Platone (Atene 427-347 a.C)

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Testo

PLATONE
(Atene 427-347 a.C)
È l'unico filosofo antico di cui ci rimangano integralmente le opere: una produzione vastissima, ricca di capolavori anche dal punto di vista letterario. In un momento storico decisivo per la vita politica greca, che vede l'avvento di una società profondamente rinnovata nei costumi, nei valori, nelle tecniche e nelle scienze, Platone si presentò come l'erede autentico di Socrate, in polemica tanto col naturalismo presocratico quanto col relativismo sofistico; ma, pur nella fedeltà al metodo del maestro, come attesta la predilezione per la forma del dialogo (e Socrate ne è quasi sempre il personaggio principale), la sua opera mostra un processo di ricerca ininterrotto, segnato da continui approfondimenti e anche da revisioni delle proprie dottrine.

• Vita e opere.
Di famiglia aristocratica, si avviò alla filosofia seguendo l'eracliteo Cratilo; ma decisivo fu il suo incontro con Socrate, attorno al 408. Si allontanò da Atene subito dopo la morte di quest'ultimo (nel 399), recandosi a Megara, e poi nuovamente verso il 388, per un viaggio nell'Italia meridionale, dove a Tarante ebbe contatti con il pitagorico Archila e a Siracusa si legò d'amicizia con Dione, parente e consigliere del tiranno Dionigi. Tornato ad Atene, vi fondò nel 387 l'Accademia, la prima scuola di filosofia la cui esistenza sia certa (che cesserà le sue attività nel medioevo). Nel 367 compì un altro viaggio a Siracusa: allora vi era al potere il giovane Dionigi II e Platone sperava di guidarlo a una riforma dello stato; ma il tentativo non ebbe successo (Dione fu esiliato e Platone trattenuto fino al 365). Del 361 è un terzo viaggio a Siracusa; nel tentativo di difendere Dione, Platone rischiò la vita e solo l'intervento di Archila gli consentì di tornare in patria.
Il corpus delle opere di Platone, come ci è pervenuto, è formato dall''Apologià di Socrate, da 33 dialoghi e da 13 lettere: in tutto 36 titoli, che vennero raggnippati in 9 tetralogie dal grammatico Trasillo (sec. I d.C.). Questo ordinamento è tuttora seguito nelle edizioni coliche; ma non lutti i dialoghi sono ritenuti autentici. Sulle Lettere i pareri sono discordi; ma sono generalmente ritenute autenliche la vii e l'vm. Quanto alla cronologia, la critica moderna ha puntato su tulli i dali disponibili, ma decisivo è risullato il criterio «slilometrico»; poiché è at teslalo che l'ullima opera di Platone sono le Leggi, si ha così un termine di riferimento, a partire dal quale le allre opere possono essere scaglionale all'indielro, sulla base della frequenza di un certo numero di slilemi, quali particene, iato ecc. La classificazione complessiva, generalmente accettala, salvo qualche variante, è la seguente:
1) Dialoghi giovanili cosiddetti «socratici» (396-388 circa): Apologià di Socrate, Catone, Ipparco, Ippia minore, Alcibiade primo, Protagora, Eutifrone, Liside, Car mide. Lochete, Ippia maggiore. Ione, Menesse no.
2) Dialoghi della maturità (scritti fra il primo e il secondo viaggio in Sicilia): Gorgia, Menone, Eutidemo, Cratilo, Repubblica, Fedone, Simposio, Fedro.
3) Dialoghi della vecchiaia: Teeteto, Parmenide, Sofista, Politico, Filebo, Tìmeo, Crizia, Leggi; e le Lettere.

• Dai dialoghi socratici alla teorìa delle idee.
I primi dialoghi di Platone hanno argomenti prevalentemente di etica, molando intomo al tema della virtù: l'Eutidemo ha per oggetto la pietà, il Liside l'amicizia, il Carmide la saggezza, il Lochete il coraggio, 1''Ippia minore la vera cilà. Ma nessuno di essi arriva a una conclusione netta; donde la definizione di «aporetici»(contradditori), comunemente usala per questi dialoghi.
A una prima conclusione sul tema della virtù in generale giunge invece il Protagora: tutte le virtù si riducono a una sola, la sapienza (sophia), e perciò la virtù è suscettibile di insegnamento. Ne risulta un profondo intellettualismo: l'equazione virtù=sapienza implica che chi conosce il bene non può che seguirlo e che nessuno agisce male volonlariamenle, bensì solo per ignoranza. Il tema dell'identità della virtù nelle sue varie forme è sviluppalo nel Menone: «Anche se sono di molti tipi, in lutte le virtù ha da esservi una sola forma, per cui sono virtù.» Quindi, per rispondere alla domanda che cos'è la virtù, occorre fissare gli occhi su una tale «forma» o «idea» (èidos). E questa la nozione che d'ora in poi sarà al centro di tutta la riflessione di Platone e che ne segna la novità maggiore rispetto al spcratismo. Subito, nell' Eutifrone, la ricerca è rivolta a determinare «che cos'è in se stessa quella tale idea del santo per cui tutte le azioni sante sono sante», onde usarla come modello per giudicare ciò che è santo e ciò che non lo è. Contemporaneamente Platone procede a criticare le dottrine avversarie, cominciando dai sofisti. Nel Gorgia è esaminata l'arte retorica, che si propone la mera persuasione degli ascoltatori: un «credere non accompagnato dal sapere», dice Platone, perciò neppure una téchne, ma solo un'empeiria, poiché non fondata sulla comprensione razionale della natura delle cose. Il Menane, dedicato alla critica dell' » eristica, formula per la prima volta la teoria della reminiscenza, che rimarrà centrale nella gnoseologia di Platone. Attraverso domande opportune, Socrate riesce a far sì che uno schiavo, del tutto ignaro di geometria, pervenga da sé alla dimostrazione del teorema di Pitagora. Ciò è possibile, conclude Platone, perché l'anima dell'uomo ha acquisito la conoscenza della verità in una vita precedente e può quindi ricordarla (anamnesi). Per questa teoria Platone ricorre al mito dell'immortalità dell'anima e della reincarnazione. Ma procede anche, nel Fedone, a una dimostrazione razionale dell'immortalità dell'anima, fondata sulla dottrina delle idee. Le idee sono realtà invisibili, stabili, sempre identiche a se stesse; e l'anima è capace di coglierle solo in quanto è simile «al divino e all'immortale». Il rapporto fra l'anima e le idee non è esaurito però dalla conoscenza intellettuale, ma investe tutt'intera la vita dell'uomo. Lo mostra il Simposio, dedicato al tema dell'amore (èros). L'amore è presentato, secondo il mito, come un demone, figlio di póros (risorsa) e penìa (povertà), partecipe quindi della natura di ambedue: non ha la bellezza, ma la desidera, non ha la sapienza, ma aspira a possederla.
Diversi sono i gradi della bellezza: dei corpi, dell'anima, delle leggi, delle scienze; e infine viene l'idea della bellezza, che costituisce il termine ultimo dell'ascesa dell'eros: «Bellezza eterna, che non nasce e non muore, non s'accresce né diminuisce.» Elevandosi fino all'idea, l'èros consente quindi il passaggio dall'ignoranza alla scienza. Un tema analogo tornerà nel Fedro, dedicato all'analisi della natura dell'anima.

• La «Repubblica».
Tutti i temi filosofici fin qui considerati vengono a organizzarsi nei dieci libri della Repubblica. Al centro di quest'opera c’è il problema politico, che è fondamentale nel pensiero di Platone, costituendo il fine della stessa speculazione filosofica. Il punto di partenza è dato dall'analisi della virtù della giustizia, ma rapidamente si passa dal piano individuale a quello dell'organizzazione politica: così il libro II della Repubblica analizza la genesi e la struttura dello stato, in funzione della ricerca di cosa sia giustizia e ingiustizia.
Lo stato trae origine dalla necessità di soddisfare i bisogni naturali, dato che l'individuo non può essere in tutto autosufficiente. Si ha così una divisione dei compiti, fondata sulle attitudini, fra coloro che lavorano per soddisfare i bisogni primordiali: artigiani e commercianti. Via via che i bisogni si accrescono e la popolazione aumenta, la comunità ha l'esigenza di estendersi territorialmente, donde la pratica della guerra e quindi la formazione di una classe di guerrieri, «custodi» dello stato. A questo punto Platone abbandona la prospettiva della ricostruzione della genesi dello stato per passare alla delineazione dei criteri ai quali dovrebbe essere ispirata l'organizzazione di uno stato ottimo. Importanza decisiva ha l'educazione dei guerrieri, che Platone raccomanda sia fondata sulla musica e sulla ginnastica, e però bandisca le favole mitiche narrate dai poeti, poiché queste non rappresentano la divinità come è realmente, cioè buona e causa di bene, ma anzi come autrice essa stessa del male. Tale condanna della poesia rientra in quella condanna generale dell'arte che si trova nel libro X della Repubblica: la realtà è copia del mondo delle idee; l'arte, che è imitazione della realtà, è dunque copia di una copia, quindi allontana dalla verità.
Inoltre, i «custodi» non dovranno avere beni personali, saranno mantenuti dagli altri cittadini e vivranno in comune. Una siffatta educazione riguarda anche le donne, giacché la differenza di sesso non implica differenza di attitudini. A questa nuova considerazione della donna Platone aggiunge la proposta dell'abolizione della famiglia per i «custodi»; uomini e donne si accoppiano secondo criteri stabiliti dallo stato e i figli non conosceranno i genitori, ma saranno allevati tutti insieme dallo stato. Non è comunque ai guerrieri che Platone affida il compito di governare, ma a una terza classe formata da un gruppo di sapienti, selezionati fra i «custodi», ovvero ai filosofi. Così delineato lo stato ideale, Platone riprende l'indagine sulla natura della giustizia.
Le virtù che producono uno stato ideale sono quattro: sapienza, coraggio, temperanza e giustizia; ma, mentre le prime tre sono specifiche rispettivamente delle tre classi dei cittadini (governanti, guerrieri, lavoratori), la quarta è la virtù per cui ogni classe esplica il compito che le è proprio entro lo stato, senza invadere quello altrui, nel rispetto della gerarchla fra le classi. È ora possibile ritornare alla prospettiva individuale, sul presupposto che la struttura dell'anima di ogni singolo corrisponde alla struttura dello stato.
Anche l'anima individuale è infatti composta di tre elementi: istinto, emotività e ragione. Pertanto, un uomo sarà giusto quando ognuna delle tre parti dell'anima adempirà alle sue funzioni e di conseguenza l'elemento razionale, sostenuto dall'emotività, dirigerà l'istinto. Questa tripartizione dell'anima si trova anche nel Fedro, nel mito dell’auriga, tirata da due cavalli, uno bianco (anima irascibile o emotività) e uno nero (anima concupiscibile o istinto), e guidata da un auriga (anima razionale).
Raggiunta la definizione della giustizia, Platone dedica il resto dell'opera alla sapienza, appunto perché senza di questa — virtù suprema dell'individuo e specifica dei filosofi, reggitori dello stato — non si realizzerebbe neppure la giustizia. Nel libro VII della Repubblica, attraverso il mito della caverna, allegoria del processo della conoscenza umana, Platone mostra come il filosofo debba sollevarsi dalle cose sensibili alle idee e poi volgersi di nuovo a questo mondo, per governarlo nel modo migliore.
Quattro sono i gradi della conoscenza cosi delineati:
1) immaginazione o congettura (eikasia), che coglie immagini sensibili isolate;
2) credenza (pixtLi), che coglie gli oggetti che a tali immagini danno luogo;
3) ragione discorsiva o matematica (dianoia), che è conoscenza degli oggetti matematici;
4) intelletto (noùs), che coglie le idee.
Il passaggio dai primi due gradi della conoscenza, che costituiscono l'opinione (dóxa), agli altri due, che costituiscono la scienza (episléme), è presentato come il passaggio dalla visione del mondo sensibile a quella delle idee. Ma il grado della ragione discorsiva è a sua volta soltanto preparatorio rispetto al grado propriamente fìlosofico. Educato attraverso l'aritmetica, la geometria, la stereometria e l'armonia, il filosofo è in grado di pervenire conclusivamente alla dialettica, l'unica scienza che poggi su principi non ipotetici, quali sono le «i dee». Fra queste ha una posizione preminente l'idea di bene e Platone illustra tale preminenza con un celebre paragone: come il Sole rende visibili gli oggetti sensibili e da vita e nutrimento alle cose, ma non si identifica con esse, cosi il bene fa sì che vengano conosciuti gli oggetti conoscibili, ai quali da inoltre «l'esistenza e l'essenza», senza esaurirsi in essi. In questo modo l'intellettualismo etico, già presente nei primi dialoghi di Platone, viene a culminare nell'ontologizzazione del valore morale. Anche la nozione di èidos si precisa ulteriormente: esso è l'universale, semplice e uno, contrapposto alla molteplicità delle cose sensibili che ne partecipano. Questa partecipazione si configura ora come «imitazione», nel senso che l'idea è modello della cosa, ora come presenza dell'idea nella cosa, senza che perciò si attenui la separazione fra il mondo del divenire e quello dell'essere, costituito appunto dalle idee.

• Il Demiurgo.
Il mondo fisico deriva da un padre (il mondo delle idee) e da una madre (la materia , che è la condizione per l'esistenza del mondo fisico stesso ma che mantiene comunque una componente di indeterminazione).
Il Demiurgo è colui che fa da madiatore tra il mondo delle idee e la materia, e fa sì che le idee si calino nel mondo sensibile.
Platone mette a questo punto in gioco la figura del Demiurgo (dal Greco "demos"popolo, "ergon" opera, =artigiano).
Il Demiurgo è un divino artigiano: è colui che osservando le idee plasma la materia sul modello delle idee stesse.

• Il Mito di Er – Immortalità dell’anima
Per dimostrare che l'anima è eterna in modo razionale, Platone si serve di un mito, il celebre mito di Er, un guerriero della Panfilia morto in battaglia. Il suo corpo viene raccolto e portato sul rogo (era un'usanza greca): proprio prima che gli diano fuoco si risveglia e racconta ciò che ha visto nell'aldilà, affermando che gli dei gli han concesso di ritornare sulla terra per raccontare agli altri uomini ciò che ha visto. Dice di aver visto 4 passaggi attraverso i quali le anime salgono nella dimensione ultraterrena, da un passaggio le buone, dall'altro le malvagie, e tramite i quali ritornano sulla terra. Infatti, dice, le anime buone finivano in una sorta di Paradiso dove godevano, le cattive in una sorta di Purgatorio (l'Inferno era un fatto raro,destinato solo ai più malvagi). I giusti ricevono premi per 1000 anni,i malvagi soffrono. Dopo questi 1000 anni le anime buone e quelle cattive si devono reincarnare.
Esse si recano al cospetto delle 3 Moire che devono stabilire il loro destino. Le anime vengono radunate da una specie di araldo che distribuisce a caso dei numeri: prende i numeri e li getta per aria ed ogni anima prende quello che le è caduto più vicino (questo sottolinea come nella nostra vita ci sia comunque una componente di casualità). Il numero serve per dare un ordine alle anime che devono scegliere in chi reincarnarsi; chiaramente chi ha il numero 1 è avvantaggiato perchè ha una scelta maggiore, ma deve comunque saper scegliere bene. Dunque c'è sì una componente di casualità, ma in fin dei conti la nostra vita ce la scegliamo noi.

• L'ultimo Platone.
Oltre a riformulare la teoria delle idee, nell'ultima fase del suo pensiero Platone cerca di dare una nuova soluzione al problema morale. Nel Filebo si afferma che il bene, se deve essere qualcosa di perfetto e autosufficiente, non può che essere una «mescolanza», in giusta misura, di piacere e intelligenza; senza quest'ultima, infatti, si ignorerebbe completamente se si sta godendo o no; né può essere concepita una vita immune dal piacere e dal dolore. Il Timeo è dedicato alla trattazione della cosmologia, attraverso la presentazione di un «mito» verosimile. Non si da scienza, infatti, se non di ciò che è stabile e certo e che si apprende col noùs; quel che nasce e muore, e si apprende con l'opinione, può tutt'al più dar luogo a un discorso probabile.
Il cosmo materiale, per Platone, ha una causa e un principio, rappresentato dal Demiurgo, un artefice divino che ha tratto il mondo dal caos, dandogli ordine e forma, secondo un modello.
Questo modello è il «Vivente in sé»; il mondo si presenta dunque come un grande organismo, dotato di un'anima (anima del mondo) e di un corpo. L'anima del mondo è formata dall'essenza dell'indivisibile, dall'essenza del divisibile e da una terza essenza, che è una mescolanza dell'identico e del diverso. Il corpo è rappresentato dai quattro elementi di Empedode, terra, aria, acqua, fuoco, ai quali il Demiurgo da una struttura di carattere geometrico, costituendoli in figure solide. Complessivamente, il mondo ha forma sferica (essendo la sfera la più perfetta delle figure) ed è dotato di moto circolare. Ma il Demiurgo non ha creato dal nulla, bensì ha tratto il mondo da una sorta di materia prima, un ricettacolo universale, assolutamente informe, giacché deve essere capace di accogliere tutte le forme: lo spazio (chéra). Lo spazio è il regno della necessità, di un mero meccanismo bruto, sul quale interviene l'intelligenza del Demiurgo. Nel mondo operano quindi due tipi di cause: quelle finali o primarie, di ordine intellettivo, e quelle meccaniche, subordinate alle prime. Pertanto, in Platone sono presenti tanto il meccanicismo quanto il finalismo, ma è il secondo a prevalere nettamente. Il Timeo prosegue con la descrizione della creazione dei pianeti e degli esseri viventi: ampio spazio è dedicato all'uomo, alle varie parti del corpo e dell'anima calle loro funzioni.
Le Leggi sono l'ultima opera di Platone e rappresentano una revisione, probabilmente legata alle esperienze siracusane, delle sue teorie politiche ed educative. Platone critica l'educazione spartana, tutta incentrata su un'unica virtù, il coraggio; di contro, sostenendo che è la pace e non la guerra la condizione migliore per una città. Platone raccomanda un'educazione in cui al primo posto siano le virtù della saggezza e della giustizia. Comunque, al pari che nella Repubblica, anche ora l'educazione resta compito esclusivo dello stato attraverso le leggi. Quanto all'organizzazione dello stato, le preferenze di Platone si indirizzano ora verso una forma mista di democrazia e aristocrazia. La proprietà privata, che nella Repubblica era abolita, viene qui ripristinata nella forma della proprietà familiare, indivisibile e inalienabile, distribuita dallo stato (l'analisi della legislazione è seguita da Platone nei minimi dettagli). Particolarmente importante è l'elaborazione di una teologia astrale (fondata sull'idea dell'animazione dei corpi celesti) come religione di stato, elemento fondamentale di coesione e di stabilità; cosi che vanno combattute, anche attraverso sanzioni penali, non solo la religiosità popolare, ma soprattutto l'irreligiosità nelle sue varie forme.

IL DEMIURGO
Il mondo fisico deriva da un padre (il mondo delle idee) e da una madre (la materia , che è la condizione per l'esistenza del mondo fisico stesso ma che mantiene comunque una componente di indeterminazione).
Il Demiurgo è colui che fa da madiatore tra il mondo delle idee e la materia, e fa sì che le idee si calino nel mondo sensibile.
Platone mette a questo punto in gioco la figura del Demiurgo (dal Greco "demos"popolo, "ergon" opera, =artigiano).
Il Demiurgo è un divino artigiano: è colui che osservando le idee plasma la materia sul modello delle idee stesse. Platone introduce quindi una divinità a tutti gli effetti. Il concetto che il Demiurgo guardi ad un modello è tipicamente platonico: mentre per esempio gli artigiani umani guardano ad un modello che hanno nella loro testa, il Demiurgo guarda ad un qualcosa che è fuori da lui: dato che le idee sono il bene per la loro categoria, anche il mondo sensibile dev'essere per forza buono, sebbene indeterminato.
Che rapporto intercorre tra le idee, la materia ed il Demiurgo?
Tutti e tre sono eterni, sono sempre esistiti. A differenza della divinità cristiana, che crea il mondo, quella platonica si limita a plasmarlo e non è onnipotente, ha infatti due limiti: la materia, che gli impedisce di costruire un mondo perfetto, e le idee, che sono il modello a cui deve per forza attenersi.

L’ARTE
Platone nella "Repubblica" fa considerazioni più articolate e complesse rispetto a quelle di Socrate attaccando l'arte su due piani differenti:
1) morale e più banale rispetto all'altro: Platone, come già Senofane ,sostiene che l'arte ci presenta gli dei o gli eroi con caratteristiche fortemente negative e che assumono atteggiamenti meschini e di basso valore morale (basti pensare all'ira di Achille ); lo stesso vale anche per la musica, di cui Platone era esperto (si racconta che ormai in fin di vita, sentendo una fanciulla che suonava il flauto, le ultime parole che pronunciò prima di morire furono di rimprovero perchè ella aveva stonato): a quell'epoca vi erano diversi stili ben canonizzati e definiti,ognuno dei quali stimolava determinati sentimenti, positivi e negativi. Secondo Platone la musica che stimola sentimenti negativi va assolutamente censurata; al giorno d'oggi abbiamo criteri di giudizio differenti: un brano musicale o ci piace o non ci piace, indistintamente dal suo valore morale:per noi bello e brutto sono su un livello totalmente differente da buono e cattivo. Prendiamo per esempio i Carmina Burana di Orf, di orientamento filo-nazista: si possono apprezzare pur non essendo filo-nazisti. Presso di noi vige l'autonomia dell'arte, che Platone non ha riconosciuto: bello-brutto è diverso da buono-cattivo e da vero-falso: in un libro di storia ricerco la verità, in un romanzo la bellezza...Platone era senz'altro molto attratto dalla questione del bello, che per lui aveva a che fare con la natura e non con l'arte: parla infatti di begli uomini, belle piante, belle azioni...Il suo giudizio è puramente morale: se un'opera è cattiva sul piano morale, anche se bella va censurata, il che rientra bene nella concezione di stato totalitario platonico. Bisogna comunque dire che era un concetto molto diffuso presso i Greci, che lo riassumevano nella "calogazia": non c'era differenza tra bello e buono. Abbiamo anche tirato in ballo la coppia vero-falso, di valenza gnosologica; abbiamo già detto a riguardo delle idee che il piano ontologico e quello gnosologico corrispondono: vero e falso si identifica con essere e non essere;di conseguenza il falso va censurato.
2) metafisico e di più alto livello: in un primo momento Platone afferma dunque che le opere d'arte pericolose vanno allontanate; successivamente, non soddisfatto di quanto detto, sostiene che vadano censurate tutte dalla prima all'ultima. Quando un artista raffigura un corpo, secondo Platone, imita un corpo esistente in natura; ma abbiamo detto che per Platone le cose sono imitazioni delle idee.Le opere d'arte sono quindi a suo avviso imitazioni di imitazioni: se già le cose sensibili sono inferiori alle idee, figuriamoci le opere d'arte: sono un gradino più distanti e contengono un tasso di verità addirittura inferiore a quello delle cose:le opere d'arte impediscono all'uomo ancora di più rispetto alle cose sensibili di conoscere le idee e vanno dunque bandite. L'arte diventa quindi negativa a prescindere dal fatto che stimoli buoni o cattivi sentimenti: il piano morale non conta più. Sono affermazioni piuttosto strane,soprattutto se consideriamo che Platone stesso era un artista e dedicò dialoghi al bello naturale, come il "Fedro" o il "Simposio". Chiaramente aveva ben presente le capacità persuasive dell'arte. Tuttavia in epoche successive si sono usate queste stesse affermazioni platoniche per giustificare l'arte: essa non imita la realtà empirica, ma le idee stesse ed è strano che Platone non se ne sia accorto in quanto aveva tutti gli strumenti: i ritratti stessi (presso i Greci ancora di più i busti) sono idealizzati; l'artista sfrutta il volto di chi deve ritrarre per poi passare all'idea vera e propria (è lo stesso del triangolo disegnato che serve per ragionare sull'idea di triangolo). Probabilmente per noi è più facile capirlo perchè possediamo la macchina fotografica; è facile per tutti capire la differenza tra un ritratto e una foto. Da notare, poi, che dalla scoperta della macchina fotografica in poi i pittori hanno cominciato a fare ritratti sempre più astratti e meno realistici. Gorgia aveva dato grande importanza all'arte sganciandola dal piano ontologico: secondo lui dal momento che la verità non esiste,ci si può creare un mondo proprio, dato che non c'è un vero mondo:non si hanno vincoli imitativi; per Gorgia l'artista è tanto più bravo quanto più riesce ad ingannare.
Gli artisti secondo Platone, invece, con le loro "copie" precludono agli uomini la possibilità di conoscere. Altro motivo della condanna da parte di Platone è che l'arte corrompe i giovani perchè rappresenta l'uomo in preda alle passioni; vengono indotti a considerare normale una vita in balia delle passioni, dell'odio, dell'invidia...l'arte stessa sviluppa le passioni. Lo stesso Omero (che veniva anche definito "la bibbia dei Greci" dal momento che nelle sue opere si trovava un pò di tutto: verità religiose, tecniche militari...) ha rappresentato i più grandi eroi in preda a passioni. Platone nella sua condanna risparmia solo la musica e le poesie patriottiche che elevano l'uomo al grande dovere di sacrificio per la patria, ispirandosi al modello spartano, dove la musica patriottica aveva avuto importanza sul piano educativo.Tuttavia in altri dialoghi dà un giudizio positivo rivalutandola completamente (egli stesso era un grande poeta).

IL MITO DI ER
Per dimostrare che l'anima è eterna in modo razionale, Platone si serve di un mito, il celebre mito di Er, un guerriero della Panfilia morto in battaglia. Il suo corpo viene raccolto e portato sul rogo (era un'usanza greca): proprio prima che gli diano fuoco si risveglia e racconta ciò che ha visto nell'aldilà, affermando che gli dei gli han concesso di ritornare sulla terra per raccontare agli altri uomini ciò che ha visto. Dice di aver visto 4 passaggi attraverso i quali le anime salgono nella dimensione ultraterrena, da un passaggio le buone, dall'altro le malvagie, e tramite i quali ritornano sulla terra. Infatti, dice, le anime buone finivano in una sorta di Paradiso dove godevano, le cattive in una sorta di Purgatorio (l'Inferno era un fatto raro,destinato solo ai più malvagi). I giusti ricevono premi per 1000 anni,i malvagi soffrono. Dopo questi 1000 anni le anime buone e quelle cattive si devono reincarnare.
Esse si recano al cospetto delle 3 Moire che devono stabilire il loro destino. Le anime vengono radunate da una specie di araldo che distribuisce a caso dei numeri: prende i numeri e li getta per aria ed ogni anima prende quello che le è caduto più vicino (questo sottolinea come nella nostra vita ci sia comunque una componente di casualità). Il numero serve per dare un ordine alle anime che devono scegliere in chi reincarnarsi; chiaramente chi ha il numero 1 è avvantaggiato perchè ha una scelta maggiore, ma deve comunque saper scegliere bene. Dunque c'è sì una componente di casualità, ma in fin dei conti la nostra vita ce la scegliamo noi: è vero che per chi nasce, per esempio, in una famiglia agiata è più facile essere onesti rispetto a chi nasce in una famiglia povera, oppure chi nasce in una famiglia onesta è avvantaggiato rispetto a chi nasce in una famiglia disonesta, ma tuttavia la nostra vita ce la scegliamo noi. Ma quelli che hanno numeri sfavorevoli non sono necessariamente svantaggiati perchè scelgono dopo: in primo luogo le possibilità di scelta che gli restano sono sempre tantissime, in secondo luogo chi è primo non sempre effettua buone scelte; Er racconta che nel suo caso chi scelse per primo scelse la tirannide che gli aveva fatto una buona impressione (infatti lassù si vedono le cose sotto forma di oggetti: forse la tirannide aveva dei bei colori, chi lo sa?). Costui, non appena si era accorto di ciò che comportava l'essere tiranno, non voleva più esserlo, ma era troppo tardi: le Moire gli danno l'incarico di tiranno e lo lanciano sulla terra, dopo averlo immerso nel fiume Lete perchè dimentichi (Er chiaramente non è stato immerso). Er dice che per ultima era arrivata l'anima di Ulisse e che, stanca della passata vita "movimentata", scelse la vita di un comune cittadino. Platone fa notare che di solito chi veniva dal Paradiso tendeva ad effettuare scelte sbagliate,mentre chi veniva dal Purgatorio e aveva sofferto sceglieva bene. Infatti chi aveva vissuto per 1000 anni di beatitudine si era scordato di che cosa fosse la sofferenza. Quindi chi ha sofferto sceglie bene e sceglie una buona vita che lo porterà al Paradiso, mentre chi ha goduto sceglie male e dopo che ri-morirà finirà in Purgatorio. Pare quindi un circolo vizioso, ma in realtà Platone dice che il motivo per cui si sceglie una vita buona o una cattiva può derivare da doti naturali: ci sono infatti persone portate a comportarsi bene per inclinazione naturale: vi è anche chi ha conoscenze basate sull'opinione e che può cogliere alte realtà, ma solo casualmente, senza riuscire a fornire motivazioni: costoro, che conducono una vita buona per caso, non radicata nella coscienza, si smontano facilmente nel Paradiso quando godono e finiranno per scegliere male. Chi ha invece raggiunto il bene in sè, la super-idea del bene, non cadrà mai nel male.

LA DONNA
Nel quinto libro della Repubblica, Platone affronta la questione della diversità dei sessi e assume posizioni piuttosto aperte, soprattutto se teniamo in considerazione dei tempi in cui é vissuto, tempi in cui l' attività manuale, per esempio la coltivazione dei campi, era predominante: Platone sta tratteggiando il suo stato ideale, visto come grande famiglia, caratterizzato dall' abolizione della proprietà privata. Socrate, il protagonista del dialogo di cui Platone si serve per esprimere le sue idee, arriva a dire che perfino le donne e i figli devono essere in comune; quest' affermazione, chiaramente, suscita scalpore presso i suoi interlocutori, i quali lo travolgono di domande: Socrate si trova decisamente in difficoltà e prende come esempio per spiegare ciò che intende il mondo dei cani, ipotizzando che le femmine debbano svolgere le stesse mansioni dei maschi: andare a caccia e fare tutto ciò che fanno i maschi. Se ogni attività deve essere comune, é ovvio che dovranno avere la stessa educazione, lo stesso allevamento impartito ai maschi: l' unica differenza sarà che i maschi saranno più vigorosi, dice Socrate, che comunque é chiaramente consapevole della divergenza della natura dei due sessi; evidentemente nature diverse dovrebbero svolgere funzioni diverse, secondo la logica più tradizionali, ma Socrate é convinto di poter dimostrare che le cose non stiano necessariamente in questi termini: le persone calve e quelle chiomate hanno la stessa natura? Qualora abbiano natura opposta, allora se i calvi fanno i calzolai, a rigore i chiomati non possono fare i calzolai: ma é assurdo. Il problema consiste nel chiedersi in quale senso usiamo i termini " diverso " e " identico " quando li poniamo in connessione con il termine " natura ": i calvi é vero che sono diversi dai chiomati, ma forse ne consegue che ai primi spettano compiti totalmente diversi da quelli che spettano ai secondi? Naturalmente tutti i membri del genere umano hanno delle differenze, Platone lo sa bene, ma esistono differenze rilevanti a tal punto da determinare una radicale disuguaglianza e distinzione di funzioni e attività? Non va poi dimenticato che in età moderna una di queste differenze rilevanti sarà ravvisata nel colore della pelle come motivo per giustificare l' esistenza della schiavitù. Platone invece usa il concetto di "differenza naturale" solo in connessione all' attitudine a svolgere determinate funzioni: in questo senso si può correttamente dire che un medico é diverso da un falegname, ma non che il sesso maschile é diverso da quello femminile. Rispetto alla determinazione delle funzioni da svolgere all' interno di una città giusta quale quella che Platone si propone di tratteggiare perde dunque totalmente rilevanza il diverso ruolo svolto da maschio e femmina nel processo riprodutivo: infatti in che cosa differiscono gli uomini dalle donne? Secondo Socrate e Platone nel fatto che le donne partoriscano, mentre gli uomini fecondano: ma allora, per quel che riguarda funzioni quale la difesa della città, per esempio, entrambi i sessi possono attendere alle stesse occupazioni . Tuttavia, Socrate fa notare come in tutti i campi l' uomo risulti superiore alla donna , nonostante ci siano anche donne superiori a certi uomini. Così per quel che riguarda l' amministrazione statale " non c'é occupazione che sia propria di una donna in quanto donna nè di un uomo in quanto uomo; ma le attitudini naturali sono similmente disseminate nei due sessi, e natura vuole che tutte le occupazioni siano accessibili alla donna e all' uomo, ma che in tutte la donna sia più debole dell' uomo" , dice Socrate .

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