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sull’Induismo

Una cosa che caratterizza l’India e di conseguenza l’Induismo è la distinzione in caste. Fin dai tempi antichi si sono formati quattro raggruppamenti principali o classi:
-Sacerdoti (bramini)
-Guerrieri
-Contadini, commercianti e artigiani
-Servitori.
Il sistema delle caste ha rappresentato la cornice della vita del singolo. Si è induisti per il fatto di essere nati da genitori induisti e come tali si è considerati anche se molte delle sue dottrine e delle sue pratiche non vengono più accettate.
L’Induismo è il politeismo Indiano sviluppatosi gradualmente dalla più antica religione Vedica, che in India conta l’81,5% dei fedeli e ha fondato la sua forza proprio nel farsi codice di tutti gli aspetti della vita dell’uomo. A favorirne la diffusione nel tempo è stato il suo straordinario potere d’assorbimento di fronte alle altre religioni. Jainismo, buddismo, cristianesimo lasciarono molte tracce in questa religione, che accoglie divinità e credenze, culti e costumi di ogni provenienza, integrandoli ai propri.
L’Induismo è soprattutto il modo di concepire la vita e anche l’insieme di norme tradizionali, un comportamento ispirato all’idea di quell’ordinamento morale e sociale che è nello stesso tempo ordine del cosmo e somma dei principi etici universali.
Il fulcro dell’insegnamento induista potrebbe essere visto in un codice elementare di condotta cui si deve aggiungere l’amore verso tutte le creature, la generosità, indifferenza per ciò che è apparenza.
Una loro credenza, secondo la quale la divinità trascendente interviene direttamente ed attivamente nella vita e nella storia dei popoli, ha permesso loro di appropriarsi di divinità a loro estranee. Questa divinità si incarna in esseri detti avatara (discesa), alcuni dei quali si conoscono come Krishna, Buddha, Gandhi…
Gandhi fu un pensatore e uomo politico indiano, studiò prima in India, poi a Londra, dove si laureò in giurisprudenza. Al ritorno in India (1891) praticò l'avvocatura e prese contatto con i circoli nazionalisti, ma poi recatosi nell'Africa del Sud decise di dedicarsi alla difesa dei connazionali emigrati. Solidamente ancorato all'humus della cultura induista, ma non disdegnando gli apporti di altre grandi religioni come il cristianesimo e l'islamismo e del pensiero filosofico indiano, Gandhi formulò in questa sua prima attività sociale la dottrina della non-violenza (per la quale è conosciuto in tutto il mondo) e di un pacifismo venato di spirito anarchico, che gli proveniva dall'influsso di Tolstoj (suo maestro ispiratore, con il quale entrò in corrispondenza dedicandogli la colonia agricola di Phoenix). Gandhi organizzò un partito politico e diede vita al settimanale Indian Opinion, in cui il suo orizzonte politico si allargava e si completava nell'identificazione della «forza della verità» satyagraha con la fedeltà assoluta agli ideali della propria coscienza fino a giungere alla disobbedienza civile (per influenza delle idee di H. Thoreau) entro i limiti della non-violenza. Per ben comprendere il pensiero di Gandhi, che pone a ogni azione umana il limite invalicabile della non-violenza, è necessario precisare che tale precetto non si ferma a una posizione negativa (non essere causa di male agli altri) ma possiede in sé la carica positiva della benevolenza o beneficenza universale e diventa «l'amore puro» comandato dai sacri testi dell'induismo, dai Vangeli e dal Corano. La non-violenza è quindi un imperativo religioso prima che un principio dell'azione politico.
Nella II guerra mondiale Gandhi, sempre predicando la non violenza, riuscì a rendere libera l’India dall’Inghilterra avverando così il suo sogno. È stato per l’India e gli induisti un simbolo per il suo enorme senso di pace che caratterizza questa religione.
Una pratica molto comune nella tradizione religiosa dell’India è lo Yoga. Secondo il suo stesso significato, la pratica tende ad «aggiogare» o dominare la realtà, «legando» o fermando il divenire per raggiungere l'essere. Questo dominio del reale si risolve in un autodominio raggiungibile mediante l'arresto delle azioni esterne (rivolte al mondo) e la disciplina delle azioni interne (le funzioni fisiologiche e psichiche che non possono arrestarsi se non con la morte). La possibilità teorica di cercare dentro di sé quel mondo che la religione vedica formulava a mezzo d'immagini divine, ossia di entità esterne all'uomo, comincia con la più antica speculazione upanishadica; forse con l'insegnamento del maestro Yajnavalkya, che identificava la sostanza del mondo con la sostanza dell'uomo. Su questa linea si rendeva inutile la presenza di dei allo scopo di collegare l'uomo al cosmo; e si rendeva inutile ogni azione di culto intesa a collegare gli uomini agli dei. Lo yoga viene assunto come tecnica estatica dalle più diverse correnti dell'induismo, ma esiste anche una sua formulazione assoluta, quasi una religione a sé, che viene chiamata convenzionalmente yoga classico. Lo yoga classico prescrive otto fasi per il raggiungimento della condizione salvifica (il contatto con la realtà). Le fasi, precedute da una propedeutica fondata sullo studio dei Veda, su pratiche devozionali e su diete particolari sono: apprendimento e pratica di cinque yama (comandamenti): ahimsa (la non-violenza), veridicità, onestà, castità e indifferenza alle ricchezze; apprendimento e pratica di cinque niyama (osservanze): purezza,sobrietà, tapas (calore ascetico), recitazione di testi, dedizione all'Isvara; apprendimento delle posizioni adatte alla concentrazione e della regolazione del respiro; acquisizione della facoltà di stornare i sensi dagli oggetti sensibili; concentrazione; meditazione; samadhi, immersione nel cosmo o perfetta identificazione con esso.
Lo yoga li aiuta anche a meditare per quanto riguarda una loro grandissima credenza: la reincarnazione: se un uomo si comporta male in questa vita, dopo la morte, la sua anima torna a vivere in un altro corpo per espiare i peccati commessi : solo chi onora gli dei e si comporta con carità verso gli altri uomini raggiunge la pace eterna. Infatti gli induisti credono che gli dei, in cambio di preghiere e di sacrifici, facciano dono agli uomini del sukhavati, il paradiso di felicità.
La teoria che l’uomo possiede un’anima immortale è al centro della loro filosofia: “Non invecchia quando si invecchia, e non muore quando si viene uccisi”. L’anima può reincarnarsi in un individuo di casta superiore o inferiore ma può anche prendere dimora in un animale.
Nel ciclo della reincarnazione si passa da un esistenza ad e la molla originaria di questa costanza, o la forza che la mantiene in atto, è il karma, termine sanscritto che significa “azione”, “atto”. Karma non si riferisce, però, soltanto alle azioni concrete. Anche pensieri, parole e sentimenti sono karma.
La successione delle rinascite, è visto come un dramma dal quale si desidera liberarsi con l'aiuto di determinate tecniche, come lo yoga e la meditazione. La liberazione, o moksha, consiste nella scoperta dell'identità del nucleo più profondo di sé (atman), con il brahman, che è l'assoluto.
L’indù possiede varie vie per arrivare alla via della salvezza.
-La prima è quella delle cerimonie sacrificali; molti indù infatti cercano di assicurarsi felicità terrena, buona salute, ricchezza e altro mediante le offerte di sacrifici e le buone azioni.
-La seconda è, invece, quella della conoscenza o della percezione; il quale concetto centrale è che la via della salvezza è costituita dalla vera natura dell’esistenza.
-La terza e ultima è quella dell’abbandono; nata nell’India meridionale intorno al 600 a.C. e diffusasi ben presto in tutto il paese. Coloro che seguono questa via credono che l’uomo venga liberato dal ciclo eterno solo per grazia di Dio e la via più sicura è quella dell’abbandono totale a Dio e alla preghiera.
L’etica indù possiede due note essenziali: a) compimento delle azioni in spirito di totale distacco dal mondo; b) sforzo di adeguatamento dei doveri etici alle diverse circostanze concrete di ciascuno. Oltre i doveri di virtù specifici di ogni casta ve ne sono alcuni comuni a tutti gli uomini: la non-violenza, cioè non danneggiare nessun essere vivente, sia o no razionale; il dominio di sé; la sincerità; l’osservanza delle prescrizioni rituali. Solo così si può raggiungere il dharma, la legge morale, l’ordine sociale e cosmico.
La credenza nella trasmigrazione delle anime è così diffusa e permea tutta la realtà induista che, spesso, viene vissuta più come una realtà evidente che come un oggetto di fede. Da questa concezione nasce la passività di fronte alla discriminazione delle caste. Ogni anima si reincarna come spinta dal peso d’inerzia del karma e riceve esattamente la ricompensa o il castigo adeguato. Al contrario ogni reincarnazione è: - una esigenza di giustizia; - una espiazione delle mancanze anteriori; - una progressiva purificazione. In questa concezione si può vedere anche una soluzione accettabile ai problemi relativi all’origine del male e dei mali, nonché a quello dell’innocente che paga colpe apparentemente non sue, o, al contrario, del malvagio cui arride ogni fortuna. A differenza delle altre grandi religioni, l’induismo non ha fondatori, né un’organizzazione o una dottrina codificante; non è una chiesa e non ha una gerarchia né un capo riconosciuto. Questa religione è frutto dell'evoluzione graduale e della ricerca personale di molti saggi e maestri vissuti in India lungo i secoli. In realtà gli indù ortodossi non lo considerano un nome che lo identificano e preferiscono l'appellativo sanscrito Sanatanadharma, ossia la religione eterna che abbraccia sia il pensiero religioso-filosofico che la pratica comportamentale.
Essa si presenta non come una religione semplice, dettata dall'alto da una divinità, per cui non presentano tale figura, ma come un mosaico religioso composto da numerose sette e scuole appartenenti ad ogni livello di sviluppo, sia a livello più semplice sia a livello sublime, riuscendo ad adattarsi ad ogni categoria di uomini .
I testi dell'Induismo formano un complesso eccezionalmente ampio e importante, anche se, secondo la tradizione, si è conservata solo una minima parte di tutto il materiale originario. I testi sacri più importanti sono le quattro raccolte dei Veda, parte dei quali risalgono al 1500 a.C., quando gli ariani giunsero dal nord nella Valle dell’India. Esistono dunque quattro Veda: Rg, Yajur, Sama e Atharva. I primi tre concordano non soltanto nel nome, nella forma e nella lingua, ma anche nel contenuto.
Rig Veda, o "Veda dei versi da recitare"
È il più antico documento della letteratura indiana. È una raccolta di 1.028 inni alle divinità, una specie di antologia ottenuta raccogliendo frammenti vari conservati dalle vecchie famiglie sacerdotali. La maggior parte di questi inni si riferiscono, più o meno direttamente, al sacrificio del soma, anche se alcuni hanno un legame molto vago o del tutto assente con il culto.
Yajur Veda, o "Veda delle formule"
È formato dallo Yajur Veda Nero, composto dalle "formule" che accompagnano la liturgia e da elementi di un commentario in prosa, e lo Yajur Veda Bianco che comprende le sole formule.
Sama Veda, o "Veda dei versi da cantare"
è una raccolta di versi come il Rig Veda, da cui del resto proviene la maggior parte dei canti, arrangiati qui in vista dell'esecuzione del canto sacro e chiosati da annotazioni musicali.
Atharva Veda
una raccolta analoga a quella del Rig Veda, ma di carattere in parte magico e in parte speculativo. La tradizione spesso parla dei "tre Veda" o della "triplice scienza", dato che implicitamente considera l'Atharva come estranea all'alta dignità propria dei "tre Veda".
Tra tutti, il più importante è il Rg-Veda. Un tempo gli inni contenuti venivano recitati dai sacerdoti in occasione dei sacrifici in onore degli dei.
L’unico Dio riconosciuto e venerato è Brahma, ovvero lo spirito dell’assoluto e, al contempo, venerano circa 330 milioni di divinità tra cui ricordiamo: Biddha, Agni, Annapura, Shiva…
Brahma viene definito il Creatore. Si dice che nacque dallo schiudersi dell'Uovo Cosmogonico deposto dalla Prima Causa Suprema. L'età del mondo creato da Brahma è calcolata in 2.160.000.000 di anni, allo scadere dei quali il cosmo si dissolverà nel vuoto (brahman) e con esso il suo Creatore. Sebbene venga salutato come Prajapati, o Padre di tutte le creature, il culto di Brahma non è mai stato eccessivamente popolare, al punto che in India vi sono soltanto due templi a lui dedicati. La rappresentazione di Brahma non ebbe mai diffusione popolare nonostante la sua importanza quale essenza creatrice nella Trimurti (triplice manifestazione di un’unica divinità) brahmanica con Visnu e Siva. Nella statuaria indiana la sua immagine appare nei templi dedicati a Visnu e a Siva e anche in quelli buddhisti. Talvolta in posa della carità, Brahma appare con quattro volti (per simboleggiare i quattro quarti dell'universo; in origine ne aveva cinque ma la quinta gli venne incenerita dal terzo occhio di Siva cui si era rivolto arrogantemente) e quattro braccia; nelle sue mani figurano il cucchiaio sacrificale, il rosario, i Veda, un flacone con l'elisir di vita o un vaso d'acqua. La sua sposa (o essenza femminile) è Sarasvati; la sua cavalcatura è il mitico uccello Hamsa, simile a un cigno.
Visnu, il Dio che conserva, gode di una larghissima popolarità, specie presso i brahmiani. Le numerose sette religiose dedite al suo culto si contraddistinguono per l’abbandono confidente e la devozione amorosa. Questa divinità riporta l’ordine tra gli uomini minacciati da una condizione di instabilità. Sua moglie Laksmi, radiosa e benigna è la dea della bellezza e della fortuna.
Siva, il terzo personaggio dell’olimpo indù, è un dio ambivalente che riunisce in se qualità opposte. Come distruttore, egli si identifica con la morte e il tempo; egli è Hara, “colui che porta via”, è Bharivia, “colui che incute terrore”, e signore de demoni. Ma poiché vita e morte sono inestricabilmente congiunte, e ciò che muore rinasce a nuova vita, egli è anche il dio della creazione e della fertilità, come Siva (donatore di grazie) e Nataraja (re della danza). Con la danza della creazione, egli mise in moto l’universo; il toro Nandi, simbolo di fecondità, è il suo destrerio. Questo dio terribile e violento, sposo-amante appassionato della dea Parvati, viene venerato anzitutto sotto l’aspetto di procreatore.
In India la vacca è un animale sacro, adorato in occasione di alcune feste religiose. Il rito è con tutta probabilità legato a un antico culto della fertilità, e nei testi dei Veda vi sono inni dedicati a questo animale perché dà all’uomo tutto ciò di cui ha bisogno per vivere. La vacca è divenuta un simbolo di vita e non si può uccidere. Per quanto riguarda gli aspetti del culto, la vacca è più pura del bramino(i loro preti). Toccare uno di questi animali, quindi, costituisce un rito purificatore.
Per gli indù, oltre la vacca, altri animali sono sacri tra cui la scimmia, il coccodrillo e il serpente.
La maggior parte dei fedeli induisti dispone, nella propria casa, di un’apposita stanza o di un piccolo altare posto in un angolo e ornato con una o più immagini divine. Vengono preparati acqua, incenso, cibo e decorazioni floreali. Alcuni celebrano una funzione più volte al giorno, altri in un giorno particolare della settimana. Non è necessario per un indù recarsi al tempio, anche se le funzioni religiose celebrate nei templi sono molto frequentate e ogni villaggio indiano dispone almeno di un tempio.
I TEMPLI
Una parte spettacolare di questa religione sta nella presenza di numerosissimi e stupendi templi. Parlando dell’India, infatti, la prima cosa a cui si pensa sono gli straordinari monumenti e templi che sono una base fortissima dell’induismo.
Mandala di Borobudur
L'immenso mandala di Borobudur e` indubbiamente una delle piu` impressionanti creazioni della civilta` umana. Questa montagna cosmica, costruita all'inizio del nono secolo, molto prima delle grandi cattedrali europee, ha una base di 122 metri quadrati e un'altezza di 35 metri, contiene 5 chilometri di bassorilievi e 500 statue di Buddha, e poggia su un milione e seicentomila blocchi di pietra.
Non esiste monumento al mondo, buddista o altro, che possa fungere da campione di riferimento: con Borobudur nacque un'arte, e una concezione dell'arte, che prima non esisteva.
Gli studiosi hanno identificato influenze indiane, persiane, greche e persino babilonesi. A commissionarlo furono i principi della dinastia Sailendra, a concepirlo furono saggi del buddismo tantrico, che guidarono la mano dell'architetto Gunadharma, a progettarlo fu una delle piu` formidabili equipe di scienziati (ingegneri, astronomi, matematici, fisici) della storia dell'umanita`, a costruirlo furono diecimila operai, artigiani, scultori e schiavi nell'arco di quasi cento anni. La posizione geografica non e` casuale: nella piana si incontrano due fiumi che ricordano la sacra confluenza del Gange e dello Yumna in India, e sullo sfondo si ergono montagne che ricordano il profilo dell'Himalaya.
Tutto si puo` dire di Borobudur, ma non che sia spettacolare. Anzi, e` quanto di piu` austero e incomunicativo si possa immaginare. Da lontano sembra una colossale roccia scura.
La forma e` quella di un gigantesco mandala, che si puo` apprezzare soltanto dal cielo. Le cattedrali europee vennero costruite per essere ammirate dalla piazza antistante, Borobudur e i templi che lo imitarono vennero costruiti per essere ammirati dalle stelle.
Prambanan
Se Borobudur non esistesse, sarebbe Prambanan la grande attrazione architettonica dell'Indonesia. Tre templi, dedicati rispettivamente a Brahma, Vishnu e Shiva troneggiano nel mezzo della corte quadrata. Il terzo è quello più spettacolare.
E` considerato il massimo monumento induista dell'Indonesia. Costruito intorno all'anno 900, la sua pianta ricorda Borobudur, perche' anche in questo caso l'obiettivo degli architetti era quello di rappresentare il mitico Monte Meru.
Ognuna delle quattro scalinate porta a quattro camere, dedicate ad altrettante divinita`. La piana e` letteralmente disseminata di templi (in origine ce n'erano 232). Tre chilomeri a ovest, verso Yogya, si incontra uno dei piu` interessanti, il Candi Sari, costruito nell'825, e poco a nord di questo il Candi Kalasan, datato al 778, ovvero uno dei primissimi dell'intera Giava, e uno dei primi documenti del sincretismo giavanese (vi sono fuse la cosmologia induista e quella buddista). Continuando verso Yogya, dopo altri cinque chilometri, si arriva al bivio per Candi Sambisari, la scoperta piu` recente della piana (gli scavi archeologici sono ancora in corso). Gran parte di questi "candi" sono mausolei di sovrani, per cui la piana e` una specie di "valle dei re" giavanese. I templi vennero abbandonati in concomitanza con l'invasione mussulmana, e vennero severamente danneggiati da un terremoto nel Seicento.
Templi di Khajuraho

I templi sono costruiti in pietra arenaria e, contrariamente alla consuetudine di proteggerli con mura, a Khajuraho poggiano sul terreno libero, leggermente elevati, quasi nel tentativo di volerli sollevare dalle pene terrene.
LE FESTIVITA’
Come tutte le religioni anche la religione induista ha molte festività tra cui ricordiamo le più importanti:
Pongal:
è una festa tradizionale del Tamil Nadu celebrata nel periodo del raccolto, nel mese di gennaio, durante la quale viene cucinato un riso dolce su un grande fuoco. È una festa agreste dedicata al raccolto e al bestiame. È l’unica festività solare che cade ogni anno nello stesso giorno ed è celebrata nel nord India come makara samkranti o festa del sole (quando il sole inizia il suo percorso verso nord segnando la fine dell’inverno).
Maha shivaratri:
è la notte dedicata all’adorazione del Dio Shiva. In questa notte si fa digiuno, si canta, si raccontano le leggende del Dio.
Cade tra il tredicesimo e il quattordicesimo giorno della luna nera di phalguna (febbraio-marzo).
Holi:
è una festività diffusa soprattutto nel nord India. Corrisponde alla festa di primavera, momento dell’anno in cui vi è abbondanza di fiori e frutti; la notte di luna piena in un immenso falò si bruciano i ramoscelli secchi dell’inverno. Il falò richiama a una leggenda tratta da epopee puraniche che racconta che il demone Holika venne bruciato e venne proclamata la vittoria degli dei sui demoni. La mattina dopo, quando i tizzoni sono freddi, vengono venerate le ceneri sacre e su di esse vengono sparse polveri e acqua colorate a simboleggiare l’arrivo della primavera.

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