Materie: | Appunti |
Categoria: | Storia |
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Data: | 22.01.2001 |
Numero di pagine: | 6 |
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Testo
La situazione italiana
Territori dominati dalla Spagna
La pace di Cateau-Cambrésis (1559) affermò l'egemonia spagnola sulla penisola che, di conseguenza si trovò coinvolta nella complessa rete di conflitti che travagliavano l'impero asburgico. In Italia la Spagna governava direttamente tutto il meridione, la Sicilia, la Sardegna, il Ducato di Milano. Genova, la Toscana e i piccoli stati del Centro-nord erano dichiaratamente alleati o in ogni modo sottoposti all'influenza del potente vicino.
Per gli italiani non fu un periodo felice: l'amministrazione spagnola si dimostrò esosa, imponendo tasse e decime, e inefficiente come apparato. I dominatori furono larghi di concessioni e titoli onorifici per la nobiltà, chiedendo in cambio soldi, prodotti e materie prime che permettessero la sopravvivenza di un impero su cui "non tramontava mai il sole"; gli eserciti di questo periodo, inoltre, erano, a differenza di quelli medievali, composti da mercenari e quindi notevolmente costosi. I nobili italiani accettavano onori e benefici ecclesiastici e tartassavano i sudditi per mezzo d'esattori avidi e dispotici. La dominazione spagnola, oltre ad essere stata un periodo in cui la popolazione si scontrava con una giustizia corrotta e incapace di garantire equità, fu anche un periodo di grave crisi economica, dovuta al fatto che le rotte mercantili atlantiche prevalsero su quelle mediterranee. Inoltre il grande afflusso d'oro, argento e altri materiali preziosi dalle Americhe e la conseguente inflazione, causarono il declino dei grandi banchieri italiani, soprattutto fiorentini e senesi. La crisi fu anche demografica: il decremento della natalità colpì soprattutto le città sotto il diretto dominio degli Spagnoli. L'Italia divenne quindi il crocevia delle flotte e degli eserciti spagnoli che andavano a combattere sui diversi fronti. Fu coinvolta in tutti i conflitti europei, pur rimanendo in qualche modo in posizione marginale: anche la Guerra dei 30 anni, che ridusse l'intera Europa ad una sterminata distesa di rovine, ebbe in Italia un'eco molto attenuata.
La Serenissima
Era riuscita a mantenersi indipendente dall'influenza spagnola, ma si dibatteva in una crisi molto profonda. L'apertura delle rotte atlantiche (prima precluse dagli Spagnoli) l'aveva privata del monopolio del commercio delle spezie e aveva spostato verso Nord-ovest il fulcro dei grandi scambi e delle ricchezze che ne derivavano. Ancor più della concorrenza con il nuovo Mondo, Venezia pativa la presenza turca nel Mediterraneo, ostile e bellicosa, che bloccava i residui contatti con i tradizionali mercati mediorientali. Sulle coste africane la lotta contro i turchi fu lunga e drammatica. Alle rapide incursioni musulmane venivano opposte massicce offensive cristiane, minate però dalla scarsa determinazione di alcuni stati, come la Francia, disposti ad accordarsi con i musulmani per trarne vantaggio nei conflitti continentali. L'apice della rivincita cristiana si ebbe nella vittoria navale di Lepanto nel 1571, ottenuta dalle forze riunite di Venezia, Genova, Spagna, Stato della Chiesa, Cavalieri di Malta e Savoia, che costò perdite spaventose da entrambe le parti, ma pose fine al mito dell'invincibilità turca. Ma un mare percorso da flotte e pirati non era adatto agli scambi e così, lentamente, Venezia perse il suo dinamismo commerciale, ritirandosi nei suoi domini dell'entroterra, dal fiume Adda alle Alpi e nella Dalmazia, e vide i suoi possedimenti a Oriente cadere a uno a uno. Cipro si arrese proprio nell'anno della vittoria di Lepanto, la guarnigione venne massacrata e il governatore Bragadin scorticato vivo; Creta cadde quasi un secolo più tardi, dopo una resistenza gloriosa. La Serenissima cercò di mantenere innanzitutto il suo potere e i suoi privilegi: pur sempre ricca e potente, assistette come entità passiva, per quasi due secoli, al declino dei suoi domini.
Stessa sorte toccò a Genova, che della sua rete di possessi e basi conservò solo la povera e riottosa Corsica, sopravvisse meno di Venezia e ancora meno pesò sulle vicende politiche della penisola.
Il Ducato Sabaudo
Il ducato di Savoia era il solo stato italiano a possedere un progetto politico autonomo: i duchi piemontesi avevano mantenuto per secoli domini al di qua e al di là delle Alpi, ma alla fine del Cinquecento avevano optato per una decisa scelta italiana, testimoniata dal trasferimento della capitale del regno da Chambéry a Torino e dall'adozione dell'italiano come lingua ufficiale. L'Italia sembrava offrire maggiori possibilità di espansione ma bisognava prima sgomberare il campo dagli interessi incrociati presenti nel Piemonte, che divenivano altrettanti vincoli per la politica sabauda. I francesi vi mantenevano una presenza militare e lo consideravano tradizionalmente una propria area di influenza ; gli spagnoli bilanciavano le ambizioni transalpine con il possesso di alcune piazzeforti, come Torino, Chieri, Pinerolo e Santhià. Emanuele Filiberto, detto Testa di Ferro, un valente generale che aveva guidato le armate imperiali nella decisiva vittoria di San Quintino contro i Francesi, si mosse diplomaticamente e riuscì ad ottenere per il ducato una certa indipendenza nel 1574. Rispetto al resto d'Italia il Piemonte era ancora uno stato povero e marginale e l'unico tratto di eccellenza era rappresentato dalle tradizioni militari. Emanuele Filiberto favorì inoltre la crescita dell'economia, e rinnovò l'amministrazione, centralizzandola.
Lo Stato della Chiesa
Era lo stato italiano più florido dal punto di vista architettonico, ma il peggio amministrato, poiché i Papi che si susseguirono in questo periodo furono impegnati con la Spagna nella lotta contro la Riforma Protestante. Le piccole province erano infatti dipendenti solo formalmente da Roma, in realtà erano governate da "nobili feudatari" che pensavano al loro arricchimento e all'espansione del loro territorio, piuttosto che allo sviluppo economico . A Roma inoltre l'unica preoccupazione dei baronetti delle classi agiate era quella di accaparrarsi il titolo pontificio per poter poi arraffare il maggior numero di ricchezze e titoli nobiliari consapevoli della fugacità del loro potere. L'assetto interno dello stato, anche se assolutistico e centralizzato diveniva, insieme al potere papale, sempre più vago, vuoto e inutile.
Granducato di Toscana
Nel 1530 era stato restaurato nella città di Firenze il potere dei Medici, cui l'imperatore Carlo V aveva concesso il titolo di duchi. Dopo il breve regno di Alessandro era succeduto Cosimo I, vero fondatore dello stato regionale toscano, che provvide a integrare territorialmente e a organizzare secondo i principi dell'assolutismo. Nel 1555 egli s'impadronì, dopo un lungo assedio, di Siena che costituiva un grave ostacolo all'instaurarsi dell'egemonia medicea sull'intera regione. Mentre unificava la Toscana instaurava una incomparabile, grande ed eccessiva giustizia che restaurò l'ordine nel Ducato (che diverrà Granducato quando il Papa nel 1569 nominerà Cosimo Granduca). Nonostante egli si sia impegnato per vivificare l'economia del suo stato, bonificando i terreni paludosi e risistemando il porto di Livorno, il Granducato si avviava a diventare un paese prettamente agricolo, perdendo del tutto l'importanza finanziaria internazionale che aveva caratterizzato la Firenze dei secoli precedenti. La depressione di Napoli e Roma, il protezionismo veneziano contro le importazioni dalla Toscana, i cattivi rapporti con Genova, fecero sì che al Granducato venisse tolta quell'ampiezza dei mercati che avevano fatto la fortuna dell'industria e dei commerci toscani nell'età comunale e signorile. Sotto i successori di Cosimo I ebbe inizio un processo di irreversibile decadenza, solo a tratti interrotta da periodi di temporanea ripresa. Unica eccezione fu il porto di Livorno che ancora nel XVII secolo e oltre continuò a prosperare, vedendo aumentare i traffici e la popolazione: tutto questo perché i commercianti inglesi e olandesi usavano questo porto come attracco per gli scambi col Medio Oriente; pertanto la circolazione locale del denaro, monopolizzata dagli stranieri, non contribuì affatto a ravvivare le attività produttive della Toscana.
La Repubblica di Genova : "il secolo dei banchieri
Genovesi"
La Repubblica di Genova, passata nel 1528 nel campo asburgico, rimase in seguito schierata a fianco della Spagna. I legami divennero ancora più stretti quando nel 1557 Filippo II dovette dichiarare la seconda bancarotta, che si ripercosse sui Fugger e gli altri banchieri della Germania Meridionale, liberando il campo ai banchieri fiorentini che, rappresentati principalmente dalle famiglie Doria, Spinola, Grimaldi e Centurione, riuscirono ad assicurarsi una sorta di monopolio sulle finanze statali spagnole e divennero talmente potenti che si è parlato di secolo dei banchieri genovesi. Questi pagavano i debiti contratti dalla Spagna sulle varie piazze d'Europa, contro la promessa di rimborso mediante l'argento in arrivo dall'America. Poiché la legge vietava di esportare metalli preziosi dalla Spagna, i banchieri genovesi convertivano l'argento in merci che rivendevano con ulteriore profitto sui mercati europei, in modo da ricostituire il capitale finanziario. Filippo II sempre più bisognoso di denaro per sostenere la sua molteplice attività politica, concedette ampie deroghe alla legge suddetta, così che i banchieri abbandonarono l'operazione commerciale intermedia e si restrinsero alla pura attività finanziaria, ora più rapida e più lucrosa. I tassi di interesse, apparentemente modesti, venivano resi in realtà elevati mediante una serie di artifici, ben noti ai funzionari spagnoli, che però mantenevano il silenzio perché pagati e corrotti dalle banche genovesi. L'insieme di queste operazioni, e di altre simili, aveva però come sua base il flusso di argento americano e poiché esso cominciò ad affievolirsi all'inizio del Seicento, iniziò il tramonto delle banche genovesi. Tale conclusione mette in risalto il carattere puramente artificioso delle iniziative genovesi che non erano fondate sullo sviluppo reale della produzione. Dopo la morte di Andrea Doria, promotore del voltafaccia del 1528, che aveva esercitato un forte potere personale, le condizioni economiche floride non rappresentarono per Genova la premessa per una politica costruttiva, ma servirono solo a mascherarne l'intima decadenza.