I Problemi Dell'italia Unita

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I problemi dell’Italia Unita

All’indomani dell’unificazione il nuovo stato si trovò impreparato e incapace a affrontare gli innumerevoli problemi di un territorio dodici volte più grande del Piemonte. Il Regno d’Italia presentava squilibri enormi. Le leggi piemontesi che furono estese a tutto il territorio, erano lontane e spesso incomprensibili per molti cittadini della nuova Italia. Gli abitanti nel 1861 erano 21.000.000 di cui 16.800.000 analfabeti; c’erano otto monete diverse; sistemi legislativi, lingue e dialetti diversi.
Tanti secoli di dominazione straniera, la difficoltà di viaggiare velocemente, la mancanza di mezzi di comunicazione per diffondere le notizie avevano fatto sì che gli abitanti della penisola avessero mentalità e abitudini completamente diverse. La lingua italiana era conosciuta solo da quei pochi che l’avevano potuta studiare sui libri. L’Italia quindi era politicamente unita ma in realtà gli italiani delle varie regioni non avevano ancora capito di far parte di un unico stato.
L’aristocrazia, invece di preoccuparsi della soluzione dei problemi riguardanti i grandi appezzamenti di terra, viveva in ville sontuose occupandosi soltanto della propria vita, concedendosi feste e lussi. Il denaro, che avrebbe potuto servire per migliorare la produzione delle terre, veniva da loro speso per vivere più che agiatamente. La terra, soprattutto al Sud, era trascurata e si preferiva la pastorizia all’agricoltura proprio perché la prima costava meno e permetteva di lasciare incolta la maggior parte dei terreni che avrebbero potuto dar lavoro a migliaia di contadini e da vivere dignitosamente alle loro famiglie.
I contadini poveri del Sud avevano sostenuto l’impresa di Garibaldi perché speravano di migliorare le loro condizioni di vita attraverso la realizzazione di una riforma agraria che distribuisse ai più poveri le terre, spesso lasciate incolte e possedute dai grandi proprietari.
In realtà, anche dopo l’unità, non cambiò nulla nelle campagne meridionali: la gran riforma agraria e la distribuzione delle terre non erano nei programmi del nuovo Stato.
Ad aumentare il malcontento, delle popolazioni, specialmente nelle regioni meridionali, contribuì anche l’introduzione dell’obbligo di fare il servizio militare per un certo periodo. Al tempo dei Borboni, nel Regno delle due Sicilie il servizio militare non era obbligatorio; nel Regno d’Italia durava invece cinque anni.
La partenza dei giovani arrecava notevoli danni alle famiglie perché le privava per molto tempo del loro aiuto nel lavoro dei campi.

I PROBLEMI ECONOMICI

Il nuovo Regno d’Italia si trovava in condizioni economiche difficili. Il deficit dello Stato era grandissimo perché non solo il Piemonte si era fortemente indebitato per fare la guerra del 1859, ma dopo l’unificazione lo Stato italiano dovette assumere come propri i debiti di quegli Stati che aveva assorbito. Né si potevano ridurre le spese, perché bisognava creare strade e scuole, fare bonifiche e canali d’irrigazione, costruire la rete ferroviaria e quella stradale.
Per riportare il bilancio in pareggio, cioè per fare in modo che spese e ricavi si pareggiassero, furono imposte pesanti tasse. La più odiata dal popolo fu là tassa sul macinato: si doveva pagare allo stato una tassa per ogni chilo di frumento portato a macinare ai mulini. Questa tassa rendeva più cari il pane e la pasta e quindi cadeva tutta sulle spalle del popolo perché il pane e la pasta erano gli unici cibi quotidiani della povera gente.

IL BRIGANTAGGIO

Di fronte a condizioni di vita disperate molti contadini del Sud, cominciarono a rimpiangere il governo borbonico, si ribellarono, si organizzarono in bande, si nascosero sulle montagne e nei boschi e diventarono briganti: aggredivano di sorpresa villaggi e viaggiatori rubando, saccheggiando e uccidendo. A loro si unirono ex garibaldini ed ex soldati borbonici i cui eserciti erano stati disciolti. Sia i Borboni sia il Papa aiutarono in un primo tempo queste bande, sperando di abbattere il Nuovo Regno d’Italia e di riprendere i loro antichi territori. Tra il 1861 e il 1865 furono individuate ben 388 bande, ma forse erano anche di più. Il brigantaggio era il segnale di una rivolta popolare e costituiva il segnale di un malessere profondo che coinvolgeva l’intero Sud. Per risolvere questa situazione sarebbe stata necessaria un serie di riforme che migliorassero le condizioni di vita delle masse di contadini del mezzogiorno. Ma la soluzione scelta fu diversa.
Il governo italiano, invece di cercare di migliorare le condizioni di vita che avevano spinto molte persone a diventare briganti, inviò nel sud, a combattere contro di loro, un esercito di 120.000 soldati, occupò militarmente le regioni meridionali e represse la guerriglia con un grande spargimento di sangue. I morti fra i briganti ed i soldati furono moltissimi. Alla fine del 1864 il brigantaggio era stato in parte eliminato ma non era stato risolto il problema fondamentale che lo aveva scatenato: la miseria dei contadini meridionali.

IL PROBLEMA DELL’ANALFABETISMO E LA SCUOLA

In quasi tutte le regioni d’Italia l’analfabetismo era molto diffuso specialmente nel sud dove i bambini dovevano cominciare a lavorare molto presto. Soltanto nel Piemonte, nella Lombardia e nel Veneto dove il governo austriaco aveva reso gratuita l’istruzione dai sei ai 13 anni, la situazione era migliore. Per cercare di risolvere il problema dell’analfabetismo, il Regno d’Italia adottò le leggi piemontesi sulla scuola pubblica. Queste leggi affidavano ai comuni la spesa per la costruzione e la gestione degli istituti scolastici. Ma in molte zone, soprattutto nel Sud, la mancanza di soldi impedì ai comuni di costruire scuole. Per cercare di risolvere il grave problema dell’analfabetismo furono approvate varie leggi. In una di oltre 100 anni fa si affermava che i ragazzi dovevano andare a scuola per almeno due anni. Ma non bastavano le leggi: la mancanza di aule e maestri era talmente grave che solo molti anni dopo l’unità le cose cominciarono a migliorare. Alla mancanza di aule e maestri, specialmente nell’Italia meridionale, si aggiungeva un altro problema. I genitori stessi non volevano che i loro figli andassero a scuola perché dovevano essere di aiuto nel lavoro dei campi oppure servire come garzoni nelle miniere di zolfo. I “carusi” erano appunto ragazzi dagli otto ai quindici anni addetti a trasportare a spalla pesanti carichi di zolfo dal fondo delle miniere alla superficie attraverso strettissimi condotti. Si riconoscevano a prima vista: spalle curve, gambe storte, occhiaie profonde, rughe precoci.

LA SITUAZIONE IGIENICO-SANITARIA

Altro grosso problema era costituito dalla gravissima situazione igienico- sanitaria; occorreva lottare contro le epidemie di tifo e di colera che ogni tanto scoppiavano causate dalla mancanza di acqua potabile e di fognature efficienti. Altre due gravi malattie dovevano essere affrontate la malaria e la pellagra, quest’ultima dovuta all’alimentazione, limitata quasi alla sola polenta, da contadini settentrionali.

L’EMIGRAZIONE

L’emigrazione, cioè l’abbandonare il proprio paese per cercare lavoro all’estero, fu uno dei fenomeni più dolorosi dell’Italia post- unitaria. Verso il 1876, gli Italiani che emigravano in cerca di lavoro e di migliori condizioni di vita erano ogni anno circa 100.000 mila in prevalenza settentrionali. Andavano soprattutto in Francia e in altri Stati europei; di solito tornavano in Italia dopo aver messo da parte un po’ di soldi. In seguito invece furono soprattutto contadini e braccianti meridionali a emigrare: in un primo tempo verso l’America meridionale e poi negli Stati Uniti: questa era un’emigrazione che non prevedeva il ritorno. Le società di navigazione che ricavavano molti soldi dal trasporto degli emigranti davano pubblicità alle necessità di manodopera all’estero e alle paghe alte. Molti partivano per trovare lavoro nei nuovi paesi ma trovavano molto spesso miserie come nei loro paesi. Gli emigrati inviavano i loro risparmi alle famiglie rimaste in Italia e i soldi inviati erano utilizzati per migliorare le abitazioni, per rendere più produttiva la terra, per far studiare i giovani e per pagare i debiti.

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