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Categoria: | Storia |
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Testo
L’avvento di Ottaviano.
La successione a Giulio Cesare.
L’assassinio di Giulio Cesare provocò una profonda crisi nello Stato romano. La plebe infatti beneficata dal defunto dittatore temendo un ritorno al potere degli aristocratici, si pose in agitazione; gli amici e i seguaci dell’ucciso insorsero e divennero minacciosi, i congiurati si sentirono smarriti e paventarono il peggio. Un clima di incertezza e una minaccia di guerra civile gravavano su Roma.
Le aspettative dei congiurati di vedere restaurata la Repubblica dopo l’uccisione di Cesare andarono deluse e il popolo si comportò in un modo del tutto opposto. L’uccisione di Cesare fece fremere di sdegno la cittadinanza. Marco Antonio uomo abile e deciso fece affidamento su questo sdegno popolare per raccogliere l’eredità politica del dittatore assassinato. Egli,dopo essersi impossessato dei documenti e del denaro dell’ucciso, fece generose elargizioni a soldati ed a cittadini; poi con l’appoggio di M. Giulio Lepido giunse ad un compromesso con il Senato e con i congiurati. Poi mutò atteggiamento e nel giorno dei funerali mostrò nel Foro alla folla attonita e commossa il cadavere insanguinato di Cesare e ne lesse il testamento che legava alla cittadinanza beni e denaro, sollevando il furore del popolo, che, inferocito, diede alle fiamme le case dei congiurati, salvatisi con la fuga.
Marco Antonio si accingeva a trarre vantaggi da questa eccitazione popolare, abilmente provocata quando giunse dall’Oriente, ove si stava perfezionando negli studi,Ottavio, diciannovenne nipote di Cesare. Questo giovane adottato come figlio da Cesare e designato come erede dei propri beni, era deciso a rivendicare anche l’eredità politica dello zio. Perciò lo scontro tra lui ed Antonio per la successione a capo dello Stato era inevitabile.
Il secondo triumvirato.
Ottavio o, come fu in seguito chiamato, Ottaviano, benché fosse ancora giovane ed inesperto, seppe validamente fronteggiare Antonio. Rivendicò gli ideali dello zio e la sua eredità; poi assegnò 300 sesterzi a ciascun proletario.
La nobiltà senatoria, timorosa di un sopravvento di Marco Antonio, prese a favorire Ottaviano che per la giovane età poteva divenire uno strumento nelle mani del Senato. Quando Marco Antonio mosse con le sue truppe contro Decimo Bruto per privarlo della Gallia Cisalpina, il Senato gli si schierò contro. Egli voleva assumere il governo di queste provincia perché gli avrebbe permesso di tenere, in una regione vicina alla capitale, un proprio esercito e, quindi, di avere la possibilità di contrastare i propri avversari. Fu in questa occasione che Cicerone convinse il Senato ad agire pronunziando contro Antonio le famose 14 orazioni dette Filippiche in quanto ricordavano quelle pronunciate da Demostene contro Filippo di Macedonia. Presso Modena le forze coalizzate del Senato,di Decimo Bruto e di Ottaviano sconfissero Antonio, che riuscì a rifugiarsi nella Gallia Narbonense.
Ottaviano chiese allora il consolato, che il Senato gli rifiutò; allora egli marciò su Roma, dove si fece proclamare console dal popolo. Di colpo, si trovò a disporre di un forte esercito e di un’altissima carica politica, per cui, si mise ad osteggiare l’aristocrazia senatoria e nel contempo strinse un accordo con Antonio e con Lepido, da cui ebbe origine, sull’esempio di quello di Cesare, di Pompeo e di Crasso, un Secondo Triumvirato. Però questo secondo Triumvirato, a differenza del primo che aveva carattere privato, divenne per legge una vera e propria magistratura straordinaria con il compito di provvedere ad una nuova organizzazione dello Stato.
I seguaci di Cesare erano venuti a costituire una forza determinante nella vita dello Stato e la loro prima preoccupazione fu quella di stroncare l’opposizione e ricorsero alle proscrizioni, simili a quelle tristemente famose di Silla. Fu allora ucciso anche Cicerone , che Ottaviano, dimentico degli aiuti ricevuti, abbandonò al livore di Antonio. Il suo capo mozzo venne issato sui rostri nel Foro. Poi Ottaviano ed Antonio poterono partire per l’Oriente per annientare l’esercito dei repubblicani,guidato da Bruto e Cassio. Lo scontro avvenne nella pianura di Filippi, in Macedonia, e la vittoria dei triumviri fu complete. Tuttavia, restava imbattuta la flotta di Sesto Pompeo che con azioni di pirateria dominava nel Mediterraneo.
Cesare era stato vendicato, mentre definitivamente tramontavano le speranze di una restaurazione della Repubblica, i cui ultimi paladini, Cassio e Bruto, non volendo sopravvivere alla ignominia, si davano alla morte sul campo di battaglia. Anche Cicerone come s’è detto, era stato precedentemente assassinato dai sicàri di Antonio: mentre la gloriosa Repubblica romana trascinava nella sua rovina i suoi estremi difensori, Cesare, principale artefice di tale rovina, ben poteva essere proclamato dio ed avere un tempio su cui capeggiava la scritta: Divo Iulio.
Contrasti armati.
I triumviri raggiunsero, dopo la vittoria di Filippi, un precario accordo secondo il quale ad Antonio toccò il governo dell’Oriente, ad Ottaviano l’Occidente e a Lepido l’Africa. Ma la presenza di Ottaviano in Occidente poneva sotto il suo controllo Roma e l’Italia. Si aggiunse il fatto che la distribuzione di terre che si andava effettuando in Italia a favore dei veterani suscitò opposizione e malcontento fra i proprietari terrieri, mentre i viveri cominciavano a scarseggiare per il blocco navale di Sesto Pompeo. Fulvia, la fascinosa e corrotta moglie di Antonio, cercò di trarre profitto da questa situazione e suscitò contro Ottaviano una rivolta armata, ma a Perugia i ribelli, dopo un assedio, furono battuti (Bellum Perusinum). L’orizzonte politico non si rasserenò e nuove possibilità di guerra civile si profilavano, quando pose fine alle ostilità un accordo stipulato a Brindisi (Foedus Brundisinum) tra i triumviri e sanzionato dal matrimonio di Antonio con Ottavia, sorella di Ottaviano. Un successivo accordo tra i triumviri e Sesto Pompeo nelle acque di Misero allontanò dall’Italia la grave minaccia di carestia.
Questi accordi allontanavano ma non scongiuravano il decisivo scontro fra i contendenti. Infatti Ottaviano, dopo aver sconfitto, con la collaborazione di M. Vipsanio Agrippa,a Nàuloco, presso Messina, Sesto Pompeo, in una battaglia navale, eludeva anche Lepido dal potere e lo relegava alla carica di Pontefice Massimo. Ottaviano, in questo modo, estendeva il proprio dominio anche sulle province assegnate precedentemente a Sesto Pompeo e a Lepido, e si trovò ad avere di fronte come unico rivale, Antonio. Il duello mortale in cui uno dei due avrebbe dovuto soccombere era inevitabile.
La battaglia di Azio (2 settembre 31 A.C).
Antonio, quando prescelse il governo dell’Oriente, voleva continuarvi l’opera di Cesare; ma ben presto depose tali piani per una vita sfarzosa e per un disegno politico che ricalcava l’organizzazione statale di tipo ellenistico in contrapposizione a quella di tipo romano. Così invece di creare nuove province costituiva nuovi stati vassalli, governati da monarchi orientali. Anche la sua spedizione contro i Parti si risorse con la sola occupazione dell’Armenia.
In questo nuovo assetto politico dell’Oriente Antonio trovò il pieno appoggio della bellissima regina d’Egitto, Cleopatra, di cui s’innamorò perdutamente. Ripudiò la moglie Ottavia per sposare Cleopatra; cominciò a distribuire le province asiatiche ai figli nati dal loro matrimonio e prese a condurre ad Alessandria, dove si stabilì e dove celebrò il trionfo sull’Armenia. Si fece divinizzare facendosi venerare come l’incarnazione di Diòniso o di Osiride, mentre Cleopatra veniva adorata come l’incarnazione di Afrodìte o di Iside.
Questi clamorosi fatti furono abilmente sfruttati da Ottaviano, che fece dichiarare guerra a Cleopatra, ossia ad una straniera, invece che ad Antonio per evitare l’odiosità di una guerra civile. Ingenti forze terrestri e navali si schierarono dall’una e dall’altra parte, ma nella battaglia navale nelle acque di Azio, promontorio dell’Epiro, Ottaviano disperdeva la flotta avversaria. Antonio seguì, mentre ancora l’esito della battaglia era incerto, la fuggitiva Cleopatra in Egitto. Qui fu raggiunto da Ottaviano e, per non cadere vivo nelle mani del rivale, i uccise,. Mentre Cleopatra, che invano aveva tentato di conquistare i favori di Ottaviano, ne seguì l’esempio facendosi mordere da un àspide nascosto in un cesto di frutta.
L’Egitto così perdeva la sua millenaria indipendenza e diveniva provincia romana, mentre a Roma Ottaviano celebrava un grandioso trionfo divenendo a soli 32 anni unico dominatore dello Stato. Crollava intanto dopo 5 secoli l’antica e gloriosa Repubblica e terminavano le guerre civili.
L’economia.
Le guerre civili sconvolsero l’economia dello Stato. I vari eserciti, assoldati dai diversi contendenti, divorarono smisurate ricchezze, a cui solo in parte sopperirono le liste di proscrizioni e i saccheggi nelle province. Queste guerre crearono una massa di disoccupati e di turbolenti, provenienti dalle formazioni militari e che solo in parte riuscirono a reinserirsi nella vita civile con la distribuzione di terre ai veterani. D’altra parte l’assegnazione di terre a questi reduci dalle guerre privava l’agricoltura dei vecchi ed esperti coloni con grave danno per la produzione.
Roma non poteva fare affidamento sulla propria produzione agricola, che il latifondo e l’arruolamento nell’esercito di uomini validi impoverivano sempre più. Ecco perché la presenza nel Mediterraneo di una flotta ostile come quella di Sesto Pompeo poteva far correre pericolo di carestia a Roma, che viveva di derrate importate. Queste lotte
non solo sconvolsero la vita del mondo romano, ma arrecarono danni all’economia.
L’Impero di Augusto.
Ottaviano,unico arbitro.
La vittoria di Ottaviano su Antonio significava la fine delle guerre civili, il tramonto della Repubblica e l’assunzione del potere da parte di una sola persona. Ottaviano divenne l’unico assoluto dominatore di Roma e tutti lo acclamarono come l’uomo che aveva posto termine alle guerre civili e che aveva restaurato dopo tanti lutti la pace. Egli fu tanto abile e prudente nell’imporre il nuovo ordinamento statale, che il trapasso dalla Repubblica all’Impero avvenne senza scosse.
Ottaviano conservò solo le forme esterne delle antiche istituzioni, precedentemente divisi fra le diverse magistrature elette dai cittadini, si assommarono tutti nelle sue mani. Divenne console, tribuno, censore,pontefice massimo, principe, imperatore a vita. Continuarono ad essere nominati i consoli, i censori, i tribuni; continuarono a tenersi i comizi e a riunirsi i senatori, ma su tutti dominavano la volontà indomabile e il potere indiscusso di Ottaviano e non esisteva la facoltà di libere scelte e di ponderate e collegiali decisioni. Un consiglio di uomini eminenti assisteva Ottaviano nelle sue molteplici mansioni di governo e nove coorti di Pretoriani vigilavano sulla sua sicurezza.
La Costituzione Augustea.
Ottaviano non raggiunse di colpo il supremo potere e il passaggio dallo Stato democratico allo Stato assoluto avvenne senza scosse, per cui le antiche istituzioni furono gradualmente modificate o sostituite con le nuove. In questo graduale mutamento si rispecchiano il senso di moderazione e l’intelligenza politica di Ottaviano, che nell’apparente rispetto della tradizione, creò uno stato del tutto diverso, riuscendo a soffocare le opposizioni, a tranquillizzare il popolo e a imporre un nuovo ordinamento statale, che, per vari secoli, sarebbe risultato valido e vitale.
Nasceva con Ottaviano una nuova costituzione dello Stato Romano, per cui i suoi poteri risultarono così definiti:
a) Nella sfera civile si fece attribuire le prerogative dei tribuni della plebe: poteva porre il veto contro le azioni dei magistrati e delle assemblee; poteva costringere all’obbedienza magistrati e privati cittadini; poteva riunire e presiedere le adunanze popolari e senatoriali. I tribuni erano consacrati cioè inviolabili, quindi egli, che assommava i poteri dei tribuni, era intoccabile.
b) Nella sfera militare egli ottenne i poteri militari dei proconsoli, per cui il comando delle truppe dislocate per lo più in province turbolente fu riunito nelle sue mani e l’esercito era sotto il suo controllo. Questi poteri avevano una durata determinata anche se venivano rinnovati periodicamente. Ecco perché più tardi si fece attribuire poteri più ampi ed illimitati con la conseguenza che il suo dominio si estese anche in province assegnate dal senato ai governatori e in pratica su tutto il mondo romano.
Con questi poteri Ottaviano assunse, poi, con la morte di Lepido, anche la carica di Pontefice Massimo, ossia di capo religioso; inoltre la potestà censoria per approvare o disapprovare un provvedimento, attribuirono ad Ottaviano un potere immenso in tutti i campi.
Ottaviano aveva raggiunto un potere senza limiti e con lui i titoli di principe e di imperatore vennero a significare il capo supremo dello Stato. Imperatore in special modo venne ad indicare il capo dello stato nel quale si accentrarono tutti i poteri e con tale significato e valore passò ai successori di Ottaviano.
Ma ad Ottaviano si vollero dare anche attributi divini per porlo sull’alto piedistallo della venerazione e del mistero: venne chiamato Augusto, ossia sacro; un mese dell’anno portò in suo onore tale nuovo appellativo e ogni anno lo si osannava con una pubblica festa.
Quindi in un’unica persona si fusero la smisurata potenza terrena col titolo di Imperatore e la maestà divina col titolo di Augusto: l’uno e l’altro significarono la fine della Repubblica e la nascita dell’Impero (29 a.C.).
L’amministrazione dell’impero.
Cesare Ottaviano Augusto governò con saggezza, usando con moderazione del suo sconfinato potere e riorganizzando con equilibrio l’amministrazione del suo vasto Impero.
Riordinò le province ove la cupidigia e la prepotenza dei proconsoli non conoscevano limito, raggruppando le 25 province dell’Impero in due categorie:
a) Province senatorie, quelle più antiche, più vicine e più tranquille, che continuarono ad essere governate da proconsoli nominati dal Senato e approvati da lui.
b) Province imperiali, quelle recenti, più lontane e più turbolente, che venivano governate direttamente dall’Imperatore per mezzo di suoi luogotenenti.
Le province avevano una diversa posizione giuridica in quanto i loro abitanti venivano considerati stranieri, mentre quelli dell’Italia erano cittadini romani. Questa diversa classificazione comportava per i cittadini romani l’esenzione dall’imposta personale, il privilegio di militare nelle legioni, il diritto di essere tutelati dalle leggi romane e giudicati dai tribuni romani. L’Italia era fatta oggetto di particolare attenzione da parte di Augusto, che la volle divisa in 11 regioni per una migliore efficienza amministrativa; così come Roma che fu ripartita in 14 regioni o quartieri.
A permanente difesa delle province e dell’Impero creò un forte esercito, formato da volontari obbligati a prestare servizio militare per 20 anni. I legionari venivano arruolati fra le popolazioni di cittadinanza romana, mentre i soldati ausiliari provenivano da quelle delle province. Per evitare spoliazioni terriere e turbolenza fu creata una cassa militare che provvedeva a liquidare un premio in denaro a soldati congedati dopo il servizio. Molte colonie furono anche create per accogliere i veterani (Torino, Saragozza, Aosta).
Due numerose flotte vigilavano il mere Adriatico, il mar Tirreno; altre flotte minori proteggevano le coste della Gallia, le coste orientali, mentre speciali imbarcazioni percorrevano il Danubio, il Reno e, forse, l’Eufrate.
Augusto assicurò alle province i servizi pubblici e le collegò a Roma con un servizio regolare di posta.
Le province ricevettero particolari cura dall’imperatore che spesso si recava a visitarle; avevano come Roma una specie di senato, la curia, magistrati, consoli e altri funzionari.
La difesa dei confini.
Augusto amò la pace; le guerre che fece mirarono a rafforzare i confini dell’Impero, che egli voleva attestare sulle linee naturali delle alpi e dei fiumi Danubio ed Elba. Così conquistò le regioni dell’arco alpino e fondò Torino e Aosta, mentre cadevano sotto il dominio di Roma la Rezia, il Norico, la Vindelicia e le Alpi Marittime, che furono tutte costituite in province. Nella regione danubiana creò le province della Mesia e della Pannonia. Il prode Tiberio, figliastro di Augusto, combattè vittoriosamente contro i Marcomanni, abitanti della Boemia. Ma, essendo fallita la spedizione romana guidata da Quintilio Varo, le cui legioni furono trucidate nella selva di Teutoburgo da Arminio, Augusto riportò i confini sul Reno.
Anche in Oriente furono condotte campagne militari che portarono all’assoggettamento dell’Armenia, della Galazia e della Giudea. Augusto iniziò anche una campagna contro i Parti, che venne interrotta per le difficoltà della guerra in Germania.
La restaurazione della romanità.
Augusto volle innanzi tutto riportare lo spirito romano infiacchito dai costumi greci ed orientali alle sue forti origini. Il contatto con il mondo greco e con l’ Oriente ellenistico aveva raffinato la rozza civiltà romana; però con l’arte e la cultura greca ed ellenistica erano emigrati a Roma gusti rozzi e mode fastose. Augusto esaltò la famiglia rendendo difficili i divorzi e prevedendo pene più severe per gli adulteri commessi dalle matrone romane; riportò la religione alla semplice ed antica purezza liberandola dai culti stranieri; colpì il lusso dei ricchi; incoraggiò il ritorno ai campi distribuendo terre ai veterani, prosciugando paludi e favorendo la piccola proprietà. Per quanto riguarda il culto religioso rimise in auge antiche cerimonie,vecchie divinità, templi vetusti e riorganizzò i collegi sacerdotali. All’alto senso di moderazione va ricondotto il titolo di Augustus, che egli assunse come cognome, al posto di Ottaviano. Egli scelse tra la condizione umana e quella divina la via di mezzo facendosi riconoscere come figlio di Dio, in quanto Cesare era stato divinizzato dopo la morte. Nei tempietti dei Lari fu posto anche il Genio di Augusto, che s’inquadrava nella tradizionale credenza di geni o spiriti o demoni che popolavano la vita quotidiana dei romani e che impersonavano le attitudini familiari di ogni casato. Sorsero nelle province anche corporazioni religiose, gli Augustali; il nome dell’imperatore fu dato a città e ad un mese dell’anno; in suo onore si eressero templi e si promossero giochi. Augusto venne a simboleggiare quella benefica divinità che l’umanità attendeva per la sua pace e per il suo progresso.
Roma poi fu arricchita di splendide opere pubbliche: terme, palazzi, teatri, ponti, fontane, archi trionfali. Tra tante opere il Pantheon, il Teatro di Marcello, l’Augusteo.
Poiché i commerci fiorivano,la prosperità aumentava e la pace rendeva tutti più sicuri e tranquilli, si eresse in Roma l’Ara della Pace Augusta che glorificava a ragione questo periodo augusteo di benessere e di quiete.
L'AVVENTO DI OTTAVIANO; L'IMPERO DI AUGUSTO