Risorgimento e capitalismo

Materie:Scheda libro
Categoria:Storia
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Testo

1)Rosario Romeo,Risorgimento e capitalismo,Laterza,1959.
INDICE
Premessa di Guido Pescosolido
Prefazione
1 La storiografia marxista del secondo dopoguerra
1.1 Caratteri generali
1.2 La tesi del Gramsci e il problema dello sviluppo del capitalismo
1.3 Studi marxisti sul Risorgimento
2 Lo sviluppo del capitalismo in Italia dal 1861-1887
2.1 Problemi di metodo
2.2 L'accumulazione del capitale nell'agricoltura
2.3 La creazione delle infrastrutture
2.4 La nascita della grande industria
2) Vita:
Nato a Giarre (Catania) nel 1924 e morto a Roma nel 1987. Dal 1963 al 1967 ha tenuto la cattedra di Storia moderna nella facoltà di Lettere dell' Università ai Roma. Storico del Risorgimento e dell'Italia liberale, esordì con la pubblicazione de Il Risorgimento in Sicilia (1950). Liberaldemocratico, formatosi attraverso lo studio delle opere di B. Croce e di G. Volpe, trasse dagli scritti di A Gramsci lo stimolo a spingersi oltre la dimensione etico-politica della storia per indagare lo sviluppo capitalistico dell'Italia postunitaria (poi in particolare la storia della sua industrializzazione), giacché in esso vedeva una componente fondamentale del procedere della libertà politica. Nacque di qui, e in opposizione alla tesi di Gramsci sul Risorgimento come rivoluzione agraria mancata, Risorgimento e capitalismo. Se quelle tesi hanno rappresentato un nodo assai dibattuto dalla storiografia sull'Italia unita, l'opera maggiore di Romeo è però rappresentata dai tre volumi su Cavour e il suo tempo, lavoro a cui lo storico siciliano ha dedicato quasi trent'anni di studio, dal 1956 al 1984.
Il tema fondamentale che guida l’autore nella ricerca lo sviluppa in questa opera fondamentale della storiografia sul Risorgimento, Romeo confuta la tesi di A. Gramsci che definiva quel processo storico come una «rivoluzione agraria» mancata. Lo storico siciliano, utilizzando i dati sul reddito nazionale pubblicati nel 1957 dall'Istat, vi coglie invece i segni di un considerevole aumento della produzione agricola italiana nel primo ventennio postunitario. Ciò consentì, secondo Romeo, quell'«accumulazione originaria» che diede luogo, specie a partire dagli anni Ottanta del XIX secolo, alla creazione di infrastrutture (opere pubbliche e innanzi tutto ferrovie), sì che i capitali prodotti in agricoltura poterono in un secondo tempo indirizzarsi con profitto verso il settore secondario. Un processo di questo genere, che sacrificò il sud a vantaggio del nord e le campagne a beneficio delle città, fu indispensabile, secondo l'analisi di Romeo, data la situazione di arretratezza in cui si trovava il paese all'atto dell'unificazione. Quest'opera di Romeo, sottoposta a revisione critica da vari studiosi anche in merito alla attendibilità dei dati utilizzati, ha costituito e costituisce per altro un indispensabile punto di riferimento per la storiografia del Risorgimento, grazie alla chiarezza e verificabilità dello schema interpretativo su cui si fonda e si pone quindi l’obiettivo di stimolare la discussione sui reali avvenimenti storici del risorgimento e sulle loro conseguenze.

3) tesi sintetica espressa dal libro:
Il saggio dell’autore nacque così dall’esigenza di un’approfondita meditazione della tesi del Gramsci sul Risorgimento come una rivoluzione agraria mancata, che sta alla base di gran parte di quella storiografia. Il problema centrale, della validità della rivoluzione unitaria come premessa alla formazione di una moderna società di tipo borghese in Italia, è sembrato risolubile solo attraverso un riesame della storia economica del paese, nel duplice intento di portare su un terreno più concreto la discussione, e di ricondurre alle particolari condizioni del processo storico italiano una tematica altrimenti destinata a restare su un piano polemico di scarsa utilità per l’indagine storica. Nello sforzo di tradurre in termini concreti queste esigenze trova soprattutto la sua ragione il secondo saggio ristampato.
4) articolazione della tesi nelle varie parti del libro:
• Cap. 1: Problemi di metodo
Nel capitolo 1 l’autore inizialmente si difende dalle accuse che gli sarebbero state rivolte da altri studiosi, di aver voluto annientare la storiografia marxista italiana e di aver voluto screditare l’uno o l’altro studioso. Sottolinea che l’adesione di molti storici italiani al marxismo è avvenuta sotto l’azione combinata di motivi complessi, tra i quali anche la particolare situazione del momento in cui la scelta è avvenuta. Sul marxismo dei suoi tempi (anni ’50) egli afferma che dopo alcune tumultuose vicende che hanno visto il marxismo scacciato e poi riaccettato nella nostra cultura, finalmente si è liberato di quegli elementi eterogenei e si presta ad un’analisi valida; è da considerarsi come una componente normale della nostra cultura. Apprezzamento poi dell’opera del Gramsci, in cui l’indagine sullo sviluppo storico reale viene messa al servizio della costruzione di un modello storico (e non viceversa). Inizia poi la lunga disamina che porterà fino all’affermazione del capitalismo in Italia. Secondo Marx il capitalismo nasce da elementi negativi, quali l’espropriazione violenta e brutale dei contadini, sfruttamento,ecc…
Si giunge alla conclusione che l’affermazione di un’economia di stampo capitalista non segue un modello con le medesime caratteristiche in ogni paese. Non è detto poi che queste due fasi, accumulazione e sviluppo debbano avvenire necessariamente in quest’ordine, possono essere anche contemporanee. L’Italia del XIX° secolo aveva la necessità di modernizzare la propria vita economica, a partire dalla riduzione dei consumi di massa (specie le masse rurali), e di entrare in concorrenza con gli altri paesi europei. L’industria aveva una modesta capacità produttiva, e la premessa necessaria per sviluppare tale settore era dapprima l’aumento della produttività agricola.
• Cap. 2: L’accumulazione del capitale nell’agricoltura
Lo sviluppo economico del nostro paese individua intorno al 1880 una netta spaccatura: in quegli anni infatti si risente seriamente degli effetti della crisi agraria che incisero notevolmente sulla vita economica italiana. Inoltre nel 1880 cambia radicalmente la posizione dell’agricoltura nell’economia del nostro paese. Il primo problema allo sviluppo economico italiano era l’aumento dei consumi (in relazione all’aumento della popolazione); per cui l’accumulo del risparmio interno diventa fondamentale. Il periodo del 1860-80 si tratta indubbiamente di uno dei periodi di più rapido progresso che l’agricoltura italiana abbia mai conosciuto. I progressi agricoli sono confermati anche dall’andamento delle esportazioni (che riflette l’andamento dell’economia italiana), per lo più legate a prodotti agricoli. Le strutture sociali e produttive resero possibile incamerare parte di questo profitto in termini di risparmi, sottraendo profitti ai contadini che dunque parteciparono meno all’aumento del salario e del reddito che proprio loro avevano prodotto. Inoltre nel ventennio 1860-80 aumenta il costo delle derrate alimentari. I contadini erano molto colpiti sia dai salari (sempre uguali se non più bassi), sia dalla concorrenza straniera nell’ambito della produzione di utensili domestici, sia infine dalle imposte (sul macinato, sul sale, sulla lavorazione del tabacco). Non si registra dunque un miglioramento di condizione per le classi rurali. L’aumento nella produzione agraria va a favore dei grandi proprietari terrieri o affittuari. C’è una tendenza all’aumento degli affitti un po’ in tutta Italia.
• Cap. 3: la creazione delle infrastrutture
L’accrescimento delle rendite e dei profitti agrari marcò ancor di più la differenziazione dei redditi.
Fu opera del governo di destra, tassare moltissimo il popolo italiano per raggiungere il pareggio del bilancio: si rese a tratti il popolo italiano uno dei più tassati di tutta l’Europa. Nelle entrate dello Stato un ruolo dominante lo ebbe l’imposta fondiaria; vediamo nel dettaglio alcune tra le più fruttuose entrate dello Stato:
1. imposta fondiaria
2. imposta erariale
3. sovrimposta comunale sui terreni
4. imposizione diretta sulla proprietà immobiliare
5. ricchezza agraria sulle imposte di successione
6. tasse sugli affari
7. tasse del registro
8. tasse del bollo
9. contributo sul macinato
10. contributo sul sale
11. imposta di ricchezza mobile
Ma il reddito agrario contribuì allo sforzo finanziario non solo in questi modi. La politica del governo post-unitario fu altamente costosa e tesa a far entrare l’Italia tra le maggiori potenze europee. Tutto ciò a scapito dell’unica vera risorsa che l’Italia aveva: l’agricoltura. Se si analizzano infatti i dati relativi alle spese dell’Italia nel periodo 1860-1880, si osserverà che nel 1° periodo esse sono per lo più di carattere militare, mentre nel 2° tali spese si abbassano notevolmente ma crescono gli interessi del debito pubblico. Nonostante ciò fu avviata comunque una politica di opere pubbliche, man mano realizzate in base alla disponibilità. Il capitale straniero aiutò dunque lo Stato nella creazione di opere pubbliche, quelle oggi definite come “infrastrutture”. L’effetto di tali opere sull’economia italiana, in molti settori fu notevole: ad esempio la creazione delle ferrovie diede un forte impulso ai trasporti sia di merci che di passeggeri. In conclusione dunque i primi investimenti furono rivolti alle opere pubbliche, alla creazione di infrastrutture, grazie alle spese pubbliche e ad investimenti privati italiani ed esteri. Industria ed agricoltura non sono da considerare come due poli opposti: in alcuni settori infatti si aiutano a vicenda traendone entrambi benefici, come nel caso della lavorazione della seta. Ma nonostante questi tentativi, l’industria italiana rimane un fenomeno per lo più urbano, con uomini e capitali cittadini. Nel ventennio 1860-80 più ancora dell’industria si sviluppa il terziario che dopo l’agricoltura è il prodotto più notevole di questo periodo. Negli anni ’70 dell’800 nascono al Nord le prime forme di industrie. Si registra un certo movimento industriale ancora però piuttosto lento. Si accelererà nel 1880 grazie a profondi cambiamenti nell’economia.
• Cap. 4: nascita della grande industria
Intorno al 1880 i primi effetti delle crisi agraria si fanno sentire, grazie alla concorrenza transoceanica. Vengono coinvolte anche economie e sistemi economici ben più stabili del nostro (Francia, Inghilterra) e l’Italia ne risentì meno subito perché ancora era fuori dal giro del mercato mondiale. Gli effetti della crisi arriveranno dopo in Italia ma furono ugualmente devastanti. Si registrò un’impennata delle importazioni e un crollo dei prezzi. Crollano le produzioni di:
1. grano
2. granoturco
3. orzo
4. segale
5. avena
6. riso
7. olio
Si cercò di trasformare la produzione per far fronte alla crisi agraria; largo spazio trovò la vite al posto delle cereali-colture. Sviluppo notevole anche per gli agrumi a scapito sempre di cereali ma anche di oliveti. Ovviamente però tale produzione “alternativa” non poteva da sola far fronte alla crisi. Cambia il ruolo dell’agricoltura nell’economia italiana.
Vengono abolite e/o diminuite molte tasse ed imposte ma mantenute e a volte aumentate le imposte comunali (dunque si continuava a gravare sui contadini). La classe dirigente cominciò a capire che vi era necessità di cambiare il sistema fiscale. Il nuovo governo di sinistra si occupò di ciò, continuando comunque ad investire nelle opere pubbliche. Non vi erano però più molti investimenti stranieri che invece erano frequenti nel primo ventennio (siamo ormai intorno al 1888). Il nuovo governo aveva avviato una politica tesa a sviluppare il settore economico-industriale sugli sforzi fatti nel periodo precedente e, cambiando il sistema fiscale, le spese erano sostenute in maniera crescente da commercio ed industria. La crisi agraria non fu subito tamponata dallo sviluppo degli altri settori, cioè da industria e terziario. Ciò provocò malessere generale e riduzione dei consumi individuali. Nonostante tutto la crisi agraria stimolò comunque uno spostamento di capitali verso altri settori, quali l’industria. Nel frattempo la forza lavoro si riversò nelle città. La crisi scoraggiò anche molti privati ad investire nelle terre agricole il che fece affluire sempre meno risorse all’agricoltura. Come già visto in precedenza l’agricoltura fu privata di molti risparmi per porre le basi allo sviluppo industriale proprio in un momento di bisogno, quando per far fronte alla crisi bisognava ammodernare le produzioni e vincere la concorrenza. Se da una parte l’agricoltura fu danneggiata dall’altra ciò si rivelò positivo per lo sviluppo di un capitale industriale. E soprattutto si ristabilì una piena comunicazione del nostro mercato con quelli esteri e si riebbe un afflusso di capitali stranieri che si distribuiranno in vari settori. Nuovamente a disposizione anche un’abbondanza di capitali che venne ad aiutare un’economia industriale in difficoltà ma che poteva già contare sulle infrastrutture. Tra il 1881 e il 1888 si registra un declino dei consumi pro-capite ma anche un aumento dell’accumulazione del risparmio. Gli investimenti furono nuovamente spesi in opere pubbliche ed attività edilizie; c’è ripresa per l’industria manifatturiera.
L’industria siderurgica nacque proprio per volere statale nello “scandalo di Terni”. Il protezionismo italiano si basò sui forti legami tra siderurgia, cantieri navali e marina. Grazie ai fattori fin qui considerati nacque in Italia l’industria moderna. Inoltre bisogna segnalare il veloce sviluppo delle industrie di beni di produzione o di consumo durevole. Migliorata anche l’organizzazione industriale e l’attrezzatura tecnica del paese. Cresce, seppur con molte difficoltà, l’industria meccanica: l’Italia purtroppo era ancora tecnicamente arretrata. Nel 1887 fu approvata la nuova tariffa, per la quale lottarono soprattutto siderurgia, industria tessile e grande cerealicoltura, che da essa ebbero i maggiori benefici. Si sviluppò un po’ in tutta Europa una sorta di protezionismo. In Italia tale fenomeno toccò l’industria al nord e l’agricoltura al sud. Nel 1887 fu introdotto il dazio sul grano che limitò le esportazioni e danneggiò quindi il Sud. Aumenta a dismisura l’accumulazione capitalistica nell’industria a scapito dell’agricoltura.
5) valutazioni conclusive:
L’opera di Romeo Rosario sul tema del risorgimento e del capitalismo è scritta in modo molto approfondito, con molte date e soprattutto moltissimi dati. Questo libro assume non solo il significato culturale e scientifico di ristampa di un classico, ma anche quello ideale e civile di richiamare ancora una volta l’attenzione sull’importanza decisiva che lo Stato unitario ha avuto sin dalle sue origini, e pur con tutti i limiti e i costi economici ed umani che Romeo aveva ben presenti, nella costruzione di una economia sviluppata e di una società moderna e libera come poche altre e che prima dell’unità non esisteva.
Elisa Laudi 4xD

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