Premesse e avvento del fascismo

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Testo



I trattati
La conferenza di pace del 1919 finì per ignorare i principi stabiliti dal presidente americano Wilson per una pace giusta, che non permettesse prevaricazioni , e che rispettasse il principio dell'autodeterminazione dei popoli.
Sotto la spinta di Francia e Inghilterra il Trattato di Versailles impose condizioni particolarmente dure alla Germania.
In Germania è deposto l'imperatore e nasce la repubblica. Piccole repubbliche divennero anche Austria e Ungheria, mentre rinasceva la Polonia come stato indipendente. Poco dopo anche la Turchia divenne una repubblica.
I TRATTATI DI PACE E L’ITALIA
L’Italia ottenne il Trentino, l’Alto Adige, la Venezia Giulia, Trieste e l’Istria. Restarono invece aperte la questione della città di Fiume e quella della Dalmazia.
L’Italia ambiva ad ottenere sia l’una che l’altra, ma questo risultato era reso difficile da varie ragioni. Innanzi tutto, a Fiume la maggioranza della popolazione era italiana ma in Dalmazia era slava. L’accordo di Londra del 1915 prometteva all’Italia la Dalmazia ma non Fiume. Inoltre quello di Londra era un accordo segreto: Wilson, secondo le sue convinzioni, non voleva riconoscerlo. Infine il nuovo regno iugoslavo non voleva cedere la regione dalmata e tutta la diplomazia europea era impegnata a sostenere la Iugoslavia dopo averla creata col compito di stabilizzare i Balcani.
Vittorio Emanuele Orlando, per parte sua, non riuscì a far valere le richieste italiane con sufficiente capacità e determinazione. Quando vide parzialmente sconfitte le sue ambizioni abbandonò Parigi per protesta
Molti furono scontenti di questo risultato e si diffuse nel nostro paese l'idea della vittoria mutilata dalla sconfitta subita sul tavolo delle trattative. La Dalmazia andò a far parte della Jugoslavia, un regno multinazionale costituito artificialmente allo scopo di stabilizzare la regione. Dal'unione di Boemia, Slovacchia e Moravia nacque la Cecoslovacchia, Varie regioni del Medio Oriente vennero sottratte alla Turchia e affidate alla Francia e all'Inghilterra col sistema dei mandati internazionali.
Europa e America
La Società delle Nazioni
Nel 1920 fu istituita a Ginevra la società delle Nazioni col proposito di garantire la pace nel mondo, sostenendo e anche imponendo la via della trattativa pacifica per risolvere i conflitti tra gli stati. I risultati furono deludenti.
L'espansione americana
L'Europa del dopoguerra risultò più divisa che in precedenza, con nuove frontiere che spesso crearono problemi politici, economici e sociali. La generale crisi economica europea fu aggravata dal problema del rimborso dei debiti e dei pesantissimi danni di guerra che fu imposto alla Germania di pagare. Tutto questo favorì l'affermazione e lo sviluppo di Stati Uniti e Giappone.
Paura del comunismo
Il ritorno in patria di grandi masse di ex combattenti, la crisi economica che li accolse, l'emozione provocata dalla Rivoluzione Russa favorirono il diffondersi del malcontento, di idee estremiste, di speranze rivoluzionarie.Alla nascita dei primi partiti comunisti si contrappose lo sviluppo di idee e movimenti di estrema destra. Nei paesi più colpiti dlla crisi economica e sociale, come Germania e Italia, essi avrebbero successivamente condotto a forme di governi dittatoriali.
Italia nel dopoguerra
Come tutte le nazioni uscite dalla guerra anche l'Italia soffrì di gravi difficoltà economiche. La disoccupazione, la riconversione industriale da militare a civile, il ritorno dei reduci furono problemi giganteschi per il nostro paese. Le classi a reddito fisso furono particolarmente colpite dalla crisi economica, anche perché danneggiata più delle altre dall'inflazione causata dalle enormi spese militari.
Il biennio rosso
Forte emozione suscitarono anche in Italia le notizie che arrivavano dalla Russia. Il movimento operaio e socialista pensò allora che anche per il nostro paese fosse giunta l’ora della rivoluzione.
Agli scioperi causati dalle difficoltà economiche e volti a ottenere migliori condizioni di lavoro e salari più alti, si aggiunsero manifestazioni di contenuto dichiaratamente politico.
Così i due motivi, le richieste economiche e la pressione rivoluzionaria, finirono col mescolarsi e confondersi.
Si diffusero parole d’ordine come le fabbriche agli operai e la terra ai contadini.
Nel mezzogiorno gruppi di braccianti tentarono di occupare le terre incolte.
A Torino nel 1919 si costituirono in diverse fabbriche dei consigli di operai che tentarono di gestire e controllare la produzione ma ebbero vita breve e non vi riuscirono.
Nell’estate del 1920 furono occupate dagli operai le più grandi fabbriche del Nord, inclusa la Fiat.
Il biennio1919-20, caratterizzato da frequentissime agitazioni politico- sindacali, venne chiamato biennio rosso, dal colore delle bandiere portate dai manifestanti ed esposte nelle fabbriche occupate.
Le agitazioni si diffusero anche nelle campagne della pianura padana, innescando duri scontri fra proprietari e braccianti, con violenza da una parte e dall’altra, soprattutto in Emilia e Romagna.
La Rivoluzione socialista in Italia?
Coloro che pensavano, anche in buona fede, di poter realizzare in Italia una rivoluzione come quella sovietica vivevano un’illusione o un sogno. Essi non tenevano conto di tre fatti:
Le condizioni di vita nel nostro paese erano molto difficili in quegli anni, ma non certo tragiche come quelle della Russia del 1917. Il popolo russo era alla disperazione, disposto ad accettare qualsiasi cambiamento, invece molti italiani nel 1920 avevano qualcosa da difendere: un modesto lavoro, una piccola rendita, una piccola proprietà. Essi giudicavano la rivoluzione come un salto nel buio.
La classe operaia non costituiva la maggioranza: gli operai erano allora 2.400.000; i coltivatori piccoli proprietari, spesso di orientamento cattolico o anche moderato, erano oltre 2 milioni; altri 2 milioni erano le persone legate agli impieghi pubblici o alle Forze Armate, anch’esse in maggioranza di tendenza moderata o conservatrice.
Lo stesso movimento operaio era diviso: molti operaia erano cattolici, riformisti, repubblicani e non credevano nella rivoluzione socialista. Lo stesso movimento operaio era diviso: molti operaia erano cattolici, riformisti, repubblicani e non credevano nella rivoluzione socialista.
Le agitazioni operaie ebbero in conclusione risultati economici positivi: i lavoratori ottennero miglioramenti nel salario e nelle condizioni di lavoro; la durata massima della giornata lavorativa passò da 10-11 ore a 8 ore.
Ebbero tuttavia anche degli effetti politici negativi, perché spaventarono fortemente la borghesia: non solo i grandi proprietari di industrie o di terre ma, ancora di più, il ceto medio, i piccoli borghesi che cominciavano a costituire una classe sociale decisamente numerosa. Il timore di una possibile rivoluzione li avrebbe presto spinti ad appoggiare il fascismo di Benito Mussolini.
UN PARLAMENTO SENZA MAGGIORANZA
A causa della lunga durata della guerra le elezioni in Italia vennero tenute nel 1919, a sei anni di distanza da quelle che si erano svolte nel 1913. Nel frattempo la guerra aveva cambiato tante cose e i mutamenti intervenuti ebbero precisi riflessi sulla composizione del nuovo Parlamento.
Il Partito socialista ottenne 156 deputati in confronto ai 48 del 1913, il Partito popolare ne ebbe 100 in confronto ai 33 cattolici eletti nel 1913. I liberali persero la maggioranza. Avevano infatti ottenuto poco più di 200 deputati rispetto agli oltre 300 eletti nel 1913.
Poiché nessun partito aveva la maggioranza per governare, sarebbero stati necessari degli accordi solidi e duraturi fra forze politiche diverse. Questo risultato però non fu raggiunto.
Le nuove elezioni, tenute nel 1921,non cambiarono sostanzialmente le cose. I governi che nacquero da questi parlamenti divisi furono così sempre più deboli sostenuti da maggioranze raccogliticce e pericolanti. Alla prima difficoltà esse si disfacevano, provocando così la sostituzione del precedente governo con uno nuovo, altrettanto precario.
GLI ULTIMI GOVERNI LIBERALI
Gli esponenti politici liberali, che avevano governato l'Italia prima della guerra, si trovarono di fronte a situazioni per loro nuove, che spesso non riuscirono a capire né a padroneggiare.
Neppure l'abilità politica del vecchio Giolitti si rivelò alla lunga sufficiente. In qualche caso egli riportò ancora dei successi: durante l'occupazione delle fabbriche egli rifiutò di far intervenire la polizia e l'esercito aspettò che il movimento si esaurisse da sé, che terminassero le scorte di materie prime nei magazzini delle aziende occupate, che gli stessi operai si rendessero conto che l'occupazione non portava a nulla. Nello stesso tempo favorì le trattative fra gli industriali e sindacati e, praticamente, obbligò gli industriali a concedere ai lavoratori i miglioramenti di salario richiesti. A quel punto gli operai cessarono l'occupazione e l'idea di una rivoluzione simile a quella sovietica si mostrò per quello che era: un'illusione.
Anche fra i moderati e i conservatori alcuni capirono che la soluzione di Giolitti era, in quel momento, la migliore possibile per tutti.
Tuttavia, svariati industriali e soprattutto molti grandi proprietari terrieri, anch'essi costretti ad accettare accordi sindacali svantaggiosi, cominciarono a sostenere il nascente movimento fascista. Essi consideravano la mediazione di Giolitti come un'imposizione ingiusta.
Nacquero nel 1920 la Confederazione generale dell'industria la Confederazione generale dell'agricoltura, due grandi organizzazioni padronali costituite per trattare uniti e avere maggiore forza, non solo verso i sindacati dei lavoratori ma anche verso il governo.
Non riuscì però il tentativo giolittiano di portare al governo i socialisti.
Paralizzati dalle divisioni e cercando di evitare una spaccatura dal partito che poi ebbe luogo ugualmente, essi finirono per rifiutare ogni responsabilità.
Del resto anche i liberali erano tutt'altro che uniti al loro interno. Anche fra loro c'erano conservatori, riformisti, democratici; molti erano nazionalisti e sostenitori della necessità di un governo forte e autoritario.
Socialisti e cattolici
Nel 1919 i cattolici italiani costituirono un proprio partito politico, il Partito popolare, guidato dal sacerdote don Luigi Sturzo.
Nelle elezioni politiche dello stesso anno sia cattolici che socialisti ottennero un notevole successo. Avrebbero potuto sfruttarlo per dare una svolta decisa alla politica italiana per cambiare profondamente le cose ma le loro divisioni interne, spesso assai aspre, glielo impedirono.
Il partito socialista italiano continuava a restare diviso in due correnti: i riformisti e i massimalisti. Era nata, poi la seconda rivoluzionaria guidata da Antonio Gramsci e da Amedeo Bordiga. Uscita dal partito socialista esse diede vita nel 1921, a Livorno, al Partito comunista d'Italia.
La scissione comunista rese più debole la sinistra italiana, che risultò frazionata in due partiti separati e avversari. Anche il partito cattolico fu condizionato dallo scontro fra due tendenze: una liberale moderata e una popolare riformista. Riuscì a restare uniti ma solo evitando di prendere iniziative troppo nette e definitive, che avrebbero scontentato una delle due parti.
Appoggiò i governi liberali ma lo fece debolmente senza convinzione e con forte diffidenza sempre pronto a togliere il proprio sostegno al governo in carica. Per lo stesso motivo quando in seguito sarebbe stato necessario contrapporsi efficacemente al fascismo furono singoli deputati cattolici a farlo ma non l'intero partito con la sua organizzazione.
BENITO MUSSOLINI E LA NASCITA DEL PARTITO FASCISTA
In questa situazione confusa cominciò a trovare spazio il movimento fascista, fondato da Benito Mussolini. Mussolini era stato dapprima socialista massimalista e direttore dell’Avanti!, quotidiano del partito. Era poi divenuto nazionalista e sostenitore dell’intervento italiano nella prima guerra mondiale. Molto ambizioso e deciso, era ben poco legato ai progetti e ai programmi politici, che soprattutto nei primi anni, ma anche dopo, cambiò con una certa frequenza e disinvoltura. Mussolini raccolse sempre maggiori consensi facendo leva sia sulle emozioni e paure di molti italiani, sia sugli interessi economici di una parte della società.
Sfruttò i risentimenti e le inquietudini di tanti ex combattenti spesso privi di un lavoro soddisfacente e, per di più, offesi dalla propaganda della sinistra che, nella polemica politica, spesso li bollava come militaristi, responsabili o complici delle sofferenze causate dalla guerra;
ottenne l’appoggio dei nazionalisti, di coloro che sostenevano l’idea della "vittoria mutilata", di quelli che sognavano un’Italia potente e "rispettata all’estero" e un governo autoritario all’interno;
trovò il sostegno decisivo della classe dirigente, dei proprietari terrieri, dei piccoli borghesi moderati, intimoriti dalla propaganda rivoluzionaria.
Nel clima acceso del biennio rosso, ricco anche di aggressioni e di intimidazioni da una parte e dall’altra, Mussolini fece della violenza un uso sistematico e costituì vere e proprie bande di uomini armati. Egli ebbe tuttavia l’astuzia di presentare all’opinione pubblica moderata le "squadracce" dei fascisti come strumento necessario per riportare nel paese l’ordine sconvolto dai "rossi". I continui richiami di Mussolini a uno Stato forte e autoritario e la sua dura e sprezzante propaganda contro il Parlamento ebbero successo, anche perché gli ultimi governi liberali si mostrarono in genere poco efficienti e incapaci di fronteggiare la situazione. La loro debolezza, d’altra parte, favorì il movimento fascista e le sue illegalità, che uno Stato più deciso e organizzato non avrebbe permesso.
LA VIOLENZA FASCISTA
La fine dell'occupazione delle fabbriche aveva dimostrato chiaramente che in Italia il pericolo di una rivoluzione operaia non esisteva. Le organizzazioni del movimento operaio e del movimento contadino rimanevano tuttavia molto fuori e tutt'altro che disposte a subire passivamente l'attacco dei fascisti. Gli scontri fra loro e i fascisti si fecero più aspri e frequenti con numerose vittime da ambo le parti, coinvolgendo anche persone estranee e innocenti.
Sostenuto anche con contributi in denaro da svariati agrari e industriali, le violenze, le cosiddette "spedizioni punitive" dei fascisti si intensificarono.
Gli avversari politici del fascismo che più si mettevano in vista venivano aggrediti a colpi di arma da fuoco, oppure bastonati con i manganelli, o ancora costretti con la forza a umiliarsi bevendo interi bicchieri di olio di ricino, un fortissimo purgante. Nella sola pianura padana, nei primi sei mesi del 1921, gli attacchi operati dalle squadre fasciste furono 726.
Gli obbiettivi di questa violenza mostrano chiaramente che le squadre fasciste volevano colpire e da quali interessi erano sostenute: 59 case del popolo, 119 camere del lavoro, 107 cooperative, 83 leghe contadine, 141 sezioni socialiste, 100 circoli culturali, 28 sindacati operai, 53 circoli ricreativi operai. Gli organi dello Stato che avrebbero dovuto mantenere l'ordine, non intervennero per reprimere le illegalità. Anzi, in alcuni casi, le forze di polizia si affiancarono alle squadre fasciste.
Talvolta il popolo seppe resistere con coraggio e dignità alle violenze. Epica fu, ad esempio, la difesa di Parma, assalita da migliaia di fascisti nell'agosto del 1922. La città si armò, alzò le barricate, respinse per oltre due giorni gli attacchi.
Le squadracce fasciste chiesero allora l'intervento dell'esercito, che accolto con entusiasmo dalla popolazione, si rifiutò di combattere. Alla fine, i fascisti dovettero ritirarsi, mentre il popolo di Parma abbandonava le barricate e riconsegnava ordinatamente la città alle autorità militari e ai carabinieri.
Marcia su Roma
Il timore dei socialisti di appoggiare dei governi borghesi e lo scarso e precario sostegno dato ad essi dai cattolici resero debolissimi gli ultimi governi liberali. Lo stesso Giolitti, dopo qualche parziale successo, dovette rinunciare.
Il governo Facta. ultimo governo liberale, fu anche il più debole.
Il 28 ottobre 1922 i reparti armati dei fascisti, le camicie nere fecero la marcia su Roma.
Essa si concluse con il rifiuto di Vittorio Emanuele III di firmare lo stato d'assedio e con l'incarico affidato a Mussolini di formare un nuovo governo.
Il primo governo Mussolini, appoggiato dai liberali nazionalisti e da molti cattolici, ottenne il voto favorevole del Parlamento, nonostante l'opposizione di socialisti e comunisti.
LE ELEZIONI DEL 1924 E IL DELITTO MATTEOTTI
Molti continuavano a ritenere che fosse possibile trasformare il fascismo in un partito moderato e liberale.
Mussolini lo lasciò credere e si mosse con molta abilità, emanando provvedimenti volti a guadagnare i favori dei conservatori e degli incerti. Però, nel frattempo, la violenza delle squadre fasciste contro l'opposizione di sinistra continuava.
Nelle elezioni del 1924 Mussolini presentò una lista di candidati (il cosiddetto "listone") formata sia di fascisti, in larga maggioranza, che di liberali e cattolici. Tra questi, così come ve ne furono molti che accettarono di mescolarsi coi fascisti, ve ne furono altrettanti che rifiutarono e si opposero; ricordiamo fra gli oppositori i liberali Giovanni Amendola e Luigi Albertini, e i cattolici don Luigi Sturzo e Alcide De Gasperi. Si oppose al fascismo anche il grande filosofo liberale Benedetto Croce. La nuova legge elettorale prevedeva un premio di maggioranza al partito che avesse avuto il maggior numero di voti. Concedendo ai vincitori una quantità di deputati più che proporzionale al numero dei voti ottenuti, essa mirava a consolidare il potere della forza politica che avrebbe governato. Contando sul clima di paura, intimidazione e violenza generato dalle squadracce fasciste, Mussolini con la sua coalizione ottenne la maggioranza assoluta: ebbe più dei due terzi dei seggi del Parlamento.
Alcuni deputati liberali e cattolici e i partiti di sinistra, tuttavia, non si rassegnarono e cercarono di svolgere il proprio ruolo di opposizione con dignità e vigore. Un uomo di grande onestà e di alto livello morale, il deputato socialista Giacomo Matteotti, denunciò in uno storico discorsi le violenze e le minacce usate dai fascisti in tutta Italia per falsare il risultato delle elezioni. Egli venne rapito da un gruppo di fascisti il 10 giugno 1924 e poi barbaramente assassinato.
L'ondata di indignazione che scoppiò nel paese portò allo scioglimento della coalizione di governo creata da Mussolini. Molti deputati socialisti, comunisti, cattolici, repubblicani e liberali abbandonarono per protesta il Parlamento riunendosi altrove: il fatto passò alla storia come secessione dell'Aventino con riferimento a quanto (al tempo di Menenio Agrippa) si diceva avesse la plebe dell'antica Roma per protestare contro il malgoverno dei patrizi.
La dittatura
La forma di protesta dell’Aventino, messa in atto dai deputati contrari al fascismo si rivelò un grave errore. Il re Vittorio Emanuele III, al quale l’opposizione aveva fatto appello, sostenne ancora una volta Mussolini e gli riconfermò la sua fiducia. Gli oppositori si trovarono soli.
Mussolini lasciò allora cadere la maschera del capo moderato e responsabile; rivendicò con precise parole le " responsabilità politica, morale e storica" del delitto Matteotti e realizzo una serie di riforme che trasformarono l’Italia in uno stato a regime dittatoriale.
Nel corso del 1925 infatti:
Vennero sciolti tutti i partiti, tranne quello fascista;
Il potere di fare le leggi venne sottratto al Parlamento e affidato al governo, cioè allo stesso Mussolini e ai ministri da lui scelti;
Fu proibito lo sciopero mentre a lavoratori e datori di lavoro venne imposto d'iscriversi ai sindacati fascisti;
Fu limitata la libertà di stampa e di associazione;
Vennero creati il Ministero della cultura popolare, il Tribunale speciale per difesa dello Stato, la polizia politica. Quest’ultima (l’OVRA = opera di Vigilanza e Repressione dell’Antifascismo)
E aveva il compito di identificare e denunciare gli oppositori del governo fascista.

LA CONCILIAZIONE FRA STATO E CHIESA: IL CONCORDATO
Uno dei problemi non risolti della politica italiana era rimasto quello dei rapporti fra Stato e Chiesa.
Di fatto i cattolici partecipavano da tempo alla vita politica e le vecchie discordie sembravano ormai quasi dimenticate. Inoltre varie trattative si erano in precedenza già svolte fra il Vaticano e alcuni governi liberali.
Mussolini comprese tuttavia che, in un paese fondamentalmente cattolico come l'Italia, chiudere in maniera ufficiale e solenne il vecchio conflitto fra lo Stato e la Santa Sede gli avrebbe procurato una larga popolarità. La Chiesa, da parte sua non poteva certo rifiutare un'offerta di rappacificazione.
L'accordo o concordato fra stato e chiesa, dopo lunghe trattative tenute rigorosamente segrete venne firmato l'11 febbraio 1929 da Mussolini stesso e dal cardinale Gasparri, segretario di stato del Pontefice.
Definiti anche col nome di patti Lateranensi gli accordi regolavano dettagliatamente i rapporti fra lo stato italiano e la chiesa cattolica.
Il Vaticano viene riconosciuto come vero e proprio stato indipendente
Roma viene riconosciuta come capitale d'Italia;
Il cattolicesimo è riconosciuto come religione di stato
Al matrimomio religioso è conferito valore civile;
Lo stato paga un indennizzo al Vaticano per i territori e gli edifici persi nel 1870 con la presa di Roma;
Mussolini venne definito Uomo della Provvidenza, ma ben presto i rapporti fra stato e chiesa dovettero subire momenti di tensione: per esempio a proposito della formazione dei giovani. I Patti Lateranensi sono rimasti in vigore fino al 1984, anno in cui sono stati sostituiti da un nuovo e più aggiornato Concordato.

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