Il Risorgimento Italiano

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Testo

IL RISORGIMENTO

Il Risorgimento come motivazione etica di un popolo nasce in sordina nel 1821, ma termina nel 1943.Il Risorgimento è la coscienza del fatto che non esisteva soltanto un’Italia “geografica”, composta d’entità regionali simili per lingua e cultura, ma esisteva anche l’Italia “storica”destinata a creare una nuova unità politica, a diventare uno stato unitario.Doveva esistere, insomma, anche un’Italia con un’espressione politica come sintesi di valori, d’ideali, di civiltà, d’espressione culturale e artistica e d’aspirazioni ad essere un popolo libero e unito.

“Liberi non saremo se non siamo uni”
Alessandro Manzoni

Il Risorgimento inizia con la restaurazione degli antichi principi e si esprime sia attraverso le società segrete dei patrioti (carboneria, Giovane Italia), sia attraverso i moti rivoluzionari, sia attraverso l’opera dei pensatori, poeti e artisti che nelle loro opere diffondono le idee di libertà, unità e indipendenza (Manzoni, Mazzini, Pellico, Balbo, Gioberti, Verdi ecc.).
Il Risorgimento diventa così un fenomeno che gradualmente educa sempre più profondamente l’animo degli Italiani. E comincia ad essere temuto e combattuto. La persecuzione dei patrioti apre infatti una storia di sacrifici eroici. L’Austria, insediata nel Lombardo-Veneto, ma più d’ogni altro lo Stato Pontificio, non danno tregua a questi uomini precorritori dell’Italia unita, li processano li condannano spietatamente a morte o al carcere; dai processi del 1821 di Milano (Pellico, Gonfalonieri) alle orrende stragi di Belfiore del 1852-53, il Risorgimento italiano trova nei suoi patrioti una testimonianza degna dei martiri cristiani.
Le figure che più rappresentano e incarnano gli ideali del Risorgimento italiano sono molte: quelle popolari e pittoresche come Giuseppe Garibaldi o quelle più intellettuali come Giuseppe Mazzini:il primo sarà l’uomo”d’azione”capace di conquistare un regno in un impresa leggendaria con un pugno di uomini;il secondo è invece l’anima del Risorgimento, colui che diede un senso alla ribellione ed alla rivolta.
Dopo i moti, finiti in un mare di sangue, del 1821 e dopo quelli del 1831, non più fortunati dei precedenti, l’alba della speranza risorge nel 1848: Milano si solleva (5 giornate); le truppe del re di Sardegna Carlo Alberto arrivano fino a peschiera, il Lombardo-Veneto gia sogna di liberarsi della dominazione austriaca; perfino Papa Pio IX benedice l’impresa.Ma si preparano dure delusioni: i Borboni restaurano l’antico potere sul meridione e il Papa ritratta le parole piene di speranza.Nel frattempo a Novara Carlo Alberto viene clamorosamente sconfitto (1849) e prende la via dell’esilio.
Sembra che tutto sia finito invece dieci anni dopo ha inizio l’impresa che porterà all’unità.Sotto la guida di Camillo Benso conte di Cavour e di Vittorio Emanuele II, il Piemonte alleato dell’imperatore Francese Napoleone III, dichiara guerra all’Austria e dopo le battaglie di Palestro e di Magenta (1859) è aperta la via di Milano.
La Lombardia viene ceduta con la pace di Villafranca (1859), tranne Mantova, alla Francia, la quale a sua volta la cede al Piemonte.La pace firmata il 12 agosto purtroppo sacrifica ancora il Veneto. Cavour che mirava a ben altre conquiste si dimette dal governo ed è sostituito da Alfonso La Marmora.Ma intanto si solleva la Toscana, i ducati di Modena e Parma, si ribellano anche le legazioni di Romagna allo Stato Pontificio; vengono effettuati dei plebisciti che proclamano l’”annessione” di queste regioni al Piemonte.
Ed è a questo punto che accade ciò che potrebbe leggendario se non fosse un fatto storico realmente accaduto:con poco più di un migliaio di uomini Garibaldi salpa da Quarto il 5 maggio 1860 e sbarca a Marsala,sconfigge le truppe borboniche,conquista Palermo, attraversa la Sicilia,passa lo stretto e conquista tutto il napoletano.Il 29 ottobre dello stesso anno egli consegna a Vittorio Emanuele il Regno d’Italia.Di lì a poco al Regno nuovo vengono annesse anche le Marche e l’Umbria.
Il 17 marzo 1861 Vittorio Emanuele II assume il titolo di re d’Italia. Nel 1861 l’Italia smetteva di essere soltanto quella “espressione geografica”, ma non era ancora divenuta quell’unica entità cara a Manzoni.Ciò riuscirà solo grazie alle trincee della grande guerra, ai diciotto mesi di guerra partigiana e anche se ciò può sembrare paradossale, soprattutto grazie all’opera della televisione negli anni 50 e 60.
Nel 1866, dopo la guerra Austro-Prussiana, si liberava il Veneto;nel 1870 Roma occupata dal generale Cadorna veniva proclamata capitale d’Italia.
Era l’unità raggiunta dopo cinquant’anni di lotte.

IL PRIMO CINQUANTENNIO DELLO STATO UNITARIO

“Ora è fatta l’Italia bisogna fare gli Italiani”scrisse D’Azeglio. I primi cinquant’anni misero a dura prova questo programma: nessun paese non aveva mai posseduto una tale quantità di culture “particolari e reali”, una tale quantità di piccole patrie e di mondi dialettali come l’Italia.Mentre si formavano le principali nazioni europee, la penisola stentava a riconoscersi in un’unica realtà politica e culturale e continuavano ad esistere le rivalità tra i principali principi Italiani, forte era l’influenza dei poteri stranieri e, come aveva ben sottolineato Macchiavelli, fin dal XVI secolo vi era stato un esorbitante potere temporale delle gerarchie ecclesiastiche sempre contrarie all’unità nazionale.
I primi tempi del nuovo Stato furono tutt’altro che facili: problemi enormi e spaventosi, differenze di costumi, di leggi, di condizioni economiche, di sviluppo industriale e sociale.Bisognava vincere resistenze occulte o palesi, trasfondere gli ideali del Risorgimento in uomini scettici o impreparati che pure ricoprivano cariche pubbliche in vari settori.Vincere i dislivelli, combattere i soprusi, affermare ovunque il valore di una legge uguale per tutti significava realizzare la vera unità della nazione.
Nel frattempo bisognava superare le difficoltà che nascevano dai primi9 moti sociali, dall’affermarsi graduale delle classi diseredate e del proletariato, sempre più organizzate sia sul piano politico, sia sul piano sindacale.Era anche questo un mondo che correva in parallelo con il mondo del capitalismo; entrambi impegnati ad allargare ognuno il “proprio regno”.
Furono cinquant’anni che conobbero vicende liete e tristi, le avventure coloniali in Eritrea e Libia, l’assassinio di re Umberto I (1900), il terremoto di Messina. Fra tutti questi avvenimenti però, gradualmente, la coscienza nazionale venne cementandosi e il costume democratico progressivamente si consolida nella vita pubblica nazionale, anche se la massa non fu mai chiamata a partecipare alle grandi scelte. E quando più avanti fu chiamata a farle, la “scelta” era solo un’ultima voluta e desiderata invenzione: la dittatura.

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