se gli raddoppio il salario, può comprarsi due Coca-Cola. Perché dovrebbe lavorare?” Il “salario sociale”, che allentava gli aumenti del salario nominale in cambio di compensazioni addizionali –sussidio per gli articoli alimentari e migliori servizi sociali, levò dalle mani degli amministratori gli incentivi monetari come strumento amministrativo. Da qui l’ indebolimento della disciplina lavorativa. Come compensazione della riduzione del suo potere di acquisto, gli operai riducevano a volontà la giornata lavorativa. Si presero le così dette “vacanze storiche”: dopo decenni di sfruttamento, la rivoluzione doveva liberarli dal duro lavoro. La successiva riduzione della produttività causò carestia e inaugurò l’ esistenza di un mercato parallelo in contrasto con quello controllato dallo Stato.
NESSUNA INIZIATIVA SINDACALE
Le domande e rivendicazioni tradizionali dei lavoratori non avevano influenza. L’ amministrazione sandinista aveva lasciato incolume l’ emblematica legge dei lavoratori: il Codice del Lavoro, promulgato durante l’ amministrazione del primo Somoza nel 1944. La novità legislativa in questa materia fu la ratifica di 16 accordi dell’ OIL nel 1981. La nuova Costituzione del 1987 riconobbe molti diritti – educazione, salute, associazione-, ma nella pratica la sua mancanza di applicazione in leggi specifiche, lasciò un ampio marine di discrezionalità allo Stato, il principale datore di lavoro. L’ applicazione di giorno in giorno degli strumenti legislativi fu deciso dalle circostanze macro economiche e fu reso possibile dal controllo egemonico del FSLN. La consegna Direzione Nazionale, ordine! Fu sintomatica della proposta ai lavoratori: i dirigenti imponevano la linea e dovevano fare tutti i sacrifici per il progetto rivoluzionario. Il militarismo e il verticalismo che accompagna le situazioni di guerra impose la sua impronta e modellò un movimento sociale cooptato dallo Stato-partito. In accordo con il Ministero del Lavoro, fra il 1980 e 1099, il numero dei sindacati passò da 260 a 562 e quello dei sindacalisti da 12818 a 38746. Probabilmente c’ è una sottostima: nel 1988 solo l’ Associazione Lavoratori della Campagna (ATC) contava 65 mila affiliati. A essi si sommavano le corporazioni, che esercitavano più pressione nelle scarse negoziazioni che avevano effetto. Il più importante, l’ Unione Nazionale dell’ Agricoltura e del Bestiame.(UNAG) –di piccoli e medi produttori- arrivo ad avere 88568 affiliati nel 1985. Ma poco potevano fare uno e l’ altro per definire la rotta della politica lavorativa. Presto la guerra assorbì tutti gli sforzi e rinviò tutte le domande. “Nessuna attività nasceva spontaneamente dalla propria iniziativa sindacale”, afferma Onofre Guevara , uno dei più veterani leader operai, nella sua analisi dell’ epoca. Le domande erano assoggettate alle direttive emanate dalla cupola del FSLN. Le agitazioni dovevano mettere in conto il permesso del FSLN. I sindacati nelle imprese statali dovevano funzionare come ponti di comunicazione tra il padrone FSLN e gli operai. Solo s’ imponevano linee. Giammai i sindacati e le corporazioni ottennero che i padroni –privati o statali incorporassero come permanenti i lavoratori stagionali. Le lotte consentite consistevano nell’ ottenere che le imprese pagassero il salario dei mobilitati nell’ Esercito. Gli scarsi sindacati di opposizione venivano stigmatizzati come vicini agli interessi padronali e controrivoluzionari. Sebbene continuavano ad alzare le bandiere tradizionali dei lavoratori: salari migliori e altre prestazioni sociali. Le corporazioni dei datori di lavoro –come il Consiglio Superiore dell’ Impresa Privata (COSEP) e l’ Unione di Produttori Agropastorali del Nicaragua (UPANIC)- fomentarono il malcontento, patrocinarono scioperi e strinsero un’ alleanza che li portò al potere alle elezioni del 1990.
IL COLLASSO
Con l’ erosione della sua componente fissa e la diminuzione e consumo della sua componente crescente, il modello del salario sociale era collassato, e con esso l’ egemonia del FSLN. La guerra e il deterioramento dei termini di scambio internazionale furono determinanti. Ma lo furono anche altri elementi. Per mantenere una militanza fedele, l’ FSLN dovette ricorrere al clientelismo e articolare un sistema di benefici segmentati: credito e condonazioni per le cooperative e i produttori sandinisti, borse di studio per i leader della gioventù sandinista, “diplotienda” ben provviste con prezzi in dollari per gli impiegati di alto rango dello Stato e il corpo diplomatico, servizi medici privilegiati per i militari e i loro familiari all’ interno del paese o accesso ai servizi specializzati a Cuba e nella RDA. E il beneficio più conflittuale di tutti: un controllo dei prezzi dei prodotti della campagna e il pagamento in natura –il pacchetto AFA : riso, fagioli e zucchero- a beneficio dei lavoratori urbani e a scapito dei prodotti agropastorali. Questa opzione acutizzò la contraddizione campagna-città. Ed era in campagna dove i danni della guerra erano più drammatici. Il modello ipotecò lo sviluppo della campagna, imponendo prezzi interni inferiori a quelli internazionali. Il conflitto seguente si manifestò complessivamente nella lotta tra il Ministero del Commercio Interno –a favore dei consumatori cittadini- e il Ministero della Riforma Agraria, a favore dei consumatori agropastorali. Tutto ciò, alimentò la base della controrivoluzione armata.
…..
Nel decennio degli anni 90 Nicaragua fu scenario di una brusca virata di timone. Il trionfo elettorale di Violetta Barrios de Chamorro nel febbraio del 1990 aprì degli spazi nel suo governo ad un gruppo di tecnocrati formati nelle università statunitensi, che vedevano nello Stato del benessere liberale e nel neoliberismo della scuole di Chicago un ideale da imitare e alcune teorie da applicare. Alcuni erano funzionari pagati direttamente dai multilaterali –FMI, BM, BID- per applicare le loro ricette con incondizionato servilismo. Sommati agli impresari che hanno fiducia della mano invisibile del mercato, implementarono una serie di politiche orientate a smontare i controlli statali, a ridistribuire il carico fiscale, a liberalizzare il credito e privatizzare l’ Area di Proprietà del Popolo e la banca. Un fatto sintomatico della volontà di clonare il sistema statunitense fu il lancio dell’ effimero scudo oro –equivalente al dollaro-, tolto appena entrò in contraddizione con gli interessi delle elites esportatrici di prodotti agricoli. La liberalizzazione –sparizione di controlli statali e imposte- fu applicata assai prontamente. Nel gennaio del 1991 si approvò il decreto che deregolamentò il commercio. Abolì –dopo dieci anni della sua entrata in vigore- il decreto che stabiliva il controllo dello Stato sulle esportazioni. Presto incominciarono a operare alcune vecchie e molte nuove compagnie esportatrici. Sempre nel gennaio del 1991, un altro decreto sgravò diversi articoli d’ esportazione, abolendo le imposte progressive sull’ esportazione di caffè, la legge che aveva creato il Fondo del Caffè del settembre 1979 e l’ imposto sopra l’ esportazione di caffè del 1982. La liberalizzazione della banca significò la fine di un’ era di trattamento preferenziale alle cooperative –tasse, importi, rate-, concessioni massicce e condonazioni. Il transito scosceso da un’ economia pianificata a un’ economia di mercato implicò un sostanziale cambiamento del modello sociale. Il nuovo governo si preoccupò di mostrare che ci sarebbe stato una svolta nella politica pubblica. La minore regolazione lavorativa venne data automaticamente dal transito stesso da un regime che provvedeva all’ impiego statale a un regime di maggiore protagonismo dell’ impresa privata.
I programmi sociali -educazione e salute- si decentralizzarono alla ricerca di una maggiore efficienza. La sua minor copertura, una decentralizzazione –intesa solamente come decompressione del livello centrale- e la previdenza sanitaria minima causarono un trasferimento di costi dal settore pubblico alle famiglie. Il sistema di universalità e del volontariato solidale fallì. Il mercato risuscitò. Come indennizzo ai più emarginati si implementarono negli anni distinte modalità di reti di protezione sociale focalizzate sui gruppi più vulnerabili. Il modello così sorto, quello che tuttora vige, combina le leggi del mercato con una previdenza di antica usanza –ma ridotta-, di sussidi a gruppi che dimostrino basse entrate per integrarli così nel mercato.Questo modello disegnato nel primo lustro degli anni 90 durante l’ amministrazione Chamorro, fu garantito mutatis mutandis dalle due seguenti amministrazioni. L’ ultimo Piano Nazionale di Sviluppo del 2005 concepito dall’amministrazione Bolanos, fonda la sua strategia su una mappa delle zone con maggiori potenzialità e le zone maledette. La proposta include la conversione in clusters nelle zone promettenti e programmi di beneficenza nelle aree di maggior povertà. La riduzione delle spese militari al principio del decennio lasciò disponibilità per l’ aumento della spesa sociale. Ma le pressioni del FMI per l’ imposizione di una disciplina fiscale approdarono ad un indurimento del programma di aggiustamento strutturale, che provocò un diminuzione dell’ investimento sociale, parzialmente compensata dalla cooperazione esterna e dalla spesa delle famiglie. La condonazione di gran parte del debito estero quale effetto dell’ entrata del Nicaragua nell’ iniziativa HIPC fu concepita per creare un bonus sociale: un aumento dell’ investimento sociale nel contesto della strategia di riduzione della povertà convertendo il perverso servizio del debito estero in spesa sociale. Ma l’ opzione governativa -avvallata dal FMI- di dar priorità al pagamento del debito interno generato dagli indennizzi dati ai confiscati degli anni 80 e per le operazioni di salvataggio del sistema finanziario dopo il fallimento quasi simultaneo di quattro banche, abortirono questo bonus sociale nella sua fase embrionale.