la decolonizzazione gandhi la forza della non violenza

Materie:Tesina
Categoria:Storia

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Testo

LA DECOLONIZZAZIONE…
Dopo il 1945 prese il via una delle più importanti e profonde trasformazioni che abbiano caratterizzato la storia mondiale del XX secolo: il definitivo tramonto degli imperi coloniali europei e la conquista dell’indipendenza da parte dei popoli colonizzati. A tale fenomeno si dà il nome di decolonizzazione.
Le origini di questa colossale trasformazione che interessò tre continenti risalivano agli anni tra la Prima e la Seconda guerra mondiale, ma essa entrò nella fase decisiva nel secondo dopoguerra. Solo allora, infatti, i popoli sottoposti al dominio coloniale dell’Europa conquistarono, come disse un economista francese, “facoltà di parola”.
RAPPORTO TRA NAZIONI IMPERIALISTE E POPOLI COLONIZZATI…
I fattori che contribuirono a restituire ai popoli colonizzati il diritto di far valere le proprie ragioni furono diversi.
Un elemento determinante fu la disfatta militare delle nazioni imperialiste nella Seconda guerra mondiale. L’Italia e il Giappone persero automaticamente le loro colonie in quanto nazioni sconfitte; ma anche Francia, Belgio e Olanda, schiacciate dai nazisti nei primi mesi di guerra, avevano dimostrato di essere militarmente inefficienti. Quanto alla Gran Bretagna, essa aveva resistito, ma appariva chiaro che la sua vittoria era dipesa unicamente dalla parte svolta in Europa prima di tutto dall’Unione Sovietica e, in secondo luogo, dagli Stati Uniti. Ciò diede ai paesi coloniali la certezza che i colonialisti potevano essere battuti sul terreno militare.
Altrettanto importante fu il ruolo svolto dalle truppe coloniali durante la guerra. La Gran Bretagna aveva mobilitato 2 milioni di Indiani; l’armata della “Francia Libera” del generale De Grulle era essenzialmente composta da Africani del Nord; nel cimitero militare francese di Montecassino e in quello di Roma, i due terzi delle tombe sono di soldati musulmani. Le nazioni occidentali non poterono non tenere conto del contributo di tante vite umane.
Infine, nel caso delle colonia britanniche, giocò una parte importante l’educazione occidentale delle élites locali. A causa della loro scelta di non amministrare le colonie direttamente, ma attraverso i gruppi dirigenti indigeni, gli Inglesi avevano formato nelle loro università numerosi giovani indiani, africani ecc.. nelle scuole bianche essi erano stati sottoposti a una discriminazione psicologica molto pesante, ma contemporaneamente avevano imparato sui libri concetti nuovi come libertà, uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, democrazia, nazione. Questo contrssto creò le premesse per la formazione di gruppi dirigenti nazionalisti, pienamente consapevoli del diritto degli uomini a essere liberi e indipendenti e pronti a lottare contro i bianchi per questo obiettivo.
CHE COSA MUOVE I POPOLI COLONIZZATI
Da parte dei popoli colonizzati la spinta più forte venne dal rifiuto della dipendenza economica. Nessuno sviluppo era possibile finché le nazioni imperialiste, dopo avere distrutto le manifatture artigiane locali, sottraevano alle colonie le loro materie prime e pagavano la manodopera con salari miserabili.
Nelle colonie la crisi economica era aggravata da un’esplosione demografica dovuta sia all’elevata natalità, che caratterizzava delle società asiatiche e africane, sia all’abbassamento della mortalità infintile determinato dall’uso di antibiotici e di altri medicinali introdotti dagli Europei. Per questa popolazione in crescita troppo rapida non vi erano posti sufficienti nelle miniere e negli stabilimenti gestiti dagli Occidentali e, in alternativa, essa non aveva più nemmeno campi da coltivare né attività manufatturiere da svolgere.
Il rifiuto della dipendenza economica si accompagnò al rifiuto dell’assoggettamento culturale. In molti luoghi le religioni – come l’induismo in India e soprattutto l’islàm nei paesi arabi – svolsero un ruolo decisivo nel motivare la decisione di non uniformarsi ai valori occidentali.
IL NEOCOLONIALISMO SOSTITUISCE L’IMPERIALISMO
Nella storia dell’umanità, un problema eliminato ne crea quasi subito un altro. Fermo restando che la decolonizzazione è stata un movimento necessario e positivo, non sempre essa ha creato immediatamente le premesse per il rapido ed equilibrato sviluppo del Terzo Mondo.
Soprattutto nell’Africa Nera i governi dei nuovi Stati indipendenti non costruirono nuovi modelli. Si basarono invece sui secolari rapporti personali, familiari o di clan e trasformando le giovani nazioni in luoghi di corruzione e di rivalità etniche. Questa mancata volontà di rinnovamento, da una parte ha favorito la creazione di regimi autoritari, spesso sanguinari, dall’altra ha scatenato fàide tra clan o tra etnìe sfociate in spaventosi massacri di proporzioni bibliche.
In questa zone dell’Africa e altrove, la debolezza degli Stati indipendenti ha consentito la creazione di una nuova forma di oppressione chiamata neocolonialismo, che si attua mediante lo sfruttamento economico e il controllo politico indiretto esercitato attraverso governi-fantoccio. Le più grandi potenze neocolonialiste non sono più le nazioni, ma le multinazionali, società finanziarie o industrie potentissime e dotate di capitali enormi che hanno ramificazioni in diverse parti del mondo e spesso il monopolio assoluto della produzione di determinate merci.

La decolonizzazione…
Il caso esemplare…: L’INDIA
IL DOMINIO BRITANNICO
Tra la fine del 1757 e la prima metà dell’Ottocento la Gran Bretagna si impadronì dell’India pezzo per pezzo. L’India entrò a far parte dell’impero britannico nel 1876 quando la regina Vittoria fu proclamata imperatrice delle Indie. L’India rimase sotto il dominio inglese all’incirca due secoli; per la prima volta l’intera nazione fu unificata sotto un unico governo. A governare questo enorme territorio fu inviato un alto funzionario, che ebbe il nome di viceré. Dal momento che in India in quel periodo si parlavano svariate lingue, l’Inghilterra impose la sua come lingua ufficiale. Il dominio inglese sull’India ebbe due fasi. Dapprima fu soltanto un duro sfruttamento: ad esempio, la fiorente manifattura indiana che produceva tessuti di cotone venne completamente rovinata dalla concorrenza di quella inglese, la quale faceva coltivare il cotone in India con tecniche più avanzate: così i prodotti britannici avevano un costo più volte inferiore di quelli indiani, e talvolta addirittura gli Indiani compravano indumenti e tessuti che erano stati prodotti con lo stesso cotone coltivato in India; anche l’agricoltura indiana fu devastata da quella britannica; l’India, infatti, dapprima era un enorme insieme di villaggi autosufficienti e ciascun villaggio produceva il necessario richiesto dai suoi abitanti, e i campi erano proprietà di tutti; questa “tradizione” era durata centinaia di anni. Con l’arrivo degli inglese si diffuse la grande proprietà latifondistica e i proprietari terrieri si resero conto che era molto più conveniente esportare i prodotti, cosa che fino ad allora non era mai stata svolta. Successivamente, dopo alcune ribellioni, l’Inghilterra modificò il proprio modo di governare l’India, impegnandosi anche a modernizzare la sua economia e a creare una classe media di funzionari indiani istruiti e ben addestrati che collaborassero nell’amministrazione del paese.
Si può sostenere che quella degli Inglesi in India fosse una politica coloniale più intelligente e di larghe vedute rispetto a quella generalmente in uso nell’Ottocento, ma comunque essa mirò soprattutto a mantenere il controllo di quel vastissimo dominio.
Tuttavia il governo britannico realizzò oltre 50.000 km di ferrovie (di cui una è la quarta al mondo per estensione), 60.000 km di strade e la costruzione di scuole, ospedali, ponti, dighe,e grandi bonifiche agrarie. E non soltanto sorsero grandi piantagioni per produrre materie prime, ma vennero anche create numerose industrie locali per trasformarle in prodotti finiti.
L’INDIPENDENZA
La lotta per l’indipendenza dell’India si identifica per gran parte da Mohandas Karamchard Gandhi, detto il Mahatma (“Grande Anima”)., che cercò di far capire ai suoi connazionali indiani che il dominio inglese stata rovinando l’economia del paese, come aveva già fatto con l’artigianato tessile.
Tra le due guerre Gandhi aveva lottato contro il dominio britannico usando un metodo inedito chiamato “resistenza attiva non violenta” e che aveva attirato sul movimento il rispetto e la simpatia di larga parte dell’opinione pubblica occidentale.
In questo periodo il Partito del Congresso aveva avuto a volte al proprio fianco la Lega dei musulmani che però condivideva solo in parte i suoi metodi e aveva un obiettivo opposto: Gandhi combatteva per l’India indipendente ma unita; i musulmani invece volevano uno Stato islamico separato dal resto dell’India.
Dopo essersi opposto all’indipendenza per tutti gli anni Venti e Trenta e avere causato migliaia di morti, nel 1947 il governo britannico concesse l’indipendenza al paese che era stato la “perla” del suo impero. L’esultanza per la vittoria fu però guastata dalla richiesta di seccessione dei musulmani, alla quale Gandhi si oppose invano. Tra la minoranza islamica e la maggioranza induista scoppiarono tumulti sanguinosi (solo a Calcutta ci furono 10 000 morti) e nello stesso anno 1947 l’India venne divisa in due parti:
- l’Unione Indiana a maggioranza induista;
- il Pakistan a maggioranza musulmana, formato da due regioni geograficamente lontane perché separate da 1700 chilometri di territorio indiano.
Gandhi…”La forza della non violenza”
La Vita…
Mohandas Karamchard Gandhi, detto il Mahatma (Grande Anima), è il fondatore della nonviolenza e il padre dell’indipendenza indiana. Nasce a Portbandar in India il 2 ottobre 1869. Dopo aver studiato nelle università di Ahmrdabad e Londra ed essersi laureato in giurisprudenza, esercita brevemente l’avvocatura a Bombay.
Nel 1893 si reca in Sud Africa con l’incarico di consulente legale per una ditta indiana. Qui ebbe subito le prime esperienze personali, sul treno che doveva portarlo a destinazione, benché munito di biglietto, venne allontanato dal compartimento di prima classe perché riservato ai bianchi. A Johannesburg per colpa della sua razza non trova albergo. Queste umiliazioni da lui subite non sono dirette soltanto a lui ma a tutta la sua razza, quindi si dovette scontrare con una realtà terribile, in cui migliaia di immigrati indiani sono vittime della segregazione razziale.
L’indignazione per le discriminazioni razziali subite dai suoi connazionali (e da lui stesso) da parte delle autorità britanniche, lo spingono alla lotta politica; e convoca la colonia indiana d’Africa, dove per far sì che tale gente venga accettata dalla collettività, esorta i commercianti ad essere il più onesti possibile, ad avere più cura della pulizia personale e a dimenticare le differenze di casta.
Gandhi giunge all’uguaglianza sociale e politica tramite le ribellioni pacifiche e le marce. Alla fine, infatti, il governo sudafricano attua importanti riforme a favore dei lavoratori indiani.
Si offre per impartire lezioni di inglese gratuitamente, in modo da istruire la gente che non lo sapesse, fonte di imbrogli e vari raggiri. Successivamente prende contatto con le autorità ferroviarie con le quali raggiunge un patto per cui gli indiani, ben vestiti ed ordinati, potranno usufruire del servizio ferroviario di prima e seconda classe.
Dopo un anno di permanenza in Sud Africa, ed ormai risolta la questione legale per cui vi si era recato egli decide di reimbarcarsi per tornare in India, ma la gente che aveva conosciuto lo esorta a restare ancora per almeno un mese in modo da far guida per gli analfabeti di colore; egli accetta pur non sapendo che quel mese diventeranno poi vent’anni.
Nel 1915 Gandhi torna in India, dove circolano già da tempo fermenti di ribellione contro l’arroganza del dominio britannico (in particolare, per la nuova legislazione agraria, che prevedeva il sequestro delle terre ai contadini in caso di scarso o mancato raccolto, e per la crisi dell’artigianato). Egli diventa il leader del Partito del Congresso, partito che si batte per la liberazione dal colonialismo britannico.
- 1919: prima grande campagna satyagraha (resistenza non violenta) di disobbedienza civile, che prevedeva il boicottaggio delle merci inglesi e il non-pagamento delle imposte. Il Mahatma subisce un processo ed è arrestato.
- 1921: seconda grande campagna satyagraha di disobbedienza civile per rivendicare il diritto all’indipendenza. Incarcerato, rilasciato, Gandhi partecipa alla Conferenza di Londra sul problema indiano chiede l’indipendenza del suo paese.
- 1930: terza campagna di resistenza. “LA MARCIA DEL SALE”, indetta per protestare contro la tassa che vi avevano imposto gli inglesi. Gandhi percorse 140 chilometri a piedi, seguito da una folla che si faceva via via più sterminata, e si recò fino alla riva del mare per raccogliere il sale che la natura regalava agli Indiani e sul quale la corona britannica, mai sazia nella sua avidità di sfruttamento, voleva speculare. Da qui, iniziarono i moti del sale: i contadini non pagarono più l’imposta terriera; il boicottaggio dei tessuti stranieri divenne generale: i funzionari legislativi furono colpiti da ostracismo. I negozianti si rifiutarono di vendere i loro generi più necessari. I tribunali divennero deserti.
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Gli inglesi arrestarono Gandhi e sua moglie, assieme ad altre 50.000 persone. Molti altri Indiani morirono durante la “resistenza attiva”, specialmente quando gli ufficiali britannici perdevano la testa e sparavano sulla gente disarmata lasciando centinaia di morti sul terreno.
Spesso incarcerato negli anni successivi, la “Grande Anima”, rispose agli arresti con lunghissimi scioperi della fame ( importante è quello che egli intraprende per richiamare l’attenzione sul problema della condizione degli intoccabili, la casta più bassa della società indiana).
Nel 1931 fu raggiunto un accordo definito “patto Irwin – Gandhi”, per cui il Governo britannico modificava le leggi sul monopolio del sale, liberava i detenuti politici e revocava le ordinanze speciali ed il Congresso in cambio accettava di partecipare alla Conferenza della “Tavola Rotonda”, nella quale fu raggiunto un vago accordo sulle linee generali della nuova costituzione.
Con l’approssimarsi del secondo conflitto mondiale Gandhi decide di non sostenere l’Inghilterra se questa non garantisse all’India l’indipendenza. Il governo britannico reagisce con l’arresto di oltre 60.000 oppositori e dello stesso Mahatma; il quale non avendo ottenuto quello che voleva, riprese la disobbedienza civile. Questa situazione era molto delicata per il governo britannico che non poteva affrontare anche il problema dell’India visto che la maggior parte delle forse erano impegnate nel conflitto mondiale. Nessun tentativo di riprendere colloquio fu tentato fino alla fine della guerra, intanto la moglie di Gandhi morì in carcere dopo un digiuno di protesta. La svolta decisiva si ebbe nel 1945 quando i mussulmani esposero le loro tesi nelle quali essi auspicavano la creazione di uno stato mussulmano separato. Queste tesi prevalsero e il 15 agosto del 1947 l’India si spaccò in due Stati distinti: il Pakistan e l’Unione Indiana.
Per definire i confini vennero istituite due commissioni miste ma che stentavano a raggiungere un accordo, questa situazione scatenò una guerra tra mussulmani ed hindù che alla fine di quel fatale 1947 provocò circa un milione di morti e circa 5 milioni di profughi. In questa situazione Gandhi ormai vecchio e solo lottò con tutte le sue forse, pure quando l’India divenne indipendente, rischiando anche di morire di fame, ma riuscendo a portare la calma almeno a Calcutta.
Si recò di nuovo a Delhi, dove le violenze degli estremisti hindù erano molto accese; qui egli si recava ogni sera per pregare all’aperto, in quiete, ma la sera del 30 gennaio 1948 un giovane fanatico militante lo seguì e lo uccise con colpi di pistola a ripetizione. Così si chiudeva la vita di Gandhi all’età di 78 anni dopo aver lottato per tutta la vita per affermare un ideale di non violenza e amore, ed era caduto vittima di quelle stesse passioni che aveva cercato di esorcizzare…
IL MESSAGGIO che il Mahatma ci lascia è molto attuale e la storia contemporanea, purtroppo, continua ad essere macchiata dalla guerra e dalla violenza.
Gandhi, “piccolo grande uomo” , riesce con le sue sole forse, a sconfiggere il potente Impero britannico e a realizzare il suo grande sogno dell’Indipendenza per il suo paese. Come? Con la forza sbalorditiva della nonviolenza, del boicottaggio pacifico, della resistenza passiva e della ricerca della verità (Dio).
Gandhi dimostra che la forza del singolo uomo può diventare la forza di un intero popolo. Non dobbiamo quindi disperare se ci sembra che poteri superiori vogliano decidere per noi e armarci la mano. Gandhi stesso, con le sue parole, ci incoraggia a “cercare…la propria strada e… seguirla senza esitazioni “ e a “non avere paura”. Rivolgendosi a ciascuno di noi aggiunge “…affidati alla piccola voce interiore che abita il tuo cuore e che ti esorta ad abbandonare… tutto, per dare la tua testimonianza di ciò per cui hai vissuto e di ciò per cui sei pronta a morire…” (The Bombay Chronicle, 9 agosto 1942).
Il precetto della seguente strofa didattica di Gajarati – “rispondere al male con il bene” – fu il principio guida di Gandhi:
“Per una scodella d’acqua
rendi un pasto abbondante;
per un saluto gentile
prostati a terra con zelo;
per un semplice soldo,
ripaga con oro;
se ti salvano la vita,
non risparmiare la tua.
Cosi parole e azione del saggio riverisci;
per ogni piccolo servizio,
dà un compenso dieci volte maggiore:
Chi è davvero nobile,
conosce tutti come uno solo
e rende con gioia bene per male”.
(M.K. Gandhi, “L’arte del vivere”).
“La nonviolenza è il primo articolo della mia fede e l’ultimo del mio credo” (Gandhi parla di se stesso)
“Sono un incorreggibile ottimista. Il mio ottimismo si fonda sulla convinzione che ogni individuo ha infinite possibilità di sviluppare la nonviolenza. Più l’individuo la sviluppa, più essa si diffonderà come n contagio he a poco a poco contaminerà tutto il monod”.
“…non c’è liberazione per alcuno su questa terra,né per tutta la gente di questa terra, se non attraverso la verità e la nonviolenza, in ogni cammino della vita, senza eccezione”,
(Gandhi, “La Forza della verità”)
“La mia vita è il mio messaggio”
“La vera moralità non consiste nel seguire il sentiero battuto, ma nel cercare ciascuno la propria strada e nel seguirla senza esitazioni”
(Gandhi, “L’arte del vivere”)
“…l’amore non conosce mai la paura…”
“una cosa è certa. Se la folle corsa agli armamenti continua, dovrà necessariamente concludersi in un massacro quale non si è mai visto nella storia. Se ci sarà un vincitore, la vittoria vera sarà una morte vivente per la nazione che riuscirà vittoriosa. Non c’è scampo allora alla rovina incombente se non attraverso la coraggiosa e incondizionata accettazione del metodo non violento con tutte le sue mirabili implicazioni. Se non vi fosse cupidigia, non vi sarebbe motivo di armamenti. Il principio della non violenza richiede la completa astensione da qualsiasi forma di sfruttamento. Non appena scomparirà lo spirito di sfruttamento, gli armamenti saranno sentiti come un effettivo insopportabile peso. Non si può giungere a un vero disarmo se le nazioni del mondo non cessano di sfruttarsi a vicenda”.
(Gandhi, “Antiche come le montagne”)

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