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Testo
L’EUROPA E IL MONDO DAL 1815 AL 1870
La periodizzazione proposta, pur convenzionale come ogni altra, assume come termine iniziale il Congresso di Vienna che definì l’assetto geopolitico dell’Europa e ne condizionò pesantemente le vicende di politica estera per tutta la prima parte del secolo; come termine finale viene posto il 1870 anno della guerra Franco-Prussiana che conduce ad un riassestamento dei rapporti tra le potenze, al definitivo tramonto dell’ordine della restaurazione e alla nascita dell’Impero Germanico che diverrà la nuova potenza egemone nell’Europa continentale ed attorno al quale si andranno a definire i nuovi assetti ed equilibri internazionali.
PRIMA PARTE: DAL 1815 AL 1848, dalla strategia della restaurazione alla rivoluzione generale del 1848
Caratteristiche generali del periodo:
1) Ritorno alla politica di equilibrio settecentesca dopo il quindicennio di egemonia della Francia napoleonica. Scontro, nell’Europa della restaurazione sancita dal Congresso di Vienna, tra:
a) la strategia delle forze reazionarie e conservatrici: ristabilire la situazione prerivoluzionaria e prenapoleonica attraverso il ritorno all’ Ancien Regime (principio di legittimità, Santa Alleanza, principio di equilibrio, principio d’intervento, alleanza trono-altare, rinascita valori religiosi e teocratici);
b) la strategia delle forze innovatrici: riprendere le novità politiche, sociali e culturali sorte nel periodo della rivoluzione per riformare o rivoluzionare l’assetto socio-politico interno degli stati e i rapporti di politica internazionale (liberalismo, liberismo, principio di nazionalità, diritti civili e politici, costituzionalismo, democrazia).
2) Affermazione dei principi liberali, nazionali e democratici come nuovo criterio di legittimità dello stato. Sostituzione, come nella rivoluzione francese, del criterio che fonda la sovranità sul diritto dinastico e divino dei re, con quello che ne pone le fondamenta nel diritto della nazione di autogovernarsi (autodeterminazione dei popoli).
Sorgono in tutta Europa movimenti nazionali che mirano ad attuare il principio una nazione = uno stato. A tale principio si accompagnano spesso altri due principi:
a) Principio liberale e costituzionale: limitare il potere di intervento dello stato nella società civile per salvaguardare i diritti dell’uomo e del cittadino attraverso un documento – la costituzione – vincolante per chi esercita il potere;
b) Principio democratico: rendere effettiva la sovranità popolare attraverso il principio della rappresentanza e lo strumento del suffragio universale maschile.
3) Sviluppo dell’industrializzazione in Inghilterra e costruzione dell’egemonia inglese nel mondo moderno: Inghilterra diviene massima potenza mondiale (economica, commerciale, militare e coloniale) e, contemporaneamente, la Rivoluzione industriale si diffonde rapidamente in altri paesi (Belgio, Francia) fino a coinvolgere l’intera Europa. Tra i principali fenomeni del periodo, insieme causa ed effetto della R.I., è la rivoluzione delle comunicazioni e dei trasporti grazie alla crescita della rete ferroviaria in tutta Europa.
4) Si costituisce la moderna civiltà industriale: la Rivoluzione industriale non è un evento che rimane limitato alla sfera economica, essa innesca una serie di mutamenti a catena che producono una radicale trasformazione della società nel suo insieme:
• crisi economiche di sovrapproduzione cicliche;
• formazione di un sistema di scambi planetario – mondializzazione dell’economia – retto dalla legge della domanda e dell’offerta (mercato autoregolato);
• trasformazione in merci (mercificazione) di tutti i fattori della produzione: dal lavoro salariato, alla natura (vista solo come materia prima per l’industria), alla produzione artistica e culturale (anche i prodotti delle arti divengono merci il cui valore non è più solamente estetico, ma anche economico).
5) Conseguenze sociali della Rivoluzione Industriale: dal punto di vista del rapporto tra le classi sociali la R.I. determina due principali fenomeni:
a) il definitivo affermarsi della borghesia sulla aristocrazia e il clero anche dal punto di vista del potere politico: moti del 1820-21, 1830-31, rivoluzione del 1848;
b) il sorgere di un nuovo antagonismo di classe tra la classe imprenditoriale (borghesia) e la classe operaia, che prende il nome di questione sociale: rivoluzione del 1848.
Tale scontro tra classi segnerà tutta la storia mondiale successiva, porterà alla formazione del movimento operaio che si proporrà obiettivi sindacali, politici e rivoluzionari – la conquista del potere da parte del proletariato.
6) Emergere della questione contadina con la crisi del ruolo produttivo della classe contadina ed il suo declino sociale e culturale. Urbanizzazione, istruzione organizzata, determinano la crisi del monopolio che la famiglia contadina aveva posseduto dal medioevo nella formazione della cultura popolare di base.
SITUAZIONE GEOPOLITICA DEL PERIODO: IL MONDO NELLA PRIMA METÀ DEL XX SECOLO
Europa: dopo gli sconvolgimenti del periodo rivoluzionario e napoleonico l’organizzazione geopolitica ritorna quella precedente il 1792.
Situazione Mondiale: in generale si assiste ad un arretramento del dominio territoriale diretto delle potenze europee nel mondo anche a causa delle guerre che hanno travagliato l’Europa. Vengono tuttavia poste le premesse per il successivo sviluppo della spinta europea alla conquista del pianeta che porterà l’Europa all’apogeo della sua egemonia mondiale. Il fattore vincente che determinerà la superiorità europea sarà costituito dalla industrializzazione, grazie ad essa tramite l’Europa acquisirà una netta superiorità economica e tecnologica sul resto del mondo. Il tipo di dominio che essa stabilirà sarà di tipo economico: i paesi extraeuropei saranno oggetto di sfruttamento per l’economia europea o come luoghi da cui attingere materie prime a basso costo o come mercati su cui riversare l’immensa produzione industriale.
- La situazione nelle principali aree geopolitiche:
America centrale e meridionale: acquistano l’indipendenza da Spagna e Portogallo e si trasformano in stati indipendenti, cadranno sotto l’influenza economica inglese (1822; 1823, dottrina Monroe.
Nord America: nasce, dalle colonie inglesi ribellatesi alla madrepatria, lo stato federale degli Stati Uniti d’America.
Impero Ottomano: è in piena crisi e la sua debolezza determinerà il sorgere di una questione balcanica ed orientale dovuta all’interessamento delle potenze europee che, grazie alla debolezza cronica dell’impero turco, tendono a operarne la spartizione in aree di influenza ed entrano in conflitto tra loro.
India: è controllata dagli inglesi è costituisce il la “perla dell’impero” britannico.
Giappone: la struttura medioevale che domina il Giappone tende a produrre la sua chiusura dalle influenze culturali, economiche, politiche e commerciali del resto del mondo.
Cina: l’immenso impero cinese tende a proseguire la sua tradizionale politica di isolamento ma viene costretto con la forza ad aprirsi alla politica commerciale europea.
CRONOLOGIA: Dal Congresso di Vienna ai moti del 1848
- Politica
1815: 9 giugno, atto finale del Congresso di Vienna raccolto in 121 articoli e 17 trattati;
20 novembre, secondo trattato di Parigi, condizioni di pace alla Francia;
26 settembre, stipula del trattato della Santa Alleanza, Russia, Prussia, Austria;
20 novembre, Quadruplice alleanza, Inghilterra, Austria, Russia e Prussia;
1820: I moti del ‘20, moti liberali in Spagna ed Italia (Regno delle due Sicilie e Piemonte);
Congresso di Troppeau, viene sancito il principio di intervento;
1821: Congresso di Lubiana, Ferdinando I invoca l’intervento della Santa Alleanza a Napoli;
Inizia la guerra per l’indipendenza greca dalla Turchia;
1822: tutta l’America spagnola diviene indipendente ad eccezione di Cuba e Portorico; anche il Brasile si separa dal Portogallo. È la conclusione di un lungo processo che ha inizio nel 1810 e che prosegue attraverso una serie di insurrezioni e guerre fino al ‘22.
1823: proclamazione della dottrina Monroe (dal nome del presidente degli Usa che la enunciò) contro ogni forma di ingerenza delle potenze europee negli affari del continente americano.
1829: alla conclusione di una lunga guerra e dopo l’intervento delle potenze europee (Russia, Inghilterra e Francia, Patto di Londra, 1827 in funzione anti-turca) si conclude la guerra per l’indipendenza greca.
1830: Moti del ‘30, Moti rivoluzionari si verificano in: Francia, Belgio, Germania, Polonia, Italia. In Francia va al potere la “monarchia di Luglio”, il Belgio diviene indipendente dal Regno d’Olanda. In tutti gli altri paesi i moti falliranno nel giro di un anno.
1831: Mazzini fonda la Giovane Italia.
1846: Pio IX viene eletto papa, si diffonde in Italia il sentimento antiaustriaco e comincia quel periodo che porterà alla concessione degli statuti nei principali stati italiani.
1846-1848: Guerra dell’oppio tra impero cinese e Gran Bretagna. Cogliendo come pretesto il rifiuto della Cina all’importazione dell’oppio nel suo territorio da parte degli inglesi, la Gran Bretagna costringe con la forza militare la Cina ad aprire cinque suoi porti al commercio britannico.
- Economia e Cultura
1790: E. Burke, Riflessioni sulla rivoluzione in Francia, testo di riferimento per il pensiero tradizionalista e reazionario europeo;
1802: Chateaubriand, Il genio del Cristianesimo, ritorno alla tradizione cristiana contro il razionalismo materialista ed ateo dell’illuminismo.
1807: Hegel, Fenomenologia dello spirito, testo fondamentale dell’idealismo tedesco.
1808: Fichte, Discorsi alla nazione tedesca, testo chiave del nazionalismo tedesco.
1810: Madame de Stael, De L’Allemagne, manifesto del Romanticismo europeo, testo fondamentale che favorisce la diffusione del romanticismo tedesco in tutto l’occidente.
1825: entra in funzione in Gran Bretagna la prima ferrovia a vapore.
1818: De Maistre, Du Pape, riaffermazione della teoria teocratica, testo chiave del pensiero reazionario.
1827: Leopardi, Operette Morali; Manzoni, prima edizione dei I promessi sposi.
1839: Cattaneo fonda la rivista Il politecnico, espressione del pensiero liberale radicale in Italia.
il francese Daguerre inventa la fotografia.
1844: il telegrafo di Morse trasmette il primo messaggio; Marx, Manoscritti economico-filosofici,
1845: Marx, Tesi su Feuerbach.
1846: La Gran Bretagna abolisce le leggi sulla limitazione all’importazione del grano, prende pienamente avvio l’era del free trade – libero scambio.
IL SISTEMA MONDO DAL 1871 AL 1918
Alla fine degli anni ‘70 l’egemonia europea sul resto del mondo raggiunge il suo apice e, nei decenni successivi si estende anche al continente africano.
Europa: i rapporti internazionali si basano sul sistema degli Stati Nazionali, a quelli tradizionali si sono aggiunti l’Italia (1861) e l’Impero tedesco (1870). Francia e impero tedesco costituiscono le maggiori potenze continentali e si contendono l’egemonia in Europa, l’intera storia europea sarà caratterizzata dal conflitto tra queste due potenze fino al periodo delle due guerre mondiali. La Gran Bretagna conserva il suo primato economico, militare e commerciale a livello mondiale. La sua politica europea è quella tradizionale di garantire l’equilibrio sul continente. Alla fine del secolo si svilupperà un profondo contrasto tra gran Bretagna e Germania in quanto quest’ultima con il proprio espansionismo economico e militare, minacciava l’egemonia inglese nel mondo e l’equilibrio in Europa.
Americhe: diviene centrale il ruolo degli Stati Uniti che al termine della guerra civile (1861-1865) si avviano ad una prodigiosa crescita economica che ne farà una potenza mondiale. il loro espansionismo si indirizza verso l’America centromeridionale e l’Oceano Pacifico.
Eurasia: l’impero zarista si estende verso l’Asia orientale approfittando della debolezza dell’impero cinese. prosegue inoltre nella tradizionale politica tendente ad aprirsi una strada verso il mediterraneo ai danni dell’impero turco, presentadosi come difensore dei popoli cristiano-ortodossi della penisola balcanica sottoposti al dominio turco. Sarà proprio la regione balcanica a costituire la maggiore area di tensione nei rapporti tra le potenze e a determinare lo scoppio della prima guerra mondiale.
Asia: il Giappone, costretto con la forza ad aprirsi dal suo tradizionale isolamento, vive una fase di modernizzazione che ne trasformerà l’assetto feudale facendo di esso una potenza economico e militare. L’espansionismo nipponico si eserciterà verso gli imperi cinese e zarista.
- Cronologia: 1871 - 1918
1874: Pio IX proibisce ai cattolici di partecipare alla vita politica italiana (Non expedit);
1875: nasce in Germania il Partito Socialdemocratico tedesco (Spd) che si pone alla guida del movimento socialista europeo.
1876: in Italia la destra Storica cede il potere alla Sinistra;
1882: in Italia si ha l’allargamento del diritto di voto; Germania, Austria e Italia stipulano la Triplice Alleanza;
1884: a Berlino si svolge una conferenza tra le grandi potenze europee sulla spartizione dell’Africa che viene divisa in sfere di influenza per evitare conflitti;
1887: in Italia si apre l’epoca dei ministeri presieduti da Crispi; firma del Trattato di controassicurazione Russo - tedesco;
1889: nasce a Parigi la Seconda Internazionale socialista;
1890: viene fondata la colonia italiana di Eritrea nell’Africa orientale;
1891: Leone XIII pubblica l’enciclica rerum Novarum, con cui la chiesa cattolica prende posizione rispetto alla questione sociale e si apre alla società moderna; nasce a Genova il Partito dei lavoratori italiani, poi Partito Socialista.
1896: sconfitta italiana ad Adua da parte degli abissini; si conclude l’epoca dei governi Crispi;
1898: strage di Milano, inizia in Italia la cosiddetta “Crisi di fine secolo”; nasce il Partito socialdemocratico operaio russo.
1900: in Italia viene assassinato il re Umberto I.
1901: la morte della regina Vittoria segna in Gran Bretagna la fine dell’epoca vittoriana durata 64 anni;
1903: inizia in Italia il decennio caratterizzato dai governi presieduti dal liberale Giolitti, durante questo periodo avviene il decollo industriale italiano;
1905: guerra russo-giapponese e sconfitta della Russia, è la prima volta che un paese non - europeo sconfigge una potenza europea; movimento rivoluzionario in Russia;
1910: nasce l’Associazione nazionalista italiana;
1911: inizia la conquista italiana della Libia con la guerra contro la Tirchia a cui la Libia apparteneva; ultimo imperatore: fine dell’Impero cinese;
1912: in Italia si ha il suffragio universale maschile; inizia la Guerra nei Balcani;
1913: in Italia cattolici e liberali giolittiani firmano il patto Gentiloni in funzione antisocialista, si ha così il ritorno dei cattolici alla vita politica.
1914: inizia la Prima guerra mondiale che vede schierate da una parte le potenze della triplice Intesa (Gran Bretagna, Francia e Russia) e dall’altra quelle della Triplice Alleanza (Germania e Austria) ad esclusione dell’Italia che rimane neutrale; inaugurazione del canale di Panama che collega Oceano Atlantico e Pacifico.
1915: con la firma del patto di Londra l’Italia entra in guerra al fianco della Triplice Intesa;
1917: gli Usa entrano in guerra a fianco dell’Intesa;
1918: in Russia scoppia la rivoluzione che, dopo una fase liberale, porta al potere i bolscevichi guidati da Lenin che rappresentano l’ala comunista del movimento rivoluzionario;
1918: crollo degli imperi centrali (Austria e Germania) e conclusione della guerra mondiale; il presidente Usa Wilson presenta un programma di pace basato su 14 punti.
- La dinamica storica del periodo
La realtà sociale, politica, economica e culturale che aveva caratterizzato l’ottocento ha termine con la prima guerra mondiale, ma i processi che condurranno alla scomparsa dell’assetto storico del XIX secolo hanno inizio nella seconda metà di esso. È in tale periodo che hanno inizio le grandi trasformazioni sociali dalle quali prenderà forma l’età contemporanea e che matureranno pienamente nella fin de siècle. La trasformazione dell’economia che passa dall’età del liberismo a quella del capitalismo organizzato attraverso la cosiddetta Seconda Rivoluzione Industriale; la crisi economica che prende il nome di Grande depressione e si sviluppa dal 1873 al 1895; l’affermarsi dell’Imperialismo nella scena politica internazionale ed i conflitti tra le potenze per il predominio sul globo; il diffondersi nei vari stati di forme di Nazionalismo espansionistico, colonialistico e violento; la trasformazione dello stato con la crisi dello stato liberale e la nascita della democrazia di massa; la rivoluzione bolscevica del 1917; la prima guerra mondiale; sono tutti fenomeni strettamente intrecciati tra loro e che caratterizzano questo periodo come una “fase passaggio”, in questo caso la “svolta cronologica” tra i due secoli coincide con la “svolta” tra due diverse epoche storiche.
Il dato generale di maggiore rilievo è dato dalle grandi trasformazioni; dalle contraddizioni economiche, politiche e sociali e dall’interdipendenza tra le varie parti del globo e tra i vari settori della vita sociale. L’Europa raggiunge il dominio del sistema mondo ma con la guerra del 1914 e le trasformazioni cui si è accennato vengono poste anche le basi per il suo declino e la contemporanea affermazione a livello mondiale di nuove potenze extraeuropee quali il Giappone e gli Stati Uniti. Entro tale contesto generale i principali fenomeni ed eventi che caratterizzano la dinamica del periodo sono:
1) l’imperialismo: dalla metà degli anni settanta del XIX secolo fino alla prima guerra mondiale si sviluppa quella che gli storici hanno chiamato “Età dell’imperialismo”. Essa dalla tensione tra le grandi potenze; dall’espansionismo coloniale; dal nazionalismo diretto ad affermare la superiorità della propria nazione sulle altre; dalla tendenza a ricercare nuovi territori come fonti di materie prime, mercati privilegiati per le industrie nazionali e per gli investimenti di capitale. La spartizione del globo determina una situazione di conflitto tra le potenze che sarà uno dei fattori scatenanti della prima guerra mondiale.
2) Il “Capitalismo organizzato”: l’Età del liberismo”, in cui lo sviluppo del sistema industriale capitalistico era incentrato sul libero mercato, sulla concorrenza, sul laissez faire - laissez passer (il free trade degli inglesi), viene meno. Lo sviluppo tecnologico, l’organizzazione razionale e scientifica della produzione, l’intervento dello stato nella vita economica, l’affermarsi del protezionismo, la coincidenza tra detentori del potere economico e di quello politico, innescano un processo di trasformazione globale del sistema economico. A questi fattori è da aggiungere la grande depressione che getta il sistema economico mondiale in un periodo di profonda crisi durato dal 1873 al 1895. La crisi economica caratterizzò sia l’agricoltura europea con il crollo dei prezzi dei prodotti agricoli; sia la produzione industriale mondiale che fu colpita da una crisi di sovrapproduzione, infatti i mercati non riuscivano ad assorbire l’offerta di beni che era superiore alla domanda e questo portò al crollo dei prezzi anche in campo industriale. Il risultato fu la cosiddetta Seconda Rivoluzione Industriale attraverso la quale il capitalismo si sviluppò ulteriormente riorganizzandosi su basi monopolistiche, tecnologiche, di eliminazione del libero mercato e di razionalizzazione scientifica della produzione (taylorismo e fordismo).
3) Sviluppo della scienza e della tecnica: la fiducia nel progresso continua a caratterizzare l’opinione pubblica medio borghese ed il processo di crescita della scienza e della tecnica è irreversibile e si ripercuote non solo sull’economia ma anche sulla vita quotidiana. È sul successo scientifico-tecnologico che l’Europa e gli Stati Uniti fondano il proprio dominio economico e militare sul resto del mondo.
4) La “crisi delle certezze”: in molti ambienti culturali, tra l fine del secolo e l’inizio del nuovo, comincia a diffondersi una profonda critica dei miti positivistici del progresso, della razionalità e dell’ottimismo. Le trasformazioni in atto, i conflitti, la guerra, determinano un clima di sfiducia verso i valori e gli ideali che avevano dominato l’ottocento.
5) La “massificazione”: mentre la società liberale dell’ottocento era incentrata sull’individuo e sulla rivendicazione delle sue libertà e dei suoi diritti, la nuova epoca è caratterizzata dall’affermarsi a tutti i livelli della vita sociale delle “masse”. In politica le masse divengono protagoniste con il suffragio universale; in economia tanto la produzione, quanto il consumo dei beni si “massificano”, si ha la “produzione di massa” ed il “consumo di massa”; in campo sociale le ideologie di massa - come cristianesimo, socialismo e nazionalismo - hanno un’ampia ed esercitano un notevole peso nelle decisioni dei governi che non possono più ignorare le pressioni provenienti dalle masse organizzate in partiti, sindacati e movimenti. diffusione
6) La crisi dello stato liberale e l’affermazione della democrazia di massa: con l’affermazione del suffragio universale, dei partiti di massa di ispirazione cristiana e socialista, la massificazione della società, determinano un nuovo rapporto tra popolazione e stato: la popolazione tende ad organizzarsi autonomamente e sottrarsi al potere statale, lo stato tende a controllare la società civile, integrare la popolazione entro lo stato, controllare le masse secondo quel progetto che è stato definito dagli storici “nazionalizzazione delle masse”.
7) La rivoluzione russa: porterà al crollo del secolare regime zarista, alla nascita di uno stato comunista ispirato all’ideologia marxista: l’Unione Sovietica. Questa diverrà, nel XX secolo, la maggiore potenza mondiale con gli Usa per poi crollare alla fine degli anni ‘80.
8) La prima guerra mondiale (1914 - 1918): che non risolse nessuno dei problemi economici, politici e militari che l’avevano prodotta; portò al tramonto degli imperi multinazionali austro-ungarico, russo-zarista e turco-ottomano; e rese le masse protagoniste prima nella vita militare e quindi in quella politica.
9) L’ascesa degli Usa: già divenuti agli inizi del secolo prima potenza industriale mondiale, il loro intervento si rivelò decisivo per la vittoria dell’Intesa nella guerra, essi divennero anche la massima potenza militare.
10) Ascesa del Giappone: unica potenza “non bianca” di livello mondiale fu protagonista di una forte espansione industriale e coloniale.
La situazione italiana: decollo industriale, riforme politiche, suffragio universale, questione meridionale ed emigrazione, ingresso dell’Italia tra le “potenze moderne”, sono i principali dati che riguardano il nostro paese.
LA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
- DAL LIBERO SCAMBIO ALL’IMPERIALISMO
Grande depressione(1873-1895) rottura clima ottimismo e progresso, prima grande crisi industriale.
- Produzione di massa
La crisi degli anni settanta getta nel disordine l’economia per 20 anni. Ai contemporanei, per le contraddizioni sociali ed economiche e lo squilibrio internazionale, il periodo apparve come una Grande depressione. Si attuò un passaggio decisivo nella storia del capitalismo: il passaggio ad nuova fase dello sviluppo economico, caratterizzata dall’industria di massa e pesante. La caduta dei prezzi, la concorrenza, le guerre doganali, sono il sintomo di un nuovo ritmo di crescita. Cause: tecnologia e scienza applicate sistematicamente a produzione: Seconda Rivoluzione Industriale. Da ciò si innescano processi che trasformano società, economia e politica e che caratterizzano il periodo fino alla prima guerra mondiale. Si passa dalla Fase del libero scambio a quella del capitalismo organizzato.
- Capitalismo organizzato
Si caratterizza per i seguenti fenomeni: concentrazione industriale e finanziaria, razionalizzazione sistema produttivo e mercato, intervento dello stato in economia, burocratizzazione. È inoltre dominante l’esigenza di guidare ed organizzare i processi economici e sociali, ciò in contraddizione con liberismo che affidava la crescita economico-sociale ai processi spontanei di autoregolazione del mercato e di libera concorrenza, atteggiamento sostituito con quello dirigista.
- Razionalizzazione strutture produttive
Riorganizzazione del capitalismo su tre aspetti:
1) applicazione nuove acquisizioni scientifiche ai processi produttivi ed al controllo del lavoro: organizzazione scientifica del lavoro, applicazione della tecnologia massiccia, lavoro di massa.
2) controllo del mercato: cresce la dimensione delle imprese, si riduce il numero dei concorrenti, monopolio, imposizione prezzi e quantità merci.
3) Trasformazione ruolo stato: fine laissez faire e non interventismo stato. Stato protagonista economia con protezionismo, commesse. Protagonista crescita. Potenza stato si identifica con interessi capitalismi nazionali ed interventismo anche militare in loro favore. Dalla libera concorrenza tra piccoli imprenditori si passa allo scontro tra stati: tendenza alla guerra mondiale.
- LA GRANDE DEPRESSIONE
Depressione economica 1873 - 1885, il prevalere dell’offerta sulla domanda de termina caduta dei prezzi, disoccupazione e calo della produzione.
- Crisi di nuovo tipo
La crisi ha inizio con il fallimento a New York della banca di Cooke nel 1873; presto la recessione si diffonde in tutta l’economia mondiale. Ciò dipese da un enorme incremento della produzione di beni che, a livello mondiale, tra il 1850 e il 1870 era aumentata di cinque volte. La domanda non si sviluppa proporzionalmente all’offerta e questo determina il crollo dei prezzi, il fallimento delle imprese, la disoccupazione.
Dati: in Gran Bretagna tra il 1875 e il 1895, l’indice dei prezzi passa da 137 a 90.
Crisi: dipende dall’eccedenza dell’offerta sulla domanda, è sovrabbondanza di beni che provoca fallimenti, licenziamenti, povertà; il meccanismo della “crisi industriale” tipica del capitalismo di fine ‘800 è paradossale: l’eccessiva “ricchezza” produce miseria.
Crisi di Ancien régime è determinata da penuria: carestie e siccità, carenza di beni; è quindi una crisi di sottoproduzione; quella moderna deriva invece dalla eccessiva abbondanza di beni che il mercato non è in grado di assorbire. Si tratta quindi di crisi di sovrapproduzione o sottoconsumo.
- Crisi di lunga durata
• La caduta dei prezzi industriali continua per tutti gli anni 80, ancora più accentuata quella prezzi agro-alimentari;
• tra il 1873 e il 1895 il calo medio dei prezzi industriali e del 40%, quello dei pressi agrari è del 50%. La continuità del fenomeno indusse a vedere nel periodo 1873 1895 un’unica grande crisi di qui il nome di grande depressione.
• nel ventennio vi furono periodi di ripresa (1879-1882, 1886-1890) ma fino al 1895 le fasi recessive furono intense e ravvicinate. Si può quindi considerare tale periodo come un periodo unitario dominato dalla caduta dei prezzi e dalla incapacità di riprendere la crescita economica del periodo 1848-1870.
- Sovrapproduzione
La sproporzione tra produzione e consumo dipese da tre fattori:
a) progresso tecnico: che determinò una crescita eccessiva della produzione;
b) aumento numero paesi industriali: a quelli tradizionali (GB, Francia, Belgio) se ne erano aggiunti nuovi (Germania e Usa) con enormi capacità produttive, e altri ad industrializzazione lenta ma significativi (Italia, Russia, Giappone). Aumenta quindi la concorrenza sul mercato mondiale, inoltre lo sviluppo dei trasporti determina l’unificazione del mercato mondiale consentendo di invadere il mercato di ogni paese in breve tempo e a costi bassi. Quindi il volume di beni disponibili satura le capacità di assorbimento dei mercati.
c) imposizione di bassi salari: le capacità acquisto sul mercato sono limitate dalla strategia perseguita per far fronte alla crisi diminuendo i costi di produzione con una politica di bassi salari. Questa drastica riduzione ebbe effetti controproducenti, abbassando il potere d’acquisto della popolazione, non ebbe l’effetto di migliorare la situazione economica, ma determinò un ulteriore abbassamento della domanda e dei consumi che aggravò la crisi.
- LA CRISI AGRARIA E LE TRASFORMAZIONI
DELL’AGRICOLTURA
Con la crisi di sovrapproduzione industriale si intrecciò la crisi agraria. Ebbe carattere mondiale e consistette in una catastrofica caduta dei prezzi e conseguente disoccupazione nel settore a cui seguì un massiccio esodo dalle compagna e il fenomeno della emigrazione
- Cause della recessione
Lo sviluppo nei trasporti aveva determinato l’unità del mercato mondiale, nuovi paesi erano emersi come potenze produttrici in ambito agricolo quali Usa, Argentina, Australia, ciò aveva aumentato la concorrenza. In questi paesi la produttività agricola era enormemente superiore e i costi di produzione più bassi. In Usa la produzione del grano costava la metà che in Europa, e la produttività aumenta dieci volte di più di quella russa e 5 volte di quella italiana.
Questo determinò la crisi agraria in Europa: tracollo dei prezzi dei beni agro-alimentari non più remunerativi, quindi fallimenti, disoccupazione e miseria.
- Calo occupazione agricola
Si ha una trasformazione radicale dell’agricoltura: esodo dalle campagne, calo progressivo occupazione in agricoltura che diviene un fenomeno strutturale dando luogo ad urbanesimo ed emigrazione.
- Trasformazioni agricoltura mondiale
L’agricoltura mondiale subì un radicale processo di ristrutturazione:
a) alcuni paesi (Gran Bretagna, parte Germania) si specializzarono nella produzione di beni industriali e con l’importazione soddisfarono il proprio fabbisogno di prodotti agricoli;
b) altri paesi passarono a produzioni pregiate, redditizie e a basso costo abbandonando le colture tradizionali (Europa settentrionale: latticini);
c) in area centroeuropea si riorganizzò l’agricoltura secondo criteri di concentrazione e modernizzazione per far fronte alla concorrenza americana.
- Conseguenze sociali
• In tutta Europa occidentale peso politico, economico e sociale della piccola proprietà contadina viene meno; essa è sostituita da grandi aziende agrarie di tipi capitalistico, si innesca il conflitto tra capitalismo agrario e braccianti.
• Aree europee meridionali e orientali, dominate dal latifondo (coltivazione estensiva, “proprietà assenteista”), l’industrializzazione insufficiente non poté assorbire la disoccupazione contadina e si determinò il fenomeno dell’emigrazione massiccia o in altri paesi europei o extraeuropei (Americhe, Australia).
− IL CAPITALISMO ORGANIZZATO: BANCHE, IMPRESE E STATO
Le conseguenze della crisi industriale e agraria sono tali da mutare profondamente ed irreversibilmente il sistema economico mondiale. Gli stati intraprendono politiche protezionistiche si attuano processi di concentrazione industriale e finanziaria. L’economia acquista le caratteristiche che la contraddistingueranno fino ai primi decenni del XX secolo.
- Il protezionismo
Prima conseguenza della Grande depressione fu la fine del libero scambio e l’instaurarsi di politiche protezionistiche. A causa della concorrenza internazionale, e della caduta dei prezzi, gli stati, per proteggere l’industria e i mercati nazionali impongono pesanti barriere doganali. Nel 1878 la Germania adotta per prima una politica protezionistica seguita, in breve, dagli altri stati, nel giro di un decennio tutti i paesi industrializzati ad eccezione della Gran Bretagna introducono pesanti “tariffe doganali”. L’effetto è quello di un aggravamento della crisi del commercio internazionale in quanto i mercati degli stati nazionali risultano chiusi e l’ingente quantità di beni non trova sbocco. A ciò sono da aggiungersi le “guerre doganali” tra i vari stati che aggravano la situazione di conflittualità tra essi, sarà anche da tale tensione commerciale che deriverà la prima guerra mondiale.
- Il ruolo attivo dello Stato in economia
Lo Stato Nazionale diviene protagonista dell’economia attraverso: il protezionismo, le commesse pubbliche (acquisti di beni e merci che lo stato effettua alle industrie nazionali). La crescita dell’industria pesante viene sempre più a dipendere dallo stato, specie dalle commesse militari.
- La concentrazione industriale
Seconda conseguenza della Grande depressione fu il processo di concentrazione industriale. Il numero delle imprese industriali e finanziarie tende a ridursi e le loro dimensioni ad accrescersi. Le cause di tale fenomeno sono:
a) per esercitare un controllo sui prezzi e attutirne la caduta. Se poche imprese controllano il mercato di un determinato bene, la concorrenza diminuisce, e le imprese possono stabilire indipendentemente dal mercato il prezzo e la quantità delle merci prodotte;
b) la concentrazione consentiva di disporre di risorse finanziarie maggiori per fronteggiare la crisi, riunendo molte imprese i capitali a loro disposizione aumentano;
c) altra causa fu la scomparsa, a causa della crisi, delle imprese più deboli.
Si verificò una tendenza al monopolio ed all’oligopolio in tutta l’economia mondiale:
a) monopolio: da “monos” = uno solo; “polein” = vendere. Si ha quando l’intera offerta di un prodotto sul mercato è controllata da un unico venditore (impresa), In regime di mercato monopolistico l’impresa può stabilire prezzo, quantità e qualità delle merci a proprio piacimento non essendovi più concorrenza.
b) oligopolio: da “oligos” = pochi. Quando il controllo del mercato è esercitato non da una, ma comunque da un numero ridotto di imprese, si parla di oligopolio. gli effetti sono simili a quelli del monopolio.
- Vi sono due forme di concentrazione monopolistica:
a) concentrazione verticale: il controllo delle diverse fasi del processo produttivo di un determinato bene, dall’estrazione delle materie prime alla vendita del prodotto finito, viene accentrato nelle stesse mani.
b) concentrazione orizzontale: aziende produttrici dello stesso tipo di merci si uniscono per battere la concorrenza, ad esempio tutte le imprese produttrici di automobili si uniscono.
Quando l’unione di cui si è parlato nasce da una fusione tra le imprese si parla di trust, quando le imprese si limitano ad un accordo mantenendo al loro reciproca indipendenza si parla di cartello, Il risultato è in entrambi i casi simile, eliminazione della concorrenza e controllo dei prezzi.
- L’affermazione della grande fabbrica
L’aumento delle dimensioni delle imprese si accompagna al parallelo processo di ampliamento delle fabbriche che determina l’affermarsi di una produzione di massa con l’aumento del numero degli operai, l’uso massiccio di macchine e tecnologia. Sia la concentrazione che la grande fabbrica sono fenomeni tipici soprattutto dei paesi di industrializzazione più recenti, i late comers (ultimi venuti). Questi infatti possono sfruttare fin dall’avvio dell’industrializzazione le tecnologie e strutture produttive più moderne rispetto a paesi, come la Gran Bretagna, il cui apparato industriale meno recente, è tecnologicamente più arretrato.
- Funzione di banche e borsa
La situazione di crisi e concentrazione determinò un incremento del fabbisogno di capitali per finanziare le innovazioni tecnologiche, i processi di concentrazione, la concorrenza. Il bisogno di capitali impose alle imprese di rivolgersi al sistema finanziario per attingere al risparmio pubblico. Queste forme di finanziamento possono avenire in due modi:
1) tramite il finanziamento bancario. le banche rastrellano il risparmio della massa del pubblico e lo investono nelle attività industriali o sotto forma di prestito alle imprese, o acquistando azioni delle stesse e, spesso, raggiungendone il controllo.
Esistono due tipi di banche:
a) banche commerciali: si limitano a rastrellare il risparmio dei privati cittadini;
b) banche d’affari: investono capitali nelle attività industriali;
n questo periodo nascono le banche miste che, per far fronte alle richieste di ingenti capitali da parte delle imprese industriali, raccolgono il risparmio pubblico e lo investono nell’attività industriale.
2) Altra forma di finanziamento è il ricorso alla borsa. Questa è il luogo di contrattazione (vendita e acquisto) di titoli. Il valore di questi beni finanziari e determinato dalle leggi della domanda e dell’offerta. I titoli possono essere privati, come le azioni societarie di un’azienda, o pubblici, come le “obbligazioni” attraverso cui lo stato finanzia il proprio deficit.
Le aziende si costituiscono in società per azioni e emettono azioni il cui insieme costituisce il capitale dell’azienda. Le azioni vengono vendute in borsa per finanziare l’impresa.
Chi detiene la maggioranza de esse ha il controllo dell’impresa. In caso di necessità possono essere emesse nuove azioni che vendute procureranno all’azienda nuovo capitale.
Attraverso queste forme di finanziamento il peso del capitale finanziario controllato dalle banche diviene sempre maggiore. Infatti molte banche si impossessano del “pacchetto azionario di maggioranza” di numerose imprese di cui assumono la direzione. Questo processo fu accentuato soprattutto in Germania dove quattro banche, le “quattro D” (dalle loro iniziali), controllavano quasi tutto il sistema finanziario e parte di quello industriale.
- LA RAZIONALIZZAZIONE PRODUTTIVA
Il principale fattore di riorganizzazione dell’economia fu la Razionalizzazione della Produzione. Il lavoro di fabbrica venne impostato su “basi scientifiche” per abbreviare tempi e costi ed aumentare la produzione.
- Innovazione tecnologica
L’aumento della produttività industriale fu in primo luogo determinato dal concetrarsi in un breve arco temporale di innovazioni e scoperte tecnologiche fondamentali per l’economia. Una trattazione di questo argomento è contenuta nel paragrafo 1 del capitolo 16 del vostro testo. Qui basta sottolineare la tipologia delle innovazioni:
a) nuovi processi di lavorazione: metodi di raffinazione, lavorazione, montaggio di materie prime e dei prodotti che riducevano costi e tempi. Esempio: invenzione da parte dei fratelli Martin di un procedimento per la lavorazione dell’acciaio che ne diminuì del 50% i costi di produzione;
b) scoperte che danno luogo a nuove attività produttive: è il caso della scoperta della celluloide, fibre tessili e artificiali, coloranti sintetici, dinamite, o la possibilità di utilizzare il petrolio. Tutto ciò consente lo sviluppo dell’industria chimica e petrolchimica;
c) nuove fonti di energia e nuovi strumenti per l’utilizzazione dell’energia: petrolio, elettricità, motore a scoppio a quattro tempi, motori elettromagnetici.
• Chimica, elettromeccanica, siderurgia - che presentano alta intensità tecnologica e di capitale - divengono le industrie trainanti dell’economia. Esse richiedono alti costi per il macchinario e le tecnologie, assorbono quantità enormi di fonti energetiche e di materie prime, per far fronte a queste spese si richiedeva una produzione costante e di massa organizzata scientificamente al fine di ottenere la massima produttività con i minimi costi.
- Scienza e industria
Mentre fino a metà secolo scienza e industria procedono separatamente nel loro sviluppo, in questo periodo si crea una forte saldatura tra le due attività: il lavoro industriale diviene oggetto di studio scientifico e viene organizzato secondo criteri di efficienza. Lo stesso sovradimensionamento e sviluppo tecnologico degli impianti industriali richiese criteri di gestione più “scientifici” e “razionali”. Se all’esterno la razionalizzazione delle imprese si attua tramite la formazione di trust e cartelli, all’interno avviene attraverso l’applicazione della scienza alla produzione.
Il caso della Germania: grazie alla possibilità di avviare il decollo economico con tecnologie moderne per il ritardo con cui essa pervenne all’industrializzazione, grazie alla disponibilità di capitali dovuta al forte sistema bancario, grazie ad un’efficiente sistema di istruzione tecnica, la Germania sviluppa un’industria molto più moderna, avanzata ed efficiente rispetto a quella di altri paesi (per esempio la Gran Bretagna).Questo consente ad essa di sviluppare un aumento notevole della produzione in termini quantitativi, e di conseguire una qualità tecnologicamente elevata dei propri prodotti in termini qualitativi. Nella seguente tabella è riportata il contributo dei paesi più industrializzati alla produzione mondiale espresso in termini percentuali: si può notare il sorpasso di Germania e Usa ai danni dell’Inghilterra
Paese
% prod. ind. mondiale
1870 1913
Inghilterra
31,8% 14,0%
Germania
13,2% 15,7%
Usa
23,3% 35,8%
- L’innovazione organizzativa
In altri paesi l’aumento della produttività si indirizzerà non verso la razionalizzazione della produzione, cioè lo sfruttamento razionale e scientifico delle macchine; ma verso la razionalizzazione del lavoro, cioè un impiego più razionale e scientifico della forza lavoro. È questo il caso degli Usa.
- Il Taylorismo
Fu infatti Frederick Taylor, negli Usa, a farsi portatore del movimento per lo scientifico management, teso ad applicare al lavoro umano i principi di efficienza dell’ingegneria meccanica. L’innovazione consisteva nello scomporre il lavoro nei movimenti più semplici misurando il tempo necessario a compierli. In questo modo si poteva stabilire il modo migliore di compiere un’operazione lavorativa ed il tempo ottimale necessario a compierla. Ispirandosi alla fiducia nella scienza il taylorismo si proponeva come una filosofia capace di risolvere i conflitti sociali: grazie alla scienza si sarebbe potuta produrre una quantità di ricchezza sufficiente per tutti ripartendola secondo criteri oggettivi in funzione del contributo da ciascuno prestato nella produzione. La proposta di Taylor incontrò la forte opposizione dei sindacati che la consideravano una forma di sottomissione dell’uomo alla macchina e di riduzione a macchina della stessa esistenza umana.
Ad Henry Ford, il re dell’auto, si deve l’introduzione della catena di montaggio. Venne sperimentata nel 1913 e, una volta adottata consentì una drastica riduzione dei tempi di lavorazione del prodotto. Con essa è direttamente la macchina a determinare la successione delle operazioni ed il loro ritmo mentre l’operaio diviene una semplice appendice di essa limitandosi alla esecuzione di un gesto sempre uguale ripetuto migliaia di volte. Si ottiene così la completa standardizzazione del lavoro.
STATO LIBERALE E STATO LIBERAL - DEMOCRATICO
L'evoluzione dello stato nel corso del secolo xix è caratterizzata da un duplice conflitto:
1) nella prima metà del secolo i movimenti liberali e democratici si impegnano in una lotta contro l'assolutismo sostenuto dalla politica di restaurazione delle potenze europee. Momenti culminanti di tale lotta saranno i moti del '20 - '21 e del '30 - '31.
2) In un secondo momento, dopo la diffusione dello stato liberale in parte dell'Europa, si assiste al suo graduale evolversi in senso democratico. Tale processo comportò anche momenti di conflittualità tra democratici e liberali che divennero evidenti durante i moti del '48.
Con l'affermarsi in Europa tra fine '800 ed inizio '900 del suffragio universale, prenderà forma una organizzazione statale fondata su un compromesso tra istanze democratiche e liberali.
3) Vi è un terzo aspetto che caratterizza l'evoluzione dello stato tra la seconda metà del xix e i primi anni del xx secolo, si tratta di quel processo di nazionalizzazione delle masse che gli storici denominano con l'espressione "nation building". Si trattò di un fenomeno storico fondamentale poiché esso da luogo allo "stato nazionale" che, nei suoi aspetti essenziali, perdura fino ad oggi.
1 - Modello costituzionale liberal - democratico
1.1 - Cronologia
La riforma dello stato attraverso il ricorso alla costituzione scritta costituisce l'aspetto centrale tanto del conflitto politico, quanto dell'evoluzione dello stato nel corso del xix secolo. Per comprendere tale processo è necessario ricostruire brevemente la cronologia degli eventi che, tra il 1789 ed il 1812, portano alla formulazione delle prime costituzioni scritte. Le carte costituzionali che si affermeranno nell'arco di questi anni saranno infatti i modelli cui faranno riferimento i movimenti politici liberali e democratici del xix secolo.
03/09/1791: l'Assemblea Costituente proclama la nuova costituzione francese cui Luigi xvi giura fedeltà il 14 settembre. Essa prevede un regime monarchico costituzionale a rappresentanza limitata in base al censo, garantisce i diritti dell'uomo e costituirà il modello cui faranno riferimento le future costituzioni liberali - moderate del xix secolo.
giugno 1793: la borghesia perde il controllo del processo rivoluzionario a vantaggio degli esponenti della sinistra più radicale (montagnardi ed in seguito i giacobini). La Convenzione Nazionale approva una nuova costituzione detta dell'anno I e preceduta da una nuova dichiarazione dei diritti. Sia la nuova dichiarazione che la nuova costituzione posseggono un carattere più accentuatamente democratico e costituiranno uno dei modelli dei movimenti democratici radicali del xix secolo.
settembre 1795: il 27/07/1794 (9 termidoro), in conseguenza di un colpo di stato, viene abbattuta la dittatura di Robespierre e si pone termine al periodo detto del "grande terrore". I termidoriani, sostenitori di una politica moderata di ispirazione liberale, varano una nuova costituzione, detta dell'anno III. Di carattere liberale ed antidemocratico, si rifà alla costituzione dell'anno I, pur mantenendo in vigore il regime repubblicano.
1812: a Cadice, durante l'assedio delle truppe napoleoniche, viene proclamata dalla giunta centrale quella che passerà alla storia col nome di "Costituzione spagnola dell'anno dodici". Essa prevedeva un regime monarchico parlamentare ed era fondata sul principio democratico del suffragio universale. Anche questa costituzione riprende quella francese del 1791, ma la sviluppa in una direzione nettamente democratica. Costituirà uno dei riferimenti privilegiati dei movimenti democratici.
04/06/1814: Luigi xviii, designato dal congresso di Vienna legittimo sovrano di Francia dopo la caduta di Napoleone, promulga la Carta del 1814 che, in quanto frutto di una concessione regia, prende il nome di "Charte Octroyée". Essa è espressione di una posizione politica conservatrice moderata che cerca un compromesso con il liberalismo rifiutando la radicale chiusura verso il nuovo e la pretesa di riaffermazione pedissequa del passato propria dei movimenti reazionari più radicali. Costituirà un importante riferimento delle forze monarchiche e liberali più moderate nel corso del xix secolo.
1.2 - Organizzazione dello stato liberal - democratico
Si prenderanno ora in esame le varie costituzione per cercare di individuare e definire il principio liberale e quello democratico e i differenti modelli costituzionali in cui essi si incarnano:
1) costituzione 1791: prevede un regime monarchico costituzionale di tipo liberale che costituirà i modello per tutte le costituzione del xix secolo di ispirazione sociale borghese e di ideologia liberale moderata. Si fonda sulla divisione dei poteri atta a salvaguardare i cittadini dal dispotismo e sulla garanzia dei diritti civili e politici. La magistratura diviene elettiva, il sistema parlamentare è monocamerale e detiene il potere legislativo. Il sovrano nomina i ministri che formano il governo e sono responsabili politicamente verso il re, egli inoltre conserva un potere di veto sospensivo verso le leggi. Viene affermata l'uguaglianza giuridica dei cittadini, difesa la proprietà privata e salvaguardati i diritti umani.
Piuttosto complesso risulta il "sistema elettorale" che viene adottato e che verrà ripreso nella costituzione del 1795 e nella Charte Octroyée. I cittadini vengono divisi in "attivi" (coloro che possedevano un censo minimo di circa due lire tornesi, circa 2,5 milioni di persone in tutta la Francia) e "passivi" (con censo al di sotto della soglia minima). Tuttavia i cittadini attivi non eleggevano direttamente i membri dell'assemblea legislativa, ma eleggevano dei "cittadini elettori" tra coloro che avevano un censo superiore alle 10 lire tornesi (circa 500000 persone). Questi infine avevano la possibilità di eleggere i rappresentanti alla camera scegliendoli tra coloro che avevano un censo superiore alle 52 lire tornesi (circa 50000 persone).
2) Costituzione dell'anno I: la costituzione democratica del '93, votata il 24 giugno, istituisce un regime repubblicano, abolisce la separazione dei poteri, prevede il suffragio universale dell'assemblea legislativa. Essa conferisce inoltre allo stato un potere di intervento per garantire un'uguaglianza non solo giuridica, ma anche economica tra i cittadini, secondo i principi di una democrazia sociale. Tale costituzione non entrerà mai in vigore a causa della situazione di guerra in cui la Francia si trova e per la successiva caduta del regime di Robespierre che ne aveva promosso la elaborazione. Essa verrà considerata nelle epoche successive come la più radicale delle costituzioni cui il processo rivoluzionario diede luogo.
3) Costituzione dell'anno III: approvata il 22 agosto 1795 conferma il regime repubblicano e la libertà economica e di proprietà. Anche l'uguaglianza giuridica viene mantenuta mentre tutto ciò che nella precedente costituzione del '91 comportava la creazione di uno stato sociale e la realizzazione di una democrazia anche economica viene espunto dal testo della nuova carta. Viene anche ripristinata la divisione dei poteri:
potere legislativo: è affidato due camere, il consiglio dei 500 e il consiglio degli anziani, elette con un complesso sistema a base censitaria simile a quello previsto dalla carta del 1791;
potere esecutivo: detenuto da un direttorio di 5 membri eletto con il concorso di entrambe le assemblee legislative. Tale organo nominava ministri e capi dell'esercito.
Vengono garantite anche la libertà religiosa, di pensiero e di stampa.
Nel complesso tale costituzione è espressione delle tendenze moderate della borghesia che riafferma i principi di fondo del liberalismo ed elimina dall'organizzazione dello stato ogni elemento democratico.
4) Costituzione dell'anno dodici: esaltata dai democratici radicali e vista con sospetto dai liberali, la carta spagnola del '12 è fondata sull'affermazione della sovranità nazionale, su un sistema monocamerale eletto a suffragio universale e sulla restrizione dell'autorità regia. Essa prevede uno stato caratterizzato da un regime democratico parlamentare in cui il governo è responsabile verso il parlamento e non verso il re.
5) Charte Octroyée: frutto di un compromesso tra assolutismo monarchico e liberalismo moderato non era il risultato di un riconoscimento da parte del sovrano di diritti naturali propri dei cittadini, ma nasceva come concessione che ai sudditi veniva fatta dal sovrano. Prevede un regime monarchico costituzionale, il governo è responsabile verso il re e non verso il parlamento. Riconosce le libertà civili dei cittadini, la libertà di culto e, in misura parziale, la libertà di stampa. Non attua una autentica divisione dei poteri in quanto il sovrano li concentra tutti su sé. Egli ha potere di nominare e revocare i ministri, proporre e promulgare le leggi, nominare i giudici. Il Parlamento è diviso in due camere. La prima è la Camera dei Pari i cui membri sono di nomina regia, la seconda è la Camera dei Deputati eletti su base ristrettissima censitaria.
Il parlamento aveva solo funzioni consultive e propositive ma era privo di qualsiasi effettivo potere. Il sistema elettorale prevedeva la distinzione in cittadini elettori ed eleggibili. Erano elettori coloro che pagavano almeno 300 franchi di imposte (circa 100.000 persone), eleggibili coloro che pagavano 1000 franchi (circa 15000 in tutta la Francia). Solo la nobiltà terriera e la grande borghesia potevano quindi partecipare alla vita politica.
Un'analisi comparata delle caratteristiche che le costituzioni sopra riportata possiedono, consente di definire i principi di fondo del liberalismo e della democrazia e di formulare il modello costituzionale ideale a cui l'applicazione di tali principi da luogo.
1) Principio democratico: la sua formulazione classica risale a Rousseau. Individua nella nazione, intesa come insieme di tutti i cittadini, il soggetto detentore della sovranità e concepisce lo stato come fondato sulla legge e questa come espressione della volontà generale. Tutti i cittadini partecipano alla vita politica e concorrono alla formazione delle leggi. I concetti di "sovranità nazionale" e "volontà generale" rimandano ad una concezione assoluta della sovranità, ovvero la sovranità dei cittadini non ha limiti. Il concetto liberale di "libertà individuale" passa in secondo piano rispetto alla necessità di subordinare tutti gli individui alla sovranità dello stato, espressione della volontà popolare. D'altro canto tale principio tende a fondare il potere politico dello stato sul consenso e la partecipazione di tutti i cittadini.
modello costituzionale democratico - tale principio da luogo a un modello costituzionale che possiede i seguenti requisiti:
a) suffragio universale: essendo la sovranità del popolo nella sua totalità il sistema elettorale sarà a suffragio universale in modo da garantire che siano salvaguardati i diritti politici di tutti i cittadini. Il parlamento, detentore del potere legislativo, rappresenta la volontà dei cittadini.
b) responsabilità del governo verso il parlamento: qualunque sia il regime politico previsto dalla costituzione democratica (monarchia o repubblica costituzionali) il governo, detentore del potere esecutivo, sarà espressione del parlamento e responsabile politicamente verso il parlamento. Nella democrazia rappresentativa tutti i poteri, compreso l'esecutivo, devono scaturire dall'organo che rappresenta la volontà dei cittadini.
c) uguaglianza giuridica, politica ed economica: nel sistema democratico è prevista l'uguaglianza di tutti i cittadini per quanto concerne i diritti civili, politici ed anche economici. Nelle costituzioni democratiche, come nel caso della costituzione del 1791 o nel welfare state moderno, lo stato si assume la responsabilità di salvaguardare anche il benessere materiale dei cittadini.
d) carattere assoluto della sovranità: nelle prime costituzioni democratiche (è il caso di quella del 1791) la sovranità è conferita al popolo e definita come assoluta: "una, indivisibile e inalienabile". In altri termini non viene accettato il principio liberale della "separazione dei poteri" con la conseguenza di instaurare un dispotismo della maggioranza che impedisce di salvaguardare i diritti e le libertà dei singoli e delle minoranze.
2) Principio liberale: riscontrabile nelle posizioni di Montesquieu. Assume la libertà dei singoli individui come fondamento dello stato e vede nella separazione dei poteri la garanzia fondamentale affinché essa sia rispettata. Il principale problema è quello di porre dei limiti alla sovranità dello stato, la sovranità non è quindi assoluta come nel caso del principio democratico, ma limitata, in questo modo è possibile la salvaguardia della libertà dell'individuo che il principio liberale assume come valore assoluto.
Modello costituzionale liberale: il principio liberale trova espressione sul piano costituzionale attraverso i seguenti punti:
a) rappresentanza limitata: il principio di rappresentanza non è esteso a tutti i cittadini ma è limitato alla classe dei proprietari secondo un criterio censitario. Non si ha quindi "sovranità della nazione", solo una parte dei cittadini partecipa alla vita politica (in genere: proprietari terrieri e borghesia) gli altri sono esclusi e quindi privi di qualsiasi diritto politico perché non proprietari. Solo a chi possiede proprietà e versa tributi allo stato vengono riconosciuti: competenza, disinteresse, senso dello stato ed istruzione che lo rendono atto a godere dei diritti politici.
b) suffragio limitato secondo il censo: dalla caratteristica precedente derivano i sistemi elettorali tipici delle costituzioni liberali che dividono i cittadini in attivi e passivi, riconoscendo di fatto solo alle classi agiate i diritti politici.
c) Responsabilità del governo verso il sovrano: il modello liberale originario (sia che peveda un regime monarchico o repubblicano) tende a riservare al capo dello stato (in genere il re) il controllo dell'esecutivo, sottraendolo quindi ai rappresentanti dell'elettorato. Questo aspetto non nasce in realtà dall'ideologia liberale che anzi prevede la responsabilità del governo nei confronti dell'assemblea rappresentativa, ma dalla necessità in cui le forze liberali si trovarono di giungere ad un compromesso con il ceto nobiliare e conservatore. La costituzione del 1891 e la Charte Octroyée (come poi lo statuto albertino) conferiscono al sovrano il potere di nominare capo del governo e ministri, nonché il potere di revocare tali nomine. Al capo dello stato è anche conferito il potere, a sua discrezione, di sciogliere le camere. Questi meccanismi istituzionali portano ad un ulteriore ridimensionamento del peso effettivo che gli elettori, tramite i loro rappresentanti eletti nelle assemblee, posseggono nella gestione politica dello stato.
d) uguaglianza unicamente giuridica: il modello liberale ricavabile dalle costituzioni precedentemente esaminate, prevede un'uguaglianza unicamente giuridica. La cittadinanza comporta la salvaguardia dei soli diritti civili (libertà di pensiero, di proprietà, economica, religiosa, ecc.), i diritti politici sono riservati ad una ristretta cerchia, mentre i diritti sociali vengono esclusi. Infatti lo status socio - economico dei singoli deve essere il risultato della loro libera iniziativa e non dell'intervento dello stato.
Gli sviluppi delle vicende politiche europee, su cui non è qui possibile soffermarsi, produssero un’evoluzione in senso democratico dello stato liberale che diede luogo allo stato liberal - democratico. Interessa ora rilevare come, da un punto di vista costituzionale, questo comportò la conciliazione dei due principi in un modello costituzionale che recepiva da quello democratico il concetto di sovranità nazionale, il suffragio universale (inizialmente solo maschile) e la responsabilità del governo verso il parlamento; da quello liberale il principio della "separazione dei poteri" e l'importanza della difesa da parte dello stato delle libertà individuali.
2 - Liberalismo politico e Liberismo economico
Pur non essendovi una perfetta corrispondenza tra liberalismo e liberismo da una parte e quello che gli storici definiscono "stato liberale", le premesse teoriche che fungono da guida all'operato ed alla organizzazione di quest'ultimo sono da ricercare in tali concezioni.
2.1 - Il Liberalismo
Essendo impossibile ripercorrere l'intera storia del liberalismo si illustreranno sinteticamente gli aspetti più significativi del liberalismo filosofico e politico senza fare alcun riferimento alla storia del liberalismo ed ai principali esponenti di questo movimento culturale.
Le costanti riscontrabili nell'azione del liberalismo nel xix secolo sono due:
1) sul piano dell'organizzazione costituzionale dello stato, la creazione di istituzioni rappresentative di tipo assembleare che consentivano la partecipazione indiretta di una parte dei cittadini alla politica ed al governo della società (in genere il liberalismo riconobbe questo diritto politico solo alla classe dei proprietari costituita dalla borghesia e dal vecchio ceto nobiliare);
2) sul piano dell'organizzazione sociale viene invece affermata l'autonomia e l'autogoverno della "società civile" che deve essere libera da ogni ingerenza da parte del potere politico. Questo autogoverno richiede la libertà economica intesa come libero scambio di beni sul mercato e la libertà culturale intesa come libero confronto delle idee nell'ambito dell'opinione pubblica. Tale duplice libertà era considerata come condizione per il progresso economico e culturale della società.
A tale strategia politica corrisponde sul piano filosofico una precisa concezione morale imperniata sulla valorizzazione del concetto di "individuo" e "libertà individuale". Per il liberalismo è infatti primaria la difesa dell'individuo da qualsiasi forma di potere o coercizione venga su esso esercitata. Da qui l'importanza dei diritti umani e della necessità di garantirne una solida difesa, necessità che si esprime nelle dichiarazioni e carte costituzionali ispirate ai principi del liberalismo.
L'individualismo che anima il liberalismo si giustifica con il valore che viene riconosciuto alle differenze tra gli uomini. Se l'essenza dell'umanità è data da ciò che accomuna tutti gli esseri umani, la natura propria di ogni singolo uomo è data da ciò che lo differenzia da tutti gli altri.
Questa peculiarità, originale ed irripetibile, che ogni individuo reca in sé è insostituibile e va preservata da qualsiasi tentativo teso ad uniformare ogni differenza. Da questo punto di vista la difesa dell'unicità di ogni individuo ed il diritto di ciascuno a realizzare le proprie originali potenzialità disponendo liberamente della propria vita, acquistano nel liberalismo un valore quasi sacrale.
A tale forma di individualismo risulta complementare la concezione relativistica della morale propria del liberalismo. Esso infatti esclude la possibilità di definire o imporre una dottrina o sistema di valori come verità assoluta, universale e necessaria, che escluda ogni altra posizione. Nessuna dottrina - religiosa, filosofica, politica, ecc. - può pretendere di avere il monopolio della verità, pertanto il liberalismo si batte perché venga riconosciuto il pluralismo dei valori. Questa posizione è di tipo antidogmatico e nasce dal riconoscimento dei limiti della ragione umana e della conseguente impossibilità di giungere ad una verità assoluta. Come sul mercato deve esistere la libera concorrenza tra produttori che esclude ogni forma di monopolio, così nel mondo culturale deve dominare il "libero confronto" tra posizioni diverse e deve essere garantito il "diritto alla critica", ciò esclude qualsiasi forma di intolleranza intesa come pretesa avanzata da una dottrina di imporsi con la forza su ogni altra ponendosi come unica vera. Anche in sede filosofico - culturale deve quindi esistere una libera competizione tra posizioni diverse ed a ciascuna devono essere garantite le stesse possibilità.
La competizione costituisce la molla del progresso tanto economico quanto politico, è infatti attraverso il meccanismo conflittuale della libera concorrenza che avviene la selezione delle migliori merci e valori. Naturalmente, affinché la competizione possa svolgere il suo ruolo selettivo, è necessario che tra le parti in conflitto si diano pari opportunità, se nel mercato - sia esso quello economico o quello culturale - alcuni fossero privilegiati, la competizione risulterebbe falsata e non garantirebbe più che a vincere fossero i migliori. Il problema di offrire pari opportunità diviene quindi essenziale nel liberalismo e tale problema può essere risolto solo se il rapporto di competizione - concorrenza è regolato da norme che pongono tutti i concorrenti nelle stesse condizioni impedendo forme di monopolio.
L'assolutismo, che priva l'uomo della sua libertà politica, economica e culturale, costituisce il principale avversario del liberalismo; contro questo esso si batte richiamandosi al "principio della tolleranza", ma a sua volta tale principio può funzionare solo se esistono regole che assicurino a tutti identiche condizioni per realizzare le proprie capacità e far valere i propri meriti.
2.2 - Liberismo economico
CENNI STORICI: con la denominazione di liberismo si indica quella scuola economica che si sviluppa tra la seconda metà del xviii secolo e la prima del xix e che viene definita "economia politica classica". Principali esponenti di tale corrente di pensiero sono gli inglesi Adam Smith che nel 1776 pubblicò la sua opera principale: Ricerche sopra la natura e le cause della ricchezza delle nazioni; David Ricardo, che pubblicò nel 1817 i Principi di economia politica. Il liberismo economico influenzò in modo decisivo la rivoluzione industriale e costituì il principale indirizzo di politica economica seguito dai principali paesi europei nella prima metà del xix secolo, è per questo motivo che tale periodo viene generalmente definito dagli storici come l'età del libero scambio.
PRESUPPOSTI: la dottrina economica classica si articola a partire da due fondamentali presupposti teorici alla cui validità è vincolata la validità dell'intera teoria:
1) razionalità dei soggetti economici: gli individui agirebbero entro il mercato secondo criteri razionali, il loro comportamento economico sarebbe organizzato al fine di massimizzare i risultati conformemente al proprio personale interesse. Il principio della "massimizzazione dei risultati" implica che chi agisce agisca sempre al fine di ottenere col minimo costo il massimo utile possibile. Se i singoli soggetti economici vengono lasciati completamente liberi di agire sul mercato il loro comportamento non darà quindi luogo ad una situazione di disordine che degenererebbe in anarchia, ma i diversi comportamenti seguirebbero tutti una logica razionale.
In conclusione il liberismo assume che il comportamento umano in campo economico sia razionale e che gli individui siano sempre consapevoli del proprio interesse e in grado di giudicare e calcolare razionalmente i mezzi più efficaci per conseguirlo.
Da tale premessa derivano alcuni fondamentali corollari che il liberismo assume quali regole che la politica economica deve seguire perché sia garantito il massimo sviluppo:
a) libertà di iniziativa: i soggetti che agiscono nel mercato devono essere lasciati totalmente liberi, la loro iniziativa non deve conoscere limiti o vincoli. Questa regola trovava espressione sintetica nella massima del "laissez faire" (lasciate fare).
b) libera circolazione delle merci: non solo i soggetti, ma anche le merci dovevano essere lasciate circolare liberamente sul mercato senza alcuna limitazione protezionistica, tale concetto viene espresso nell'altra massima tipica del liberismo del "laissez passer" (lasciate passare), che in inglese assume la denominazione di "free trade" (libero scambio).
2) Armonia nel mercato di interesse individuale e bene comune: il presupposto della razionalità dei soggetti economici non basta da solo a garantire che il conseguimento da parte dei singoli dei propri egoistici interessi comporti automaticamente un miglioramento per la società nel suo insieme. L'idea stessa appare paradossale se si pensa che, da Aristotele in poi, aveva dominato per secoli la tesi contraria secondo cui "il guadagno di una persona comporta automaticamente la perdita di un'altra". Secondo Smith invece il mercato è regolato da una sorta di armonia spontanea per cui l'interesse egoistico del singolo viene necessariamente a coincidere con il bene comune. Quindi chi agisce in vista del proprio tornaconto personale consegue, inconsapevolmente, un risultato utile per tutta la società. Smith illustra tale tesi con la metafora della "mano invisibile" che guiderebbe i comportamenti individuali verso fini socialmente utili.
Egli illustra questa coincidenza con un esempio: il bottegaio tende a massimizzare il proprio guadagno, ma questo non va a scapito del suo acquirente. Il nostro venditore può infatti incrementare i propri guadagni non certo imbrogliando il cliente con merce scadente, ma offrendo la miglior merce possibile al minor prezzo possibile, egli dovrà quindi trovare il rapporto ottimale tra qualità del prodotti e costi sostenuti per la sua produzione che gli consenta di essere competitivo sul mercato. Se così non facesse la concorrenza avrebbe facilmente ragione di lui. La condizione necessaria affinché egli consegua il suo interesse è quindi che soddisfi l'interesse del cliente. L'esempio dimostra che interesse del singolo e interesse della società (in questo caso dei consumatori) tendono a coincidere e non per la bontà d'animo del venditore, ma per le leggi stesse del mercato che lo costringono ad assumere tale comportamento.
Da questo secondo presupposto deriva uno dei concetti chiave dell'economia classica:
il "criterio del massimo utile" secondo cui: tutti i vantaggi che ogni possibile iniziativa economica comporta per la società si traducono in ricavi e tutti gli svantaggi in costi, per l'impresa che ha promosso tale iniziativa. Lo sviluppo economico delle aziende private nel loro insieme comporta necessariamente un progresso per l'intera società. In altri termini il mercato, grazie al meccanismo che ne determina il funzionamento (la libera concorrenza), costringe le imprese che vogliano rimanere competitive ad assumere quale loro fine il miglior soddisfacimento possibile delle esigenze dei consumatori, quindi la ricerca del profitto è una sola cosa con la ricerca di prodotti sempre più adatti a soddisfare le richieste delle persone. Nel mercato
di concorrenza il successo viene infatti conferito dal pubblico a coloro che meglio soddisfano le sue richieste.
MERCATO E LIBERA CONCORRENZA: essenziale nella dottrina liberista è il ruolo svolto dal mercato che è il luogo di incontro tra l'offerta complessiva e la domanda collettiva. Dal rapporto tra i valori della domanda e dell'offerta dipendono il prezzo dei beni e la loro quantità. Infatti tale rapporto è governato dalla legge della domanda e dell'offerta: "i prezzi salgono se l'offerta è superiore alla domanda e scendono nel caso contrario". Secondo il liberismo il mercato raggiunge una situazione di stabilità quando domanda ed offerta si equivalgono per cui si raggiunge:
a) un prezzo stabile che soddisfa l'interesse che ha l'imprenditore a conseguire un profitto adeguato e quello dei consumatori ad avere un prodotto in cui il rapporto qualità - prezzo sia ottimale;
b) una quantità di merci che sia contemporaneamente adeguata alle capacità produttive delle imprese ed alla domanda collettiva. Questo impedisce che si producano crisi di sovrapproduzione (la quantità di beni è superiore alla domanda) - con conseguente crollo dei prezzi - o di sottoproduzione (la quantità di beni è inferiore alla domanda) - con conseguente inflazione da domanda.
c) una situazione di autoregolamentazione del mercato: affinché la stabilità del rapporto domanda - offerta sia conseguita non è necessario che l'autorità politica intervenga dall'esterno sul mercato imponendo quote di produzione fisse per i diversi beni o prezzi controllati. La peculiarità del liberismo consiste proprio nell'asserire che il mercato è capace di realizzare spontaneamente tale equilibrio, poiché è un meccanismo che agisce impersonalmente secondo la legge della domanda e dell'offerta. Questa legge viene concepita secondo il modello di legge naturale deterministica tipico della fisica classica newtoniana1: tutti i fenomeni economici sono determinati secondo rapporti causali necessari, universali e uniformi nello spazio e nel tempo. Il rapporto tra domanda ed offerta è quindi il riflesso di relazioni causali oggettive che producono l'automatico equilibrio tra i due fattori.
Da questa concezione del mercato deriva l'impostazione di fondo tipica della politica economica liberista che si può riassumere in due principali indicazioni:
1) astensionismo statale: essendo il mercato dotato di meccanismi automatici che ne garantiscono l'equilibrio, non è necessario che lo stato intervenga per regolamentare l'andamento dei prezzi o condizionare la domanda e l'offerta, anzi un simile comportamento da parte dello stato produrrebbe l'alterazione dei naturali rapporti tra tali fattori e determinerebbe il loro squilibrio con conseguenze disastrose sul piano economico. Da qui la tipica dottrina liberista dello stato astensionista secondo cui: l'organizzazione della produzione e della distribuzione dei beni deve essere affidata non all'interventismo dello stato, ma ai meccanismi naturali e razionali del libero mercato.
2) libera concorrenza: tutte le considerazioni fin qui svolte possono essere sintetizzate in una sola regola, quella della libera concorrenza: deve essere lasciata assoluta libertà ai produttori di competere sul mercato, tale regola garantisce la selezione naturale delle imprese migliori, cioè di quelle imprese capaci di offrire prodotti in cui il rapporto qualità prezzo sia il più vantaggioso per il consumatore. Ciò garantisce lo sviluppo economico della società e la coincidenza tra profitto dei singoli privati e bene comune.
CONCLUSIONI: si sono esaminati i principali elementi in cui si articola la teoria economica liberista cercando di mostrare come essi siano interconnessi e formino un sistema compiuto e coerente. A questo punto rimane un'ultima ma fondamentale considerazione da fare, essa riguarda la condizione necessaria affinché la politica economica di libera iniziativa e libera concorrenza possa effettivamente permettere di conseguire tutti i vantaggi che promette. Tale condizione può essere così formulata: richiedenti ed offerenti devono essere privi di ogni potere di influire sul mercato, ovvero consumatori e produttori di beni non devono disporre del potere di condizionare il mercato determinando i prezzi indipendentemente dalla libera concorrenza. Se infatti si hanno concentrazioni oligopolistiche o monopolistiche della produzione vengono a mancare quelle condizioni che consentono l'esistenza del libero mercato ed il corretto funzionamento della legge della domanda e dell'offerta. Questo divenne chiaro soprattutto all'epoca della grande depressione, quando le concentrazioni economiche esercitarono, nei principali paesi industriali (Usa, Germania), il quasi totale controllo dei mercati e si passò ad un regime monopolistico che segnò la fine dell'età del libero scambio e del liberismo classico in quanto il prezzo e la quantità di beni non dipendevano più dalla libera concorrenza, venuta a mancare, ma venivano imposti dai trust e cartelli. In conclusione, si può identificare la condizione necessaria affinché una politica di tipo liberistico sia possibile, nel controllo che l'autorità statale deve esercitare sul mercato al fine di evitare che si costituiscano concentrazioni economiche che determinerebbero il venir meno della libera concorrenza. Per il liberismo il compito proprio dello stato in economia, analogamente a quanto prescrive il liberalismo in campo politico, è quello di garantire a tutti gli operatori economici che operano sul mercato (compresi i consumatori) uguali possibilità al fine di consentire la libera concorrenza nella cui affermazione e difesa consiste l'essenza stessa di questa dottrina economica2. Solo la libera concorrenza tra diversi gruppi per la conquista del potere sul mercato,
economico o elettorale, può consentire un effettivo pluralismo ed un progresso generale della società.
LO STATO TOTALITARIO[G.M.1]
Le trasformazioni sociali, economiche e culturali che si verificano in Europa tra XIX e XX secolo determinano la crisi dello stato liberale che si mostra incapace di adattarsi alle mutate condizioni storiche. La dissoluzione del sistema liberale tradizionale da luogo a due esiti differenti: la democrazia ed il totalitarismo.
Lo stato liberale, evolutosi verso forme democratiche grazie alla diffusione della rappresentanza e del principio della sovranità popolare, sembra uscire vincitore dalla prima guerra mondiale. Infatti le potenze dell'Intesa costituivano un blocco di paesi repubblicani o monarchici a regime costituzionale ed il loro trionfo sugli imperi centrali, ancora caratterizzati da residui di assolutismo, venne interpretato come una vittoria dello stato liberal - democratico.
Tuttavia già a partire dagli anni venti si manifesta in alcuni paesi (Italia, Spagna, Europa centro - orientale) una tendenza all'affermazione di regimi autoritari. L'obbiettivo della presente trattazione non è costituito da un esame del processo storico che produsse l'avvento dei regimi totalitari in Europa3, ma dal tentativo di chiarire i principi e l'assetto organizzativo su cui si fonda lo stato totalitario attraverso l'analisi dei principali modelli interpretativi che di esso sono stati proposti.
1 - Definizione e origini
Il termine di "Stato Totalitario" fu usato per la prima volta in Italia negli anni '20 per caratterizzare lo "stato fascista" in opposizione allo "stato liberale". Nell'Enciclopedia italiana (1932) Mussolini definì lo "ST" come un "partito unico che governa totalitariamente una nazione". Nella Germania nazista venne adoperata la denominazione di "Stato Autoritario". Dopo la seconda guerra mondiale l'espressione si affermò per indicare tutte le dittature monopartitiche (fasciste o comuniste). Sempre nel secondo dopoguerra vennero elaborate anche le più significative teorie sullo "ST", quella di Hannah Arendt4 ("Le origini del totalitarismo", 1951) e di Friedrich e Brzezinski (Dittatura totalitaria e autocrazia, 1956).
A. TEORIA DI ARENDT: Arendt muove dall'assunto che il totalitarismo costituisca una nuova forma di dittatura che, a differenza di quelle tradizionali, non mira solo ad esautorare l'individuo dalle proprie capacità politiche, ma a sopprimere e riformare a propria immagine le istituzioni che governano le relazioni private tra i cittadini. Da questo punto di vista il fine del T è la trasformazione della natura umana, tanto nelle sue componenti esteriori quanto in quelle interiori, in modo da controllare la "totalità" della vita sociale nei suoi molteplici aspetti. Per conseguire il suo progetto di dominio totale della società, il "T" si servirebbe di due strumenti:
1) l'ideologia totalitaria: costruzione di una visione del mondo, assunta come dotata di certezza assoluta e perciò non sottoponibile a critica, che reinterpreta la totalità degli eventi storici considerandoli come espressione una legge evolutiva necessaria della storia. Il "T" assume tale legge come proprio destino storico trovando in esso la propria legittimazione e il principio direttivo della propria azione. Tale ideologia si sottrae ad ogni verifica empirica e sostituisce un mondo costituito da miti e simboli al mondo reale.
2) il terrore totalitario: è il principale strumento utilizzato dallo "ST" per imporre e tradurre in pratica coattivamente la propria ideologia. Esso si scaglia sia contro "nemici reali" (gli oppositori del regime), sia contro "nemici fittizi" definiti di volta in volta a seconda delle esigenze e tendenze politiche del regime. Il terrore totale rende possibile irreggimentare e controllare la totalità delle masse popolari e costituisce l'essenza del "T".
Accanto a tali aspetti fondamentali il "T" sarebbe inoltre caratterizzato da altri due elementi:
3) organizzazione totalitaria: l'imposizione dell'ideologia e del terrore richiede la riorganizzazione dell'apparato statale che è dominato da un "partito unico". Principali strumenti di esso sono:
• élite di partito: organizzazioni di partito e gruppi selezionati caratterizzati da una credenza fanatica nell'ideologia totalitaria che tendono ad uniformare l'insieme delle attività sociali ad essa (sport, tempo libero, lavoro, scuola, ecc.);
• polizia segreta: presiede alla costituzione di un sistema di spionaggio onnipresente che trasforma radicalmente la vita sociale, infatti, potendo chiunque essere informatore o sotto sorveglianza, si innesca un clima poliziesco di reciproco sospetto che avvelena l'intera società
Nonostante le apparenze, nei regimi totalitari non si determina una struttura monolitica del potere, vi è anzi sovrapposizione e confusione di funzioni, uffici e competenze tra le varie strutture gerarchiche che compongono il regime (partito, amministrazione statale, polizia segreta), ciò determina il carattere dinamico ed imprevedibile di tali tipi di regime e consente al "capo" di imporre la propria volontà assoluta giocando sulle rivalità tra le diverse gerarchie.
4) La figura del dittatore: è un altro aspetto tipico del "T", la sua volontà si impone come legge assoluta del partito che è il veicolo attraverso cui viene a realizzarsi. Il capo è anche depositario e massimo interprete dell'ideologia, che appare del tutto soggetta alla sua volontà. Secondo Arendt la "personalizzazione del potere", che viene ad identificarsi nella figura e volontà del capo, è un altro aspetto costitutivo dello stato totalitario.
B. TEORIA FRIEDRICH - BRZEZINSKI: secondo l'impostazione di questi studiosi lo "ST" è definibile individuando i tratti comuni all'organizzazione dei regimi totalitari, questi sono sei:
1) Ideologia ufficiale: sistema di valori e credenze che forniscono una spiegazione di ogni aspetto della vita e dell'attività umana, tutti i membri della società devono condividerla, possiede un valore di verità assoluto. Essa inoltre fornisce un progetto per la trasformazione globale del mondo storico - sociale.
2) Un unico partito di massa: guidato da un dittatore, strutturato secondo una rigida gerarchia, si sovrappone all'organizzazione burocratica dello stato ed è formato da una parte della popolazione che nutre una fede assoluta nell'ideologia.
3) Sistema di terrorismo poliziesco: funge da sostegno all'ideologia ed al partito ma ha anche il compito di sorvegliare quest'ultimo. Utilizza i ritrovati della scienza e della psicologia scientifica per esercitare la sua azione di controllo contro i nemici del regime.
4) Monopolio dell'informazione: il partito, grazie alla moderna tecnologia, esercita il controllo assoluto di tutti i mass media (stampa, radio, cinema).
5) Monopolio forze armate: il partito possiede l'assoluto controllo di tutti gli strumenti per la lotta armata.
6) Controllo centralizzato dell'economia: l'attività economica è governata dal partito attraverso la burocrazia che coordinale unità produttive.
La combinazione di questi elementi e le possibilità offerte dalla moderna tecnologia consentono ai "regimi totalitari" moderni un capacità di penetrazione, controllo e direzione della società qualitativamente nuova e superiore rispetto a qualsiasi regime autoritario del passato.
2 - Confronto dei due modelli
A. DIFFERENZE
Un confronto tra le due concezioni di "ST" permette di individuare le seguenti differenze:
1) Per la Arendt la comprensione del "T" consiste nel fine essenziale che esso si propone: trasformare la natura umana riducendo gli individui ad automi totalmente controllabili e passivi agli ordini; Friedrich - Brzezinski non individuano alcun fine come proprio del "T", ma si limitano ad individuare i tratti che caratterizzano la tipologia dello stato totalitario.
2) Manca in Friedrich - Brzezinski il rilievo che nella Arendt assume il fenomeno della personalizzazione del potere nella la figura del capo che nelle sue mani concentra la direzione di ideologia, terrore ed organizzazione.
3) Mentre per la Arendt la nozione di "totalitarismo" è applicabile solo alla "Germania nazista" ed alla "Russia staliniana", per Friedrich - Brzezinski si applica anche al "fascismo italiano" ed ai "regimi comunisti" della Cina e dell'Europa orientale.
B. CONCORDANZE
Le principali concordanze tra i modelli interpretativi dello stato totalitario elaborati da Arendt e Friedrich - Brzezinski sono:
1) la nuova forma di dominio politico che caratterizza il "T" rispetto ad altri regimi del passato e che conferisce ad esso un potere di controllo e monopolizzazione della vita sociale enormemente superiore a quello raggiunto da qualsiasi altra forma autoritaria di regime precedente.
2) L'individuazione, presente in entrambi i modelli, di "ideologia ufficiale", "terrore poliziesco" e "partito unico di massa" quali elementi caratterizzanti il "T". Questo consente di sostenere che nel regime totalitario cade qualsiasi distinzione tra "Stato" e "Società", in quanto lo stato riesce a penetrare e controllare qualsiasi aspetto della vita sociale grazie agli strumenti sopra ricordati. La società perde qualsiasi forma di autonomia e libertà rispetto al potere politico apparendo politicizzata in tutti i suoi aspetti.
C. SVILUPPI
A partire dagli anni '60 si sono avuti sviluppi nello studio del fenomeno totalitario che, pur ponendo in discussione importanti aspetti delle teorie esaminate in precedenza, non hanno intaccato la descrizione delle principali caratteristiche del regime totalitario. Le critiche si sono appuntate su tre aspetti principali:
1) la tesi per cui lo "stato totalitario" sia una novità assoluta nella storia;
2) la tesi della sostanziale analogia tra regimi fascisti e comunisti;
3) l'applicazione del concetto di "T" a tutti i regimi comunisti e fascisti.
Di questi problemi si prenderà in esame specialmente il secondo per poi proporre un bilancio finale del dibattito sul totalitarismo.
3 - Totalitarismo comunista e fascista
A. PREMESSA
La letteratura critica su tale argomento appare sostanzialmente optare per tre tesi principali:
1) Le teorie classiche del totalitarismo (quelle di Arendt e Friedrich - Brzezinski), avendo ignorato o sottovalutato le differenze tra fascismo e comunismo, hanno consentito l'applicazione del concetto di totalitarismo a tutti i regimi comunisti avvenuta durante la guerra fredda (tra gli anni '50 e '60). Tale uso del concetto di "T" è stato strumentalizzato ideologicamente per giustificare la politica americana nei confronti dei paesi comunisti. Da questa situazione è scaturita la tesi della sostanziale identità tra fascismo e comunismo in generale.
2) In opposizione a tale tesi altri autori hanno sostenuto la radicale differenza tra fascismo e comunismo e la inapplicabilità del concetto di totalitarismo a molti dei regimi comunisti, essi sono giunti al punto da sostenere che la nozione di "T" doveva essere respinta dalla scienza politica in quanto si caratterizzerebbe come risultato di una operazione di propaganda ideologica priva di qualsiasi scientificità.
3) La tesi oggi maggiormente diffusa è quella che, pur accettando le critiche alla teoria classica del "T" e riconoscendo la profonda differenza tra fascismo e comunismo, non respinge il concetto di totalitarismo, che sarebbe in sé valido, ma tende a limitarne il campo di applicabilità. I sostenitori di questa posizione ritengono scorretto applicare il concetto di totalitarismo a tutti i regimi dittatoriali fascisti (l'Italia di Mussolini, la Spagna di Franco, le dittature sudamericane) e comunisti (Cina, paesi dell'est europeo), esso può essere correttamente applicato solo ai casi della Germania nazista e dell'Unione Sovietica staliniana. Si seguirà in questa esposizione la terza di queste tesi.
B. ESAME DELLE DIFFERENZE
Le differenze tra T. comunista e fascista sono riconducibili alle più generali differenze tra comunismo e fascismo. Queste sono principalmente di due tipi:
1) Ideologiche: si tratta di differenze coglibili sul piano teorico e filosofico:
a) l'ideologia comunista (IC) è un sistema articolato coerente che propone sul piano pratico la trasformazione globale della struttura economico - sociale della comunità; L'ideologia fascista, (IF) nella sua versione più radicale (il nazismo), è un insieme di idee e miti meno elaborato sul piano sistematico e che non prevede una totale trasformazione della struttura economico - sociale.
b) L'IC assume quali proprie premesse filosofiche posizioni razionalistiche, umanistiche, universalistiche; si propone come un credo rivolto all'intero genere umano; l'IN è irrazionalistica, antiuniversalistica, si fonda sulla razza assunta quale entità assoluta superiore al singolo e si propone come un credo razzistico che rifiuta l'idea di unità del genere umano.
c) L'IC si basa sulla premessa della sostanziale bontà e perfettibilità dell'uomo e attraverso la violenza e la dittatura mira ad instaurare una situazione sociale di uguaglianza e libertà; l'IN presuppone la corruzione dell'uomo e mira a stabilire il dominio assoluto di una razza su ogni altra, dittatura e violenza costituiscono un aspetto permanente di essa in quanto necessarie a mantenere lo stato di soggezione delle razze inferiori.
d) L'IC si presenta come rivoluzionaria e continuatrice dell'illuminismo e della rivoluzione francese. Essa. promuovendo una più radicale trasformazione della società rispetto a quella compiuta dalla rivoluzione francese, porterebbe il programma di quest'ultima alle sue estreme conseguenze attraverso una rivoluzione più profonda della società che la rivoluzione francese sarebbe stata incapace di condurre. L'IN si presenta come reazionaria ed erede del pensiero tradizionalista della restaurazione di cui accoglie il principio antidemocratico e le componenti irrazionalistiche. Inoltre, in alcuni suoi aspetti -il mito teutonico e della razza ariana, il richiamo al sangue ed alla terra, l'idea di onore- , si rivolgerebbe ad un'epoca storica preborghese.
Naturalmente tutte le differenze sopra riportate concernono non la realtà storica dei regimi comunisti e fascisti, ma le premesse ideologiche, filosofiche, i valori ed i programmi teorici a cui tali regimi si richiamano.
2) Differenze relative alla base sociale: tali differenze riguardano la base sociale di massa che funge da sostegno a tali regimi:
a) Il C si instaura in paesi dove il processo di industrializzazione è agli inizi o non è avvenuto e si pone quale compito quello di promuovere l'industrializzazione forzata della società; il F si instaura dove il processo di industrializzazione è in fase avanzata e suo scopo non è pertanto l'industrializzazione della società, ma piegare ai propri fini una società già industrializzata.
b) Nel C la base sociale del sostegno ed il reclutamento dell'élite è fornito dalla classe operaia e dal proletariato urbano. Nel F base del sostegno e reclutamento dell'élite è fornito dalla classe piccolo borghese (impiegati, piccoli proprietari, artigiani, commercianti, intellettuali, militari, ecc.) che si sente minacciata dal proletariato e schiacciata dal peso della grande borghesia capitalista. Solo in un secondo tempo si aggiunge l'appoggio della grande finanza e della grande industria che tendono a strumentalizzare il F per la realizzazione dei propri interessi.
c) Il C elimina le classi che detenevano il potere economico - politico; il F lascia in vita le vecchie classi dirigenti sia in campo economico che burocratico e militare.
Pur essendo eccessivamente schematiche e generiche, le differenze sopra riportate risultano tali da far ritenere che fascismo e nazismo siano fenomeni differenti e, sotto molti aspetti, contrapposti.
Nonostante le differenze ideologiche e relative alla base sociale, è stato possibile che in entrambi questi regimi (in alcuni di essi e relativamente ad un certo periodo della loro esistenza) si sia potuta affermare una organizzazione totalitaria del potere politico analoga (partito unico, monopolio ideologico, capo assoluto, terrore). È quindi corretto applicare ai regimi comunisti e fascisti il concetto di "totalitarismo" qualora siano in essi presenti, nonostante le differenze, gli aspetti tipici della gestione totalitaria del potere.
E' invece scorretto ritenere che "comunismo" e "fascismo" siano intrinsecamente e necessariamente totalitari. Nel "comunismo" si giunge ad una forma piena di totalitarismo solo con lo stalinismo, nel "fascismo" si ha totalitarismo nella fase più intensa del regime hitleriano.
Non era totalitario il "fascismo italiano" che non soddisfò mai completamente quelle condizioni alle quali si può parlare di totalitarismo in senso stretto. Infatti il partito fascista non riuscì' mai a detenere un controllo totale della società; mancava inoltre nell'ideologia fascista l'assolutizzazione della razza sostituita da elementi nazionalistici tradizionali; il partito fu debole e non riuscì mai a controllare pienamente l'apparato burocratico statale, giudiziario e militare. Nel fascismo fu minimo il "terrore totalitario", mentre si realizzò pienamente la "personalizzazione del potere" anche se non così fortemente da eliminare la monarchia.
3) Differenze relative alla dinamica evolutiva: anche le linee di sviluppo dei due regimi appaiono differire sotto i seguenti aspetti:
a) Il C mira alla costituzione di una società senza classi; il F. alla istaurazione del dominio totale ed assoluto di una razza.
b) La politica economica è tesa alla statalizzazione completa dell'economia ed all'abolizione del libero mercato nel C.; nel F. proprietà privata e mercato libero vengono mantenuti.
4 - Conclusioni sul totalitarismo
Il "T" è una forma estrema di organizzazione del potere politico che mira ad una penetrazione e mobilitazione totale della società. Questo fine viene raggiunto attraverso l'ideologia totalitaria, il partito unico, il terrore, la figura del dittatore. Nel "T" il rapporto tra Stato e non Stato (tutto ciò che non rientra nella sfera d'azione dello Stato: società civile, sfera privata, cultura, ecc.) si configura come una riduzione e subordinazione completa del non stato allo stato, il primo perde qualsiasi autonomia e il secondo non ha più alcun limite all'esercizio del suo potere.
Il concetto di "T" rappresenta una esperienza politica radicalmente nuova e di notevole rilievo storico ed ha avuto conseguenze fondamentali nella storia del XX secolo, tuttavia esso è correttamente applicabile solo ad un numero limitato di regimi politici: nazismo hitleriano e comunismo staliniano.
LE INTERPRETAZIONI DELL’IMPERIALISMO
Introduzione
I fenomeni tipici dell’Imperialismo sono l’estensione violenta da parte di uno stato del proprio territorio a danno di altri stati e lo sfruttamento economico esercitato a danno dei paesi soggiogati. tali fenomeni sono riscontrabili in ogni epoca storica ma il termine “imperialismo” fu usato solo nell’ottocento in Inghilterra per indicare la politica di potenza della Gran Bretagna nei confronti del proprio impero coloniale promossa da Disraeli. È in tale periodo che sono sorte anche le prime teorie dell’imperialismo. La ragione di ciò è da ricercare nel fatto che tra il 1870 e il 1914 si è aperta una nuova fase storica in cui i fenomeni connessi all’imperialismo hanno avuto una particolare estensione ed intensità mai prima riscontrate nella storia.
È infatti in tale periodo che avviene la spartizione del mondo tra le potenze europee, gli Usa e il Giappone. L’intero globo viene sottoposto all’egemonia europea a conclusione di un secolare processo che aveva avuto inizio con l’epoca delle scoperte geografiche e dei primi imperi coloniali nel XV - XVI secolo.
La seconda fase di questo processo si ebbe tra il 1914 e il 1945 con il tentativo da parte della Germania di affermare la propria egemonia in Europa per due volte (in occasione delle due guerre mondiali), del Giappone di egemonizzare l’Asia, dell’Italia ridurre sotto il suo controllo l’area mediterranea. La seconda guerra mondiale segnò il fallimento di questa tendenza.
È questo il motivo del sorgere di un filone di studi che assume come oggetto l’imperialismo. È inoltre importante segnalare come l’atteggiamento odierno verso l’imperialismo tenda ad essere negativo e lo stesso termine abbia acquistato oggi una connotazione negativa mentre in origine esso possedeva un significato positivo. Questo atteggiamento critico nei confronti dell’I. nasce dal rilievo che viene dato oggi al principio dell’autodeterminazione nazionale affermato dalla rivoluzione francese che è in pieno contrasto con l’imperialismo.
Verranno prese in esame alcune delle principali teorie sull’imperialismo sviluppate nei primi anni del XX secolo da diversi autori appartenenti ad aree culturali e politiche differenti. Si comincerà con la classica teoria di Hobson per poi esaminare l’interpretazione marxista, quella socialdemocratica e quella liberale.
La teoria di Hobson
La prima teoria che affrontava in modo scientifico il problema dell’imperialismo fu quella dell’inglese Hobson, economista di tendenza radicali e liberali, che pubblicò nel 1902 l’opera “Imperialism, A Study”. La concezione avanzata da Hobson ebbe molta influenza negli ambienti intellettuali della sinistra socialdemocratica non marxista pur essendo Hobson esponente del pensiero liberal-democratico.
In primo luogo Hobson pone in evidenza la radicale differenza tra il tradizionale colonialismo e il moderno imperialismo. Il colonialismo tradizionale si era infatti prevalentemente manifestato nella forma delle colonie di popolamento, cioè come occupazione di terre pressoché disabitate in zone temperate allo scopo di trasferirvi nuclei di coloni. Nell’imperialismo l’occupazione coloniale riguarda territori tropicali o subtropicali densamente popolati in cui si trasferisce un ristretto nucleo di popolazione bianca allo scopo di esercitare il dominio politico e lo sfruttamento economico sulla popolazione indigena considerata inferiore ed incapace di godere di libertà politica ed economica.
In secondo luogo egli rileva la natura violentemente aggressiva dell’imperialismo che innescava innumerevoli situazioni di guerra tra potenze rivali e spartiva il mondo in un insieme di imperi concorrenti in uno stato continuo di tensione che poteva trasformarsi in guerra di tutti contro tutti. Questa era una novità, infatti l’idea di Impero del passato era cosmopolita, non contrapponeva una nazionalità all’altra, ma si poneva come una federazione di stati che garantiva pace e benessere a tutti i popoli posti sullo stesso piano come nel caso dell’impero romano e della pax romana.
In terzo luogo Hobson sottolinea le radici culturali ed ideologiche dell’imperialismo che poggia sul darwinismo sociale secondo cui la forza e la potenza sono la base su cui è possibile trionfare nella struggle of life (lotta per la vita), è infatti attraverso la lotta per la sopravvivenza che avviene la selezione dei migliori ed in tale lotta a prevalere è il più forte.
Tale concezione, applicata alla relazioni internazionali poneva quale base del rapporto tra stati la forza ovvero il diritto del più forte. Si comprende così come venissero giustificate non solo l’aggressività e violenza esercitata nei confronti delle popolazioni soggiogate, considerate inferiori per natura, ma anche la lotta all’interno della “razza bianca”, lotta in cui ciascuna nazione poneva nella forza e nel superiore diritto al dominio di altre genti il principio fondamentale per l’affermazione della propria esistenza.
Ma i fattori decisivi che determinarono la genesi dell’I. sono per Hobson di natura economica: concentrazione monopolistica, crescita dell’industria pesante e primato del capitalismo finanziario. All’origine dell’I vi sono due tipi di fenomeni economici:
a) gli interessi di quei gruppi economici che si arricchiscono grazie alle spese necessarie per portare avanti una politica imperialistica: industrie belliche, ferroviarie, minerarie; o gli interessi di quei gruppi sociali che vedono aumentare il proprio peso grazie all’imperialismo come la casta militare e burocratica.
b) La supremazia del potere finanziario interessato ad investire i propri capitali in arre più redditizie rispetto al territorio metropolitano come appunto le colonie che garantivano rendimenti superiori agli investimenti finanziari.
Le teorie marxiste dell’imperialismo
Marx non si occupò mai dell’imperialismo anche se scrisse sul fenomeno del colonialismo. Le principali teorie marxiste sull’imperialismo traggono tuttavia origine dall’analisi che Marx conduce sulle contraddizioni del capitalismo. La principale contraddizione di esso, destinata secondo Marx a condurre alla fine del capitalismo ed alla inevitabile affermazione rivoluzionaria del socialismo, è la caduta tendenziale del tasso di profitto. La concorrenza costringe i capitalisti ad investire quote di capitale sempre maggiore per il perfezionamento tecnologico dei macchinari in modo da battere la concorrenza. Questo innesca una reazione a catena per cui le macchine e le tecnologie diventano in brevissimo tempo obsolete ed occorre investire somme sempre più ingenti di capitale per rinnovarle continuamente, questo riduce enormemente il profitto in quanto aumenta i costi della produzione per il capitalista. Questa continuo rinnovamento tecnologico porta ad aumentare il peso delle macchine (il capitale costante) che sostituiscono sempre maggiormente la forza lavoro umana (il capitale variabile). Ma, secondo Marx, è proprio dal fatto che la forza lavoro umana viene sottopagata rispetto al valore della merce che produce che nasce il profitto del capitalista. In altri termini quello che Marx chiama plusvalore e che costituisce la fonte del profitto del capitalista dipende dall’uso della forza lavoro umana, se questa viene sostituita dalla macchina allora diminuirà il plusvalore e quindi anche il profitto del capitalista. Esiste quindi nel capitalismo la tendenza ad una diminuzione costante del tasso o saggio di profitto che condurrà il capitalismo a crisi economiche sempre più disastrose fino ad innescare un processo rivoluzionario che porrà fine ad esso.
La teoria leninista
La principale teoria marxista sull’imperialismo assume come principio interpretativo fondamentale la caduta tendenziale del saggio di profitto e viene formulata da Lenin nell’opera “Imperialismo: fase estrema del capitalismo” del 1917. La tesi principale di Lenin era che il capitalismo monopolistico per evitare la caduta del profitto era costretto a sfruttare il mercato mondiale determinando un clima di conflitto internazionale. La concentrazione e meccanizzazione della produzione aumentano il peso dei gruppi industriali e finanziari all’interno di ogni stato fino al punto che questi gruppi riescono a piegare lo stato ai priori interessi ed a controllarlo. La politica degli stati sarà quindi determinata dall’influenza dei grandi potentati economici. Per aggirare la caduta tendenziale del profitto il capitale finanziario, sorto dalla fusione di capitale industriale e bancario, tenderà a controllare le materie prime e i mercati a livello mondiale. Il mondo viene quindi diviso in aree di influenza tra i diversi stati che agiscono sotto il controllo dei rispettivi monopoli economici nazionali. Completata la spartizione del mondo la concorrenza economica e politica non troverà più sbocco nella conquista di nuovi mercati e si trasformerà in conflitto militare tra i gruppi economici rivali e quindi tra gli stati che tali gruppi controllano. Si innescherà quindi un conflitto di portata mondiale devastante tra i paesi capitalisti che condurrà alla crisi finale del capitalismo e renderà possibile la rivoluzione socialista.
L’interpretazione socialdemocratica
Tipica di pensatori di area socialista non marxista come Karl Kautsky e Rudolf Hilferding, si oppone all’interpretazione marxista-leninista di cui rifiuta la tesi centrale secondo cui l’imperialismo è il risultato necessario del capitalismo e può quindi essere eliminato superando il capitalismo. Le guerre e l’I. possono essere eliminati attraverso un processo di riforme democratiche ed economico-sociali senza mettere in discussione l’assetto capitalistico della società ma riformando dall’interno il capitalismo.
Hilferding economista viennese aderente al partito socialdemocratico, pubblicò nel 1910 “Il capitale finanziario” in cui esaminava la struttura economica del capitalismo monopolistico di cui individuava la caratteristica essenziale nel processo di concentrazione del capitale sotto il controllo del capitale finanziario. Secondo l’autore i settori del capitalismo - industriale, commerciale, bancario - vennero ad unificarsi sotto la direzione dell’alta finanza grazie al superamento della libera concorrenza ed al sorgere delle unioni monopolistiche. Tipica di questa nuova forma di capitalismo era l’economia tedesca e quella statunitense in cui si attuava l’identificazione tra i grandi gruppi del capitalismo finanziario e lo stato. Controllati dal capitale finanziario gli stati intrapresero la loro politica di protezionismo e guerra doganale con gli altri stati e adottarono una politica di potenza tesa al possesso di territori da utilizzare come aree di investimento del capitale finanziario. La soluzione consiste nell’organizzare il mercato mondiale pacificamente eliminando la tensione tra gli stati. Un ordine pacifico risulterebbe più conveniente per gli stessi capitalisti in quanto favorirebbe maggiormente il commercio e risolverebbe il problema della sovrapproduzione.
L’interpretazione liberale dell’imperialismo
Tipica dell’area di pensiero liberale è la teoria dell’economista e sociologo austriaco Shumpeter che pubblica nel 1919 il saggio “La sociologia dell’imperialismo”. Egli capovolge totalmente la premessa dell’interpretazione socialista sia marxista che socialdemocratica. Mentre infatti i primi vedevano nell’I una conseguenza inevitabile del capitalismo e i secondi lo interpretavano come un “difetto” correggibile del capitalismo, la tesi centrale di Shumpeter consiste nell’affermare che l’I. non solo non è un prodotto del capitalismo, ma è anzi il risultato di condizioni politiche, sociali e culturali che risalgono al mondo precapitalistico e che continuano a sopravvivere in esso. Secondo Schumpeter il capitalismo tende naturalmente all’equilibrio fondato sulla libera concorrenza ed il libero scambio, esso è quindi naturalmente pacifico e tende alla razionalizzazione della vita sociale ed economica. Si contrappone quindi ad ogni tendenza aggressiva ed irrazionale come è appunto l’I. basato sull’esaltazione della forza e sulle ideologie nazionalistiche e patriottiche.
Solo un mondo pacificato in cui i conflitti vengono risolti razionalmente consente infatti uno sviluppo ottimale al capitalismo. Il fatto che nel capitalismo si manifesti una forte tendenza imperialistica non dipende quindi dalla natura di esso, ma dal sopravvivere di atteggiamenti culturali ed interessi politico-sociali propri di gruppi precapitalistici. La mentalità imperialistica e militarista è propria delle caste militari-feudali e burocratiche. Questi gruppi, sorti nel periodo dell’assolutismo monarchico, sono ancora forti sotto il capitalismo e tendono ad imporre alla politica degli stati la loro mentalità imperialistica non per interessi economici ma perché vedono nella politica di espansione e guerra l’unico modo per mantenere e rafforzare gli apparati militari e burocratici che sono la base del loro potere politico, dei loro privilegi e della loro influenza sociale. pertanto Schumpeter definisce l’imperialismo come una forma di atavismo che può essere sconfitto solo attraverso un pieno sviluppo del capitalismo e non, come ritenevano i socialisti, attraverso una riforma o addirittura una soppressione del capitalismo.
1 Fu Montesquieu che, intorno alla metà del xviii secolo, propose per primo di estendere la nozione di legge dal campo dei fenomeni naturali a quello dei fenomeni politico - sociali.
2 Fu il marginalismo, dottrina economica neoliberista diffusasi tra xix e xx secolo, ad insistere particolarmente su tale delicato punto. Solo evitando il costituirsi di monopoli - oligopoli attraverso una legislazione antitrust era possibile conseguire tutti i vantaggi che il liberismo garantiva.
3 Per informazioni sulle cause storiche, la dinamica e le caratteristiche peculiari degli stati totalitari si rimanda al manuale
4 Hannah Arendt (1906 - 1975), compie gli studi filosofici in Germania. Dopo l'ascesa del nazismo si reca in esilio in Francia. Nel 1951 viene pubblicata la sua opera principale sul totalitarismo: Le origini del totalitarismo. Il fenomeno totalitario viene interpretato come possibile conseguenza di una società di massa in cui il potere tende ad essere esercitato da pochi su molti. Contro tale possibilità la Arendt propone un ritorno all'agire politico della polys greca fondato sulla democrazia diretta e teso a realizzare l'ideale della isonomia (uguaglianza politica).
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[G.M.1]letture: "Harendt", Le origini del totalitarismo; "Mosse" La liturgia hitleriana; Giardina, III, pp. 603 - 604. LENIN, "Democrazia capitalista e dittatura del proletariato", Desideri, III, pp. 428 - 430; FROLICH, "Luxemburg contro il soffocamento della democrazia ...", Desideri, III, pp. 454 - 456. HITLER, "I principi pedagogici del "nazionalsocialismo", Desideri, III, pp. 558; "Il mito della razza pura", III, pp. 563; "Legge per la protezione del sangue e dell'onore tedesco", III, pp. 564; JOLL, "Le grandi purge staliniane ...", Desideri, III, pp. 622 - 623; SHIRER, "La nazificazione della cultura ...", III, pp. 567 - 569.
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