Arabi in Sicilia

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Categoria:Storia

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Testo

ARABI IN SICILIA
Insieme a al-Idrisi, a Ibn Giubair e a molti altri poeti e viaggiatori del tempo, ibn Hamdis conferma l'immagine poetica della Sicilia -giardino.
Ovvero di una terra che gli arabi, in più di due secoli di dominazione, trasformarono in luogo di grande civiltà e bellezza. La Sicilia, nella sua storia millenaria, è stata conquistata decine di volte e da popoli diversi. Quasi tutti hanno tolto senza dare. Gli arabi, invece, hanno tolto ma hanno anche dato. L'agricoltura, il commercio, l'arte, la cultura ebbero un grande sviluppo. L'influenza islamica nell'architettura, nella pittura, nella ceramica, nella decorazione, nella gastronomia e nella lingua fu massiccia. Nella vita quotidiana i costumi arabi si diffusero rapidamente. I nuovi quartieri delle città s'ispiravano allo stile moresco: ampie case bianche con piccole finestre.
A tavola si teneva molto alle buone maniere: mangiavano a piccoli bocconi, non usavano gli stuzzicadenti. Il gentiluomo arabo si lavava e si profumava ogni giorno, si vestiva elegantemente e non portava pantaloni rattoppati. I passatempi preferiti erano la lotta dei galli, gli scacchi e la caccia. Tra il popolo erano diffusi il gioco dei dadi e quello della tavola reale.
Dal punto di vista religioso la Sicilia occidentale fu islamizzata quasi al 50 per cento. I cristiani erano tollerati e generalmente protetti, ma erano nella condizione di dhimmi (essa comportava il pagamento di una tassa da parte dei viventi aderenti a una religione rivelata sotto la protezione dell'autorità musulmana). Palermo (divenuta capitale della Sicilia araba) alla fine del X secolo contava 300.000 abitanti, tanto da essere una delle più belle e popolate città d'Europa; vi sorsero
Numerose scuole dove si insegnavano la sfericità della terra e i punti cardinali, conoscenze mediche e filosofiche, astrologiche e scientifiche. Quando questa cultura, insieme ai modelli architettonici, si incontrò (dopo il mille) con quella normanna, nacque la più alta civiltà del medioevo europeo. Con queste parole Ibn ldrisi descrive la Sicilia (siamo agli inizi del XII secolo): " abbonda di alberi da frutta ed è dotata di edifici e luoghi di delizie talmente sontuosi da disorientare chi si accinga a descriverli e abbagliare le menti degli intenditori: a dirla in una parola sono una vera seduzione per chi...i ammira”. Anche nell'agricoltura gli arabi portarono tante innovazioni: si perfezionarono i sistemi di raccolta delle acque con le irrigazioni delle huertas (come quella della "conca d'oro" nei dintorni di Palermo) e si diffusero i mulini ad acqua.
La coltura intensiva di nuovi prodotti (le arance amare, i limoni, la pesca, l'albicocca, il pistacchio, il riso, la canna da zucchero, la cipolla, il carciofo, gli asparagi, il cotone, il papiro, il carrubo, le melanzane) prese il sopravvento sulla pastorizia.
Non a caso con gli arabi iniziò lo spezzettamento del latifondo e nacquero i piccoli centri di popolazione rurale. Gli arabi, quindi, produssero una vera e propria rivoluzione nelle abitudini alimentari dei siciliani e loro si devono alcuni piatti: il sorbetto (sharbat), la cassata siciliana (dall'arabo quas'at, torta di cacio), il couscous ecc. L'influenza linguistica araba continuò anche
dopo la fine della dominazione e numerosi sono oggi gli arabismi presenti nel dialetto siciliano o nei toponimi delle città: summaccu, carrubbo, giummarra (piante), milinciana (melanzana), zagara (fiore d'arancio),gebbia (vasca), cafisu (unità di misura), cantaru (100 kg.), tumulu e munneddu (unità di misura), bascula (bilancia); Caltanissetta (Qal'at-Nissa), Marsala, (Marsa-Allah), Mazara del Vallo (Mazzar), Palermo (Balarmer), Rometta (Rarnth), Caltabellotta (Qal'at el
Bellut) ecc.

Quando gli arabi vennero in Sicilia
Nell'anno del Signore 575 Gregorio (che diverrà prima papa e poi sarà santificato) fondava in Sicilia sei monasteri, per dare rifugio ai monaci fuggiaschi dalle varie penetrazioni dei barbari del nord nell'Italia Centrale, e per contrapporre la fede cattolica -con una presenza destinata a rafforzarsi al potere consolidato della chiesa bizantina.
La nostra isola, a quei tempi, ospitava vescovi legati strettamente a Roma, che Gregorio tentava di rendere più autonomi, con raduni annuali a Siracusa e Catania, in aperta competizione con Costantinopoli e con la presenza greca, ancora numerosa. Una sorta di scontro secolare tra due chiese cristiane era lo scenario cui si affacciarono i nuovi venuti, che attraversavano il Mediterraneo con le loro veloci vele, gli arabi. Intorno al 700 il califfo ' Abd al-Malik ibn Marwan inviò Abd al-Malik ibn Qatan a occupare l'isola di Pantelleria, ideale testa di ponte per la Sicilia.
Pantelleria fu conquistata e la sua fortezza rasa al suolo. Per la prima vera incursione araba bisogna però aspettare fino all'anno 827, il 17 giugno, quando le navi di una nutrita flotta toccarono terra a Mazara, guidati da Abu ' Abd Allah Asad ibn al-Furat ibn Sinan. Più di settanta navi, diecimila armati, un centinaio di cavalli.
Per tre giorni Asad rimase a Mazara mentre tutte le navi entravano in porto e i suoi uomini sbarcavano. Poi, a poca distanza da Mazara, rimasero in attesa dell'esercito bizantino, molto più numeroso. Fu una vittoria completa e Asad, lasciato Abu Zaki a guardia di Mazara conquistata, mosse con il grosso delle sue truppe verso Siracusa, passando per Chiaramonte e Palazzolo.

MAZARA DEL VALLO al tempo degli Arabi
Un visitatore,magari proveniente da un paese arabo, che oggi voglia ritrovare la Mazara descritta da AI Himyari, non riuscirà a trovare le mura che cingevano la città, e sicuramente le vie e le strade gli appariranno diverse, ma, se appena si addentrerà nel dedalo di viuzze strette che si irradiano a partire dalla centralissima piazza San Michele, potrà sentire voci che gli ricordano la sua terra, specialmente se proviene dalla Tunisia o dal Marocco o dalla zona del Maghreb. Perché Mazara del Vallo, oltre che il più grande e importante porto peschereccio della Sicilia, è la città delle più numerose comunità di nordafricani, che ormai costituiscono una parte cospicua della popolazione locale. Anche qui, come in moltissime città e cittadine siciliane, il ricordo ancora visibile della presenza araba si può trovare nelle vie strette e riparate, negli archi che sormontano i muri di giardini e cortili interni e,più vivaci ed evocativi, nei sapori della cucina araba, che qui, più che in ogni altro angolo di Sicilia, si può gustare con facilità.

La conquista di GIRGENTI
A poca distanza dalla città di Siracusa i musulmani incontrarono alcuni dignitari greci che tentarono di fermarli con ricche offerte di riscatto, e si fermarono per qualche tempo, finche si accorsero che i ritardi servivano ai siracusani per rafforzare le mura e portare in città la maggior quantità di vettovaglie possibile dalle campagne vicine, e salvare i tesori di chiese e monasteri.
Decisero allora di attaccare, e rafforzarono l'assedio, occupando le grandi grotte che oggi conosciamo come, le Latomie del Paradiso, di Santa Venera, di Navanteri e dei Cappuccini.
L'assedio durò a lungo, e i rifornimenti mancavano più agli arabi che agli assediati, costretti praticamente in Ortigia. Asad fece bruciare tutte le navi dei due porti e chiese rinforzi dall'Africa, ma la fame era diventata una realtà per le truppe musulmane, che si racconta furono costrette a cibarsi dei cavalli. Il malumore cresceva tra gli assedianti, e ci fu chi, a nome di tutti, chiese ad Asad di abbandonare l'assedio e tornare a casa. L'oratore Ibn Qadim -fu fustigato pubblicamente.
Intanto a Mazara erano arrivate truppe fresche: si mossero verso nord e il governatore di Palermo uscì alla testa dei suoi armati incontro agli arabi, i qua!i si erano trincerati dietro un lungo fossato, e avevano scavato nelle pianure di fronte a loro una gran quantità di buche nel terreno -tattica tra l'altro descritta nei manuali di strategia bizantini.. I cristiani caricarono i musulmani
che li attendevano dall'altra parte del fossato e i cavalli sprofondarono nelle buche; al contrattacco, i musulmani misero in fuga le armate nemiche, poi ripiegarono su Siracusa, continuando l'assedio.
Dopo dieci mesi scoppiò un'epidemia tra le file musulmane. Morirono in molti, e anche il loro condottiero Asad ibn AI-Furat. Era l'anno 828. Il successore del grande Asad fu Muhammad al-Gawari, eletto dai soldati a capo dell'esercito. Un esempio di democrazia piuttosto raro per quei tempi. Intanto a Siracusa erano affluite nuove schiere di armati bizantini e di soldati inviati da Venezia: i musulmani, a questo punto, scoraggiati e decimati dall'epidemia, armarono le loro navi per abbandonare la città. Ma i difensori bloccarono l'imboccatura del porto grande e gli arabi, a questo punto, invece di tentare di forzare il blocco bruciarono le loro stesse navi, per non cadere nella tentazione di tentare di nuovo la fuga. Un gesto disperato, che però costringeva gli uomini a combattere con tutte le loro forze pur di aprirsi una via.
Si inoltrarono in terraferma e giunsero sulle pendici di un monte, su cui era arroccata la città di Mineo. A poca distanza, le acque sulfuree del lago di Palici. Qui la pestilenza che li aveva colpiti cessò: i musulmani assalirono Mineo e in capo a tre giorni la conquistarono.
La leggenda narra che l'immagine di Santa Agrippina, martire romana e protettrice della città, apparì la prima notte sulle mura che gli arabi stavano scalando e li ricacciò indietro brandendo una croce infuocata. Rinfrancati dalla vittoria e dalla fine dell'epidemia, i musulmani lasciarono un presidio a Mineo e scesero di nuovo sulla costa, verso oriente, e conquistarono la città di Girgenti (Agrigento), in quell'epoca molto decaduta dagli antichi splendori dopo la dominazione romana e bizantina. Era 1'828.
AGRIGENTO al tempo degli Arabi
Città in Sicilia, fiorente, animata da un continuo andirivieni di gente. Ha una rocca elevata e ben munita ed un centro urbano bello, prospero e di antica civiltà, ed è una delle fortezze più imponenti, cui la gente affluisce da ogni parte. Karkint è dotata di mercati che ammassano prodotti e mercanzie di ogni genere, di giardini, di orti e di campi coltivati. Dista tre miglia dal mare: ed una giornata di cammino per mare -ossia venticinque miglia -da Sciacca. Agrigento sorge in una posizione elevata ed è circondata da una cinta di mura; nei suoi pressi si trovano antiche vestigia e templi; essa è inoltre la città siciliana più ricca di frumento.
GIRGENTI E AGRIGENTO
A quanto pare gli arabi non erano particolarmente sensibili alle bellezze archeologiche dell'Europa: la piana dei templi di Agrigento, i tesori che tutto il mondo viene ad ammirare e ci invidia, non erano per Al-Himyari che alcune vestigia antiche, greche e romane, mentre molto più importante, ai suoi occhi, era la produttività delle campagne circostanti e la quantità di grano.
Anche la cronaca araba non parla troppo della caduta di Girgenti, considerandola una tappa trascurabile nella marcia dell'esercito conquistatore, ma per chiunque visiti la Sicilia Agrigento è invece una tappa obbligata e fondamentale.
Di arabo, in effetti, la città non presenta molte tracce, a meno di ricercarle nel sistema viario della parte più vecchia, mentre la valle che si stende ai piedi della città verso il mare è uno spettacolo che offre emozioni straordinarie a qualunque visitatore.

La conquista di PALERMO
Nell'agosto'dell'830 le truppe musulmane incominciarono l'assedio di Palermo. Scelsero con cura il momento, perché altre loro truppe stavano tenendo impegnati i bizantini a Siracusa, Caltanissetta e Enna, e quindi non sarebbero potute intervenire in difesa della città sul Tirreno.
Palermo riuscì a resistere per un anno, poi fu costretta a cedere. Le cronache narrano di una difesa strenua da parte dei palermitani: pare che all'inizio dell'assedio fossero circa settantamila, e quando la città fu presa ne rimanessero soltanto tremila. Questo eccidio fu certamente dovuto anche a una pestilenza, e non soltanto alle armi arabe.
Di fatto il vescovo Luca, governatore della città, si arrese -a condizione che il suo seguito e le sue proprietà fossero risparmiate -e se ne fuggì per mare, insieme a due i pochi che riuscirono a seguirlo.
Il resto della popolazione fu ridotto in schiavitù, e tutti i beni furono confiscati.
Il nostro storico Amari sostiene che la caduta di Palermo coincise con la vera e propria conquista araba, che fino a quel momento si era limitata a piccoli centri (com' erano considerati allora Mazara e Agrigento) poiché il possesso di Palermo -grande e munita di poderose difese, oltre che porto strategico di grande importanza e soprattutto con una popolazione ridottissima .spinse i conquistatori a farne una base stabile. Le campagne circostanti, lavorate dai contadini che
erano diventati loro vassalli, fornivano una cospicua quantità di prodotti.
PALERMO al tempo degli Arabi
Capitale della Sicilia e suo centro più importante. E' la città chiamata al-Madlnah, secondo quanto ha inteso dire Ibn Raslq nei versi in cui la ricorda così: Sorella di Medina in un nome cui nessun altro paese partecipa, cercalo pure! II dio ha celebrato il significato del suo nome con un
giuramento. Segui, se vuoi, l'opinione dei dotti o ragiona per analogia!
Da Palermo, sede del potere in Sicilia in epoca islamica e normanna, muovevano le flotte per le imprese belliche. Essa è situata sulla riva del mare ed è circondata dai monti; ha una fiorente riviera e edifici belli e famosi: moschee, fondachi, bagni e botteghe. A Palermo si trova anche la grande Moschea che esistette in passato e nella quale tutto è bello: strutture architettoniche, splendori d'arte, motivi ornamentali e arcate. Palermo ha un borgo, una vera e propria città murata: il Cassaro (al-Qasr). In questo borgo si trova l'antico centro urbano chiamato al-Halisah (l'eletta, da cui l’attuale Kalsa), adiacente al porto, residenza dell'emiro e della sua corte al tempo della dominazione musulmana, [in cui si trovano] la Porta del Mare e l'arsenale. A nord del Cassaro si sviluppò il quartiere degli Schiavoni, oltre il corso del Papireto, mentre a sud, oltre il Maltempo, sorsero i quartieri della moschea di Ibn Saqlab (piazza e vicolo Meschita) e degli ebrei, mentre lungo il mare sorsero alcuni «ribat», sorta di eremi-fortezze con cui gli arabi difendevano i propri territori di confine. Le acque attraversano da tutte le parti la Medina di Sicilia, scorrendo perenni. Palermo abbonda di alberi da frutto ed è dotata di edifici e di luoghi di delizie di stupenda bellezza.
Ibrahlm ibn Ahmad ibn al-Aglab, emiro d'Ifrlqiyah, si era accampato presso questa città, quando si era recato in Sicilia per un'impresa bellica. L'aveva conquistata e vi era entrato nell'anno 287 [900] trucidandovi gran parte della popolazione e risparmiando quindi la vita ai rimanenti. Incaricato di questa impresa era il figlio AbuI-Abbàs, suo erede presuntivo, cui egli aveva rimesso il potere allorquando aveva manifestato il pentimento; per i propri misfatti e l'intenzione di compiere il pellegrinaggio. In seguito però Ibrahlm aveva annunciato che, per timore del sovrano d'Egitto Ibn Tulun, non gli era possibile attraversare quel territorio e che, mutando proposito, si sarebbe dedicato invece alla guerra santa. Pose allora fine alle vessazioni ed incaricò il banditore di dame l'annuncio e di convocare i danneggiati al tribunale dei soprusi per il risarcimento.
Ibrahlm morì durante l'assedio di Cosenza. Era stato colpito da insonnia e da dissenteria; gli era stata prescritta una pozione, ma sopraggiuntogli il singhiozzo gli fu detto che la dissenteria ed il singhiozzo erano due mali essenziali. Allora non bevve la medicina, si logorò ulteriormente, tanto che aggravatosi il morbo morì nel mese di du'I-Qa d ah dell'anno 289 [ottobre 902].
La popolazione di Cosenza, ignara della sua morte, pagò la gizyah. Dopo essere stato imbalsamato, fu trasportato a Palermo dove fu sepolto e dove famosa è la sua tomba.
PALERMO ARABA OGGI
Vi proponiamo un itinerario nei luoghi che sono la testimonianza della presenza araba nella capitale della Sicilia: partiamo dalla Kalsa, il quartiere che era il centro della vita araba da quando i musulmani si insediarono nella città, dove, negli anni Ottocento dopo Cristo, fu
costruita la Halisah -che significa l'Eletta –cittadella munita, sede dell'emiro di Sicilia e quartiere per le truppe dell'Islam. Ci siamo tenuti per ultimi i monumenti più significativi di Palermo, che sono anche quelli in cui evidente è 1 'origine araba.
Risaliamo allora via Vittorio Emanuele, che di per se offre una panoramica significativa di quello che è il tessuto sociale e il senso di questa città: dopo i caratteristici "quattro capti" all'incrocio con via Maqueda, ci si presenta sulla destra lo spettacolo grandioso della cattedrale. Anticamente chiesa bizantina, fu trasformata in moschea dai conquistatori. Come cattedrale sorse intorno al 1185, nel 1400 furono aggiunti lo splendido portico e le parti superiori delle torri angolari ; ai primi dell'Ottocento ci furono interventi architettonici che le diedero l'attuale aspetto neoclassico, e sorse la grande cupola. All'interno, statue del Laurana e del Gagini e i sarcofagi di Federico II, Ruggero II, Enrico IV, Costanza d'Altavilla. Ora, proseguiamo fino al fondo di via Vittorio Emanuele, dove ci sovrasta l'enorme mole di Porta Nuova,e sulla sinistra troviamo il Palazzo dei Normanni, costituito al tempo degli arabi -allora si chiamò "Palazzo degli Emiri" e divenne la sede del potere reale in Sicilia. Oggi ospita l'Assemblea Regionale Siciliana. E' tutto da visitare, con una particolare attenzione alla Cappella Palatina, che ha l'ingresso per il pubblico in Piazza Indipendenza.
A pochissima distanza, in via dei Benedettini, la magnifica chiesa di San Giovanni degli Eremiti, che più di ogni altra costruzione palermitana ricorda i tempi arabi, con le sue cinque cupole rosse.
Così può finire questo itinerario breve sulle tracce degli arabi, anche se in realtà l'intera città, nelle sue parti più antiche, conserva segni più o meno evidenti dei conquistatori musulmani.

MARSA-ALLAH, il porto di Dio
«... Distrutta e caduta nell'oblio» scrive AI-Himyari. Quante volte, infatti, Marsala fu bersaglio militare? Tante, troppe volte, tiranni e colonizzatori l'hanno distrutta e incendiata, saccheggiata e umiliata. Dai greci ai cartaginesi, dai romani ai bizantini e agli arabi. Base strategica per le spedizioni in Africa, importante porto siciliano e sede della questura e della pretura, prima della dominazione araba Marsala fu Lilybeo -da Le Luboe, probabilmente, ossia "di fronte alla Libia" perché così era chiamata allora l'Africa. Da Lilybeo a Marsa-Allah, porto di Dio secondo alcuni, o Marsa-Alì, porto di Alì secondo altri. La fine dell'undicesimo secolo segnò anche la fine del dominio arabo e l'inizio dell'era normanna che per Marsala significò rinascita e rivincita sulle continue angherie e soprusi. Il benessere e la tranquillità raggiunti con Ruggero, però, presto vennero a mancare perché gli angioini si presero ogni cosa e scatenarono l'ira della gente di Sicilia che si ribellò fino a cacciare i francesi dalla sua terra. Era il 1282. Anche la successiva dominazione spagnola che significò, oltre a governi rigidi e assedio, pestilenza ed epidemie, rese la città bersaglio di nemici e colonizzatori. Nel XVIII secolo gli inglesi scoprirono la Marsala del vino -ancora oggi, infatti, è terra di innumerevoli case vinicole -il frutto della terra e del lavoro dell'uomo che portò benessere e risollevò l'economia. Ma solo dopo lo sbarco dei Mille e la liberazione del Regno delle due Sicilie dai borboni Marsala poté ritenersi libera e indipendente.
La moschea
Nell'ex scuola elementare di via Favara -zona di Ciancio il 6 giugno è stata inaugurata una moschea, alla presenza di diplomatici marocchini e1unisini,che costituirà, oltre che luogo di culto per gli oltre duemila musulmani residenti nella città, anche un centro sociale, che sarà collegato al Centro di prima accoglienza progettato in contrada Perino. Una dimostrazione -ove ce ne fosse bisogno che il processo di integrazione è una realtà positiva e senza traumi nella città di Marsala.

TRAPANI
Fu abitata da Musulmani e cristiani insieme ed i due gruppi avevano moschee e chiese.
Ancora oggi nel quartiere Casalicchio (il nucleo più antico della città) è possibile osservare un'articolazione viaria tipica del mondo arabo con vie pedonali di due ordini: le grandi vie (shari) e le strade di quartiere (darb) con diramazioni che terminano in vicoli ciechi (azziqqa) e cellule abitative raccolte intorno a cortili. Percorrendo le strade del centro storico si ha l'idea delle varie stratificazioni culturali che si sono alternate nel corso dei secoli e che hanno lasciato segni indelebili nel tessuto urbano, architettonico e monumentale della città.

ENNA nelle memorie di Al-Hymyari
Una delle più importanti e popolose città cristiane in Sicilia. Fu conquistata da AI-Abbas governatore nell'isola. Ed era quello il centro più imponente, più esteso, più ricco di frumento che i Bizantini possedessero in quelle contrade! La sua conquista avvenne nel mese di sawwal del 244 (ndr. mese di gennaio dell'859 d.C.). Abu lbrahim inviò ad AI-Mutawakkil un messaggero ad annunciare la nuova conquista e con lui sontuosi doni ed i migliori elementi tra gli schiavi e le schiave che erano stati presi. ..:
La caduta di ENNA
Nell' 837 truppe arabe capitanate da Abd as-Salam raggiunsero le pendici del monte su cui sorge Enna. I bizantini, allora i padroni della città, mossero incontro al nemico e nello scontro i musulmani furono sconfitti. Numerosi i morti tra gli arabi e parecchi i prigionieri, tra i quali lo stesso condottiero, che in seguito fu liberato, grazie a uno scambio.
Ritornati gli arabi sulla costa ebbero un'altra battaglia, in cui però riuscirono a sconfiggere le armate cristiane, affondandone nove navi e un'imbarcazione veloce, catturandone al completo gli equipaggi. Dopo questa vittoria, per vendicare la precedente disfatta e per recuperare i prigionieri, gli arabi tornarono sotto Enna dove si accamparono, cominciando l'assedio. Una notte, un
musulmano scoprì un abitante della città assediata che saliva il monte ed entrava in città attraverso sentieri nascosti. Lo seguì in silenzio e giunse al borgo dove era accantonato l'esercito bizantino. Tornato dai suoi, li guidò su per la montagna: le truppe ennesi furono attaccate di sorpresa e i superstiti si rifugiarono nella cittadella; a mal partito, offrirono agli attaccanti l'aman, una cospicua somma per garantirsi la libertà. Gli arabi accettarono e se ne tornarono indietro, carichi d'oro. Per il momento la città era salva. Nell'841 la cavalleria araba fece una scorreria nei territori di Enna, ai piedi della montagna, depredando gli abitanti e distruggendo le coltivazioni, e le truppe bizantine rimasero a guardare, senza tentare una sortita, al riparo delle mura fortificate.
Nell'anno 859, al termine di un'altra incursione nel territorio ennese, fu riportato a Palermo un prigioniero, che il comandante AI-Abbas voleva condannare a morte, dal. momento che non poteva chiedere per lui un consistente riscatto. Il prigioniero fece sapere al comandante arabo che, se gli avesse concesso la vita e la libertà, gli avrebbe dato modo di conquistare Enna.
Il piano era semplice: si era in inverno e la neve scoraggiava i bizantini dal tenere una guardia attenta e numerosa all'aperto; se il comandante musulmano avesse messo a disposizione le sue truppe, il traditore le avrebbe guidate all'interno della piazzaforte.
Al-Abbas scelse mille cavalieri e settecento fanti e si mise alla loro testa. Uscirono da Palermo nella notte prendendo la strada meno diretta ma più comoda. Fecero sosta a Caltanissetta, a Pietraperzia, e si attestarono sulle rive del lago di Pergusa. Da lì, di notte, partì una pattuglia scelta, comandata da Rabah, che spingeva davanti a se il traditore cristiano con le mani legate.
Avrebbero raggiunto Enna dal versante settentrionale, proprio sotto la rocca, e al-Abbas avrebbe dovuto muoversi poco dopo dalla parte di Pergusa con il grosso delle truppe, e intervenire quando Rabah si fosse impossessato della rocca. Poco prima dell'alba gli uomini di Rabah appoggiavano le scale sotto i muri della cittadella. Le sentinelle, dopo la lunga notte al freddo, erano andate a riposarsi: il traditore cristiano indicò ai musulmani la stretta apertura di una condotta di scarico per l' acqua, attraverso la quale si infilarono ad uno a uno gli assalitori.. Si gettarono sui bizantini facendone strage e andarono ad aprire le porte della città. AI-Abbas, alla testa dei suoi cavalieri, attraversò il sobborgo ed entrò in Enna. Era il 24 gennaio dell' 859.

KALAT-SHIBET, un pezzo Arabo
Calascibetta, dirimpettaia di Enna, si assopita su un’altura tra campi di grano, frutteti e cave di pietra. Gli arabi la scelsero per edificarvi un fortilizio: Kalath-Shibet, castello e nome del monte.

SIRACUSA, un assedio che durò 50 anni
A poca distanza da Siracusa Asad incontrò alcuni dignitari greci che tentarono di fermarlo con ricche offerte di riscatto, e si fermò per qualche tempo, finche si accorse che i ritardi servivano ai siracusani per rafforzare le mura e portare in città la maggior quantità di vettovaglie possibile dalle campagne vicine, e salvare i tesori di chiese e monasteri. Decise allora di attaccare, e incominciò l'assedio, occupando le grandi grotte che oggi conosciamo come le Latornie del Paradiso, di Santa Venera, di Navanteri e dei Cappuccini. L'assedio durò al lungo, e i rifornimenti mancavano più agli arabi che, agli assediati, costretti praticamente in Ortigia. Asad fece bruciare tutte le navi dei due porti e chiese rinforzi dall' Africa, ma la fame era diventata una realtà per le truppe musulmane, che si racconta furono costrette a cibarsi dei cavalli. Il malumore cresceva tra gli assedianti, e ci fu chi, a nome di tutti, chiese ad Asad di abbandonare l'assedio e tornare a casa. L'oratore –Ibn Qadim -fu fustigato pubblicamente. Intanto a Mazara erano arrivate truppe fresche: si fossero verso nord e il
governatore di Palermo uscì alla testa dei suoi armati incontro agli arabi, i quali si erano trincerati dietro un 1ungo fossato, e avevano scavato nelle pianure di fronte a loro una gran quantità di buche nel terreno –tattica tra l'altro descritta nei manuali di strategia bizantini.. I ;cristiani caricarono i musulmani che li attendevano dall'altra parte del fossato e i cavalli sprofondarono nelle Juche; al contrattacco, i musulmani misero in fuga le armate nemiche, poi ripiegarono su Siracusa, continuando l'assedio. Sopravvenne una pestilenza, e in molti si ammalarono. Compreso Asad Ibn al-Furat, che morì dopo pochi giorni e fu sepolto sul posto. Era l'anno 828. Quasi cinquant'anni dopo, nell'estate dell'877, Giafar ibll Muhammad, nuovo governatore della Sicilia, con una scorreria che distrusse i raccolti di Rometta, Taormina e Catania mandò Abu'I-Abbas-Ahmad ad assediare Siracusa. Invece che nelle Latomie egli stabilì il suo quartier generale nella vecchia cattedrale fuori
città, dove fu fatto prigioniero un monaco, Teodosio, che ci ha lasciato una cronaca dettagliata dell'assedio. I siracusani si erano asserragliati in Ortigia, abbandonando gli altri quartieri cittadini, e i musulmani moltiplicavano gli sforzi per superame-le difese. Vennero usati grandi arieti riparati da tettoie per sfondare le mura, e di notte spesso manipoli di soldati formavano con gli scudi sollevati la "tartaruga", per proteggere i loro compagni che tentavano con pale e picconi di aprire brecce
nella cinta. Gli arabi usarono anche nuove macchine da guerra: potenti baliste che lanciavano grandi massi o una gragnuola di pietre contro le mura e sui tetti delle case, sfondandoli. Furono tentati anche assalti dalle navi che 1enevano i due porti, ma le muTa resistettero.
Poi, per gli assedianti, venne la fame: era finito tutto, pollame, ceci, olio, ortaggi. Una testa di cavallo o d'asino raggiunse prezzi altissimi. I poveri masticavano pelli fresche e rosicchiavano ossa spolpate. Alla fine la fame vinse ogni ritegno e si cominciarono a divorare i cadaveri. Scoppiò una nuova epidemia. Il baluardo che avevi resistito più a lungo, una torre di fronte al porto grande, crollò in parte sotto i continui colpi di balista: i cristiani continuarono a tenerla, collegando gli spalti
con una scala di legno, per venti giorni eventi notti, finché, la mattina del 20 maggio 878 le macchine da guerra: lanciarono una valanga di macigni. La scala si sfasciò e dalla breccia le orde musulmane poterono finalmente fare irruzione. I cittadini superstiti, guidati da un nobile di cui no0 si conosce il nome, tentarono una disperata difesa davanti alla chiesa del Salvatore, poi, sconfitti, fuggirono per le vie. Un gruppo con tre preti -tra cui Teodosio e il vescovo Sofronio -si rifugiano
nella cattedrale; si tolgono gli abiti talari e si nascondono tra l' altare maggiore e il seggio vescovile. Vengono snidati dai musulmani, che hanno fatto strage dei fedeli, e trattati con gentilezza e rispetto. Intanto continuano le esecuzioni di chiunque fosse armato, mentre gli altri vengono fatti schiavi. Si dice che furono trucidati quattromila uomini, e il bottino fu ricchissimo. I prigionieri furono condotti al carcere di Palermo, e liberati durante uno scambio nell'anno 885.

SIRACUSA, al tempo degli Arabi
Separata dalla Sicilia da uno stretto molto piccolo, Siracusa è una grossa città circondata da una triplice cinta di mura ed uno dei centri urbani più rinomati ed importanti. Verso essa convergono da ogni contrada abitanti di città e di campagne. Il mare la circonda da ogni lato e l'ingresso in città e l'uscita da essa avvengono attraverso un'unica porta situata a settentrione. Siracusa è dotata di due porti, l'uno più grande dell'alto, che non hanno eguali in tutto il mondo; vi si trovano oltre la sorgente al- Yahtidl, veramente straordinaria, che scaturisce da una roccia proprio in riva al mare.
Come la maggior parte delle città, Siracusa è fornita di mercati dalle lunghe vie, di caravanserragli, di abitazioni, di terme, di edifici superbi e di grandi piazze. La città è anche dotata di un vasto circondario con poderi e casali fertili (sic) e ricchi di terreni da semina, in cui (sic) si caricano le navi di frumento. A Siracusa morì il giurista Asad ibn al-Furat che l'emiro di al-Qayrawan
Ziyadat AlI ah al-Aglabl aveva inviato in Sicilia per una spedizione militare. Partito alla volta dell'isola, salpando da Susa, egli vi sbarcò con diecimila cavalieri, in qualità di emiro e di qadl. Dopo aver combattuto contro i Siciliani, conquistando alcuni centri dell'isola, egli vi morì.
Siracusa è una grande città, circondata da una triplice cinta di mura e provvista di un porto conosciuto come "il porto piccolo" separato dal "porto grande" mediante un fossato sul quale si trova un ponte che conduce alla città. Il porto grande serve da riparo invernale per le navi. La sorgente scaturisce nei pressi del porto e non lungi da essa è una moschea.

TAORMINA: la sanguinosa sconfitta
Ibrahim ibn À.hmad era giunto sotto Taormina e i bizantini scesero a incontrare le sue truppe fino a Giardini, invece di rimanere arroccati. Lo scontro fu violentissimo e sanguinoso, e a un certo punto le orde musulmane erano quasi sul punto di cedere quando il loro condottiero, sentendo che un guerriero intonava una surah del Corano che dice: "Sì che ti daremo giusta vittoria" gli gridò: "Recita questi altri versi: ecco due litiganti che disputano chi sia il Signor loro. Ma agli infedeli
sono apparecchiate vestimenta di fuoco e mazze di ferro: su le teste loro si verserà acqua bollente, da distrugger viscere e pelle". Si lariciò quindi nella mischia, presto seguito dagli altri e i cristiani furono costretti alla fuga. Si dispersero da ogni parte, e i musulmani li inseguivano su per i monti e in fondo ai burroni. I più fortunati riuscirono a fuggire sulle navi, gli altri cercarono rifugio nella città, ma non riuscirono a tener fuori gli arabi, che li incalzarono fino alla cittadella, il Castello,che sembrava imprendibile. Ibrahim spinse avanti un drappello di guerrieri negri su per un dirupo dove era possibile arrampicarsi e alla fine i difensori cristiani li videro comparire dalle mura al grido di "AllahAkbar!". Ibrahim fece seguire il grosso della sua truppa, le porte furono abbattute e gli arabi entrarono nella roccaforte di Taormina. Incominciò un eccidio sanguinoso. Era domenica, primo agosto dell'anno 902. Furono uccisi vecchi, donne, bambini e preti -a cui la legge musulmana garantiva la vita -la città fu data alle fiamme, e fu trucidato anche il vescovo Procopio, che si era rifiutato di abiurare.
TAORMINA al tempo degli Arabi
Fortezza inespugnabile in Sicilia. Situata ad una giornata di viaggio da Messina, in una posizione molto elevata, Taormina, di antica fondazione, è uno dei centri più illustri [dell'isola] e sorge su un monte che sovrasta il mare. ! Taormina: possiede un bel porto cui convergono imbarcazioni da ogni parte per fare il carico di abbondanti quantitativi di derrate. L'abitato, ricco di ostelli e di mercati, è meta delle carovane che giungono da Messina; idonee sono le masserie ed ubertose le terre da semina del suo territorio che racchiude una miniera d'oro ed il famoso monte chiamato Tauro. Copiosi vi scorrono i corsi d'acqua lungo i quali sono disseminati numerosi mulini, scarso è invece il numero dei giardini. Vi è anche un fiume su cui si trova un ponte di fattura straordinaria che testimonia la capacità dell'architetto e la potenza di chi lo fece costruire. A Taormina si trova anche un antico teatro dei Rum (Romani), le cui vestigia attestano glorioso impero e superiorità di potere. Taormina fu conquistata ad opera di lbrahifi ibn Ahmad nell'anno 289 [902]. Su questi avvenimenti il poeta di Ibrahifi dice: Allah ha conquistato Taormina nell'anno [duecento] ottantanove
nel mese di sa 'ban; onora questo mese che Iddio ha voluto propizio. Ha assistito Iddio l'imam della retta via; a lui conceda Iddio sempre maggior successo e gloria!
Gli abitanti della città gli chiesero l'aman dietro corresponsione della gizyah, ma egli ricusò di esaudire la loro richiesta. Fu colto quindi dal morbo per il quale sarebbe morto; la malattia si aggravò tanto che egli morì nel 289 e fu trasportato a Palermo, dove fu sepolto.
TAORMINA OGGI
Oggi quello che resta degli arabi è davvero poco. L’eredità più preziosa che al gente islamica lasciò alle terre e alla cultura di Sicilia sono i gelsi, la produzione di miele.

CALTANISETTA
Pare che l'origine di Caltanissetta sia araba: la città si sarebbe sviluppata intorno all' anno Mille negli stessi luoghi dove oltre duemila anni prima si erano insediati i Sicani prima ed i greci poi.
Non si hanno, però, notizie storiche sulla data in cui gli arabi arrivarono nella zona.
La prof. Rosanna Zaffuto Rovello, una studiosa autrice di numerosi volumi sulla storia della città, ipotizza che tale insediamento possa essere fatto risalire al 967 quando il califfo di Palermo ordinò di costruire nuove moschee e costringere le popolazioni che vivevano disperse in campagna a trasferirsi nei borghi intorno alle moschee". Gli storici arabi non fanno menzione della città di
Caltanissetta tra le 18 principali dell'isola ricomprendendola nelle 320 rocche sparse nel territorio.
Un primo riferimento storico risale al periodo normanno: nel 1154 il re Ruggero ordinò al geografo arabo Alldrisi una descrizione dettagliata della Sicilia.Questi così descrive Caltanissetta: "Rocca di bella fattura, si affaccia su una serie ininterrotta di coltivazioni. Le scorre a levante, poco discosto, il fiume Salso". La città deve agli arabi anche il suo nome: Caltanissetta significa castello ("qal-at") delle donne ("nisa"). Numerosi toponimi della zona hanno origine araba di nome Gibil Habib che significa "montagna dell'amico", Xirbi (pietraia), Babbaurra (valico tra rocce), Ziboli (discarica), Saccara (collina), Balate (pietra lastricata). Altro ricordo della dominazione araba sono anche molti cognomi ancora esistenti tra cui Vadalà (servo di Allah), Cancemi (barbiere), Morabito (astemio).
Fulcro dell'insediamento arabo era il castello di Pietrarossa costruito in una posizione strategica per controllare la valle del Salso, le coltivazioni e le fonti idriche. Il castello di Pietrarossa fu abitato dagli arabi, quindi dai normanni e dagli svevi. Crollò il 27 febbraio del 1567 e oggi rimangono le vestigia di una torre, di una cisterna e di un arco. Il quartiere che interessa l' area circostante la chiesa di Santa Domenica, proprio a ridosso del castello, è detto "quartiere arabo" anche se di araba è rimasta solo l'impostazione urbanistica con le strade strette e sinuose che seguono le curve di livello, le case cubiche, i cortili chiusi. A causa delle dominazioni successive non sono pervenute fino ad oggi strutture arabe di rilievo se si eccettua il castello di Pietrarossa, modificato più volte nei secoli successivi ed ora ridotto ad un cumulo di macerie, e parte dell'abbazia di Santo Spirito, una struttura normanna che ha incorporato un casale arabo preesistente.
Il casale era una struttura a pianta rettangolare difesa da una torre quadrata e preceduta da un androne quadrangolare a cui si accedeva da un arco a sesto acuto.
Nella torre si possono osservare ancora oggi due ordini di feritoie da cui gli occupanti potevano controllare le aree circostanti e difendersi. Vi erano anche due porte di cui una su cardini e l'altra i
a saracinesca per garantire una maggiore sicurezza: il casale si trovava, infatti, a .una certa distanza dalla città che era fortificata con mura e dal castello per cui aveva la necessità di difendersi autonomamente. Gli arabi hanno quindi segnato profondamente la storia di Caltanissetta anche se, con la scomparsa delle ultime testimonianze concrete della loro dominazione, si è persa la coscienza collettiva di questo importante periodo della storia nissena. .

RAGUSA
Nell'autunno dell'867 Muhammad ibn-Hafagah, durante una sua vittoriosa scorreria nella VaI di Noto -e dopo aver riconquistata Noto, che si era ribellata -prese d' assedio Ragusa, che era ritornata nelle mani dei bizantini: questa volta costrinse alla resa la popolazione a condizione che una parte di essa se ne poteva andare liberamente, portandosi dietro le loro ricchezze; tutto il resto, compresi gli animali e gli schiavi, divennero bottino del conquistatore. nelle mani degli arabi che solo nei primi anni la saccheggiarono e la misero in ginocchio. Perché l' ennesima conquista comportò un concreto
miglioramento sia commerciale sia sociale. Da allora Re usa si chiamò Rakkusa o Ragus; da allora la gente della nuova Ragus rinacque e con lei l'industria, la cultura, il commercio e l' agricoltura.
La realtà agricola fu arricchita dalla coltivazione del cotone, dell'arancio e della canna da zucchero; la scoperta dei mulini ad acqua provocò la logica introduzione di nuovi sistemi di raccolta delle acque. Questo significò il prevalere della coltura intensiva sulla pastorizia; significò la rinascita e il cambiamento di una Ragusa adesso arricchita anche nella cultura e nella lingua.

ROMETTA
Durante la conquista musulmana della Sicilia, a Rometta si concentrò l'ultima difesa bizantina contro l'invasione araba. Per anni, Rometta rappresentò un baluardo cristiano e un punto d'appoggio per quanti fuggivano dall'isola davanti all'incalzare dell'avanzata musulmana per passare al di là dello stretto, in terra calabra. Tra il 24 e il 25 ottobre 964, fra la spiaggia e la roccaforte assediata (probabilmente in contrada Mazzabruno ), avvenne una sanguinosa battaglia. Il resoconto dello scontro rivive nelle pagine degli storici arabi e greci medievali che ci hanno tramandato il fatto d'arme con dovizia di particolari. L'armata bizantina, forte di trentamila uomini, inviata nell'isola da Costantinopoli per spezzare l'assedio arabo su Rometta e riconquistare all'impero la Sicilia, impegnò l'esercito assediante con impeto e con cariche di cavalleria. Ma gli arabi, sebbene inferiori di numero, riuscirono a fermare l'avanzata degli avversari e incitati dal proprio condottiero,
Ibn-Ammar, costrinsero i bizantini alla fuga. Al termine della battaglia, oltre diecimila soldati di Bisanzio giacevano morti sul campo mentre il resto fu ratto prigioniero. Si narra che sul campo fu trovata una spada appartenuta al profeta dell'Islam, Maometto, catturata dai bizantini in una precedente battaglia. L'assedio a Rometta continuò sino al maggio successivo quando ormai i difensori, senza alcuna speranza di ulteriori aiuti da Costantinopoli, stremati dalla fame e dai continui assalti degli assedianti, inviarono fuori dalle mura le donne, i bambini e gli anziani superstiti che furono accolti nel campo nemico. All'alba del 5 maggio del 965, gli Arabi, dopo aver
offerto ripetutamente la resa ai guerrieri romettesi e ricevutone da questi il rifiuto, sferrarono l'attacco decisivo alle mura della città con tutte le loro forze. I pochi difensori li accolsero con le armi in pugno: caddero tutti, ad uno ad uno, combattendo. Rometta fu saccheggiata e data alle fiamme. Nel 976 fu ricostruita dagli stessi arabi e ripopolata con intere famiglie musulmane. Sulle ceneri della bizantina Erimata o Remata (così come veniva indicata la città delle fonti scritte bizantine), fu fondata la città-fortezza lraba di Ramth. Nell'estate del 1038, l'imperatore di Bisanzio, Michele Paflagone, inviò nell'isola un esercito al comando del generale Giorgio Maniace. Un forte
esercito arabo giunse da Palermo e nei pressi di Rometta si scontrò con l' armata bizantina. Questa
volta, Maniace riscattò la sconfitta subita dai bizantini nel 964. I Musulmani, dopo aspri combattimenti ,corpo a corpo, indietreggiarono e alla fine abbandonarono il campo. Gli arabi di Rometta si arresero e aprirono le porte al generale bizantino. E' probabile che la piccola chiesa di Gesù e Maria sia stata costruita in questa occasione proprio per commemorare la vittoria avvenuta sulle antistanti pendici del monte Dinnammare.

TROINA
Durante la dominazione musulmana fu un'importante, roccaforte militare per il controllo del territorio circostante. Per tre secoli convissero pacificamente (come del resto in tutta la Sicilia, in linea generale) greci e gente araba. Questi erano perlopiù contadini e piccoli artigiani che avevano lasciato il Nord Africa in cerca di fortuna. A Troina e nei suoi territori trovarono tanta acqua e ne usufruirono impiantando, tra le altre cose, numerosi mulini ad acqua. Di essi abbiamo notizie in
un diploma normanno dellO82., La contrada dove ancora oggi si trovano i ruderi del mulino si chiama Amoruso, probabile derivazione dall'arabo Am-russ che significa "berretto alto" poiché il
colle, alle cui pendici si trova il mulino, ha la sagoma regolare di un cono tronco rassomigliante a un copricapo musulmano.

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