essere uomini e donne a sparta, Atene e a Roma

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Testo

Essere uomini e donne….
…a Sparta
A Sparta educare i figli non era compito dei genitori: prima spettava ai servi, poi ad istituzioni esterne.
Da piccoli i bambini venivano allontanati dalle famiglie e divisi per sessi.
Le bimbe venivano educate in luoghi detti “tiasi”dove imparavano ad essere buone madri e mogli e acquisivano una cultura sicuramente maggiore rispetto quella delle ateniesi.
Tra i “tiasi”è famoso quello di Saffo che ebbe sede nell’isola di Lesbo.
I fanciulli seguivano un percorso diverso ma imparavano anch’essi a diventare buoni mariti e padri. L’educazione da loro ricevuta potrebbe sembrarci simile alla pedofilia ma in realtà molte sfumature ci fanno capire che si trattava di omoerotismo (inteso come educazione all’eros fatta da una persona dello stesso sesso). I bambini che avevano malformazioni o problemi di salute venivano uccisi alla nascita o abbandonati o sottoposti alla lobotomia ( rottura di un nervo che si trova vicino all’occhio e che permette la riproduzione).
Dopo nove anni di allenamento alla vita bellica, a diciotto anni, un uomo spartano poteva sposarsi ed entrare nell’esercito.
Le donne erano “libere”e potevano partecipare ai giochi, alle manifestazioni e alle cerimonie pubbliche.
…a Atene
A sei o sette anni le bimbe venivano promesse in moglie col nome di “arefore” (termine d’origine indoeuropea) e venivano introdotte nell’ambiente sacro del culto.
A dodici anni erano ritenute pronte per il matrimonio e per questo venivano dette “canefore”.
Da adulte potevano essere:
* libere (“gunè”);
* concubine (“pallachè”)
* etere (amica): prostitute colte
La subordinazione della donna all’uomo si nota anche nella struttura delle abitazioni dove lo spazio riservato alla donna (gineceo) era limitato e conteneva utensili da cucina, piccoli oggetti votivi (come il modello di tempietto ritrovato a Sapucina), anfore e solitamente un telaio.
L’androneion era al contrario un luogo ampio e conteneva attrezzi, ossa di animali, monete e oggetti più pregiati. Le donne non potevano possedere proprietà terriere e non partecipavano alla vita politica e pubblica.
Gli schiavi nel mondo greco vivevano in uno stato di totale subordinazione: erano o prigionieri di guerra o figli di schiavi o ancora debitori isolenti (come accadde nell’Atene del VI sec. a.C. quando si verificò un processo di “messicanizzazione” economica). Essi non godevano di alcun diritto: non partecipavano alle assemblee, non compravano né testimoniavano. L’unione di due schiavi non veniva considerata matrimonio.
Lo schiavo dei poemi omerici rappresenta un’eccezione come è possibile notare nel brano in cui Ulisse, ritornato a Itaca, va a trovare il padre e lo trova al lavoro nel campo con gli schiavi.

…a Roma
I fanciulli venivano considerati:
* infans (fino ai 7 anni);
* puer (dai 7 ai 14 anni);
* adulescens (dai 14 ai 22 anni);
A 22 anni raggiungevano poi la maggiore età anche se potevano sposarsi già a 14.
Gli elementi essenziali affinché una donna e un uomo si unissero in matrimonio erano:
* convivenza;
* coabitazione;
* maritalis affectum.
A Roma le famiglie venivano raggruppate in un organismo sociale detto gens con a capo un capostipite.
Ogni famiglia fu tuttavia molto flessibile fino all’emanazione della lex Iulia De maritandis Ordinibus perché era possibile divorziare con facilità e le donne portavano con loro i figli al momento in cui si sposavano con un altro uomo.
Essi venivano concepiti come figli a tutti gli effetti tanto che alla morte del padre il patrimonio veniva diviso in ugual parte tra i figli naturali e quelli adottati e il più grande prendeva il posto del pater familias.
Secondo la legislazione romana un padre poteva uccidere un figlio per un giusto motivo mentre il figlio uccidendo il padre si macchiava da patricidium. Nei riguardi della figlia il padre esercitava la manus (potere e tutela) . Quando il figlio si sposava il potere illimitato del padre si estendeva pure sulla nuora (convente in mannus).
Solo alla fine dell’Impero Romano d’occidente queste idee/pratiche vennero almeno in parte abbandonate ma la donna era sempre considerata come un essere che avesse una grave incapacità psicologica. Solo i servi erano sottomessi alla mater familias.
I servi non avevano alcun diritto civile e politico e ricevevano soltanto dei denari per vivere. Poiché solo i più fortunati riuscivano a riscattarsi, anche i loro figli erano considerati tali.
Si diveniva schiavi per:
* debiti;
* guerra;
* nascita.
Lo schiavo era considerato una persona e per questo la sua tomba era ritenuta res sacra.
Ognuno poteva essere liberato/liberarsi tramite la “manomissione”:
* testamentaria (per disposizione di testamento);
* vindicta ( il padrone fingeva di rivenderlo a un’altra persona e invece lo liberava);
* ope legis (per disposizione di leggi: i maltrattati per esempio venivano liberati istantaneamente);
oppure con la concessione dell’anello d’oro ( da parte dell’imperatore).
La “manumissione” non faceva troncare gli obblighi (assistenza, servitù, mantenimento) del liberto definitivamente nei riguardi del vecchio padrone se il liberto diventava più ricco del padrone.
A corte i liberti talvolta contavano più dei magistrati, infatti, spesso le liberte romane sposavano i senatori. Augusto, poi, vietò questi matrimoni (lex iulia de maritandis ordinibus).

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