IL "SESSANTOTTO": UN ANNO RIVOLUZIONARIO

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IL “SESSANTOTTO”: UN ANNO RIVOLUZIONARIO
Il 1968 è stato per molti versi un anno eccezionale nel quale grandi movimenti di massa socialmente disomogenei (operai, studenti e gruppi etnici minoritari) attraversarono quasi tutti i paesi del mondo con la loro carica contestativa e sembrarono far vacillare governi e sistemi politici in nome di una trasformazione radicale della società.
Questo insieme di eventi si manifestò all’est come all’ovest, superò le tradizionali divisioni tra nord e sud del pianeta e si concentrò sul centro del sistema capitalistico, gli Stati Uniti e i paesi del terzo mondo, anche se in questo suo itinerario si caricò di valenze politiche, di contenuti e di protagonisti differenziati.
Negli Stati Uniti, le lotte si polarizzarono contro la guerra del Vietnam, assumendo la forma di un conflitto antimperialista. Ad essa si combinarono le battaglie dei neri per il riconoscimento dei loro diritti civili e per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro.
LA RIVOLUZIONE CULTURALE IN CINA
Nella Cina comunista il “sessantotto” rappresentò il momento più acuto della rivoluzione culturale avviata nel 1966. Tutto il sistema di potere di questo paese venne completamente trasformato.
Partito dai gruppi di studenti universitari che protestavano
contro i privilegi culturali ancora presenti nella società
cinese, il conflitto fu subito appoggiato da Mao e dai suoi
sostenitori, che lo radicalizzarono come strumento di
pressione contro l’opposizione interna.
Nell’estate del 1967 e agli inizi del 1968 lo scontro sembrò
raggiungere un tale livello di acutezza da precludere a una
guerra civile. Successivamente però la tensione si allentò,
numerosi dirigenti giovanili furono allontanati dalle città e inviati nelle zone rurali. Si imposero ovunque i “comitati rivoluzionari” che recuperarono i vecchi dirigenti. Infine gli avversari di Mao vennero emarginati.
IL MOVIMENTO STUDENTESCO E LA PROTESTA RADICALE NEGLI USA E IN EUROPA
Le prime manifestazioni studentesche si ebbero nel 1964 negli Stati Uniti. Si iniziò con marce dimostrative e si arrivò all’occupazione dell’università di Berkeley, in California. Gli studenti chiedevano la libertà di parola non solo per criticare i metodi di insegnamento, ma anche per discutere quelli che erano i problemi di fondo della società. Il primo problema che venne sollevato fu quello dei finanziamenti alle università. Il 35% dei fondi infatti veniva dal Ministero della Difesa ed era destinato esclusivamente alle ricerche collegate con la guerra in Vietnam. Ricerche che apparvero subito legate allo sforzo bellico.
Alla rivolta degli studenti si sovrappose la rivolta dei cittadini di colore, soprattutto dei neri. Il movimento fu guidato dal pastore battista Martin Luther King.
Se si pensa che in quel periodo il movimento studentesco e quello nero si intrecciarono al movimento pacifista della Nuova Sinistra, nonché alla protesta sempre crescente contro la guerra in Vietnam, si può capire perché gli Stati Uniti si trovarono sull’orlo della guerra civile.
Ma i vari movimenti non trovarono un’unità e restarono isolati.
Senza assumere la stessa complessità che ebbe negli Stati Uniti, né in tutti gli altri paesi europei, la protesta studentesca restò confinata nei limiti del movimento ideologico e del dibattito politico all’interno delle università e delle scuole medie superiori, ma si espresse in grandiose manifestazioni di piazza, in scontri con la polizia e, in qualche caso, in vere e proprie battaglie per strada. In Francia la protesta assunse toni molto violenti nel maggio del 1968 e parve trasformarsi in rivolta contro lo stato. Essa ebbe origine da un progetto governativo di razionalizzazione delle strutture scolastiche mirante a renderle più rispondenti alle esigenze dell’industria: cosa che significava favorire i settori tecnologicamente più avanzati, facendo pesare l’incremento della produttività sulla classe operaia. Il piano di riforma scolastica predeva, al termine degli studi secondari, una severa selezione da effettuarsi attraverso un esame supplementare che avrebbe ridotto considerevolmente il numero degli studenti universitari e consentito l’accesso agli studenti più dotati. In questo modo l’università avrebbe corrisposto meglio alle esigenze di alta qualificazione e specializzazione tecnica previste per i quadri dirigenziali.
L’approvazione di questo piano, chiamato Piano Fouchet, provocò un’immediata risposta da parte delle masse studentesche. Contro lo spirito tecnocratico del Piano Fouchet, gli studenti e i professori progressisti dell’università di Nanterre decisero di scioperare.
La protesta si allargò rapidamente e il 22 Marzo prese il via il movimento più noto tra quelli sorti nella primavera del 1968. Questo movimento era capeggiato da un giovane anarchico, D. Cohn Bendit, e denunciava l’esistenza di un’unica condizione di oppressione che accomunava studenti e operai.
L’occupazione alla Sorbona da parte degli studenti (2 maggio) rappresentò il momento di rottura, contrassegnato da scontri con la polizia. In 13 le organizzazioni studentesche proclamarono lo sciopero generale: fu il momento culminante della rivolta ed anche il più pericoloso per lo stato, perché alla protesta aderirono anche milioni di lavoratori in tutto il paese. La Francia era paralizzata.
A questo punto prese in man la situazione Charles De Gaulle e, forte dell’appoggio dell’esercito e raggiunto un accordo con la Confederazione generale del lavoro (CGT), dichiarò la rivolta “una follia estremistica” , sciolse il Parlamento e indisse nuove elezioni dalle quali uscirono vincitori i gollisti.

Per quanto riguarda l’Italia, il sessantotto presenta caratteristiche simili a quelle degli altri paesi: rifiuto dell’insegnamento e degli esami tradizionali, dell’autoritarismo nella scuola e nella società, auspicata alleanza con le forze operaie alla vigilia di quello che si annunciava come “l’autunno caldo”, denuncia della guerra in Vietnam intesa come guerra imperialistica.
Nella primavera del 1968 il movimento studentesco cercò la saldatura col movimento degli operai e dei sindacati, ma le masse non risposero all’appello e questo segnò la sconfitta della rivolta studentesca.

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