Dal Congresso di vienna al 1900. il risorgimento italiano

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Testo

IL CONGRESSO DI VIENNA
Mentre Napoleone è relegato all'Isola d'Elba, i rappresentanti di tutti gli stati europei si riuniscono in un congresso che dura dal settembre del 1814 al giugno del 1815. Con il congresso di Vienna si è soliti far iniziare la cosiddetta età della Restaurazione, che comprende il periodo dal 1815 alle rivoluzioni del 1848. Una restaurazione pura e semplice. Il termine restaurazione chiaramente contrapposto a rivoluzione, sta a indicare la volontà di un ritorno al passato.
Le 216 delegazioni presenti dovrebbero stabilire il destino del continente, ma tutte le decisioni vengono prese in riunioni ristrette dai rappresentanti delle quattro potenze alleate: per l'Austria, il principe di Metternich; per l'Inghilterra, il ministro Castlereagh; per la Russia, lo zar Alessandro I in persona; per la Prussia il re Federico Guglielmo III. Anche il ministro francese Talleyrand viene ammesso tra i grandi quale rappresentante della Francia dei Borbone che alla Rivoluzione hanno sacrificato re Luigi XVI.
Il nuovo ordine europeo viene costruito su tre principi essenziali: il principio di legittimità e il principio di equilibrio e di intervento.
In base al primo, i principi legittimi, cioè quelli cacciati dalle armate rivoluzionarie o da Napoleone, riottengono il trono perduto, ma per garantire uno stabile equilibrio politico e impedire che uno stato risulti più forte degli altri, vengono fatte numerose eccezioni. In Italia, in Germania e in Polonia la legittimità viene sacrificata proprio in nome dell'equilibrio delle forze tra i grandi.
Il Congresso di Vienna, nel tracciare i confini politici dell'Europa restaurata, non aveva tenuto conto della volontà dei popoli, del loro desiderio di unità e indipendenza. Più volte, nel corso dei primi decenni dell'Ottocento, l'ordine europeo fu scosso da sussulti rivoluzionari le cui parole d'ordine erano costituzione e indipendenza. Comincia ora l'epoca della Restaurazione, così chiamata perché i sovrani si propongono di ridare all'Europa l'assetto del 1789 e di ripristinare l'antico ordine fondato sul diritto divino e sui privilegi della vecchia aristocrazia. Come se l'illuminismo non fosse neppure esistito.
Analizzando le principali decisioni assunte dal Congresso di Vienna si denota come la Francia mantiene i confini del 1792, ma deve cedere la Saar alla Prussia.
La Russia si rafforzò ottenendo la Finlandia (dalla Svezia), la Bassarabia (dall'impero ottomano) e la corona del Regno di Polonia.
La Prussia si estese verso sud e verso ovest, giungendo a confine con la Francia. La Prussia cede alla Russia la Polonia nord occidentale, ma ottiene la Renania e la Sassonia, oltre a moltissimi staterelli tedeschi già cancellati da Napoleone.
L'Austria costituì un grande impero multinazionale, che dominava sull'Europa centro-orientale e, direttamente o indirettamente, su pressochè tutta la penisola italiana; rientra in possesso della Lombardia e si fa assegnare parte della Galizia e il territorio della Repubblica di Venezia, non più ricostituita. Le viene inoltre attribuita la presidenza della Confederazione germanica.
La Confederazione germanica, che prende il posto del Sacro Romano Impero, è governata da una dieta con sede a Francoforte. E' costituita da 4 città libere, da 35 principati, e vi aderiscono Prussia, Austria, Danimarca, Paesi Bassi e Gran Bretagna.
Il Belgio fu unito all'Olanda nel Regno dei Paesi Bassi. Questo, insieme al regno di Sardegna, fu uno degli stati-cuscinetto che avrebbero dovuto arginare future velleità espansionistiche della Francia. Campioni della Restaurazione furono il regno di Sardegna, con Vittorio Emanuele I, che si ingrandisce con l'annessione dell'antica Repubblica di Genova, soppressa definitivamente, lo stato pontificio, con Pio VII e il regno delle Due Sicilie, con Ferdinando I di Borbone.
Più liberali furono Francesco I di Lorena in Toscana e di Maria Luisa d'Asburgo-Lorena a Parma, mentre nel Lombardo-Veneto gli austriaci governarono con efficienza, ma questo non fu sufficiente a garantire loro il consenso delle classi dirigenti e dei ceti intellettuali.
La Confederazione svizzera è ricostituita con qualche ampliamento (tre nuovi cantoni) e dichiarata perpetuamente neutrale. Svezia e Norvegia (prima legata alla Danimarca) sono riunite sotto un unico sovrano, Bernadotte di Svezia.
L'Inghilterra mantiene il possesso di Malta e rafforza il suo potere nel Mediterraneo con l'acquisizione di Gibilterra. L'acquisto del Capo di Buona Speranza e di Ceylon le dà il pieno controllo della rotta delle Indie.
Per garantire la durata della sistemazione che il Congresso di Vienna ha imposto all'Europa restaurata, Le tre potenze sottoscrivono il patto della Santa Alleanza secondo il quale i tre sovrani, "incaricati dalla Provvidenza", si impegnano a prestarsi aiuto e soccorso reciproco per garantire la tranquillità dei popoli e la pace in Europa contro ogni convulsione rivoluzionaria. I sovrani si impegnano quindi a intervenire con i loro eserciti ovunque venga rimesso in discussione l'assetto politico e sociale fissato a Vienna. Si stabilisce così un terzo principio, quello d'intervento.

LE SOCIETÀ SEGRETE: CARBONERIA E GIOVINE ITALIA.
Mentre la restaurazione sembrava trionfare e mettere radici in tutta Europa sotto l’attento controllo della santa Alleanza, cui aveva aderito anche la Francia, quelle forze liberali che si alimentavano alla fonte della nuova cultura romantica prendevano lentamente coscienza di sé e andavano organizzandosi in società, necessariamente segrete, data l’iniziale impossibilità di un’opposizione aperta ai governi reazionari.
È opportuno ricordare però che le organizzazione segrete non furono prerogativa di questo periodo, anzi, più che in qualsiasi altra epoca esse non furono altro che la continuazione e lo sviluppo di organizzazioni segrete che già erano esistite durante il periodo napoleonico. Nel ‘700 aveva avuto un certo rilievo la massoneria, la quale aveva alimentato ideali universalistici e anticlericali e aveva avuto come scopo immediato l’attività filantropica a beneficio degli aderenti all’associazione. Durante il periodo napoleonico, sull’esempio della massoneria, si erano sviluppate molte altre sette segrete; alcune di queste organizzazioni, come quella dei Cavalieri della Fede in Francia e dei Concistoriali in Italia, erano di carattere reazionario e monarchico e miravano appunto a preparare un ritorno al passato e all’assolutismo regio; tutta via queste associazioni ebbero per lo più carattere liberale e nel periodo napoleonico ebbero come obiettivo di riaffermare gli ideali di libertà e uguaglianza che avevano inizialmente alimentato la Rivoluzione Francese; si possono citare esempi come gli Ad elfi e i Filadelfi.
Accanto a queste società puramente democratiche andarono sviluppandosi sempre in età napoleonica altre organizzazioni miranti all’indipendenza dallo straniero e alla piena autonomia nazionale. Fra gli aderenti si potevano annoverare grandi borghesi, ufficiali militari e spesso aristocratici facenti parte delle nobiltà più evoluta e cosciente dei problemi del tempo. Lentamente si andarono delineando posizioni diverse e fortemente marcate fra le diverse associazioni: la borghesia più ricca e la nobiltà più avanzata miravano alla creazione di stati costituzionale di tipo inglese con un parlamento eletto da un elite i cittadini facoltosi e di notabili, mentre la piccola borghesia e molti ufficiali aspiravano a una vera e propria democrazia sul modello di quella rivoluzionari francese, e quindi al suffragio universale e alla totale uguaglianza dei diritti politici e civili dei cittadini.
In Italia il problema dello straniero e l’aspirazione alla sua indipendenza si faceva sempre più forte e certamente non potevano essere assenti associazioni di carattere strettamente liberale e democratico: prima fra tutte c’è di certo da nominare la Carboneria in Italia.
La carboneria, che si era sviluppata nell’Italia del meridione durante il predominio francese, aveva sottolineato soprattutto la necessità dell’indipendenza dallo straniero, in particolare con il ritorno dei Borboni. In effetti, gli aderenti per lo più ufficiali subalterni all’esercito di napoleone, solo ora capivano le angustie e le miserie di un cieco ritorno al passato. Dopo il Congresso di Vienna, la setta carbonara si era diffusa anche in alta Italia, dove il problema principale, data la presenza dell’Austria rimaneva quello dell’indipendenza. Ciò indusse dunque la società ad assumere una politica tortuosa e spesso contraddittoria che, se mirava ad allontanare l’Austria era disposta ad accettare qualsiasi altro sovrano italiano o straniero, senza particolare interesse per le conseguenze civili, costituzionali e sociali. Nel 1820, durante la lotta per l'unificazione italiana, i carbonari guidarono a Napoli una sollevazione che si risolse in un insuccesso. Rivolte analoghe scoppiarono anche in Spagna e in Portogallo (1820), in Piemonte (1821), in Romagna, a Parma (1831), e furono tutte represse. Nello stesso periodo i carbonari parteciparono ai moti francesi del 1830, che sostenevano il governo di Luigi Filippo, re di Francia (1830-1848).
Nel 1831, Giuseppe Mazzini, membro attivo della Carboneria, fondò una nuova società segreta, chiamata Giovane Italia, che assorbì gran parte dei carbonari, i quali da allora cessarono di esistere come società segreta. Dunque, a partire dagli anni trenta, in Italia, prende il testimone per la lotta alla libertà e indipendenza nazionale la società mazziniana.
Secondo l’idea del Mazzini, se la precedente azione settaria fallì, la causa era da ricercarsi nella mancanza di un’intima ispirazione religiosa, alla fiducia ancora accordata i principi, all’aver creduto nel valore risolutivo delle costituzioni, anziché nell’azione creativa del popolo, la sola capace di costruire un edificio duraturo.
Elementi essenziali erano per Mazzini la religiosità, democrazia e nazione, tre parole diverse ma un’unica cosa sola: senza fede in un principio superiore, in un Dio di verità e giustizia, che per lui non si identifica affatto con quello della religione tradizionale, gli italiani continueranno a occuparsi del proprio interesse particolare; senza una democrazia repubblicana essi rimarranno dei semplici oggetti di storia, alla mercé di stranieri e tiranni; e infine senza religione e senza democrazia non ci può essere nazione quand’anche sia raggiunta l’indipendenza, perché l’unità mazziniana non si fonda sull’unità delle tradizioni e dell’etnia, ma sull’unità dei propositi che si possono applicare solo con un pieno regime di libertà. significa appunto che Dio si manifesta attraverso il popolo e che la nazione deve considerarsi come e dunque al servizio dell’umanità.
La Giovine Italia si definiva un > e dunque i suoi ideali dovevano essere obbligatoriamente fatti conoscere e gridati a tutti. La clandestinità, della quale le precedenti sette si compiacevano, rimaneva ovviamente necessaria, ma doveva cessare completamente per quanto riguardava i propositi e i fini della Giovine Italia. Ciò non deve indurre a intendere il pensiero mazziniano come un qualcosa di accademico e libresco, ma tutt’altro perché in effetti la società mirava alla contemporaneità e l’intrinseco legame fra concettualità da una parte e lotta effettiva dall’altra, condannando ogni cultura intellettualistica da una parte ed ogni volontà di sovvertimento affine a se stesso. L’intero messaggio mazziniano era rivolto all’intera nazione, tant’è che l’intero popolo affiancò la guerra regia dando un aiuto indispensabile al Risorgimento italiano.
Fra i primi moti promossi dall’associazione: nel 1833 i cui centri più forti furono Alessandria e Genova e nel 1834 quando dopo il fallimento di ribaldi Mazzini fu costretto a sciogliere la giovine Italia. Mazzini a questo punto riparte con un progetto ancora più ambizioso: la Giovine Europa. Tuttavia la società era troppo vasta perché potesse dare frutti concreti. Contemporaneamente in Italia si ricucivano le reti per una nuova giovine Italia, smantellata però nei primi anni quaranta quando i fratelli Bandiera organizzarono una sfortunata operazione in Calabria; erano convinti di accendere li la fiammella iniziale della rivolta destinata ad abbattere la dinastia borbonica, ma nel disinteresse della popolazione i mazziniani vennero uccisi e catturati dalle forze dl regno. Di certo le motivazione del fallimenti mazziniano sono da ricercarsi nell’insofferenza della popolazione che trova sbocco nell’aspirazione alla liberalizzazione della vita politica in ciascuno degli stati esistenti e noi nell’idea di governo Nazionale così come prevedeva il programma mazziniano.
I MOTI DEGLI ANNI VENTI
IL QUARANTOTTO
LE GUERRE D’INDIPENDENZA
I PROBLEMI DEL NUOVO REGNO
L’Italia al concludersi del congresso di Vienna appariva divisa in numerosi staterelli e sotto lo stretto dominio dello straniero. In effetti, l’Austria, vista come un vero e proprio gendarme italiano, teneva sotto controllo il Lombardo Veneto, il Trentino, il Ducato di Parma e di Piacenza.
Primi fervori anti-austriaci si ebbero solo dagli anni 20 in Piemonte e Lombardia.In Italia sullo scenario politico si vanno dunque delineando due fronti: da una parte il nazionalismo promosso dal Mazzini e il liberalismo regionale i cui maggiori esponenti possono essere impersonati da figure come D’Azeglio, Gioberti e Balbo.
Mazzini mira a una nazione basata sul consenso popolare perseguendo l’obiettivo attraverso il consenso popolare e l’equità sociale. Come gia si è detto negli anni 30 numerosi furono i tentativi di insurrezione ma nel 1834 in contemporanea alla sconfitta di Garibaldi la giovine Italia venne sciolta anche per l’assenza degli aderenti catturati e uccisi dalla polizia locale.
In contrapposizione alla figura di Mazzini si affacciarono ben presto personaggi coma appunto D’Azeglio che nel 1833 ancora sperava in un accordo tra Liberali e Chiesa, con l’obiettivo dell’istituzione di una confederazione degli stati italiani esistenti, i cui sovrani sotto la presenza del pontefice, avrebbero dovuto provvedere a mitigare in senso liberale gli ordinamenti autoritari vigenti. Dieci anni più tardi Balbo evidenzia l’errore di Mazzini nell’indicare l’unità d’Italia come problema primario anziché la necessità di Libertà. Due anni più tardi nel 1846 D’Azeglio invita la popolazione a richiedere riforme liberali e respinge il sogno di Mazzini dell’unione politica italiana. Il movimento politico che si denota è dunque di carattere liberale che mira a conciliare le innovazioni del costituzionalismo e libero scambio con la nostalgia per il passato delle Corporazioni. Ed è proprio questo particolare liberalismo che in Italia assunse il nome di movimento neoguelfo.
L’obbiettivo di liberta, secondo appunto questo fronte liberale, poteva essere raggiunto solo con una preventiva opera di persuasione nei confronti dei sovrani regionali (soggetti all’autorità filo-austriaca), volta a renderli disposti a venire incontro ai desideri pei più ricchi e colti dei loro sudditi, concedendo una costituzione. Solo con il 1848 si ebbero i primi risultati, cioè quando papa Pio IX si dimostrò pronto a concedere degli ordinamenti cautamente liberali. Egli divenne una sorta di simbolo per i liberali, esempio che stava a dimostrare che qualunque sovrano potesse seguire l’operato di un Capo di Stato la cui autorità spirituale era ancora più forte di quello dell’imperatore d’Austria.
Da qua, si innesco la scintilla che tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera del 1848 segnerà l’inizio dellA 1°GUERRA D’INDIPENDENZA.
Venezia si era proclamata repubblica sin dal marzo del 1848 e nei primi mesi dell’anno seguente fecero eco la Toscana e Roma. A Milano sotto la guida di Carlo Cattaneo, la lotta si protrae per cinque giorni (le cinque giornate di Milano) e vede la spontanea adesione di tutto il popolo milanese, che sulle barricate, dai tetti combatte con tanto entusiasmo.
Del tutto alieno dal concedere riforme restò Ferdinando II re delle Due Sicilie. E fu proprio a Palermo, nel suo regno, che scoppiò il primo moto rivoluzionario del '48 europeo. L'insurrezione aveva carattere liberale, antiborbonico e separatista che costrinse anche Ferdinando II a concedere la Costituzione.
Nei ducati di Modena e di Parma i rispettivi sovrani furono costretti alla fuga. L'Italia settentrionale era così di fatto già in guerra contro l'Austria, una guerra popolare promossa dall'azione dei democratici. A questo punto, la necessità di condurre a fondo l'azione militare antiaustriaca, fecero convergere l'attenzione di tutti i patrioti italiani verso il re di Sardegna Carlo Alberto.
Appelli e pressioni furono rivolti da tutte le parti al sovrano sabaudo affinché si ponesse alla testa del moto d'indipendenza nazionale e dichiarasse guerra all'Austria. Il 23 marzo Carlo Alberto dichiarava la guerra e faceva muovere il suo esercito su Milano, quando la città era già stata liberata dai suoi cittadini. Eserciti regolari mandati dai sovrani giunsero da altri Stati italiani. Il moto popolare diventò cosi guerra regolare degli Stati federati italiani decisi a non lasciare il Piemonte solo contro l'Austria.
Inoltre giunsero da ogni parte d'Italia combattenti volontari, studenti e intellettuali che accorsero numerosissimi fuori dalle file degli eserciti regolari. Le vittorie piemontesi a Goito e Pastrengo (9 e 30 aprile) coronarono questa prima fase della guerra caratterizzata da un grande entusiasmo e da una partecipazione unitaria dei sovrani e del popolo italiano.
Ma le difficoltà non tardarono a venire. Interessi ancora troppo contrastanti si celavano dietro questo consenso unitario alla guerra. I principi italiani, che in fondo erano stati costretti dalle pressioni liberali a partecipare alla guerra, oltre che dalla loro volontà di non lasciare al Piemonte il possibile esito vittorioso della guerra, preoccupati dal carattere popolare che l'iniziativa continuava ad assumere e dal timore di fare in fondo il gioco degli interessi sabaudi, ritirarono le loro truppe regolari.
Il primo fu il papa Pio IX che con l'allocuzione del 29 aprile dichiarava che al “padre di tutti i fedeli” non era lecito far guerra a uno Stato cattolico, qual era l'Austria. Leopoldo Il e Ferdinando Il seguirono il suo esempio e ritirarono le loro truppe. Il re delle Due Sicilie addirittura sciolse il Parlamento provocando sanguinose repressioni.
Rimasto solo a fronteggiare la situazione, Carlo Alberto ritenne giunto il momento di rendere più decisa la sua linea politica dando il via alle annessioni al Regno di Sardegna dei territori sottratti all'Austria. La politica annessionistica piemontese creò profondi contrasti interni al fronte impegnato nella guerra. Le forze democratiche non potevano infatti più insistere sulla linea (adottata all'inizio delle operazioni militari) di rimandare a dopo la fine della guerra il problema dell'assetto politico da dare all'Italia. Malgrado questa difficile situazione, a Curtatone e Montanara i volontari toscani bloccarono gli Austriaci, che venivano ancora battuti dall'esercito piemontese a Goito e dovevano abbandonare Peschiera.
Fu però la sconfitta di Custoza (26 luglio) a segnare la fine della prima fase della guerra. Non volendo tentare un'immediata riscossa che solo l'intervento dei volontari ed una politica più aperta avrebbero potuto assicurare, Carlo Alberto si affrettò a chiedere l'armistizio all'Austria. Nel frattempo anche aRoma gli avvenimenti avevano preso una piega angola. Pio IX aveva prima tentato di dar vita a un governo moderato, ma l’esperimento falli sotto pressione dei cardinali più radicali. Dopo qualche incertezza, le forze più avanzate costituirono un governo provvisorio e indissero le elezioni per un’Assemblea Costituente Romana che proclamò la nascita della repubblica Romana. Nel frattempo Mazzini venne chiamato a Roma per costituire il triumvirato costituito dall’Armellini e dallo Saffi.
La ripresa della guerra nell'anno successivo avvenne in un momento sfavorevole alle forze democratiche di tutta Europa che cadevano sotto i colpi della reazione
Nell'Italia settentrionale i democratici, fatti più sicuri dal fallimento della linea liberale moderata seguita dal Piemonte, riproposero con forza il problema della guerra, obbligando Carlo Alberto a riprendere le ostilità contro l'Austria.
Ma in questa situazione internazionale, l'esito negativo era già segnato in partenza. Infatti alla sconfitta piemontese di Novara (21-23 marzo 1849) fecero seguito l'abdicazione del sovrano a favore del figlio Vittorio Emanuele Il per evitare le pesanti richieste austriache. Particolari sono invece della neo nata Repubblica Romana attaccata fortemente dall’esercito francese. Le ragioni sono da ricercarsi nelle vicende politiche francesi avvicendatesi in questo periodo. In effetti il nuovo eletto principe Luigi napoleone Bonaparte necessitava dell’aiuto del potente partito clericale cosicché promise di inviare un corpo di spedizione per schiacciare al Rep. Romana. a Roma, durante lo sbarco dei francesi a Civitavecchia, ci si preparò per la difesa grazie al supporto dei volontari garibaldini, battendo i borbonici che minacciavano a sud. Tuttavia sul finire del mese di giugno la repubblica romana potè dirsi sconfitta dal più numeroso esercito francese. Il Quarantotto tuttavia portò ad una definitiva affermazione della causa unitaria e indipendentista, formò una coscienza nazionale e creò tutte le premesse per la continuazione in Italia della lotta risorgimentale.
E così in tutta Italia si ritornò alla situazione politica precedente: le costituzioni guadagnate dalle popolazioni si trasformarono ben presto in carta straccia con la revoca della stragrande maggioranza delle libertà costituzionali e il controllo stranierò tornò a gravare su tutto il territorio. In un clima di ristagno e di un ennesimo ritorno all’assolutismo, unico stato che si distinse per le sue concessioni liberali fu il Regno di Sardegna sotto la dinastia dei Savoia. Lo Statuto Albertino emanato nel marzo del 1848 non venne revocato e rimase in vigore per tutta la durata del regno. Per cui da quel momento in poi fu proprio il regno sabaudo a proporsi come centro di aggregazione delle istanze nazionali, qui vissuti con aspetti di diplomazia internazionale. A partire dal 1852 il Regno sabaudo entro in una particolare fase di espansionismo economico e diplomatico grazie in particolare all’efficiente figura del conte Cammillo Benso di Cavour.
Egli grazie ad una sua efficiente politica economica, grazie all’introduzione di efficienti sistemi di produzione agricola e industriale, al rinnovamento del sistema fiscale e bancario capì che il Piemonte era pronto per un verso un'audace politica estera, capace di far uscire il Piemonte dall'isolamento. In un primo momento egli non aveva creduto opportuno distaccarsi dal vecchio programma di Carlo Alberto tendente all'allontanamento dell'Austria dal Lombardo-Veneto e alla conseguente unificazione dell'Italia settentrionale sotto la monarchia sabauda, tuttavia in seguito avvertì la possibilità di allargare in senso nazionale la sua politica, aderendo al programma unitario di Mazzini, sia pure su basi monarchiche e liberali. Comunque il primo passo da fare era quello di imporre il problema italiano all'attenzione europea e a ciò per l'appunto egli mirò con tutto il suo ingegno. Il 21 luglio 1858, incontrò Napoleone III a Plombières dove furono gettate le basi di un'alleanza contro l'Austria. Il trattato ufficiale stabiliva che:
la Francia sarebbe intervenuta a fianco del Piemonte, solo se l'Austria lo avesse aggredito;
in caso di vittoria, si sarebbero formati in Italia quattro Stati riuniti in una sola confederazione posta sotto la presidenza onoraria del Papa, ma dominata sostanzialmente dal Piemonte:
• uno nell'Italia settentrionale con l'annessione al regno di Sardegna del Lombardo-Veneto, dei ducati di Parma e Modena e della restante parte dell'Emilia;
➢ uno nell'Italia centrale, comprendente la Toscana, le Marche e l'Umbria;
➢ un terzo nell'Italia meridionale corrispondente al Regno delle Due Sicilie;
➢ un quarto, infine formato, dallo Stato Pontificio con Roma e dintorni.
• in compenso dell'aiuto prestato dalla Francia il Piemonte avrebbe ceduto a Napoleone III il Ducato di Savoia e la Contea di Nizza.
Appare evidente che un simile trattato non teneva assolutamente conto delle aspirazioni unitarie della maggior parte della popolazione italiana, esso mirava unicamente ad eliminare il predominio austriaco dalla penisola.
Unica spirale per mirare a un’effettiva espansione sabauda restava dunque spingere l’Austria ad attaccare. Cavour faceva il possibile e a tale scopo permise l’arruolamento di volontari che costituirono sotto il comando di Garibaldi, il corpo di cacciatori delle alpi. Francia e Italia firmarono già in precedenza regolare alleanza militare e l’Inghilterra, non volendo una guerra che portasse benefici solo alla Francia, propose di riunire le potenze per discutere della delicata situazione italiana. Il giovane imperatore austriaco contemporaneamente preso dalla tracotanza militaresca dello stato maggiore, che lo indusse ad inviare al Piemonte un duro ultimatum che imponeva il disarmo immediato.
Cavour respinse l’obbligo e il 29 aprile l’esercito austriaco attaccò i piemontesi, mentre gia arrivavano i primi contingenti francesi. Iniziava così la 2° GUERRA D’INDIPENDENZA. Mentre in Lombardia i Franco-Piemontesi battevano gli austriaci, nei ducati emiliani e in Toscana fu un succedersi di tumultuosi eventi tumultuosi. A questo si aggiunse però la notizia che la Prussia offriva alleanza all’Austria minacciando così la Francia sul fronte renano. A questo punto l’imperatore francese a insaputa di Cavour propose un armistizio a Francesco Giuseppe, firmato a Villafranca nel 1859. Nelle regioni emiliane e toscane si organizzarono delle sollevazioni che portarono alla fine alla loro annessione al regno sabaudo. A questo punto con metà della penisola sotto i Savoia inizia la seconda fase del processo di unificazione rivolta alla conquista dei territori meridionali e centrali. Entra così in scena Giuseppe Garibaldi, con a capo un esercito di volontari, i “Mille” con il consenso del re piemontese. Salparono da Quarto e godendo dell’appoggio di buona parte della popolazione e il 7 settembre giungeva vittorioso a Napoli con un’esigua schiera dei suoi. Aiuto determinante venne dato dai contadini armati, i picciotti, a cui Garibaldi emanò una serie di provvedimenti che almeno in parte venivano incontro alle aspirazioni economico-sociali più basse. Ciò diede adito, però a cambiamenti ben più radicali: in alcune zone i contadini detti “berretti” si impadronirono delle terre demaniali usurpate da decenni dai grandi proprietari. Molti di essi vennero massacrati e uccisi e per stroncare i disordini Garibaldi fu costretto a organizzare una sanguinosa repressione. Poco dopo l’arrivo di Garibaldi a Napoli accorsero sia Mazzini che Cattaneo, così per alcune settimana poteva sembrare divisa in due parte: al nord il fronte liberal democratico rappresentato dalla dinastia sabauda, e al sud il fronte repubblicano-democratico rappresentato dalle tre figure di Garibaldi, Cattaneo e Mazzini. Ora il volere di Garibaldi sarebbe stato quello di unificare l’Italia sotto un’unica repubblica democratica. Tuttavia in seguita a una serie di stratagemmi elaborati da Cavour le sorti dell’Italia cedere ben presto sotto la dinastia sabauda. Cavour in effetti schierò l’esercito in campo e lo fece discendere presto lungo tutto la penisola conquistando marche e Umbria. A questo punto i guerriglieri Garibaldini trovandosi davanti l’esercito regio, l’unico “autorizzato” dai sovrani esteri, furono costretti a fermarsi e Garibaldi, in seguito all’accordo a Teano con Vittorio Manuele II a sciogliere i suoi uomini.
L'abilità diplomatica di Cavour nel mantenere il consenso delle potenze europee e la fedeltà di Giuseppe Garibaldi al motto "Italia e Vittorio Emanuele" portano così alla proclamazione del Regno d'Italia, il giorno 17 marzo 1861.
Il 17 marzo del 1861 Vittorio Emanuele II venne proclamato re dell’Italia, assumendo così, ufficialmente la posizione di capo di stato.
Dopo la realizzazione dell’unità uno dei problemi più urgenti, accanto a quello di Roma, rimaneva quello dell’annessione del veneto, la cui soluzione , anche se la più azzardata rimaneva una guerra all’Austria . L’occasione si prospettava all’orche il Bismark si preparava alla guerra contro gli Asburgo e intendeva sfruttare i sentimenti anti austriaci italiani. Cosi nel 1866venne stipulato tra l’Italia e la Prussia un trattato formale di alleanza. L’Austria, avuto sentore delle trattative in corso offrì il Veneto al governo italiano in cambio della neutralità. Il Lamarmora, respinse l’offerta pensando che una guerra vittoriosa avrebbe procurato all’Italia l’annessione del Veneto e del Trentino.
Iniziava così per l’Italia la 3°GUERRA D’INDIPENDENZA.
Dopo la vittoria prussiana di Sadowa, venne firmato l’armistizio di Cormons tra Italia ed Austria (12 agosto 1866) e Garibaldi ricevette l’ordine di abbandonare il trentino, e con profonda amarezza telegrafò al re con la frase “obbedisco”. All’Italia venne concessa l’annessione del Veneto.
A questo conflitto partecipò anche la Francia e fu in effetti ancora una vittoria prussiana a consegnare nel 1870 al Regno d’Italia il Lazio e Roma. I francesi combattendo contro i prussiani dovettero ben presto allontanarsi da Roma lasciando indifeso lo Stato Pontificio. Vittorio Emanuele capì che era giunto il momento di agire per l’annessione di Roma. Il sovrano tentò ancora di convincere Pio IX dall’ineluttabilità dell’annessione di Roma all’Italia, mentre la pressione popolare suscitata dal partito d’azione indusse il governo a fomentare anche un tentativo di rivolta a Roma. Il popolo romano non si mosse cos’ l’esercito del Cadorna penetrò in territorio pontificio. Pio IX si dichiarò prigioniero nei suoi palazzi scomunicando i governanti del regno e, invitò gli italiani a sabotare la vita istituzionale del nuovo Stato. L’anno seguente (1871) venivano emanate la legge del “guarentigie”, in virtù della quale lo Stato italiano si impegnava ad assegnare la sovranità sul Vaticano , il Latterano e Castelgandolfo e accordò alla chiesa il libero esercizio dei poteri spirituali sul territorio nazionale. Il Papa si rifiutò di riconoscere la validità di questa legge e si ebbe come conseguenza che Pio IX in una bolla del 1874 fissò il principio del “non-expedit” Tale principio venne fissato in una bolla del 1874 detta del “non expedit”, con la quale venne dichiarato “non lecito”, per chi desiderava restare ubbidiente alla Chiesa di Roma prendere parte alle elezioni per il parlamento Nazionale. Nella parte finale del suo pontificato Pio XI accentuò la sua condanna al liberismo attraverso il cosiddetto “Sillabo” o “catalogo dei principale errori del nostro tempo”. Ribadiva così la condanna del principio della libertà di coscienza, della libera ricerca, rifiutava categoricamente il socialismo, il liberismo e lo stesso cattolicesimo liberale.
In seguito all’unità d’Italia l’ordinamento dell’ex regno di Sardegna venne esteso a tutti i territori italiani. Si trattava di un ordinamento moderatamente liberale la cui carta costituzionale dava preminenza alla figura del re però consegnava al parlamento l’esercizio del potere legislativo. Primo problema da affrontare rimaneva però il diritto di voto esteso al 2 % della popolazione e la non uniformità del sistema istituzionale.
Il nuovo parlamento italiano, del 1861 appariva diviso tra Destra e Sinistra. Tuttavia, non si trattava di due schieramenti ben definiti e organizzati ideologicamente, ma piuttosto due correnti d’opinioni che sfumavano spesso le une nelle altre. Il grosso della Destra, era formato dai liberal- conservatori che intendevano continuare la politica del Cavour, mentre alla Sinistra sedevano i repubblicani unitari e federalisti e trovavano rappresentanti come i Crispi ed il Depretis.
I repubblicani hanno avuto soprattutto nel primo quindicennio di vita del nuovo Stato un ruolo del tutto marginale. Infatti, la cosiddetta Destra, dunque i monarchico-moderati, sino al 1876 proseguirono una severa politica fiscale tesa al raggiungimento del pareggio del bilancio statale indispensabile per avviare una politica di ricostruzione del Paese.
La mannaia fiscale della Destra ebbe soprattutto ripercussioni sul ceto popolare rurale e sul mezzogiorno causando così una serie di ribellioni popolari.
Finisce così il periodo della Destra al potere. Saliva al potere, nel 1876, Agostino Depretis.
Depretis era un uomo sostanzialmente onesto e legato alla tradizione risorgimentale, ma in lui prevalevano le doti secondarie del grande uomo politico. Abile manipolatore del parlamento, organizzatore di improvvisate maggioranza che mutavano rapidamente, egli si affidò soprattutto alla sua eccezionale capacità manovriere, senza curarsi troppo di dar vita a saldi gruppi politici, magari di opposizione, che sapessero effettivamente promuovere e stimolare l’azione governativa. In questo senso, il Depretis realizzò quella prassi politica che va sotto il nome di trasformismo. Il termine ha una connotazione negativa, in quanto denuncia il venir meno di un respiro ideale nella lotta politica, infatti, si intende quell’ipotesi di governare con il consenso di spezzoni di schieramenti politicamente eterogenei, se non opposti. Infatti, il progetto del Depretis mirava alla costruzione di una maggioranza parlamentare in cui far convergere anche gli esponenti della Destra interessati a misurarsi sui singoli provvedimenti del programma del governo ed eventualmente ad approvarli. Al momento della sua formulazione, la proposta di Depretis fu duramente attaccata dalla Sinistra, che la considerava pericolosa per la democrazia. Tuttavia, si registrano anche giudizi positivi perché movimento inteso come depotenziamento di ogni tensione morale.
Con l’avvento della Sinistra al potere furono promosse alcune riforme in campo scolastico, fiscale ed elettorale, delle quali il Paese aveva assoluta necessità.
La riforma elettorale portava il numero degli elettori da mezzo milione a oltre due milioni, escludeva dal diritto al voto le masse popolari operaie e contadine, che in tal modo non potevano ancora far sentire il loro perso e la drammaticità dei loro problemi.
La riforma fiscale portò all’abolizione dell’odiatissima tassa sul macinato, ma in pratica lasciò sussistere l’anti democratica consuetudine della tassazione indiretta che colpiva le classi più disagiate.
Ancora, l’ascesa al potere della Sinistra, coincise con lo sviluppo delle industrie e dei trasporti maritmi e terrestri, sviluppo che logicamente contribuì all’incremento della ricchezza nazionale e all’aumento della popolazione.
Non è un caso che lo sviluppo industriale abbia coinciso con l’avvento al potere della Sinistra, mentre infatti, gli uomini della Destra tradizionale erano più che altro portatori delle esigenze delle classi dei proprietari terrieri, gli uomini della Sinistra furono il sostegno della nuova borghesia impegnata nella costruzione delle industrie. Tuttavia il capitalismo industriale italiano compariva tardamente sulla scena internazionale e da subito il governo dovette applicare riforme protezionistiche, in difesa del sistema italiano.
Particolare è l’interesse mostrato per la politica estera. Gia nel 1878, l’Italia si vide strappata dall’Austria la Bosnia e l’Erzegovina attraverso il Congresso di Berlino; quest’episodio segnò per l’Italia la svolta decisiva di un avvicinamento all’Austria8dato anche il deterioramento dei rapporti con la Francia) . A far precipitare al situazione contribuì il gesto della Francia che nel 1881 improvvisamente impose il suo protettorato sulla Tunisia, regione in cui l’Itali aveva rilevanti interessi economici, data la presenza di numerosi emigrati italiani. A questo punto il governo italiano dovette dimenticare il tradizionale antagonismo con l’Austria e accettare la proposta di Bismark di una triplice alleanza tra Germania Austria e Italia, che venne definitivamente stipulata nel 1882. Quest’alleanza, rinnovabile ogni cinque anni, impegnava i firmatari a prestarsi reciproco aiuto in caso di aggressione.
Nell’ottobre del 1887 moriva Agostani Depretis e al suo posto saliva Francesco Crispi. Grande ammiratore del Bismark portò nella vita politica italiana un tono decisamente autoritario che non era certo il più adatto ad appianare le grosse questioni di politica interna ed estera. Diede una particolare interpretazione antifrancese della Triplice alleanza che, a sua volta ,provocò una guerra doganale, destinata ad avere gravissime conseguenze per l’economia italiana.
D’altra parte il Crispi riuscì anche, in breve tempo, a fare approvare alcune misure decisamente positive, quali una legge sulla sanità pubblica, una riforma del sistema carcerario, una nuova estensione del principio elettivo nell’amministrazione locale; in campo legislativo il fatto di maggior rilievo fu costituito dall’introduzione del nuovo codice penale che prevedeva l’abolizione della pena di morte e precorreva in tal modo tutti i paesi civili nel rifiuto di questa primitiva consuetudine giudiziaria. Nel contesto della sua politica sociale va inquadrato il suo tentativo di venire incontro alla fame di terra dei contadini siciliani. Essi si erano resi protagonisti del movimento dei Fasci , guidato dai socialisti, che Crispi aveva brutalmente represso; egli cercò di affrontare di petto le cause che l’avevano provocato e propose una revisione dei patti agrari e la distribuzione in quote dei contadini di una parte delle terre dei latifondi. A tutti questi obiettivi si coniugò il miraggio dell’espansione coloniale in Africa vista come delle soluzioni che possibilmente si potevano adottare per risolvere gli strati più disagiati della società. Fu la sconfitta riportata nel 1896 ad Adua che provocò la caduta del politico siciliano.
Il nuovo Stato però non era certo privo di problemi le cui cause sono fondamentalmente da ricercarsi in quel governo che ormai assumeva ancora caratteri forti e repressivi. In particolare la distanza tra ceto dirigente e masse popolari provocava un devastante malessere che scaturì in particolare nel Mezzogiorno attraverso pesanti forme di brigantaggio. La cause più profonde possono essere identificate nell’invasione piemontese che non concedeva un minimo di autonomia e imponeva carichi eccessivi alle miserabili popolazioni contadine del Sud. In particolare, il brigantaggio trovò un aiuto potente nell’appoggio che ad esso diedero i Borboni rifugiatisi a Roma. Il governo italiano, preoccupato di questo fenomeno affrontò il problema dal punto di vista militare e impegnò nella repressione circa sessanta battaglioni sviluppando in tal modo una vera e propria guerriglia.
L’unificazione infine parve essenzialmente l’esito di un’iniziativa solo settentrionale e questa impronta iniziale si conservò a lungo nella vita ella nuova nazione. Per interi decenni furono infatti prevalentemente uomini politici piemontesi a ricoprire le cariche più alte. Il Mezzogiorno, inoltre, risultò penalizzata tanto sotto il profilo fiscale quanto sotto quello della distribuzione territoriale della spesa pubblica. Fu al Nord, infatti che vennero in larga prevalenza concentrati gli investimenti pubblici finalizzati alla creazione delle infrastrutture necessarie allo sviluppo industriale. Si venne così inasprendo un dislivello economico tra Nord e Sud che conobbe una drammatica impennata per conservarsi come problema aperto e scottante sino a oggi.

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