Istruzione dall'Antica Grecia ai giorni nostri

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Testo

1. L'EDUCAZIONE SPARTANA
Quando nasceva un figlio, il padre doveva portarlo in un luogo dove il Consiglio degli anziani stabiliva la buona salute del bambino, altrimenti doveva essere gettato dalla rupe “Tarpea”. A questo proposito le madri, per provare la resistenza del bambino, si sostiene che lavassero i neonati con il vino (anziché acqua) perché si credeva che i bambini epilettici o rachitici, col vino si indebolivano ulteriormente, mentre i sani rinvigorissero.
Le donne spartane sono entrate nella leggenda. Si dice per esempio che le donne spartane facessero dormire i loro bambini al buio per abituarli a non aver paura, oppure che quando il loro figlio partiva per la guerra gli consegnavano lo scudo dicendogli: “tornerai con questo o sopra di questo” e quando lo vedevano tornare morto analizzavano le sue ferite per vedere se erano inflitte sul dorso o sulla schiena perché in questo caso significava che il loro figlio era morto scappando, da codardo, e questo era ovviamente motivo di grande vergogna.
Un bimbo sano e robusto era quindi allevato fino all’età di sette anni, ma spesso questo compito non era affidato ai genitori affinché facessero mancare a questo bimbo anche quelle affettività che derivavano naturalmente dal rapporto filiale.
Dai sette anni in poi il modello educativo spartano (agoghè) si svolgeva secondo tre cicli:
- Educazione del giovane dagli 8 agli 11 anni
Il giovane era arruolato in compagnie di tipo militare, sotto la guida del pedonomo (istruttore di giovani) che con la collaborazione dei “battitori” era abituato alla disciplina e all’obbedienza per imprimergli fin dall’infanzia l’idea più completa e più cruda di sottomissione alla patria. Doveva avere la testa rasata e i piedi scalzi e doveva essere abituato alla fatica.
- Educazione dell’adolescente dai 12 ai 15 anni
L’adolescente doveva rinforzarsi e diventare un soldato valoroso e a tal fine era addestrato con ogni sorta di crudeltà. Egli abitava nella caserma nella quale avrebbe vissuto fino a trent’anni; dormiva su un giaciglio fatto di canne, i pasti comuni erano poverissimi.
L’educazione era ridotta ai minimi rudimenti di lettura e di scrittura. Per educare lo spirito invece, si faceva imparare ai ragazzi i versi di Omero o le poesie di Tirteo, solo per il loro valore morale e per essere cantate durante la marcia; spesso, inoltre, gli anziani li guidavano verso discussioni accese che avessero lo scopo di sviluppare in loro il carattere guerriero.
- Educazione dell’efebo dai 16 ai 20 anni.
L’addestramento dell’efebo comincia con i riti d’iniziazione che consistono in varie prove di resistenza (per esempio alla fustigazione). L’efebo svolgeva un vero e proprio addestramento militare, che continuava fino a 30 anni anche per gli sposati. Si educava al maneggio delle armi, a brutali conflitti per esercitarsi, alle imboscate e a quello che oggi diremmo “ordine chiuso”. L’esercito spartano era, infatti, il solo esercito di professionisti nella Grecia classica, infatti tutti gli altri eserciti erano composti da truppe improvvisate di cittadini.
A 20 anni finalmente l’efebo diviene capo dei più giovani e condottiero in battaglia.
Alle ragazze invece, veniva data un’educazione fisica che le preparava alla maternità. Si toglieva alle ragazze ogni sintomo di delicatezza e ogni tenerezza effeminata, irrobustendo il suo corpo con la ginnastica e lo sport. Le ragazze inoltre erano obbligate ad esibirsi nude nelle feste e nelle cerimonie allo scopo di formarle senza complicazioni sentimentali.
2. L'EDUCAZIONE ATENIESE
La tradizione fa risalire a Solone (640-559 a. C.) la prima legislazione sull'educazione ateniese. Vi si trovano numerose norme riguardanti il modo di dirigere le diverse scuole, il cui carattere generale era essenzialmente differente dalla quasi contemporanea legislazione scolastica spartana.
Nei primi anni del secolo VII a. C. esistevano già scuole in Atene che tuttavia non erano pubbliche ma private e che probabilmente si ispiravano a modelli di scuola babilonese. Gli storici considerano nell'educazione ateniese due fasi distinte: la cosiddetta vecchia educazione, dal VI secolo fino alla metà del V secolo a. C., e la nuova educazione che si protrasse fino al 338 a. C., anno della conquista di Filippo il Macedone.
La vecchia educazione
Per quanto riguarda la vecchia educazione, essa aveva lo scopo di preparare il giovane a divenire membro dello stato. Dalla nascita fino a sette anni il bambino è affidato alla famiglia dalla quale riceve l’educazione. Poi, mentre per l'insegnamento spartano la ginnastica era la disciplina principale, in Atene questa era affiancata dalla musica, con esercizi ginnici a questa associati. I bambini di sette anni dovevano seguire un particolare corso chiamato pentathlon, in cui imparavano il salto, la corsa, la lotta, i lanci del giavellotto e del disco dal pedotriba. Un altro insegnamento importante riguardava la scuola di musica, dove il citarista insegnava a suonare la cetra e il grammatistès o didàscalos insegnava anche materie come la lettura, la scrittura e il far di conto. I bambini cominciavano ad apprendere l'alfabeto a sette anni e appena in grado di leggere iniziavano lo studio dei poemi omerici. A partire dai sette anni è affidato ad un pedagogo (generalmente uno schiavo) perché abbia cura di lui. Il pedagogo, infatti, sorveglia e accompagna lo scolaro, ne porta il bagaglio, assiste alle lezioni al fine di farle ripetere all’allievo, e gli insegna anche le buone maniere, dedicandosi così alla prima formazione morale del ragazzo, lasciando al maestro la parte puramente tecnica. In seguito, essi frequentavano i corsi di musica e passavano infine ad imparare i poeti lirici. Il periodo dedicato all'educazione del giovane arrivava ordinariamente fino ai quattordici anni. I figli dei più abbienti frequentavano il ginnasio per altri due anni. Alla fine di quest’educazione i giovani divenivano efebi e cominciavano il duro esercizio militare.
La nuova educazione
La cosiddetta nuova educazione ateniese comprende numerose scuole, vale a dire la scuola sofistica, la scuola di Isocrate e l'Accademia di Platone:
- la scuola sofistica
La preparazione specifica era curata dai sofisti che apparvero ad Atene intorno al 450 a. C. Essi erano generalmente interessati alle scienze umane e, in particolare, all'arte della persuasione e avevano lo scopo comune di formare l'uomo politico. Il primo sofista, Protagora, fu anche il primo a proporre un insegnamento di questo tipo per denaro. Il contenuto delle lezioni dei sofisti era l'arte della politica, che conduceva allo studio della dialettica e della retorica. Il soggetto era come preparare un discorso. Socrate si oppose ala linea utilitarista dei sofisti rivendicando sia l'importanza della ricerca della Verità, sia il fatto che la politica non potesse essere la questione centrale dell'insegnamento.
- la scuola di Platone
Questa scuola era diversa per molti aspetti da quella di Isocrate. Si può considerare Platone come il continuatore delle idee di Socrate, di cui fu discepolo. Nell'Accademia si tendeva alla Verità e non alla conquista dell'arte del dire. Il metodo dialettico era impiegato per scoprire le idee fondamentali sull'uomo e sul mondo.
Per quanto riguarda la matematica, Platone propone uno studio elementare dei principali concetti matematici da intraprendersi fin dai primi anni d’educazione del giovane. Parallelamente, in geometria egli suggerisce lo studio delle applicazioni numeriche semplici. Lo studio della matematica ha, nel pensiero di Platone, uno scopo formativo e propedeutico.
Nell'Accademia di Platone gli studenti non ricevevano alcun diploma di frequenza o qualcosa che li aiutasse a trovare effettivamente un lavoro una volta conclusi gli studi. Del resto, essi erano per di più figli di persone abbienti che avrebbero in ogni caso continuato l'attività della famiglia. L'Accademia si presentava più come una setta che come un'impresa commerciale. Legalmente essa era un'istituzione religiosa consacrata al culto delle Muse. L'insegnamento non si svolgeva in forma troppo dottorale.
- il Liceo di Aristotele
Aristotele (384-322 a. C.) fu allievo di Platone. Aristotele poneva maggiormente l'accento sull'educazione come sviluppo individuale, non solo come aspetto sociale. Egli intravedeva tre fasi nello sviluppo dell'individuo: quella dello sviluppo essenzialmente fisico; il periodo in cui emerge il lato irrazionale dell'anima costituito da desideri e passioni; la fase finale, del predominio della ragione. Le discipline formative corrispondenti a queste fasi sono, rispettivamente, la ginnastica, la musica e, come materie atte all'educazione dell'intelletto, le scienze biologiche e la storia.
Il Liceo fu fondato da Aristotele nel 335 a. C. ad Atene. Alessandro aiutò molto, anche economicamente, il suo maestro nell'organizzazione della scuola.
3. L'EDUCAZIONE ELLENISTICA
La città d’Alessandria aveva abitanti che provenivano da tutte le parti del mondo conosciuto e che erano uniti sotto lo spirito ellenistico. Il predominio macedone non causò grandi mutamenti nel sistema d'istruzione greco, fino al livello dell'educazione degli efebi. L'educazione pre-efebica era ormai fissata nei suoi caratteri essenziali, mentre i giovani più dotati erano ora liberi di dedicare la propria vita allo studio. L'efebia non era infatti obbligatoria nella civiltà ellenistica. Al posto dell'educazione degli efebi, si cominciò a delineare una nuova forma d’educazione superiore che più tardi si sarebbe trasformata in una specie di università. Quanto alle giovani, anch'esse potevano frequentare a pieno diritto scuole primarie e secondarie, i ginnasi e palestre.
Nell'educazione primaria ellenistica il ruolo della cultura fisica continua ad indebolirsi progressivamente a favore degli elementi più prettamente spirituali. L'educazione diventa più libresca, più scolastica; si sviluppa la cosiddetta cultura classica. L'educazione artistica assume una maggiore importanza; la musica tenderà comunque a scomparire per lasciare il posto agli studi letterari.
Per quanto riguarda gli studi secondari, si insegnano soprattutto la letteratura e la scienza. Con quest'ultima s’intende la matematica, la musica e l'astronomia. La geometria è considerata la scienza greca per eccellenza, e il grande classico è costituito dagli Elementi di Euclide. Per quanto riguarda l'aritmetica, ci si concentra invece su quella che oggi si chiama teoria dei numeri.
Gli studi superiori hanno un carattere meno uniforme di quello dei gradi inferiori. Il collegio efebico è divenuto esclusivo e i giovani vi ricevono una buona formazione culturale. Oltre alla ginnastica, s’insegnano principalmente filosofia e retorica. Gli efebi possono inoltre utilizzare biblioteche.
Accanto a queste scuole sorgeva anche il Museo d’Alessandria dove il tipo d’insegnamento era altamente qualificato. Mentre all'inizio il Museo era una sorta di Accademia per studiosi frequentata sporadicamente da qualche studente, dopo qualche tempo esso divenne una specie d’Università. In ogni caso l'unico insegnamento tecnico, per così dire, del periodo ellenistico era lo studio della medicina. Gli altri lavori tecnici, come l'ingegnere o l'avvocato, erano svolti da persone autodidatta in quel settore, benché con una certa base culturale.
Il Museo di Alessandria
Il Museo affondava le sue origini in altre istituzioni e scuole greche, come la scuola pitagorica, l'Accademia di Platone e il Liceo di Aristotele. Il Museo possedeva un osservatorio, un anfiteatro di anatomia e una splendida Biblioteca.
Il Museo era una sorta d’associazione, forse anche religiosa; essa era costituita da 30 - 40 studiosi che appartenevano ad ogni popolo, religione e razza, fatta eccezione per gli ebrei e più tardi per i cretesi. Tutti mangiavano insieme e alloggiavano nello stesso palazzo. Siamo dunque di fronte ad una specie di College moderno. Il Museo riuniva studiosi di ogni disciplina i quali non erano obbligati a tenere dei corsi. Tuttavia l'interesse con cui seguivano gli studenti li indusse probabilmente ad organizzare delle lezioni. Il Museo si sarebbe trasformato in un’Università vera e propria solo in epoca romana.
La letteratura, le scienze e la filologia costituivano i campi privilegiati di studio. Un numero considerevole di grandi opere furono portate a termine nel Museo.
Un religioso era, almeno formalmente, a capo del Museo. Questo era un modo per fare accettare l'istituzione del Museo ad un popolo profondamente religioso quale era il popolo egiziano, oltre che una garanzia per il sovrano. In effetti, qualche anno più tardi i membri del Museo furono anche esentati da ogni carica pubblica.
Dopo la trasformazione del Museo in Università, nel periodo romano, la sua decadenza fu inevitabile. Con Cesare, Claudio e Vespasiano furono create nuove scuole in tutta la Grecia e restaurate quelle ad Atene. Essere membro del Museo costituiva ancora un privilegio che però non bastava più a convincere gli studiosi a farne parte.
4. L'EDUCAZIONE ROMANA
Vi sono delle differenze profonde con l’educazione ellenistica: prima fra tutte, la forte presenza a Roma dell'ideale collettivo che consacrava l'individuo allo Stato, in acceso contrasto con l'individualismo greco. In effetti, nei primi anni del suo sviluppo la civiltà romana si elaborava in modo indipendente dal mondo greco, senza subirne profondamente l'influenza.
Verso la fine del VI secolo, l'educazione romana era un'educazione da contadini, a differenza di quella greca che era cavalleresca e che derivava dai poemi omerici.
L'ambiente formativo del giovane era la famiglia che nella tradizione romana era fortemente strutturata: il parterfamilias era il vero educatore del figlio maschio, mentre le figlie femmine restavano per di più a casa all'ombra della madre. A Roma era con il padre che il giovane si iniziava alla vita, ascoltava le adunanze del senato a partecipava ai festini dei grandi.
L'educazione familiare terminava intorno ai sedici anni; la sua formazione non era ancora completa. Prima del servizio militare, egli dedicava un anno al "tirocinio della vita pubblica", guidato generalmente da un vecchio amico di famiglia dalla lunga esperienza.
Lo scopo dell'educazione romana era quello di formare la coscienza del giovane insegnandogli un sistema di valori morali. Questi riguardavano soprattutto il bene e la salute pubblica, al contrario dell'educazione greca, strettamente individualistica. A Roma l'interesse del paese doveva essere la norma suprema del valore e della virtù accanto al rispetto per le tradizioni familiari.
Così, mentre in Grecia l'educazione fisica si allontanava dalla primitiva finalità militare per orientarsi verso lo sport disinteressato, a Roma essa restava entro i confini utilitaristici: la scherma, il giavellotto, la spada, l'equitazione e il maneggio delle armi. In Grecia il fondamento dello sport greco era l'atletismo puro e la palestra, mentre i giovani romani preferivano il circo e l'anfiteatro.
S’imparava ciò che un buon proprietario terriero doveva sapere: l'agronomia, poi il diritto, l'arte militare, la retorica e la filosofia. Le ultime due rappresentano l'apporto dell'influenza greca, il resto interpreta lo spirito latino.
Roma e l'educazione ellenistica
Già nel III secolo l'ellenismo entrò a Roma, e nel II secolo era cosa normale vedere uomini politici romani rivolgersi ai greci nella loro lingua, finché intorno al I secolo il greco divenne la lingua diplomatica ufficiale.
L'aristocrazia romana adottò per i suoi figli l'educazione greca; del resto, era a disposizione un personale insegnante tra i numerosi schiavi dei paesi conquistati. Numerosi furono i romani di buona famiglia che si recarono in Grecia per specializzarsi alla scuola di illustri filosofi e retori. Inizialmente anche la musica, la pittura, la scultura e le arti in genere di scuola greca conobbero ampia approvazione; poi ad esse si sostituì il gusto romano, ben più grave e austero.
Le scuole romane
Le scuole romane non facevano che seguire quelle greche nel programma e nei metodi.
Le scuole primarie apparvero a Roma nel VII-VI sec. a. C.; esse derivavano da quelle etrusche che a loro volta si erano ispirate alle scuole greche. Vi si insegnava a leggere e a scrivere, e la recitazione. La lezione si teneva spesso all'aria aperta. Il lavoro del maestro, a Roma come nell'antica Grecia, era duro e penoso, oltre che mal pagato. Era necessario avere una classe di trenta alunni per guadagnare quanto un carpentiere. Le vacanze estive andavano dalla fine di luglio alla metà d’ottobre e la giornata dello scolaro iniziava all'alba per terminare a metà del pomeriggio.
Le scuole secondarie nacquero solo nel III sec. a. C. In effetti, in Grecia l'insegnamento secondario classico si basava sulla lettura e sulla spiegazione dei testi dei grandi poeti; a Roma esso divenne paragonabile a quello greco dopo circa due secoli, quando comparvero i primi testi di autori romani.
Il grammaticus, che insegnava presso queste scuole, riceveva un trattamento migliore di quello del semplice magister. Restava tuttavia una professione mal retribuita. Il grammatico insegnava due cose principali: lo studio teorico della lingua e la spiegazione dei poeti classici. Le discipline scientifiche venivano trascurate nell'insegnamento.
L'insegnamento superiore nacque a Roma durante il I sec. a. C. La prima scuola di retori latini fu aperta nel 93 a. C. da Plozio Gallo, ma l'insegnamento della retorica si affermò solo a fine secolo con Cicerone. La filosofia e la scienza, in particolare la matematica, rimasero sostanzialmente greche. Solo le applicazioni alla pratica, come l'architettura e l'ingegneria, furono approfondite presso i romani.
Il retore era molto meglio pagato dei suoi colleghi della scuola primaria e secondaria. La carriera scolastica attirava soprattutto i liberti o i senatori in disgrazia, salvo rare eccezioni.
L'insegnamento del retore latino aveva per oggetto il possesso dell'arte oratoria. Dopo una lunga serie di esercizi preparatori, l'alunno imparava i discorsi a memoria e poi li recitava in pubblico. L'insegnamento della retorica preparava i giovani all'avvocatura, preparazione che appariva più letteraria che giuridica.
La funzione storica di Roma è stata non quella di creare una civiltà nuova, ma quella di impiantare e di radicare solidamente nel mondo mediterraneo la civiltà ellenistica, da cui essa stessa era stata conquistata.
5. L'EDUCAZIONE CRISTIANA
Il cristianesimo e l'educazione classica
Con il termine “educazione cristiana” s’intendeva soprattutto l'educazione morale da impartire al fanciullo, dovere fondamentale dei genitori cristiani. I cristiani non fondarono durante l'antichità scuole proprie; tuttavia, essi s’interessarono molto alla scuola. Molti cristiani insegnarono nelle scuole di tipo classico già a partire dal 202-203 d. C., come grammatici e mezzo secolo dopo come retori.
Scuole cristiane di tipo medioevale
Fin dal IV secolo apparve un tipo di scuola cristiana, completamente ordinata alla vita religiosa: era la cosiddetta "scuola monastica".
Quest’educazione era riservata ai futuri monaci, benché si fosse pensato più volte di farne beneficiare altri ragazzi. Nel 451 il Concilio di Calcedonia ostacolò formalmente ai monasteri d'assumersi l'educazione di ragazzi destinati a tornare nel mondo.
In Occidente le invasioni germaniche e il declino della cultura portarono ad una situazione del tutto differente. La scuola monastica si aprì a tutti i ragazzi.
Nel VI secolo, quando la cultura occidentale rischiò di scomparire, i legislatori del monachesimo insistettero sul valore della cultura. Nacque un secondo tipo di scuola cristiana, la "scuola episcopale", che nei primi tempi non sempre era distinguibile da quella monastica. Intorno al vescovo c'era sempre un gruppo di ecclesiastici, che sarebbero divenuti diaconi, preti e vescovi, ed era qui che il clero riceveva la sua educazione.
Nel VI secolo finì anche di organizzarsi la rete delle parrocchie rurali. Si formò la "scuola rurale popolare".
Dal momento che le scuole profane derivate dall'antichità scomparvero, le scuole religiose (monastiche, episcopali o rurali) diventarono l'unico strumento per trasmettere la cultura. Già dal VI secolo i beneficiari non erano solo gli ecclesiastici, ma anche gente non di chiesa. L'insegnamento cominciava con l'alfabeto, poi si leggeva direttamente il libro sacro e, infine, s’imparava a memoria il testo per recitarlo.

6. IL MEDIOEVO
La scuola primaria e secondaria
Fin da Giulio Cesare i romani mostrarono vivo interesse per le scuole e alcuni re barbari, eredi dell'Impero romano, ne seguirono l'esempio. Teodorico, il primo re degli Ostrogoti che governò l'Italia nel VI sec., incoraggiò la formazione di scuole pubbliche.
Dalla fine del secolo VI a quella del VII la barbarie si estese sul territorio italiano che vide precipitare la sua cultura. Tuttavia, un'educazione domestica e familiare fu sufficiente per trasmettere attraverso alcune generazioni un minimo di conoscenza e amore per le lettere.
La dinastia Carolingia dimostrò grande interesse verso il problema educativo. Il più notevole protettore reale della cultura fu Carlo Magno (768-814). Egli dette inizio al lavoro di riforma del clero che avrebbe fornito i futuri educatori. Con un proclama del 787 si ordinò ad ogni monastero di avere la sua scuola per l'insegnamento del canto, dell'aritmetica e della grammatica ai ragazzi. Tali scuole furono aperte anche ai discepoli esterni. In particolare, il sistema scolastico prevedeva tre cicli d’insegnamento: il ciclo elementare, il ciclo della formazione artistica e il ciclo della formazione teologica.
Carlo impartì che ognuno mandasse i propri figli a scuola fino al raggiungimento di un buon grado d'istruzione. L'obiettivo non fu certamente raggiunto, ma furono aperte in Italia, in nove città scuole urbane per gli studenti della zona.
Gli aspetti più caratteristici della vita e del pensiero medioevali trassero la loro origine dallo sviluppo delle città. Le nuove scuole divennero sempre più popolari.
Il III Concilio Laterano del 1189 prevedeva scuole gratuite non solo per il clero, ma anche per gli scolari laici poveri. Le scuole costituite durante l'Alto Medioevo furono annesse alle Cattedrali, alle Chiese collegiate e ai Monasteri e continuarono a portare il loro contributo all'educazione europea nei secoli successivi. L'insegnamento era comunque completamente rivolto alla grammatica e alla retorica.
Per quanto riguarda l'insegnamento della matematica in Italia, un elemento di svolta fu la pubblicazione del Liber Abaci da parte di Leonardo Pisano, detto Fibonacci, nel 1202. Il Liber Abaci tratta del 'far di conto'.
Durante il Basso Medioevo, nella laicizzazione della cultura, assunsero notevole importanza in Toscana gli affari mercantili, e la produzione matematica del XIII e XIV secolo era intimamente legata alla rivoluzione mercantile. Alcuni comuni della Toscana furono tra i primi ad istituire scuole pubbliche dove s’insegnava, oltre alla grammatica, anche l'aritmetica. Esse non erano solo scuole di aritmetica, ma anche centri di consulenza commerciale.
Le Università
La parola università, che nei secoli XII e XIII non aveva il significato moderno di una scuola nella quale sono rappresentate tutte le branche del sapere, ma piuttosto quello di una corporazione di maestri e di studenti, acquisì un significato più vicino a quello attuale con l’Università di Diritto e l’Università delle Arti e Medicina.
Il termine per indicare le istituzioni accademiche in astratto era allora Studium, solo in seguito apparve la parola Universitas che fu adoperata per la prima volta a Perugia nel 1316 con l’espressione "Universitas Studii".
E' impossibile datare esattamente l'origine delle Università in quanto la trasformazione avvenne molto gradualmente. Intorno all'inizio del XII secolo gli studenti cominciarono ad affluire da diversi paesi in alcune città che avevano acquistato fama per gli insegnamenti impartiti nelle loro scuole, soprattutto per il diritto, la medicina e la teologia. Così, le Università di Parigi, Oxford e Bologna divennero i modelli per tutte le Università sorte in Europa negli anni successivi. Nella prima metà del XIII secolo nacquero in Italia non meno di nove Università spontaneamente.
Pavia fu un centro del diritto longobardo fin dall'inizio dell'XI secolo e Ravenna fu dal IX all'XI secolo la più importante scuola di diritto romano. Dubbie sono invece le ragioni della supremazia di Bologna; sembra che egli fosse stato il primo ad introdurre uno studio particolareggiato della disciplina del diritto.
Era soltanto la classe dei Giuristi che aveva l’appellativo di "Utriusque Iuris" che deteneva il monopolio universitario, che non vedeva di buon occhio l’ingresso della Medicina nel mondo universitario. Solo i giuristi potevano fregiarsi del titolo di Doctores e quindi erano, solo loro, degni di magistero. Per elevare la Medicina a branca di studi al livello della Giurisprudenza era necessario avere un testo scritto, come i giuristi avevano il Codice Giustinianeo. Per tale ragione era necessario individuare un testo sacro che permettesse di avvalorare ogni osservazione e affermazione, tale testo fu individuato nelle opere di Galeno, che venivano discusse col metodo dialettico-deduttivo. In tal modo anche la Medicina creò i suoi dogmi, naturale conseguenza dell’infallibilità dei testi, e si adeguava all’insegnamento giuridico.
All'inizio dell'XI secolo, a Bologna, come a Parigi, vi furono ottimi insegnanti e le facoltà andarono ramificandosi sempre più per soddisfare necessità e interessi nuovi. Queste sono le origini delle Università.
Le grandi innovazioni universitarie avvennero durante il XIII secolo. Gli studenti dovevano pagare una somma al loro professore come compenso per l'insegnamento. I maestri cercavano così di attirare alle loro scuole il maggior numero di allievi. Nel 1228 a Vercelli e nel 1236 a Padova i comuni pagavano il salarium a ben quattordici professori per sollevare in tal modo gli studenti dal pagamento dei professori. Anche nel Regnum Siciliae era il re a stipendiare i professori.
L'istituzione delle lauree si attuò intorno all'inizio del XIII secolo. Prima di allora lo studente era stato qualificato per l'insegnamento senza titoli particolari, diventando dopo circa quattro anni "insegnante-studente"; egli aveva bisogno ancora di qualche anno di studio per richiedere al Cancelliere o al rappresentante della Chiesa la licenza d'insegnamento.
Le strutture universitarie erano differenti da una città all'altra; ogni professore provvedeva secondo le circostanze. Secondo lo statuto bolognese del 1252, le lezioni iniziavano l'otto ottobre e terminavano tra la metà d’agosto e il sette settembre a seconda delle Università.

7. IL RINASCIMENTO
Durante il Rinascimento le arti letterarie, pittoriche e scultoree presero ad ispirarsi ai modelli classici. Anche le scienze, come la matematica e la fisica, riscoprirono i classici. Si proseguì anche un interesse di tipo pratico-calcolistico, nato nella classe mercantile e coltivato nelle botteghe d'abaco.
Intanto il fiorire dell'economia cittadina e l'espandersi del commercio provocarono una trasformazione del sistema scolastico. A partire dal XII secolo e soprattutto durante il secolo XIV le ricche famiglie di mercanti spinsero i comuni ad istituire scuole laiche, slegate dalla chiesa. Importante nell'organizzazione della scuola fu anche l'affermarsi della riforma protestante del XVI secolo, che divise l'Europa e moltiplicò il numero delle Università togliendo loro l'originale carattere internazionale. Un cenno va riservato ai collegi istituiti nel corso del XVI secolo dai gesuiti.
Nel 1534 Ignazio di Loyola fondò la Compagnia di Gesù, che fu riconosciuta dal Papa nel 1540. Verso la fine del secolo la maggior parte dell'istruzione superiore in tutti i Paesi cattolici era in mano ai gesuiti. Nel 1591, dopo anni di sperimentazione, nacque il piano completo degli studi, Ratio studiorum, che regolava tutti i particolari riguardanti programmi e metodi da applicarsi nelle Università e nelle scuole dei gesuiti. L'organizzazione scolastica prevedeva cinque classi: tre di grammatica, una di umanità e una di retorica.
Le vecchie Università ebbero poco peso come fonti di cultura nel periodo rinascimentale; la divisione dell'Europa in piccoli stati fece sì che le Università diventassero sempre più provinciali, sia nell'Europa protestante sia in quella cattolica. Fuori degli Studia nacquero le Accademie che fiorirono nelle corti dei grandi signori, come l'Accademia Platonica nata a Firenze con i Medici, e altre se ne fondarono a Roma, Padova e Napoli. In concorrenza con le vecchie Università vi erano ora quelle dei gesuiti che conobbero una rapida e notevole fortuna grazie soprattutto all'efficacia del loro metodo d'insegnamento e al modesto costo degli studi.

8. DAL SEICENTO ALL'UNITÀ D'ITALIA
Le scuole primarie e secondarie
L'istruzione secondaria è in gran parte fondata sulle umanità classiche. Alla fine del XVII secolo le teorie pedagogiche teorizzavano un'educazione elementare per tutti i ragazzi e indicavano i sistemi educativi basati anche sulla conoscenza della natura. Tuttavia l'istruzione restava classica. La rivoluzione pedagogica di fine Settecento andava sottolineando la tesi di un allargamento il più ampio possibile dell'educazione, sia dal punto di vista dei suoi contenuti, sia dal punto di vista delle persone che dovevano beneficiarne. Queste idee si realizzarono, almeno parzialmente, nei primi decenni dell'Ottocento.
Napoleone istituì nel 1802 i licei, che accoglievano i ragazzi in grado già di leggere e scrivere per prepararli durante cinque o sei anni di studio alle successive scuole specialistiche.
Le Università
Per quanto riguarda l'Università si assiste nel periodo del Sei e Settecento ad una stagnazione culturale. Nulla si tenta per superare la struttura medioevale dell'Università. A questa situazione corrisponde un'ostinata chiusura verso la ricerca scientifica.
In Inghilterra e Germania le cose si sviluppano diversamente. A Cambridge e Oxford si creano nuove cattedre di matematica, astronomia, fisica e chimica. In Italia, l'abolizione della Compagnia di Gesù (1773) e la politica liberale di alcuni sovrani costituiscono le premesse ad una ristrutturazione degli Atenei. Le riforme, avvenute intorno al 1770, riguardano l'abolizione del latino, l'introduzione di nuove cattedre e la scelta di nuovi docenti.
Lo studio delle scienze e della matematica in particolare non avvenne durante i secoli XVII e XVIII all'interno delle istituzioni universitarie. Nel Seicento il matematico era un dilettante, un ricercatore a tempo perso. Nel Settecento, il matematico diveniva un "accademico" e le Accademie cercavano di accaparrarsi i matematici di maggior valore.
Nel Sei e Settecento la matematica non s’imparava a scuola o nelle varie istituzioni, come le Università, ma per conto proprio e presso maestri privati. Le riviste matematiche erano quelle delle grandi Accademie o nate sotto i loro auspici. Molti risultati matematici erano ancora diffusi attraverso la corrispondenza.
La situazione della ricerca e dell'insegnamento della matematica mutò radicalmente con la rivoluzione francese e con la conseguente creazione delle Grandi Scuole. A seguito della rivoluzione sia il ruolo sociale dei matematici, sia gli orientamenti e i metodi della ricerca si trasformarono notevolmente.
L'insegnamento nelle Grandi Scuole era fondato sulla matematica e prevedeva corsi di analisi, meccanica e geometria descrittiva. Gli insegnanti erano invitati a fornire agli studenti dei manuali, rilanciando la matematica in Francia. La figura del matematico si trasformò: il mestiere del matematico sarebbe stato indissolubilmente legato a quello di insegnante, nelle Grandi Scuole in Francia e nelle Università negli altri paesi.
Furono soppressi gli insegnamenti di teologia e diritto canonico e introdotto lo studio del diritto costituzionale; nacquero nuove facoltà, come letteratura, filosofia, matematica e fisica, scienze naturali e, a Pavia, scienze morali e politiche. Si fondò, con decreto napoleonico del 1813, la Scuola Normale Superiore di Pisa. Essa fu prevista, almeno inizialmente, per i soli studenti licenziati delle Facoltà di Filosofia e Filologia o di Teologia a cui potevano associarsi, come aggregati, alcuni studenti di matematica.
9. DALL'UNITÀ D'ITALIA
Istruzione elementare
La pedagogista italiana Maria Montessori, qui fotografata negli anni Quaranta con gli alunni di una scuola montessoriana a Londra, ideò agli inizi del Novecento un metodo didattico che ebbe risonanza internazionale. Ciò portò alla nascita in Europa e negli Stati Uniti di numerosi istituti scolastici d’ispirazione montessoriana.
All'inizio del secolo, l'educazione fu fortemente influenzata dagli scritti dell'educatrice svedese Ellen Key. Il suo libro Il secolo dei fanciulli (1900) fu tradotto in molti paesi e fu determinante per l'educazione progressista, un sistema d’insegnamento basato sui bisogni e sulle potenzialità del bambino piuttosto che sulle norme religiose e sulle convenzioni della società. Questa tendenza può essere ritrovata, sotto altre forme e altri nomi, in varie parti del mondo. Tra i più importanti educatori progressisti ci furono Hermann Lietz e Georg Kerschensteiner in Germania e Maria Montessori in Italia. Particolarmente influente negli Stati Uniti fu il filosofo e pedagogista John Dewey; la scuola "attiva", derivante dalle teorie di Dewey, sottolinea l'importanza dello sviluppo dei bisogni e degli interessi del bambino ed è stata per molto tempo il modello delle scuole elementari negli Stati Uniti e in molte parti del mondo.
In Italia il principio dell'obbligo scolastico, anche se limitato al primo ciclo della scuola elementare, fu introdotto dalla legge Casati emanata nel 1859 ed estesa poi a tutta l'Italia unita. La legge ebbe scarsa efficacia a causa delle condizioni di povertà in cui versavano gran parte dei comuni italiani; la situazione migliorò con gli anni in forza delle trasformazioni profonde che investirono anche l'Italia. La legge Coppino del 1867 prolungò l'obbligo scolastico fino al nono anno d’età; la Daneo-Credaro del 1911 attribuì scuole elementari a più comuni anche non capoluogo (l'avocazione definitiva di tutte le scuole comunali è del 1933); la riforma Gentile del 1923 estese l'obbligo scolastico fino al decimo anno d’età. Tuttavia, solo nel 1940 si ebbe una riforma organica, da parte di Bottai, che portò alla scuola media unica, così come la intendiamo oggi. I programmi di matematica prevedevano lo studio dell'algebra sino alle equazioni di primo grado e lo studio della geometria piana e il calcolo di aree e volumi. La riforma Gui del 1963 introdusse nuovi suggerimenti metodologici per la matematica.
Dopo l'Unità vi furono numerosi tentativi per il recupero degli adulti analfabeti e semianalfabeti soprattutto per merito di istituzioni private o religiose. Alcune di queste attività entrarono a far parte dell'Opera contro l'analfabetismo creata nel 1921 dal ministro Corbino e trasformata da Gentile nel più organico Comitato contro l'analfabetismo.
Il nostro secolo si è caratterizzato per l'espansione dei sistemi educativi nei paesi industrializzati, ma anche per la difficoltà di sviluppare adeguati sistemi scolastici nelle nazioni in via di sviluppo dell'Asia e dell'Africa. L'istruzione elementare obbligatoria è diventata pressoché universale, ma ci sono dati che dimostrano come il 50% dei bambini in età di scuola dell'obbligo, in tutto il mondo, non la frequenti. Per promuovere l'istruzione di ogni ordine e grado, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione, la scienza e la cultura (UNESCO) ha realizzato campagne per l'alfabetizzazione e altri progetti educativi. Lo scopo di quest’organizzazione è di permettere a tutti i bambini la frequenza scolastica e di eliminare l'analfabetismo. Pur avendo conseguito importanti miglioramenti in questo senso, si è sempre più consapevoli che saranno necessari progetti a lungo termine e notevoli sforzi in termini di energie e di risorse economiche prima che l'alfabetizzazione e lo sviluppo culturale diventino realtà accessibili a tutti i paesi del mondo.
Istruzione secondaria
I licei napoleonici ricalcavano i contenuti delle vecchie scuole di grammatica, retorica e filosofia. Ai modelli della tradizione umanistico-letteraria s’ispirò anche il ginnasio-liceo introdotto in Italia dalla legge Casati. Il ginnasio-liceo comprendeva due gradi: il primo di cinque anni che comprendeva il greco, l'italiano, il latino, la letteratura, la matematica e la storia; il secondo, di tre anni, che integrava gli insegnamenti precedenti con la filosofia, la fisica e la storia naturale. Nel 1867 ci fu l'introduzione degli Elementi di Euclide come libro di testo su cui basare l'insegnamento. L'Euclide era visto, dai suoi promotori, come un testo esemplare, un ve-ro modello di rigore, di indiscutibile valore nella formazione culturale del giovane.
Nel 1881 Baccelli emanò nuovi programmi che prevedevano l'insegnamento della geometria intuitiva e del disegno geometrico nel ginnasio-liceo.
Accanto al ginnasio-liceo la legge Casati prevedeva la scuola normale per la preparazione degli insegnanti e la scuola e l'istituto tecnici. Il programma di matematica per la scuola normale era volto alle definizioni delle figure geometriche più comuni, all'esame delle loro proprietà riconosciute attraverso il disegno o intuitivamente mediante semplici e immediati ragionamenti. Per l'aritmetica si richiedeva invece un'esposizione ragionata e l'illustrazione, da parte del docente, del modo di insegnare l'aritmetica ai bambini delle scuole elementari.
Nella scuola e istituti tecnici si davano le nozioni di matematica essenzialmente pratiche che tenevano conto delle finalità della scuola. Tra le diverse sezioni dell'istituto tecnico si distingueva la sezione fisico-matematica, che consentiva di iscriversi alla facoltà di scienze matematiche fisiche e naturali: vi erano studiate le lingue moderne anziché le lingue classiche e al posto della letteratura si studiavano le materie matematiche e fisiche. La sezione fisico-matematica dava una cultura di base mentre le altre sezioni avviavano semplicemente ad un'attività professionale. Il programma di matematica si divideva in tre sezioni: la prima destinata al primo biennio valida per tutti gli indirizzi che dava nozioni generali di aritmetica e geometria; le altre due sezioni dedicate alle due classi del secondo biennio. La prima si estendeva fino ai sistemi di 2° grado, le progressioni, i logaritmi e, per la geometria, lo studio dell'uguaglianza e della similitudine di figure piane, le prime nozioni di stereometria e le misure relative ai corpi poliedrici e rotondi. Il programma d’aritmetica per la terza classe conteneva la teoria dei numeri complessi e lo studio di tutte le introduzioni numeriche, mentre il programma di geometria prevedeva lo studio della proiettività tra due punteggiate, il birapporto, la polarità, la classificazione delle coniche, le costruzioni grafiche, oltre ad un programma di trigonometria piana. Nella quarta classe si studiava, per l'algebra l'analisi combinatoria, la teoria dei determinanti, le serie, le frazioni continue e le equazioni di 3° e 4° grado; per la geometria, le proprietà focali delle coniche e le proprietà proiettive dei coni e delle figure sferiche e alcune nozioni di geometria analitica, oltre alla trigonometria sferica.
Dunque, programmi ben articolati per la sezione fisico-matematica, ma la sua presenza in seno all'istituto tecnico non poteva soddisfare gli "umanisti scientifici" i quali premevano per una riforma dell'insegnamento secondario. Si dovette tuttavia aspettare il 1911 perché il ministro Credaro istituisse il ginnasio-liceo moderno quinquennale che si prefiggeva la formazione dei giovani attraverso lo studio delle lingue moderne e una più ricca preparazione scientifica. Agli alunni del liceo moderno era consentita l'iscrizione a tutte le facoltà universitarie. Il programma di matematica coincideva con quello del ginnasio-liceo classico nelle prime tre classi, ma ne differiva per le ultime due classi: nella penultima classe erano introdotti la misura approssimata dei segmenti e degli angoli, lo studio delle funzioni di una variabile e le più elementari nozioni di geometria analitica; nell'ultima classe, soppressa l'aritmetica razionale, erano studiati i concetti di limite, di derivata e d'integrale definito.
Ancora nel 1911 erano istituiti, nei comuni privi della scuola normale, i corsi magistrali della durata di due anni cui potevano accedere i licenziati del ginnasio. La formazione di base era data dal ginnasio, mentre i corsi magistrali avevano un indirizzo prettamente professionalizzante.
La riforma Gentile (1923) rappresentò una sorta di involuzione per l'insegnamento della matematica; la formazione culturale dei giovani era basata sulle discipline storico-letterarie e filosofiche, trascurando le discipline scientifiche e la matematica in particolare. Gentile istituì un liceo scientifico quadriennale, come scuola secondaria superiore senza il corrispettivo corso propedeutico, al posto sia della sezione fisico-matematica sia del ginnasio-liceo moderno. Inoltre fu istituito un istituto magistrale, costituito da un corso inferiore quadriennale e da un corso superiore triennale, al posto della scuola normale. In genere i programmi per la matematica, anche per il liceo scientifico, erano frammentari, nozionistici e disorganici.
Gentile riordinò anche le scuole ad indirizzo tecnico sopprimendo la tradizionale scuola tecnica e istituendo un istituto tecnico inferiore, quadriennale, dal quale si accedeva all'istituto tecnico superiore, anche questo quadriennale, articolato nelle due sezioni di ragioneria e di agrimensura. Nacquero in questo periodo anche gli istituti industriale, nautico, per geometri e altri ancora.
Qualche cambiamento, assai lieve, si ebbe con le riforme di Ercole (1933), De Vecchi (1936), Bottai (1937) e con i programmi emanati da una Commissione formata dagli alleati nel 1945.
Il vero rinnovamento nell'insegnamento della matematica si ebbe intorno agli anni '60 quando l'ambiente matematico internazionale venne scosso da un intenso movimento che avrebbe portato alla cosiddetta "matematica moderna". Dieudonné può considerarsi il padre spirituale di questo movimento; egli propose, al posto dell'antiquato Euclide, lo studio dei gruppi in geometria piana, le trasformazioni lineari, le strutture algebriche astratte, il calcolo differenziale e integrale, la teoria degli insiemi, l'introduzione dei numeri complessi, la classificazione delle forme quadratiche e la sistemazione assiomatica della geometria. Inoltre egli auspicò un più stretto collegamento tra algebra e geometria. Su questi argomenti la C.I.I.M. (Commissione Internazionale per l'Insegnamento Matematica) organizzò a Bologna un convegno, nel 1961, che portò come estrema conseguenza, in Italia, ad una sperimentazione decisa dal Ministro. Essa provvide non solo all'istituzione di classi pilota, dove si insegnavano argomenti di matematica moderna, ma anche alla redazione di testi per gli insegnanti.
Nel 1974 fu emanato un decreto sulla sperimentazione che si prefiggeva di sviluppare le potenzialità dei singoli alunni; si trova qui l'esigenza di applicare la matematica alle altre discipline e alla realtà mediante modelli matematici. Nel 1979 Pedini emanò nuovi programmi con un obiettivo comune nella formazione scientifica: partire dall'intuizione per poi giungere all'organizzazione e alla sintesi dei fatti osservati.
L'istruzione superiore
Nel 1859 entrò in vigore la legge Casati che regolava anche l'istruzione superiore; essa era rivolta alle Università di Torino, Pavia, Genova e Cagliari e fissava a cinque il numero delle Facoltà: Teologia, Giurisprudenza, Medicina, Filosofia e Lettere e, infine, Scienze fisiche, matematiche e naturali. Importanti norme venivano erogate per il personale docente appartenente al Corpo Accademico che era diviso in Professori ordinari e Dottori aggregati; entrambe le cariche si ottenevano tramite concorso. Altre figure di docenti erano i professori straordinari e gli insegnanti privati che, tuttavia, non facevano parte del Corpo Accademico. Il numero dei docenti variava da Facoltà a Facoltà e da un'Università all'altra. Neanche gli studenti erano tutti uguali; vi erano gli studenti veri e propri, che avevano superato l'esame d’ammissione, e gli uditori che pagavano una tassa doppia rispetto agli studenti e che, in ogni caso, non potevano essere ammessi all'esame di laurea senza aver superato la prova richiesta per diventare studenti.
Nel 1860 la legge Casati fu adottata anche in Sicilia, con alcune modificazioni. Vennero lasciate invariate le tre Università siciliane di Catania, Palermo e Messina, ma le tasse d’immatricolazione e di iscrizione ai corsi furono dimezzate rispetto a quelle previste dalla legge Casati. Per l'istruzione superiore siciliana, e catanese in particolare, è di grande rilevanza la legge del 31 luglio 1862, firmata da Matteucci, dove si ripartiscono le Università in due classi; nella prima classe sono poste le Università di Bologna, Napoli, Palermo, Pavia, Pisa e Torino, mentre alla seconda categoria appartengono le Università di Genova, Catania, Messina, Cagliari, Modena, Parma e Siena. Gli stipendi dei Professori, così come gli assegni dei Direttori di Gabinetti, Laboratori, Orti botanici e Cliniche, sono differenti se l'Università era di prima o di seconda classe. Ciò penalizzò le Università della seconda classe, tra cui Catania, le quali non poterono permettersi strutture sofisticate.
Un'altra conseguenza negativa della legge firmata da Matteucci fu che alcune Facoltà dell'Università di Catania non poterono ricoprire tutte le Cattedre previste dalla legge per conferire lauree e diplomi d’abilitazione all'insegnamento. A Catania si ebbe dunque un notevole calo di studenti.
Per impedire la completa rovina dell'Università di Catania si costituì un Consorzio tra il Comune e la Provincia che ebbe lo scopo di approntare i mezzi necessari per provvedere ai più urgenti bisogni di Cattedre e gabinetti universitari. Il Consorzio tra Comune e Provincia, siglato da una legge del 1877, fu soltanto una prima tappa verso la completa ripresa dell'Università catanese. Esso ne evitò il crollo ma si dovette aspettare il 1885 perché l'Università di Catania fosse ammessa nella prima categoria delle Università italiane. L'Ateneo catanese rifiorì, a partire dal 1885, fino a superare i mille studenti durante l'anno accademico 1898-99, numero che continuò ad aumentare fino all'anno 1923. Questo fu l'anno della riforma Gentile che sanzionò, in qualche senso, l'autonomia delle Università le quali furono classificate in tre categorie e Catania fu relegata nella seconda, detta di tipo B. Si firmò subito un Consorzio interprovinciale di cui fecero parte più d’ottanta comuni, con un contributo annuo superiore al milione, e così, nonostante la riduzione dell'assegno annuo del Ministero, s’impedirono i tagli previsti e furono conservate tutte le Facoltà con un finanziamento sufficiente a mantenerle in vita insieme alle strutture e ai laboratori annessi.

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