La Traviata

Materie:Riassunto
Categoria:Storia
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Testo

La traviata
Caratteristiche:
Melodramma in quattro atti su libretto di Francesco Maria Piave, tratto dal romanzo La dame aux camélias di Alexandre Dumas figlio.
Prima: Venezia, Teatro La Fenice, 6 marzo 1853.
Trama:
Atto I. Parigi, alla metà dell'Ottocento. C'è una gran festa nella casa di Violetta Valéry, una mondana famosa: è un modo per soffocare l'angoscia che la tormenta, perché ella sa che la sua salute è gravemente minata. Un nobile, Gastone, presenta alla padrona di casa il suo amico Alfredo, che l'ammira sinceramente. L'attenzione che Violetta dimostra per la nuova conoscenza non sfugge a Duphol, il suo amante abituale. Mentre Violetta e Alfredo danzano, il giovane le dichiara tutto il suo amore e Viloetta gli regala un fiore, una camelia: rivedrà Alfredo solo quando sarà appassita. Alla fine della festa, Violetta deve ammettere di essersi innamorata davvero, per la prima volta.
Atto II. Alfredo e Violetta Valéry hanno abbandonato, insieme, la metropoli e vivono felici in una villa. Quando l'uomo viene a sapere, attraverso una confessione della cameriera Annina, che Violetta sta vendendo i suoi gioielli perché è rimasta senza denaro, si precipita a Parigi per procurarsene. L'amica di Violetta, Flora, l'invita a una festa; ma la ragazza non ha voglia di andarvi e rimane in casa, dove riceve la visita inattesa del padre di Alfredo, Giorgio Germont. Costui l'accusa di condurre il figlio alla miseria; ma Violetta contesta le sue affermazioni, gli fa vedere che, al contrario è stata lei a vendere i suoi preziosi e afferma di non avere mai chiesto nulla ad Alfredo. Giorgio sembra convinto, ma non rinuncia al suo proposito di separare Alfredo e Violetta. Infatti quel legame dà scandalo e finché dura non potrà far sposare un'altra figlia. La donna deve scegliere, e fa quello che crede essere il bene del suo innamorato.
Abbandona Alfredo, che è colto da gelosia. Violetta riappare a una festa nuovamente accompagnata da Duphol, che vorrebbe sfidare a duello il giovane Germont, Violetta lo implora di lasciare la casa; se ne andrà, dice lui, solo se lei lo seguirà.
La ragazza allora gli rivela di avere giurato di non incontrarlo e lascia credere di aver fatto questo giuramento a Duphol, per non raccontare ad Alfredo il colloquio che ebbe con suo padre, a proposito di sua sorella. Alfredo si indigna, la tratta da prostituta. Arriva Giorgio, che lo rimprovera per questo comportamento; ma non gli svela la verità.
Atto III. Il male che da tempo mina la salute di Violetta si è molto aggravato. La donna non può più alzarsi dal suo letto. Le giunge una lettera di Germont: finalmente, ha deciso di spiegare tutto a suo figlio.
Alfredo si è commosso e sta arrivando. Violetta è incredibilmente contenta, ma per lei non c'è più nulla da fare; teme, anzi, di non sopravvivere fino al suo arrivo. Ma, infine, Alfredo è lì, al suo capezzale; e vi è anche suo padre, profondamente pentito.
La tisi uccide Violetta davanti a loro, in un clima di acuto dolore, addolcito però dalla delicatezza e dalla purezza dei sentimenti.
Storia:
Terza e ultima opera di quella che viene definita la "trilogia popolare" e come succede nel Rigoletto e ne Il trovatore, la figura del protagonista domina su tutte le altre.
Già all’inizio degli anni Cinquanta Verdi stava cercando una cantante adatta ad un ruolo difficile, e comunica al direttore della Fenice di Venezia Carlo Marzari, di aver bisogno di una "donna di prima forza". Il soggetto che esigeva una cantante così speciale era stato tratto da Verdi da un dramma molto discusso di Alexandre Dumas figlio. La dame aux camélias è la storia di un personaggio realmente esistito, Alphonsine Duplessis giovane cortigiana che si era data al vizio nella Parigi degli anni Quaranta e che era entrata anche nella vita di Dumas da lui trasformata nel dramma in Marguerite Gautier. Verdi assiste a una rappresentazione teatrale del dramma a Parigi nel 1851.
Già nel 1852 il libretto di Francesco Maria Piave è pronto col titolo di La Traviata, ma la censura ne impone un il cambiamento Amore e morte e un’ambientazione non contemporanea ma spostata indietro tempo di almeno un secolo. Il 6 marzo del 1853 sul palcoscenico del Teatro la Fenice di Venezia l’opera riscuote un clamoroso insuccesso da attribuire a numerosi fattori: i cantanti sono inadatti alle parti, compresa la protagonista che non era certo una "donna di prima forza", l’ambientazione contemporanea voluta da Verdi a tutti i costi, ma non apprezzata dal pubblico; l’audacia del soggetto e la novità della partitura.
Solo un anno dopo però, presentata al Teatro San Benedetto, sempre a Venezia, l’opera riscuote successo, grazie al cast di cantanti e all’ambientazione settecentesca che assecondava i gusti del pubblico del tempo.

Violetta Valéry
Soprano
Flora Bervoix
Mezzosoprano
Annina
Mezzosoprano
Alfredo Germont
Tenore
Giorgio Germont
suo padre
Baritono
Gastone
Visconte de Letorières
Tenore
Barone Douphol
Baritono
Marchese d'Obigny
Basso
Dottore Grenvil
Basso Profondo
Giuseppe
servo di Violetta
Tenore
Domestico
di Flora
Corifeo Basso
Commissionario
Corifeo Basso
Coro di Signori e Signore amici di Violetta e Flora, Matadori, Piccadori, Zingari.
Comparse di Servi di Violetta e di Flora, Maschere, ecc. ecc.
Scena: Parigi e sue vicinanze, 1850 circa.
N.B. Il primo atto succede in agosto, il secondo in gennajo, il terzo in febbrajo. le indicazioni di destra o sinistra sono prese dalla platea.

ATTO PRIMO
SCENA I
Salotto in casa di Violetta. Nel fondo è la porta che mette ad altra sala; ve ne sono altre due laterali; a sinistra, un caminetto con sopra uno specchio. Nel mezzo è una tavola riccamente imbandita.
Violetta, seduta sopra un divano, sta discorrendo col Dottore e con alcuni amici, mentre alri vanno ad incontrare quelli che sopraggiungono,tra i quali sono il Barone e Flora al braccio del Marchese.
CORO I:
Dell'invito trascorsa è già l'ora
Voi tardaste
CORO II:
Giocammo da Flora.
E giocando quell'ore volar.
VIOLETTA: (andando loro incontro)
Flora, amici, la notte che resta
D'altre gioie qui fate brillar
Fra le tazze è più viva la festa
FLORA E MARCHESE:
E goder voi potrete?
VIOLETTA:
Lo voglio;
Al piacere m'affido, ed io soglio
Col tal farmaco i mali sopir.
TUTTI:
Sì, la vita s'addoppia al gioir

SCENA II
Detti, il Visconte Gastone de Letorières, Alfredo Germont. Servi affacendati intorno alla mensa
GASTONE: (entrando con Alfredo)
In Alfredo Germont, o signora,
Ecco un altro che molto vi onora;
Pochi amici a lui simili sono.
VIOLETTA: (Dà la mano ad Alfredo, che gliela bacia)
Mio Visconte, merce' di tal dono.
MARCHESE:
Caro Alfredo
ALFREDO:
Marchese
(Si stringono la mano)
GASTONE: (ad Alfredo)
T'ho detto:
L'amistà qui s'intreccia al diletto.
(I servi frattanto avranno imbandito le vivande)
VIOLETTA: (ai servi)
Pronto è il tutto?
(Un servo accenna di sì)
Miei cari sedete:
È al convito che s'apre ogni cor.
TUTTI:
Ben diceste le cure segrete
Fuga sempre l'amico licor.
(Siedono in modo che Violetta resti tra Alfredo e Gastone, di fronte vi sarà Flora, tra il Marchese ed il Barone, gli altri siedono a piacere. V'ha un momento di silenzio; frattanto passano i piatti, e Violetta e Gastone parlano sottovoce tra loro, poi:)
GASTONE: (piano, a Violetta)
Sempre Alfredo a voi pensa.
VIOLETTA:
Scherzate?
GASTONE:
Egra foste, e ogni dì con affanno
Qui volò, di voi chiese.
VIOLETTA:
Cessate.
Nulla son io per lui.
GASTONE:
Non v'inganno.
VIOLETTA: (ad Alfredo)
Vero è dunque? onde è ciò?
Nol comprendo.
ALFREDO: (sospirando)
Si, egli è ver.
VIOLETTA: (ad Alfredo)
Le mie grazie vi rendo.
Voi Barone, feste altrettanto
BARONE:
Vi conosco da un anno soltanto.
VIOLETTA:
Ed ei solo da qualche minuto.
FLORA: (piano al Barone)
Meglio fora se aveste taciuto.
BARONE: (piano a Flora)
Mi è increscioso quel giovin
FLORA:
Perché?
A me invece simpatico egli è.
GASTONE: (ad Alfredo)
E tu dunque non apri più bocca?
MARCHESE: (a Violetta)
È a madama che scuoterlo tocca
VIOLETTA: (Mesce ad Alfredo)
Sarò l'Ebe che versa.
ALFREDO: (con galanteria)
E ch'io bramo
immortal come quella.
TUTTI:
Beviamo.
GASTONE:
O barone, né un verso, né un viva
Troverete in quest'ora giuliva?
(Il Barone accenna di no)
Dunque a te
(ad Alfredo)
TUTTI:
Sì, sì, un brindisi.
ALFREDO:
L'estro
Non m'arride
GASTONE:
E non se' tu maestro?
ALFREDO: (a Violetta)
Vi fia grato?
VIOLETTA:
Sì.
ALFREDO: (S'alza)
Sì? L'ho già in cor.
MARCHESE:
Dunque attenti
TUTTI:
Sì, attenti al cantor.
ALFREDO:
Libiam ne' lieti calici
Che la bellezza infiora,
E la fuggevol ora
S'inebri a voluttà.
Libiam ne' dolci fremiti
Che suscita l'amore,
Poiché quell'occhio al core
(indicando Violetta)
Onnipotente va.
Libiamo, amor fra i calici
Più caldi baci avrà.
TUTTI:
Libiamo, amor fra i calici
Più caldi baci avrà.
VIOLETTA: (S'alza)
Tra voi saprò dividere
Il tempo mio giocondo;
Tutto è follia nel mondo
Ciò che non è piacer.
Godiam, fugace e rapido
È il gaudio dell'amore;
È un fior che nasce e muore,
Né più si può goder.
Godiam c'invita un fervido
Accento lusinghier.
TUTTI:
Godiam la tazza e il cantico
La notte abbella e il riso;
In questo paradiso
Ne scopra il nuovo dì.
VIOLETTA: (ad Alfredo)
La vita è nel tripudio.
ALFREDO: (a Violetta)
Quando non s'ami ancora.
VIOLETTA: (ad Alfredo)
Nol dite a chi l'ignora.
ALFREDO: (a Violetta)
È il mio destin così
TUTTI:
Godiam la tazza e il cantico
La notte abbella e il riso;
In questo paradiso
Ne scopra il nuovo dì.
(S'ode musica dal'altra sala)
Che è ciò?
VIOLETTA:
Non gradireste ora le danze?
TUTTI:
Oh, il gentil pensier! tutti accettiamo.
VIOLETTA:
Usciamo dunque
(S'avviano alla porta di mezzo, ma Violetta è colta da subito pallore)
Ohimé!
TUTTI:
Che avete?
VIOLETTA:
Nulla,
Nulla.
TUTTI:
Che mai v'arresta
VIOLETTA:
Usciamo
(Fa qualche passo, ma è obbligata a nuovamente fermarsi e sedere)
Oh Dio!
TUTTI:
Ancora!
ALFREDO:
Voi soffrite?
TUTTI:
O ciel! ch'è questo?
VIOLETTA:
Un tremito che provo. Or là passate
(indica l'altra sala)
Tra poco anch'io sarò
TUTTI:
Come bramate
(Tutti passano all'altra sala, meno Alfredo che resta indietro)

SCENA III
Violetta, Alfredo e Gastone a tempo
VIOLETTA: (guardandosi allo specchio)
Oh qual pallor!
(Volgendosi, s'accorge d'Alfredo)
Voi qui!
ALFREDO:
Cessata è l'ansia
Che vi turbò?
VIOLETTA:
Sto meglio.
ALFREDO:
Ah, in cotal guisa
V'ucciderete aver v'è d'uopo cura
Dell'esser vostro
VIOLETTA:
E lo potrei?
ALFREDO:
Se mia
Foste, custode io veglierei pe' vostri
Soavi dì.
VIOLETTA:
Che dite? ha forse alcuno
Cura di me?
ALFREDO: (con fuoco)
Perché nessuno al mondo
V'ama
VIOLETTA:
Nessun?
ALFREDO:
Tranne sol io.
VIOLETTA: (ridendo)
Gli è vero!
Sì grande amor dimenticato avea
ALFREDO:
Ridete? e in voi v'ha un core?
VIOLETTA:
Un cor? Sì forse e a che lo richiedete?
ALFREDO:
Oh, se ciò fosse, non potreste allora
Celiar.
VIOLETTA:
Dite davvero?
ALFREDO:
Io non v'inganno.
VIOLETTA:
Da molto è che mi amate?
ALFREDO:
Ah sì, da un anno.
Un dì, felice, eterea,
Mi balenaste innante,
E da quel dì tremante
Vissi d'ignoto amor.
Di quell'amor ch'è palpito
Dell'universo intero,
Misterioso, altero,
Croce e delizia al cor.
VIOLETTA:
Ah, se ciò è ver, fuggitemi
Solo amistade io v'offro:
Amar non so, né soffro
Un così eroico amor.
Io sono franca, ingenua;
Altra cercar dovete;
Non arduo troverete
Dimenticarmi allor.
GASTONE: (Si presenta sulla porta di mezzo)
Ebben? che diavol fate?
VIOLETTA:
Si foleggiava
GASTONE:
Ah! ah! sta ben restate.
(Rientra)
VIOLETTA: (ad Alfredo)
Amor dunque non più
Vi garba il patto?
ALFREDO:
Io v'obbedisco. Parto
(per andarsene)
VIOLETTA:
A tal giungeste?
(Si toglie un fiore dal seno)
Prendete questo fiore.
ALFREDO:
Perché?
VIOLETTA:
Per riportarlo
ALFREDO: (tornando)
Quando?
VIOLETTA:
Quando
Sarà appassito.
ALFREDO:
O ciel! Domani
VIOLETTA:
Ebben,
Domani.
ALFREDO: (Prende con trasporto il fiore)
Io son felice!
VIOLETTA:
D'amarmi dite ancora?
ALFREDO: (per partire)
Oh, quanto v'amo!
VIOLETTA:
Partite?
ALFREDO: (tornando a lei baciandole la mano)
Parto.
VIOLETTA:
Addio.
ALFREDO:
Di più non bramo.
(Esce)

SCENA IV
Violetta e tutti gli altri che tornano dalla sala riscaldati dalle danze
TUTTI:
Si ridesta in ciel l'aurora,
E n'è forza di partir;
Merce' a voi, gentil signora,
Di sì splendido gioir.
La città di feste è piena,
Volge il tempo dei piacer;
Nel riposo ancor la lena
Si ritempri per goder,
(Partono alla destra)

SCENA V
Violetta sola
VIOLETTA:
È strano! è strano! in core
Scolpiti ho quegli accenti!
Sarìa per me sventura un serio amore?
Che risolvi, o turbata anima mia?
Null'uomo ancora t'accendeva O gioia
Ch'io non conobbi, essere amata amando!
E sdegnarla poss'io
Per l'aride follie del viver mio?
Ah, fors'è lui che l'anima
Solinga ne' tumulti
Godea sovente pingere
De' suoi colori occulti!
Lui che modesto e vigile
All'egre soglie ascese,
E nuova febbre accese,
Destandomi all'amor.
A quell'amor ch'è palpito
Dell'universo intero,
Misterioso, altero,
Croce e delizia al cor.
A me fanciulla, un candido
E trepido desire
Questi effigiò dolcissimo
Signor dell'avvenire,
Quando ne' cieli il raggio
Di sua beltà vedea,
E tutta me pascea
Di quel divino error.
Sentìa che amore è palpito
Dell'universo intero,
Misterioso, altero,
Croce e delizia al cor!
(Resta concentrata un istante, poi dice)
Follie! follie delirio vano è questo!
Povera donna, sola
Abbandonata in questo
Popoloso deserto
Che appellano Parigi,
Che spero or più?
Che far degg'io!
Gioire,
Di voluttà nei vortici perire.
Sempre libera degg'io
Folleggiar di gioia in gioia,
Vo' che scorra il viver mio
Pei sentieri del piacer,
Nasca il giorno, o il giorno muoia,
Sempre lieta ne' ritrovi
A diletti sempre nuovi
Dee volare il mio pensier.
(Entra a sinistra)

SCENA I
Casa di campagna presso Parigi. Salotto terreno. Nel fondo in faccia agli spettatori, è un camino, sopra il quale uno specchio ed un orologio, fra due porte chiuse da cristalli che mettono ad un giardino. Al primo piano, due altre porte, una di fronte all'altra. Sedie, tavolini, qualche libro, l'occorrente per scrivere.
ALFREDO: (deponendo il fucile)
Lunge da lei per me non v'ha diletto!
Volaron già tre lune
Dacché la mia Violetta
Agi per me lasciò, dovizie, onori,
E le pompose feste
Ove, agli omaggi avvezza,
Vedea schiavo ciascun di sua bellezza
Ed or contenta in questi ameni luoghi
Tutto scorda per me. Qui presso a lei
Io rinascer mi sento,
E dal soffio d'amor rigenerato
Scordo ne' gaudii suoi tutto il passato.
De' miei bollenti spiriti
Il giovanile ardore
Ella temprò col placido
Sorriso dell'amore!
Dal dì che disse: vivere
Io voglio a te fedel,
Dell'universo immemore
Io vivo quasi in ciel.

ATTO SECONDO
SCENA II
Detto ed Annina in arnese da viaggio
ALFREDO:
Annina, donde vieni?
ANNINA:
Da Parigi.
ALFREDO:
Chi tel commise?
ANNINA:
Fu la mia signora.
ALFREDO:
Perché?
ANNINA:
Per alienar cavalli, cocchi,
E quanto ancor possiede.
ALFREDO:
Che mai sento!
ANNINA:
Lo spendìo è grande a viver qui solinghi
ALFREDO:
E tacevi?
ANNINA:
Mi fu il silenzio imposto.
ALFREDO:
Imposto! or v'abbisogna?
ANNINA:
Mille luigi.
ALFREDO:
Or vanne andrò a Parigi.
Questo colloquio ignori la signora.
Il tutto valgo a riparare ancora.
(Annina parte)

SCENA III
(Alfredo solo)
ALFREDO
O mio rimorso! O infamia
E vissi in tale errore?
Ma il turpe sogno a frangere
Il ver mi baleno'.
Per poco in seno acquetati,
O grido dell'onore;
M'avrai securo vindice;
Quest'onta lavero'.
(esce)

SCENA IV
(Violetta ch'entra con alcune carte, parlando con Annina, poi Giuseppe a tempo.)
VIOLETTA
Alfredo?
ANNINA
Per Parigi or or partiva.
VIOLETTA
E tornera'?
ANNINA
Pria che tramonti il giorno
Dirvel m'impose
VIOLETTA
E' strano!
ANNINA
(presentandole una lettera)
Per voi
VIOLETTA
(La prende.)
Sta bene. In breve
Giungera' un uom d'affari, entri all'istante.
(Annina e Giuseppe escono.)

SCENA V
Violetta, quindi il signor Germont introdotto da Giuseppe che avanza due sedie e riparte
VIOLETTA: (leggendo la lettera)
Ah, ah, scopriva Flora il mio ritiro!
E m'invita a danzar per questa sera!
Invan m'aspetterà
(Getta il foglio sul tavolino e siede)
ANNINA:
È qui un signore
VIOLETTA:
Ah! sarà lui che attendo.
(Accenna a Giuseppe d'introdurlo)
GERMONT:
Madamigella Valéry?
VIOLETTA:
Son io.
GERMONT:
D'Alfredo il padre in me vedete!
VIOLETTA: (Sorpresa, gli accenna di sedere)
Voi!
GERMONT: (sedendo)
Sì, dell'incauto, che a ruina corre,
Ammaliato da voi.
VIOLETTA: (alzandosi risentita)
Donna son io, signore, ed in mia casa;
Ch'io vi lasci assentite,
Più per voi che per me.
(per uscire)
GERMONT:
(Quai modi!) Pure
VIOLETTA:
Tratto in error voi foste.
(Toma a sedere)
GERMONT:
De' suoi beni
Dono vuol farvi
VIOLETTA:
Non l'osò finora
Rifiuterei.
GERMONT: (guardandosi intorno)
Pur tanto lusso
VIOLETTA:
A tutti
È mistero quest'atto
A voi nol sia.
(Gli dà le carte)
GERMONT: (dopo averle scorse coll'occhio)
Ciel! che discopro!
D'ogni vostro avere
Or volete spogliarvi?
Ah, il passato perché, perché v'accusa?
VIOLETTA: (con entusiasmo)
Più non esiste or amo Alfredo, e Dio
Lo cancellò col pentimento mio.
GERMONT:
Nobili sensi invero!
VIOLETTA:
Oh, come dolce
Mi suona il vostro accento!
GERMONT: (alzandosi)
Ed a tai sensi
Un sacrificio chieggo
VIOLETTA: (alzandosi)
Ah no, tacete
Terribil cosa chiedereste certo
Il previdi... v'attesi... era felice...
Troppo...
GERMONT:
D'Alfredo il padre
La sorte, l'avvenir domanda or qui
De' suoi due figli.
VIOLETTA:
Di due figli!
GERMONT:
Sì.
Pura siccome un angelo
Iddio mi die' una figlia;
Se Alfredo nega riedere
In seno alla famiglia,
L'amato e amante giovane,
Cui sposa andar dovea,
Or si ricusa al vincolo
Che lieti ne rendea
Deh, non mutate in triboli
Le rose dell'amor.
Ai preghi miei resistere
Non voglia il vostro cor.
VIOLETTA:
Ah, comprendo dovrò per alcun tempo
Da Alfredo allontanarmi... doloroso
Fora per me... pur...
GERMONT:
Non è ciò che chiedo.
VIOLETTA:
Cielo, che più cercate? offersi assai!
GERMONT:
Pur non basta
VIOLETTA:
Volete che per sempre a lui rinunzi?
GERMONT:
È d'uopo!
VIOLETTA:
Ah, no giammai!
Non sapete quale affetto
Vivo, immenso m'arda in petto?
Che né amici, né parenti
Io non conto tra i viventi?
E che Alfredo m'ha giurato
Che in lui tutto io troverò?
Non sapete che colpita
D'altro morbo è la mia vita?
Che già presso il fin ne vedo?
Ch'io mi separi da Alfredo?
Ah, il supplizio è si spietato,
Che morir preferirò.
GERMONT:
È grave il sacrifizio,
Ma pur tranquilla udite
Bella voi siete e giovane...
Col tempo...
VIOLETTA:
Ah, più non dite
V'intendo... m'è impossibile
Lui solo amar vogl'io.
GERMONT:
Sia pure... ma volubile
Sovente è l'uom
VIOLETTA: (colpita)
Gran Dio!
GERMONT:
Un dì, quando le veneri
Il tempo avrà fugate,
Fia presto il tedio a sorgere
Che sarà allor? pensate
Per voi non avran balsamo
I più soavi affetti|
Poiché dal ciel non furono
Tai nodi benedetti.
VIOLETTA:
È vero!
GERMONT:
Ah, dunque sperdasi
Tal sogno seduttore
Siate di mia famiglia
L'angiol consolatore
Violetta, deh, pensateci,
Ne siete in tempo ancor.
È Dio che ispira, o giovine
Tai detti a un genitor.
VIOLETTA: (con estremo dolore)
(Così alla misera - ch'è un dì caduta,
Di più risorgere - speranza è muta!
Se pur beneficio - le indulga Iddio,
L'uomo implacabile - per lei sarà)
(a Germont, piangendo)
Dite alla giovine - sì bella e pura
Ch'avvi una vittima - della sventura,
Cui resta un unico - raggio di bene
Che a lei il sacrifica - e che morrà!
GERMONT:
Sì, piangi, o misera - supremo, il veggo,
È il sacrificio - ch'ora io ti chieggo.
Sento nell'anima - già le tue pene;
Coraggio e il nobile - cor vincerà.
(Silenzio)
VIOLETTA:
Or imponete.
GERMONT:
Non amarlo ditegli.
VIOLETTA:
Nol crederà.
GERMONT:
Partite.
VIOLETTA:
Seguirammi.
GERMONT:
Allor...
VIOLETTA:
Qual figlia m'abbracciate forte
Così sarò.
(S'abbracciano)
Tra breve ei vi fia reso,
Ma afflitto oltre ogni dire. A suo conforto
Di colà volerete.
(Indicandogli il giardino, va per scrivere)
GERMONT:
Che pensate?
VIOLETTA:
Sapendol, v'opporreste al pensier mio.
GERMONT:
Generosa! e per voi che far poss'io?
VIOLETTA: (tornando a lui)
Morrò! la mia memoria
Non fia ch'ei maledica,
Se le mie pene orribili
Vi sia chi almen gli dica.
GERMONT:
No, generosa, vivere,
E lieta voi dovrete,
Merce' di queste lagrime
Dal cielo un giorno avrete.
VIOLETTA:
Conosca il sacrifizio
Ch'io consumai d'amor
Che sarà suo fin l'ultimo
Sospiro del mio cor.
GERMONT:
Premiato il sacrifizio
Sarà del vostro amor;
D'un opra così nobile
Sarete fiera allor.
VIOLETTA:
Qui giunge alcun: partite!
GERMONT:
Ah, grato v'è il cor mio!
VIOLETTA:
Non ci vedrem più forse.
(S'abbracciano)
A DUE:
Siate felice Addio!
(Germont esce per la porta del giardino)

SCENA VI
Violetta, poi Annina, quindi Alfredo
VIOLETTA:
Dammi tu forza, o cielo!
(Siede, scrive, poi suona il campanello)
ANNINA:
Mi richiedeste?
VIOLETTA:
Sì, reca tu stessa
Questo foglio
ANNINA:
(ne guarda la direzione e se ne mostra sorpresa)
VIOLETTA:
Silenzio và all'istante
(Annina parte)
Ed ora si scriva a lui
Che gli dirò? Chi men darà il coraggio?
(Scrive e poi suggella)
ALFREDO: (entrando)
Che fai?
VIOLETTA: (nascondendo la lettera)
Nulla.
ALFREDO:
Scrivevi?
VIOLETTA: (confusa)
Sì... no.
ALFREDO:
Qual turbamento! a chi scrivevi?
VIOLETTA:
A te.
ALFREDO:
Dammi quel foglio.
VIOLETTA:
No, per ora
ALFREDO:
Mi perdona son io preoccupato.
VIOLETTA: (alzandosi)
Che fu?
ALFREDO:
Giunse mio padre
VIOLETTA:
Lo vedesti?
ALFREDO:
Ah no: severo scritto mi lasciava
Però l'attendo, t'amerà in vederti.
VIOLETTA: (molto agitata)
Ch'ei qui non mi sorprenda
Lascia che m'allontani... tu lo calma
(mal frenato il pianto)
Ai piedi suoi mi getterò divisi
Ei più non ne vorrà sarem felici
Perché tu m'ami, Alfredo, non è vero?
ALFREDO:
O, quanto...
Perché piangi?
VIOLETTA:
Di lagrime avea d'uopo or son tranquilla
(sforzandosi)
Lo vedi? ti sorrido
Sarò là, tra quei fior presso a te sempre.
Amami, Alfredo, quant'io t'amo Addio.
(Corre in giardino)

SCENA VII
Alfredo, poi Giuseppe, indi un Commissionario a tempo
ALFREDO:
Ah, vive sol quel core all'amor mio!
(Siede, prende a caso un libro, legge alquanto, quindi si alza guarda l'ora sull'orologio sovrapposto al camino)
È tardi: ed oggi forse
Più non verrà mio padre.
GIUSEPPE
(entrando frettoloso)
La signora è partita
L'attendeva un calesse, e sulla via
Già corre di Parigi. Annina pure
Prima di lei spariva.
ALFREDO:
Il so, ti calma.
GIUSEPPE
(Che vuol dir ciò?)
(Parte)
ALFREDO:
Va forse d'ogni avere
Ad affrettar la perdita. Ma Annina
Lo impedirà.
(Si vede il padre attraversare in lontananza il giardino)
Qualcuno è nel giardino!
Chi è là?
(per uscire)
COMMISSIONARIO:
(alla porta)
Il signor Germont?
ALFREDO:
Son io.
COMMISSIONARIO:
Una dama
Da un cocchio, per voi, di qua non lunge,
Mi diede questo scritto
(Dà una lettera ad Alfredo, ne riceve qualche moneta e parte)

SCENA VIII
Alfredo, poi Germont ch'entra in giardino
ALFREDO:
Di Violetta! Perché son io commosso!
A raggiungerla forse ella m'invita
Io tremo! Oh ciel! Coraggio!
(Apre e legge)
"Alfredo, al giungervi di questo foglio"
(come fulminato grida)
Ah!
(Volgendosi si trova a fronte del padre, nelle cui braccia si abbandona esclamando:)
Padre mio!
GERMONT:
Mio figlio!
Oh, quanto soffri! tergi, ah, tergi il pianto
Ritorna di tuo padre orgoglio e vanto
ALFREDO:
(Disperato, siede presso il tavolino col volto tra le mani)
GERMONT:
Di Provenza il mar, il suol - chi dal cor ti cancello?
Al natio fulgente sol - qual destino ti furò?
Oh, rammenta pur nel duol - ch'ivi gioia a te brillò;
E che pace colà sol - su te splendere ancor può.
Dio mi guidò!
Ah! il tuo vecchio genitor - tu non sai quanto soffrì
Te lontano, di squallor il suo tetto si coprì
Ma se alfin ti trovo ancor, - se in me speme non fallì,
Se la voce dell'onor - in te appien non ammutì,
Dio m'esaudì!
(abbracciandolo)
Né rispondi d'un padre all'affetto?
ALFREDO:
Mille serpi divoranmi il petto
(respingendo il padre)
Mi lasciate.
GERMONT:
Lasciarti!
ALFREDO: (risoluto)
(Oh vendetta!)
GERMONT:
Non più indugi; partiamo t'affretta
ALFREDO:
(Ah, fu Douphol!)
GERMONT:
M'ascolti tu?
ALFREDO:
No.
GERMONT:
Dunque invano trovato t'avrò!
No, non udrai rimproveri;
Copriam d'oblio il passato;
L'amor che m'ha guidato,
Sa tutto perdonar.
Vieni, i tuoi cari in giubilo
Con me rivedi ancora:
A chi penò finora
Tal gioia non negar.
Un padre ed una suora
T'affretta a consolar.
ALFREDO: (Scuotendosi, getta a caso gli occhi sulla tavola, vede la lettera di Flora, esclama:)
Ah! ell'è alla festa! volisi
L'offesa a vendicar.
(Fugge precipitoso)
GERMONT:
Che dici? Ah, ferma!
(Lo insegue)

SCENA IX
Galleria nel palazzo di Flora, riccamente addobbata ed illuminata. Una porta nel fondo e due laterali. A destra, più avanti, un tavoliere con quanto occorre pel giuoco; a sinistra, ricco tavolino con fiori e rinfreschi, varie sedie e un divano.
Flora, il Marchese, il Dottore ed altri invitati entrano dalla sinistra discorrendo fra loro
FLORA:
Avrem lieta di maschere la notte:
N'è duce il viscontino
Violetta ed Alfredo anco invitai.
MARCHESE:
La novità ignorate?
Violetta e Germont sono disgiunti.
DOTTORE E FLORA:
Fia vero?
MARCHESE:
Ella verrà qui col barone.
DOTTORE:
Li vidi ieri... ancor parean felici.
(S'ode rumore a destra)
FLORA:
Silenzio udite?
TUTTI: (Vanno verso la destra)
Giungono gli amici.

SCENA X
Detti, e molte signore mascherate da Zingare, che entrano dalla destra
ZINGARE:
Noi siamo zingarelle
Venute da lontano;
D'ognuno sulla mano
Leggiamo l'avvenir.
Se consultiam le stelle
Null'avvi a noi d'oscuro,
E i casi del futuro
Possiamo altrui predir.
I.
Vediamo! Voi, signora,
(Prendono la mano di Flora e l'osservano)
Rivali alquante avete.
(Fanno lo stesso al Marchese)
II.
Marchese, voi non siete
Model di fedeltà.
FLORA: (al Marchese)
Fate il galante ancora?
Ben, vo' me la paghiate
MARCHESE: (a Flora)
Che dianci vi pensate?
L'accusa è falsità.
FLORA:
La volpe lascia il pelo,
Non abbandona il vizio
Marchese mio, giudizio
O vi farò pentir.
TUTTI:
Su via, si stenda un velo
Sui fatti del passato;
Già quel ch'è stato è stato,
Badate/Badiamo all'avvenir.
(Flora ed il Marchese si stringono la mano)

SCENA XI
Detti, Gastone ed altri mascherati da Mattadori, Piccadori spagnuoli, ch'entrano vivamente dalla destra
GASTONE E MATTADORI:
Di Madride noi siam mattadori,
Siamo i prodi del circo de' tori,
Testé giunti a godere del chiasso
Che a Parigi si fa pel bue grasso;
E una storia, se udire vorrete,
Quali amanti noi siamo saprete.
GLI ALTRI:
Sì, sì, bravi: narrate, narrate:
Con piacere l'udremo
GASTONE E MATTADORI:
Ascoltate.
È Piquillo un bel gagliardo
Biscaglino mattador:
Forte il braccio, fiero il guardo,
Delle giostre egli è signor.
D'andalusa giovinetta
Follemente innamorò;
Ma la bella ritrosetta
Così al giovane parlò:
Cinque tori in un sol giorno
Vò vederti ad atterrar;
E, se vinci, al tuo ritorno
Mano e cor ti vò donar.
Sì, gli disse, e il mattadore,
Alle giostre mosse il pie';
Cinque tori, vincitore
Sull'arena egli stendé.
GLI ALTRI:
Bravo, bravo il mattadore,
Ben gagliardo si mostrò
Se alla giovane l'amore
In tal guisa egli provò.
GASTONE E MATTADORI:
Poi, tra plausi, ritornato
Alla bella del suo cor,
Colse il premio desiato
Tra le braccia dell'amor.
GLI ALTRI:
Con tai prove i mattadori
San le belle conquistar!
GASTONE E MATTADORI:
Ma qui son più miti i cori;
A noi basta folleggiar
TUTTI:
Sì, sì, allegri... Or pria tentiamo
Della sorte il vario umor;
La palestra dischiudiamo
Agli audaci giuocator.
(Gli uomini si tolgono la maschera, chi passeggia e chi si accinge a giuocare)

SCENA XII
Detti ed Alfredo, quindi Violetta col Barone. Un servo a tempo
TUTTI:
Alfredo! Voi!
ALFREDO:
Sì, amici
FLORA:
Violetta?
ALFREDO:
Non ne so.
TUTTI:
Ben disinvolto! Bravo!
Or via, giuocar si può.
GASTONE:
(Si pone a tagliare, Alfredo ed altri puntano)
VIOLETTA:
(Entra al braccio del Barone)
FLORA: (andandole incontro)
Qui desiata giungi.
VIOLETTA:
Cessi al cortese invito.
FLORA:
Grata vi son, barone, d'averlo pur gradito.
BARONE: (piano a Violetta)
(Germont è qui! il vedete!)
VIOLETTA:
(Ciel! gli è vero). Il vedo.
BARONE: (cupo)
Da voi non un sol detto si volga
A questo Alfredo.
VIOLETTA:
(Ah, perché venni, incauta!
Pietà di me, gran Dio!)
FLORA: (a Violetta, facendola sedere presso di sé sul divano)
Meco t'assidi: narrami quai novità vegg'io?
(Il Dottore si avvicina ad esse, che sommessamente conversano. Il Marchese si trattiene a parte col Barone, Gastone taglia, Alfredo ed altri puntano, altri passeggiano)
ALFREDO:
Un quattro!
GASTONE:
Ancora hai vinto.
ALFREDO: (Punta e vince)
Sfortuna nell'amore
Vale fortuna al giuoco!
TUTTI:
È sempre vincitorel
ALFREDO:
Oh, vincerò stasera; e l'oro guadagnato
Poscia a goder tra' campi ritornerò beato.
FLORA:
Solo?
ALFREDO:
No, no, con tale che vi fu meco ancor,
Poi mi sfuggìa
VIOLETTA:
(Mio Dio!)
GASTONE: (ad Alfredo, indicando Violetta)
(Pietà di lei!)
BARONE: (ad Alfredo, con mal frenata ira)
Signor!
VIOLETTA: (al Barone)
(Frenatevi, o vi lascio)
ALFREDO: (disinvolto)
Barone, m'appellaste?
BARONE:
Siete in sì gran fortuna,
Che al giuoco mi tentaste.
ALFREDO: (ironico)
Sì? la disfida accetto
VIOLETTA:
(Che fia? morir mi sento)
BARONE: (puntando)
Cento luigi a destra.
ALFREDO: (puntando)
Ed alla manca cento.
GASTONE:
Un asse un fante hai vinto!
BARONE:
Il doppio?
ALFREDO:
Il doppio sia.
GASTONE: (tagliando)
Un quattro, un sette.
TUTTI:
Ancora!
ALFREDO:
Pur la vittoria è mia!
CORO:
Bravo davver! la sorte è tutta per Alfredo!
FLORA:
Del villeggiar la spesa farà il baron,
Già il vedo.
ALFREDO: (al Barone)
Seguite pur.
SERVO
La cena è pronta.
CORO: (avviandosi)
Andiamo.
ALFREDO:
Se continuar v'aggrada
(tra loro a parte)
BARONE:
Per ora nol possiamo:
Più tardi la rivincita.
ALFREDO:
Al gioco che vorrete.
BARONE:
Seguiam gli amici; poscia
ALFREDO:
Sarò qual bramerete.
(Tutti entrano nella porta di mezzo: la scena rimane un istante vuota)

SCENA XIII
Violetta che ritorna affannata, indi Alfredo
VIOLETTA:
Invitato a qui seguirmi,
Verrà desso? vorrà udirmi?
Ei verrà, ché l'odio atroce
Puote in lui più di mia voce
ALFREDO:
Mi chiamaste? che bramate?
VIOLETTA:
Questi luoghi abbandonate
Un periglio vi sovrasta
ALFREDO:
Ah, comprendo! Basta, basta
E sì vile mi credete?
VIOLETTA:
Ah no, mai
ALFREDO:
Ma che temete?.
VIOLETTA:
Temo sempre del Barone
ALFREDO:
È tra noi mortal quistione
S'ei cadrà per mano mia
Un sol colpo vi torrìa
Coll'amante il protettore
V'atterrisce tal sciagura?
VIOLETTA:
Ma s'ei fosse l'uccisore?
Ecco l'unica sventura
Ch'io pavento a me fatale!
ALFREDO:
La mia morte! Che ven cale?
VIOLETTA:
Deh, partite, e sull'istante.
ALFREDO:
Partirò, ma giura innante
Che dovunque seguirai
I miei passi
VIOLETTA:
Ah, no, giammai.
ALFREDO:
No! giammai!
VIOLETTA:
Va', sciagurato.
Scorda un nome ch'è infamato.
Va' mi lascia sul momento
Di fuggirti un giuramento
Sacro io feci
ALFREDO:
E chi potea?
VIOLETTA:
Chi diritto pien ne avea.
ALFREDO:
Fu Douphol?
VIOLETTA: (con supremo sforzo)
Sì.
ALFREDO:
Dunque l'ami?
VIOLETTA:
Ebben l'amo
ALFREDO: (Corre furente alla porta e grida)
Or tutti a me.

SCENA XIV
Detti, e tutti i precedenti che confusamente ritornano
TUTTI:
Ne appellaste? Che volete?
ALFREDO: (additando Violetta che abbattuta si appoggia al tavolino)
Questa donna conoscete?
TUTTI:
Chi? Violetta?
ALFREDO:
Che facesse
Non sapete?
VIOLETTA:
Ah, taci
TUTTI:
No.
ALFREDO:
Ogni suo aver tal femmina
Per amor mio sperdea
Io cieco, vile, misero,
Tutto accettar potea,
Ma è tempo ancora! tergermi
Da tanta macchia bramo
Qui testimoni vi chiamo
Che qui pagata io l'ho.
(Getta con furente sprezzo una borsa ai piedi di Violetta, che sviene tra le braccia di Flora e del Dottore. In tal momento entra il padre)

SCENA XV
Detti, ed il Signor Germont, ch'entra all'ultime parole
TUTTI:
Oh, infamia orribile
Tu commettesti!
Un cor sensibile
Così uccidesti!
Di donne ignobile
Insultator,
Di qui allontanati,
Ne desti orror.
GERMONT: (con dignitoso fuoco)
Di sprezzo degno se stesso rende
Chi pur nell'ira la donna offende.
Dov'è mio figlio? più non lo vedo:
In te più Alfredo - trovar non so.
(Io sol fra tanti so qual virtude
Di quella misera il sen racchiude
Io so che l'ama, che gli è fedele,
Eppur, crudele, - tacer dovrò!)
ALFREDO: (da sé)
(Ah sì che feci! ne sento orrore.
Gelosa smania, deluso amore
Mi strazia l'alma più non ragiono.
Da lei perdono - più non avrò.
Volea fuggirla non ho potuto!
Dall'ira spinto son qui venuto!
Or che lo sdegno ho disfogato,
Me sciagurato! - rimorso n'ho.
VIOLETTA: (riavendosi)
Alfredo, Alfredo, di questo core
Non puoi comprendere tutto l'amore;
Tu non conosci che fino a prezzo
Del tuo disprezzo - provato io l'ho!
Ma verrà giorno in che il saprai
Com'io t'amassi confesserai
Dio dai rimorsi ti salvi allora;
Io spenta ancora - pur t'amerò.
BARONE: (piano ad Alfredo)
A questa donna l'atroce insulto
Qui tutti offese, ma non inulto
Fia tanto oltraggio - provar vi voglio
Che tanto orgolio - fiaccar saprò.
TUTTI:
Ah, quanto peni! Ma pur fa core
Qui soffre ognuno del tuo dolore;
Fra cari amici qui sei soltanto;
Rasciuga il pianto - che t'inondò.

ATTO TERZO
SCENA I
Camera da letto di Violetta. Nel fondo è un letto con cortine mezze tirate; una finestra chiusa da imposte interne; presso il letto uno sgabello su cui una bottiglia di acqua, una tazza di cristallo, diverse medicine. A metà della scena una toilette, vicino un canapé; più distante un altro mobile, sui cui arde un lume da notte; varie sedie ed altri mobili. La porta è a sinistra; di fronte v'è un caminetto con fuoco acceso.
Violetta dorme sul letto. Annina, seduta presso il caminetto, è pure addormentata
VIOLETTA: (destandosi)
Annina?
ANNINA: (svegliandosi confusa)
Comandate?
VIOLETTA:
Dormivi, poveretta?
ANNINA:
Sì, perdonate.
VIOLETTA:
Dammi d'acqua un sorso.
(Annina eseguisce)
Osserva, è pieno il giorno?
ANNINA:
Son sett'ore.
VIOLETTA:
Dà accesso a un po' di luce
ANNINA: (Apre le imposte e guarda nella via)
Il signor di Grenvil!
VIOLETTA:
Oh, il vero amico!
Alzar mi vo' m'aita.
(Si rialza e ricade; poi, sostenuta da Annina, va lentamente verso il canapé, ed il Dottore entra in tempo per assisterla ad adagiarsi. Annina vi aggiunge dei cuscini)

SCENA II
Dette e il Dottore
VIOLETTA:
Quanta bontà pensaste a me per tempo!
DOTTORE: (Le tocca il polso)
Or, come vi sentite?
VIOLETTA:
Soffre il mio corpo, ma tranquilla ho l'alma.
Mi confortò iersera un pio ministro.
Religione è sollievo a' sofferenti.
DOTTORE:
E questa notte?
VIOLETTA:
Ebbi tranquillo il sonno.
DOTTORE:
Coraggio adunque la convalescenza
Non è lontana
VIOLETTA:
Oh, la bugia pietosa
A' medici è concessa
DOTTORE: (stringendole la mano)
Addio a più tardi.
VIOLETTA:
Non mi scordate.
ANNINA: (piano al Dottore accompagnandolo)
Come va, signore?
DOTTORE: (piano a parte)
La tisi non le accorda che poche ore.
(Esce)

SCENA III
Violetta e Annina
ANNINA:
Or fate cor.
VIOLETTA:
Giorno di festa è questo?
ANNINA:
Tutta Parigi impazza è carnevale
VIOLETTA:
Ah, nel comun tripudio, sallo il cielo
Quanti infelici soffron! Quale somma
V'ha in quello stipo?
(indicandolo)
ANNINA: (L'apre e conta)
Venti luigi.
VIOLETTA:
Dieci ne reca ai poveri tu stessa.
ANNINA:
Poco rimanvi allora
VIOLETTA:
Oh, mi sarà bastante;
Cerca poscia mie lettere.
ANNINA:
Ma voi?
VIOLETTA:
Nulla occorrà... sollecita, se puoi
(Annina esce)

SCENA IV
Violetta, sola
VIOLETTA: (Trae dal seno una lettera)
"Teneste la promessa... la disfida
Ebbe luogo! il barone fu ferito,
Però migliora Alfredo
È in stranio suolo; il vostro sacrifizio
Io stesso gli ho svelato;
Egli a voi tornerà pel suo perdono;
Io pur verrò. Curatevi... meritate
Un avvenir migliore. -
Giorgio Germont".
(desolata)
È tardi!
(Si alza)
Attendo, attendo né a me giungon mai! . . .
(Si guarda allo specchio)
Oh, come son mutata!
Ma il dottore a sperar pure m'esorta!
Ah, con tal morbo ogni speranza è morta.
Addio, del passato bei sogni ridenti,
Le rose del volto già son pallenti;
L'amore d'Alfredo pur esso mi manca,
Conforto, sostegno dell'anima stanca
Ah, della traviata sorridi al desio;
A lei, deh, perdona; tu accoglila, o Dio,
Or tutto finì.
Le gioie, i dolori tra poco avran fine,
La tomba ai mortali di tutto è confine!
Non lagrima o fiore avrà la mia fossa,
Non croce col nome che copra quest'ossa!
Ah, della traviata sorridi al desio;
A lei, deh, perdona; tu accoglila, o Dio.
Or tutto finì!
(Siede)
CORO DI MASCHERE: (all'esterno)
Largo al quadrupede
Sir della festa,
Di fiori e pampini
Cinto la testa
Largo al più docile
D'ogni cornuto,
Di corni e pifferi
Abbia il saluto.
Parigini, date passo
Al trionfo del Bue grasso.
L'Asia, né l'Africa
Vide il più bello,
Vanto ed orgoglio
D'ogni macello
Allegre maschere,
Pazzi garzoni,
Tutti plauditelo
Con canti e suoni!
Parigini, date passo
Al trionfo del Bue grasso.

SCENA V
Detta ed Annina, che torna frettolosa
ANNINA: (esitando)
Signora!
VIOLETTA:
Che t'accade?
ANNINA:
Quest'oggi, è vero?
Vi sentite meglio?
VIOLETTA:
Sì, perché?
ANNINA:
D'esser calma promettete?
VIOLETTA:
Sì, che vuoi dirmi?
ANNINA:
Prevenir vi volli
Una gioia improvvisa
VIOLETTA:
Una gioia! dicesti?
ANNINA:
Sì, o signora
VIOLETTA:
Alfredo! Ah, tu il vedesti? ei vien! l'affretta .
(Annina afferma col capo, e va ad aprire la porta)

SCENA VI
Violetta, Alfredo e Annina
VIOLETTA: (Andando verso l'uscio)
Alfredo!
(Alfredo comparisce pallido per la commozione, ed ambedue, gettandosi le braccia al collo, esclamano:)
VIOLETTA:
Amato Alfredo!
ALFREDO:
Mia Violetta!
Colpevol sono... so tutto, o cara.
VIOLETTA:
Io so che alfine reso mi sei!
ALFREDO:
Da questo palpito s'io t'ami impara,
Senza te esistere più non potrei.
VIOLETTA:
Ah, s'anco in vita m'hai ritrovata,
Credi che uccidere non può il dolor.
ALFREDO:
Scorda l'affanno, donna adorata,
A me perdona e al genitor.
VIOLETTA:
Ch'io ti perdoni? la rea son io:
Ma solo amore tal mi rendé.
A DUE:
Null'uomo o demone, angelo mio,
Mai più staccarti potrà da me.
Parigi, o cara/o noi lasceremo,
La vita uniti trascorreremo:
De' corsi affanni compenso avrai,
La mia/tua salute rifiorirà.
Sospiro e luce tu mi sarai,
Tutto il futuro ne arriderà.
VIOLETTA:
Ah, non più, a un tempio
Alfredo, andiamo,
Del tuo ritorno grazie rendiamo
(Vacilla)
ALFREDO:
Tu impallidisci
VIOLETTA:
È nulla, sai!
Gioia improvvisa non entra mai
Senza turbarlo in mesto core
(Si abbandona come sfinita sopra una sedia col capo cadente all'indietro)
ALFREDO: (spaventato, sorreggendola)
Gran Dio! Violetta!
VIOLETTA: (sforzandosi)
È il mio malore
Fu debolezza! ora son forte
(sforzandosi)
Vedi? Sorrido
ALFREDO: (desolato)
(Ahi, cruda sorte!)
VIOLETTA:
Fu nulla Annina, dammi a vestire.
ALFREDO:
Adesso? Attendi
VIOLETTA: (alzandosi)
No voglio uscire.
(Annina le presenta una veste ch'ella fa per indossare e impedita dalla debolezza, esclama:)
Gran Dio! non posso!
(Getta con dispetto la veste e ricade sulla sedia)
ALFREDO: (ad Annina)
(Cielo! che vedo!)
Va pel dottor
VIOLETTA: (ad Annina)
Digli che Alfredo
È ritornato all'amor mio
Digli che vivere ancor vogl'io
(Annina parte)
(ad Alfredo)
Ma se tornando non m'hai salvato,
A niuno in terra salvarmi è dato.
(sorgendo impetuosa)
Gran Dio! morir sì giovane,
Io che penato ho tanto!
Morir sì presso a tergere
Il mio sì lungo pianto!
Ah, dunque fu delirio
La cruda mia speranza;
Invano di costanza
Armato avrò il mio cor!
Alfredo! oh, il crudo termine
Serbato al nostro amor!
ALFREDO:
Oh mio sospiro, oh palpito,
Diletto del cor mio!
Le mie colle tue lagrime
Confondere degg'io
Ma più che mai, deh, credilo,
M'è d'uopo di costanza,
Ah! tutto alla speranza
Non chiudere il tuo cor.
Violetta mia, deh, calmati,
M'uccide il tuo dolor.
(Violetta s'abbatte sul canapé)

SCENA ULTIMA
Detti, Annina, il signor Germont, ed il Dottore
GERMONT:
Ah, Violetta!
VIOLETTA:
Voi, Signor!
ALFREDO:
Mio padre!
VIOLETTA:
Non mi scordaste?
GERMONT:
La promessa adempio
A stringervi qual figlia vengo al seno,
O generosa
VIOLETTA:
Ahimé, tardi giungeste!
Pure, grata ven sono
Grenvil, vedete? tra le braccia io spiro
Di quanti ho cari al mondo
GERMONT:
Che mai dite!
(osservando Violetta)
(Oh cielo è ver!)
ALFREDO:
La vedi, padre mio?
GERMONT:
Di più non lacerarmi
Troppo rimorso l'alma mi divora
Quasi fulmin m'atterra ogni suo detto
Oh, malcauto vegliardo!
Ah, tutto il mal ch'io feci ora sol vedo!
VIOLETTA: (frattanto avrà aperto a stento un ripostiglio della toilette, e toltone un medaglione dice:)
Più a me t'appressa ascolta, amato Alfredo.
Prendi: quest'è l'immagine
De' miei passati giorni;
A rammentar ti torni
Colei che sì t'amò.
Se una pudica vergine
Degli anni suoi nel fiore
A te donasse il core
Sposa ti sia lo vo'.
Le porgi questa effigie:
Dille che dono ell'è
Di chi nel ciel tra gli angeli
Prega per lei, per te.
ALFREDO:
No, non morrai, non dirmelo
Dei viver, amor mio
A strazio sì terribile
Qui non mi trasse Iddio
Sì presto, ah no, dividerti
Morte non può da me.
Ah, vivi, o un solo feretro
M'accoglierà con te.
GERMONT:
Cara, sublime vittima
D'un disperato amore,
Perdonami lo strazio
Recato al tuo bel core.
GERMONT, DOTTORE E ANNINA:
Finché avrà il ciglio lacrime
Io piangerò per te
Vola à beati spiriti;
Iddio ti chiama a sé.
VIOLETTA: (rialzandosi animata)
È strano!
TUTTI:
Che!
VIOLETTA:
Cessarono
Gli spasmi del dolore.
In me rinasce... m'agita
Insolito vigore!
Ah! io ritorno a vivere
(trasalendo)
Oh gioia!
(Ricade sul canapè)
TUTTI:
O cielo! muor!
ALFREDO:
Violetta!
ANNINA E GERMONT:
Oh Dio, soccorrasi.
DOTTORE:
(dopo averle toccato il polso)
È spenta!
TUTTI:
Oh mio dolor!
FINE

Esempio