Crisi dell'impero carolingio e nuove invasioni

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La crisi dell’impero carolingio e le nuove invasioni
La spartizione dell’impero
Dopo la morte di Carlo riuscì ad impadronirsi dell’impero Ludovico il Pio, re d’Aquitania (814-840). Nonostante fosse molto religioso combatte con molta violenza anche contro i suoi figli. Uno dei suoi consiglieri fu il monaco e santo Benedetto d’Aniane, considerato il secondo fondatore dell’ordine benedettino. Questo monaco dette molta importanza alla liturgia e all’ufficiatura e cercò di uniformare in tutti i monasteri l’applicazione della regola benedettina.
Ludovico il Pio decise di non distribuire il regno fra tutti i suoi figli, ma designò come suo successore il primogenito Lotario che sarebbe divenuto imperatore. Quando poi Ludovico ebbe da un secondo matrimonio un altro figlio, Carlo, detto poi calvo, influenzato dalla moglie Giuditta, tolse parte delle terre a Lotario e le concesse al nuovo nato. Seguirono altri conflitti poiché Ludovico avrebbe voluto che l’impero alla sua morte fosse diviso fra i soli Carlo e Lotario.
Morto nell’840 Lotario fu vinto dai fratelli e costretto alla pace di Verdun nell’843. Conservò la dignità imperiale ma i suoi possedimenti si ridussero all’Italia e ad un tratto delle Alpi. Morì nell’855.

I giuramenti di Strasburgo
Alla metà dell’IX le lingue parlate dai vari popoli erano molto diverse. I Franchi occidentali parlavano una lingua romanza e diversissima dalla lingua germanica parlata dai Franchi orientali. Ne abbiamo la prova nell’842, quando Carlo il Calvo si alleò con il fratello Ludovico perché volevano spartirsi l’impero ai danni del fratello Lotario. A Strasburgo giurarono di rispettare l’accordo raggiunto fra loro due. Il giuramento avvenne prima in latino poi ciascuno dei due giurò nella lingua dell’altro. Poiché entrambe i sovrani volevano che i propri eserciti capissero il giuramento fu messo per iscritto. Queste nuove lingue vennero chiamate volgari.
Verso il Mille la divisione fra i due regni Franchi è netta: da una parte il regno di Francia dall’altra il regno di Germania e d’Italia.

Cariche e benefici diventano ereditari
I conti con il passare del tempo ebbero sempre più libertà di governo; divennero inamovibili, e sempre più cercarono di trasmette l’incarico di governo ai propri figli. Carlo il Calvo era riuscito a farsi incoronare imperatore nell’875 e fu costretto nell’877 a fare importanti concessioni. Le leggiamo nel capitolare di Quierzy. In occasione di una spedizione militare in Italia, Carlo nell’877 dettò a Quierzy importanti concessioni: se un conte fosse morto mentre l’imperatore era impegnato nella sedizione italiana, i diritti degli eredi erano salvaguardati finché l’imperatore fosse ritornato in patria; se un conte anziano avesse voluto ritirarsi in un monastero per pensare a salvare la propria anima in vista della morte poteva trasmettere l’incarico di governo al proprio figlio. Governare una provincia era equiparato a detenere un beneficio.

Da comitati a contee. Principi e duchi
I comitati corrispondevano alla grandezza di una provincia attuale. Dopo la disgregazione dell’impero carolingio alcuni conti riuscirono ad estendere il loro controllo su più comitati, che uniti corrispondevano ad un’attuale regione. Questi vennero chiamati contee. Carlo Magno delegava spesso ai conti e marchesi il potere di governare ed era sempre Carlo a decidere personalmente se mantenere questi funzionari pubblici nell’incarico. Conti e marchesi governavano in suo nome. Per la debolezza dei sovrani, a partire dal X secolo chi governava su una contea preferiva farsi chiamare principe. Quando un principe poteva affermare di essere capo di persone unite da un’unica cultura si faceva chiamare duca.

La dinastia Capetingia in Francia, Ottone I in Germania
L’ultimo imperatore carolingio, Carlo III il Grosso, fu deposto nell’888. Dopo questa deposizione l’impero di Carlo Magno è definitivamente sfasciato. Eleggevano il re ma erano pronti a ribellarsi e magari ad allearsi fra di loro per eleggere un altro candidato. Dopo una serie di successioni, la corona passò nell’987 ad Ugo Capeto. Con lui comincia la nuova dinastia dei capetingi che rimarrà sul trono di Francia fino alla rivoluzione francese. Sarà però il germanico Ottone I eletto re nel 936, a proseguire l’opera del padre Enrico I recuperando il patrimonio regio, ottenendo la restituzione delle terre da alcuni duchi e riuscendo ad aggiungere, nel 951, alla corona germanica quella del re d’Italia. Nel 962 fu incoronato imperatore a Roma dal pontefice Giovanni XII. Rinasceva così ancora una volta il Sacro Romano Impero.

1037: tutti i feudi diventano ereditari
Col tempo anche i vassalli minori, definiti milites cioè cavalieri, vogliono ottenere l’ereditarietà delle terre. Questi sono proprietari che si potevano permettere di combattere. Così anche questi volevano poter trasmettere ai propri figli i feudi; la scontentezza dei milites poteva sfociare in una ribellione per questo l’imperatore fu costretto a cedere. Nel 1037 l’imperatore Corrado II, con l’Edictum de beneficiis detto anche: Constitutio de feudis, stabilì l’ereditarietà dei feudi. I vassalli trasformarono in possesso personale le terre che sfruttavano; i conti trasformarono in un loro diritto l’esercizio del potere concesso dal re. Vassalli e conti trasmettevano adesso possesso e diritti in eredità ai loro figli. In pratica erano diventati tanti piccoli sovrani.

Gli Ungari
Gli Ungari ogni anno a primavera si rovesciavano sulla Germania, dove c’erano poche città fortificate. Gli Ungari non erano infatti capaci di organizzare un lungo assedio. Attraverso le Alpi si spinsero nella pianura padana. Erano abilissimi cavalieri ed arcieri e preferivano cogliere di sorpresa; saccheggiavano e incendiavano. Chi veniva fatto prigioniero era venduto come schiavo ben presto la fama della loro ferocia e violenza fu tale che gli abitanti preferivano pagare grossissime somme pur di essere risparmiati. Le loro scorrerie finirono soltanto con la grande vittoria dell’imperatore Ottone I nella pianura di Lechfeld presso la città di Augusta, in Germania, nel 955. Da allora gli Ungari non uscirono più dalla Pannonia, diventarono agricoltori e nel giro di pochi anni si convertirono al cristianesimo; il regno si consolidò con Stefano I il Santo, che nel 1001 venne incoronato re dal papa Silvestro II.

I pirati arabi
Fra il IX e X secolo gli Arabi erano riusciti a completare l’occupazione della Sicilia e a riconquistare molti territori perduti in Spagna. Inoltre esercitavano la pirateria in tutto il Mediterraneo ma penetravano anche in terra ferma. Partivano dalle loro basi sulle coste dell’Africa settentrionale, della Spagna, dall’Italia meridionale e dall’imprendibile base di Frassineto in Provenza. Nell’827 avevano cominciato a conquistare anche la Sicilia che si concluse nel X secolo con la presa di Taormina. Gli Arabi devastarono anche grandi città vicino al mare come Marsiglia e Roma. Portavano via oggetti preziosi e per questo prendevano spesso di mira i monasteri dove erano custoditi molti oggetti d’oro. Inoltre catturavano uomini, donne e bambini per venderli come schiavi. La situazione migliorò solo quando fu distrutta la base di Frassineto 972-973. In Sicilia insegnarono a coltivare la canna da zucchero, introdussero i primi semi di cotone, i bachi da seta e gli alberi di gelso. Fecero conoscere il sommacco, la palma da dattero, il pistacchio, il melone. Dagli Arabi i siciliani impararono nuovi sistemi di irrigazione e a potare le piante.

Le invasioni scandinave
I Vichinghi abitavano in origine la penisola scandinava e la Danimarca. Dai franchi vennero chiamati Normanni o uomini del Nord; in oriente Varieghi. Erano di stirpe germanica, divisi in piccole tribù. Si dedicavano anche all’agricoltura e alla pastorizia ma erano soprattutto abili mercanti e veloci predatori. I Vichinghi di solito compravano le merci ma ritenevano giusto razziare. Percorrevano i mari con imbarcazioni leggere dallo scafo poco profondo: potendo risalire velocemente i corso dei fiumi.
Queste navi erano a vela, poi venivano spostate lungo i bordi una serie di tavolette che impedivano all’acqua di entrare: apparivano allora i fori per far passare i remi. Alla metà del IX secolo, risalendo la Sienna raggiunsero Parigi e incursione dopo incursione posero le loro basi lungo le rive di questo fiume. Nel 911 Carlo III il Semplice preferì concedere in beneficio le terre da loro occupate e ricevere dal capo Rollone il rituale d’omaggio e giuramento di fedeltà.

I Vichinghi e l’America
I Normanni si convertirono al cristianesimo, accettarono la lingua e la civiltà francese, le istituzioni vassalliche, ma non dimenticarono il loro spirito di avventura. Nell’XI secolo un altro gruppo di Vichinghi scesero verso il fiume Dnepr e crearono i regni di Novgorod e Kiew e arrivarono fino al Mar Nero. Quasi contemporaneamente altri gruppi raggiunsero Irlanda, poi l’Islanda, la Groenlandia e intorno al 1000 arrivarono alle coste del Labrador.

L’incastellamento
Il signore diventò un punto di riferimento per tutti colore che vivevano nelle sue immediate vicinanze. In teria sarebbe stato proibito incasellarsi perché all’origine solo il re aveva il diritto di provvedere alla difesa del territorio. Il moltiplicarsi delle fortezze rendeva più debole il potere del sovrano perché il potente dentro il suo villaggio si comportava da padrone assoluto. Tutti quelli che dipendevano dalla sua protezione e fossero potuti entrare dentro la fortezza dovevano aiutare a mantenere la fortezza solida.

Il villaggio fortificato
Intorno al mille per castello si intendeva un’area fortificata posta su un colle o difesa da un corso d’acqua e circondata da un fossato, chiusa da palizzate o mura; con torri. Le finestre degli edifici erano molto piccole in modo da poter tirare le frecce senza essere colpiti. Le porte erano ugualmente minuscole e raggiungibili da una scala a pioli. All’interno del castello sorgevano la chiesa, varie case e capanne. Li stavano gli armati e tutti coloro che prima erano dispersi per le campagne. Il castello aveva perciò l’aspetto di un vero villaggio fortificato.

Il castello
Col passare del tempo al posto del villaggio si preferì una cinta di mura più piccola in pietra, all’interno della quale stava una robusta torre quadrata, che serviva per estrema difesa in caso che nemico in caso che il nemico fosse riuscito a scavalcare le mura. Qualche volta serviva per abitazione del signore, ma spesso questi viveva in un altro edifico accanto molto più grande. C’erano poi ancora alcune abitazioni dei servi e degli artigiani e stalle e ripari per il bestiame. Il castello non coincideva più con il villaggio fortificato ma era diventato un singolo edificio circondato da mura. A partire dall’XI secolo ci fu una generale crescita della popolazione e tanti gli abitanti del villaggio vennero cacciati; le loro case si trovano fuori dalle mura ma sempre il più vicino possibile al castello. Speravano di essere accolti almeno nel momento dell’estremo pericolo di una improvvisa incursione.

Le difese del castello
Il castello fu circondato da un fossato che veniva riempito d’acqua. Chi stava all’interno aveva la facoltà di tirare il ponte e fare calare, ad ulteriore difesa della porta d’ingresso una serie di saracinesche di ferro. Aggiunte in pietra e in legno permettevano di sporgersi dalle mura rimanendo
Abbastanza protetti per tirare dall’alto pietre e frecce e colpire chi si avvicinava. La porta d’ingresso veniva raddoppiata. Un soffitto collegava le due porte in modo che anche da qui gli abitanti fossero in grado di scagliare pietre. Fu costruito sul bordo interno delle mura un lungo corridoio in legno o in pietra dove stavano le sentinelle e gli uomini pronti con archi e spade. Lungo le mura inoltre furono poste delle torrette e dei piccoli ripari rettangolari, i merli, a volte muniti di fessure per tirare con maggiore tranquillità. Le parti in legname oggi sono scomparse. Si può dire che su ogni altura sorgesse un castello. Si aveva così una rete di punti di guardia molto fitta.

Il signore del banno
Il signore difendeva ma anche comandava. Esercitava il potere anche sui contadini e sui servi che lavoravano le terre vicine alle sue. Comandava perfino coloro che non dipendevano da nessuno, obbligava tutti gli abitanti a coltivare i suoi campi, a piantare palizzate, a fare turni di guardia o a riparare fortificazioni. Tutti quelli che avevano bisogno della protezione armata del signore dovevano obbedire al suo banno, cioè al suo potere di costringere, di giudicare e di punire. Il signore giudicava direttamente le liti e faceva arrestare i colpevoli, costringeva a pagare qualsiasi tassa ritenesse opportuno. Bisognava usare il mulino del signore o il suo frantoio e per fare questo occorreva pagare una tassa; ma tasse e pedaggi andavano pagate anche per attraversare un ponte. Bisognava pagare una tassa perfino su se stessi. Il signore aveva accaparrato per suo tornaconto i poteri pubblici che erano del conte. Per servi e coloni la signoria di banno significò un peggioramento della loro situazione.

L’addobbamento
Nei secoli XI-XII il rito dell’addobbamento era molto semplice: davanti a testimoni, il signore consegnava al giovane la spada e il cinturone e gli dava insieme uno schiaffo sulla guancia col palmo della mano, o gli assestava un colpo sulla nuca con la spada di piatto. Il nuovo cavaliere dimostrava di essere pronto a sopportare tutte le fatiche delle battaglie. Poi il nuovo cavaliere prometteva di essere fedele al suo signore. Più tardi la cerimonia divenne molto più complicata: bisognava passare una notte in preghiera a fare un bagno di purificazione.

La pace di Dio, la tregua di Dio
La chiesa cercava di convincere i cavalieri ad usare la loro forza per proteggere i più deboli ma non era mai ascoltata. Allora la chiesa decise di istituire la pace di Dio. I cavalieri non dovevano usare spade contro gli inermi. Verso la fine dell’XI secolo si aggiunse la tregua di Dio: ogni settimana, dal tramonto del giovedì all’alba del lunedì, era proibito combattere. Proprio il moltiplicarsi di questi divieti dimostra che gli assalti e le violenze facevano parte della vita quotidiana. A volte la gente si ribellava aiutata dal vescovo. Con le armi in pugno il vescovo cercava di porre fine alla violenza con la violenza.

Il torneo, la giostra
Uno dei divertimenti preferiti dei cavalieri era il torneo, dove non si cercava di uccidere l’avversario ma di disarcionarlo. Chi era stato fatto prigioniero doveva pagare un riscatto enorme per tornare libero e riavere il proprio cavallo. I tornei erano perciò un buon mezzo per arricchirsi, ma molto pericoloso perché la possibilità di morire o di essere gravemente ferito era grande. La chiesa proibiva i tornei. Spesso per farsi riconoscere in mezzo alla mischia portavano sopra la corazza un velo o una manica della loro amata. Solo a partire dal duecento incominciarono a scontrarsi nel torneo due campioni invece che di due squadre. Lo scontro divenne un combattimento più ordinato e si chiamo giostra. Inoltre si cominciarono ad usare armi spuntate.

Guerra ed eserciti nel IX-X secolo
A maggio cominciavano i grandi lavori agricoli e quindi sarebbe stato indispensabile chiedere a tutti i contadini di interrompere il lavoro dei campi per partire alla guerra. Quando pensiamo a quegli eserciti dobbiamo ricordarci che erano piccoli eserciti. Ogni cavaliere era accompagnato dagli scudieri che cavalcavano i cavalli di ricambio e lo assistevano in ogni necessità. La fanteria aveva un ruolo assai ridotto il cui compito principale era di sostenere l’azione della cavalleria tirando frecce sugli avversari. Le guerre duravano soltanto alcuni mesi. Con il sopraggiungere dell’inverno tutti tornavano a casa. Contro le fortezze si usavano macchine come arieti e torri mobili.

Esempio



  


  1. monica

    sto cercando gli appunti o riassunti i storia medioevale. sostengo l'esame di storia medioevale nella facolta di beni culturali a lecce