Wright: architettura organica

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Wright: Architettura organica

Wright è con Le Corbusier, l’architetto che ha esercitato la più estesa influenza sulle pratiche o sulle teorie progettuali del XX secolo.
A partire dal 1910, anno in cui espone a Berlino destando il più vivo interesse e imponendosi all’attenzione dei giovani architetti europei, Wright diviene maestro riconosciuto tanto al di qua quanto al di là dell’Oceano. Ricco di insegnamenti e insieme sempre pronto a rinnovare la propria opera con sorprendente rapidità.
Profondamente legato alla cultura americana di fine ‘800, romantica e vitalistico ne accoglie lo sfrenato individualismo, l’esigenza di un rapporto immediato e diretto con la natura, lo slancio verso frontiere sempre nuove da oltrepassare. Si distacca decisamente dai razionalisti, cui pure con attenzione almeno a partire dai primi anni ’30.
Per l’architetto, una costruzione ha senso solo in quanto appare unica e irrepetibile, organicamente connessa al territorio entro cui sorge e quasi nata da esso, rispettosa delle tradizioni architettonici che locali, capace di inserirsi armoniosamente nel paesaggio circostante attraverso le proprie forme e propri materiali.
È Wright stesso, del resto, a chiamare ORGANICA la propria architettura, desiderando porne in risalto il carattere vivente, per così dire biologico e inalterabile, legate a un determinato suolo a un certo clima, né freddamente internazionale, né ripetitivo e meccanico.
Preferisce progettare case d’abitazione per committenti dotati di consistenti risorse finanziarie, piuttosto che proporsi come interlocutore del potere pubblico.
La celebre villa che l’architetto costruisce nel 1936 chiamata Casa sulla cascata, interpreta o svolge in termini “organici” tecniche e soluzioni caratterizzanti l’architettura razionale.
La ricerca di apparenze rustiche non viene meno e la tensione del paesaggio è tale che la pianta del piano principale della casa è minuziosamente studiata perché gli alberi sorgenti sul terreno in costruzione non debbano essere abbattuti.
Adotta per la prima volta cemento armato, ma se ne serve in modi tutt’altro che ingenui: l’elasticità del nuovo materiale costruttivo e la sua solidità gli permettono di costruire gli ambienti slanciando ognuno di essi quanto più possibile verso l’esterno, propendendo vetrate e terrazze, sorprendendo quanto meno in apparenza la costruzione del vuoto: la grande casa poggia su solai in pietra eretti sulla roccia sottostante, la stessa su cui scende la piccola cascata. All’interno prevalgono i principi della pianta libera e degli spazi quanto più possibile aperti. Si desidera offrire a chi abita la casa-confort ed adagio di movimento. Le pareti non hanno funzione portante e il loro impiego è ridotto al minimo. Occorre evitare che stanze piccole e chiuse si succedano l’una all’altra; la progettazione degli interni, scrive Wright in polemica con le ricerche di Le Corbusier sull’unità di abitazione, non può sempre seguire criteri di economia spaziale, a deve invece definire “volumi…in tutto e per tutto in conveniente proporzione umana.” Grande importanza è attribuita alla luce e ai materiali: ampie vetrate si aprono tutto attorno al grande soggiorno, fulcro della casa offrendo intensa illuminazione naturale e ampia visuale sul bosco circostante. Gli arredi sembrano essere come generati dalla natura del luogo: il pavimento del salone ed il rivestimento dei pilastri sono a grandi lastre di pietra; la pietra è quella stessa dello sperone su cui sorge la casa. Gli infissi e gran parte dei mobili sono in legno.
Elementi di Razionalismo nell’architettura italiana tra le due guerre
L’esplicazione delle correnti razionaliste in Italia nel corso degli anni ’20 e ’30, ha caratteri complessi e solo parzialmente riconducibili a un contesto europeo. L’adesione alle nuove tecniche costruttive e ad un’ architettura dalle forme semplici e rigorose non esclude il ricorso a stili storici, perlopiù classici:
gli edifici pubblici di epoca romana restano modelli prediletti da molti architetti.
Principi didi stretta aderenza funzionale risultano perlopiù disattesi a favore di ambiziosi proposti monumentali di gusto ancora secessionista: i criteri di sobrietà, sveltezza, accessibilità. Servizio che, secondo quanto stabilito dagli architetti del movimento internazionale, devono orientare la costruzione di un edificio, non importa se pubblico o privato, sono piegati alle esigenze di una grandiosità classico-eroica, in linea con le politiche culturali e l’immagine del nuovo stato fascista.
Occorrerà attendere gli anni ’50 e ’60 perché una moderna cultura del design si affermi anche in Italia.
Giuseppe Terragni: Casa del Fascio”
La casa del fascio di Giuseppe Terragni, costruita a Como tra il 1932 e il 1936 e a pianta rigorosamente quadrata, ogni lato misura 33,20m, è tra gli esempi più limpidi e meglio riusciti dell’architettura italiana di orientamento funzionale.
Nel progettare la casa, l’architetto lombardo (Terragni nasce a Meda, nei pressi di Milano) si mostra ampiamente a conoscenza di tecniche e modi del razionalismo europeo: le soluzioni da lui adattate rimandano in primo luogo a Le Corbusier e a Gropius, le cui esperienze al Bauhaus vengono diffondendosi anche in Italia a partire dai secondi anni ’20.
Elementare nella forma, sobrio e perfino disadorno, l’edificio di Terragni ha caratteri di concisione, di brusca e risoluta fermezza: la successione di elementi modulari, produce accelerazione, sollecita l’osservatore a cogliere l’intera costruzione con rapido giro di sguardi.
Eroica in un senso particolare, concreto e per così dire operoso, la casa si propone come erede delle antiche cattedrali romaniche lombarde e insieme si rivela pronta ad accogliere la sede di quello che, per Terragni, è il partito della rivoluzione italiana, il partito fascista.
Ricordiamo che i rapporti dell’archtetto con il partito, di cui è, in un primo tempo, ardente sostenitore, si deteriorano nel corso dei secondi anni ’30.
Richiamato alle armi nel 1939 e inviato sul fronte russo, ne torna psichicamente distrutto, anche a livello fisico.
Quattro file di aperture quadrate articolano aritmicamente le facciate, aprendo le pareti a un accentuato gioco di luce e di ombra: ne consegue che i balconi non sporgono all’esterno dell’edificio e neppure ne disturbano la formidabile compattezza.
All’interno, articolato in ambienti caratterizzato ognuno, quanto a disegni, dalla rispondenza a questa o a quella funzione, la luce penetra da più aperture, perlopiù diffranto da elementi frangitori o riflessa da ampie vetrate: essa cade e si riversa giù dalle pareti con un gradevole effetto di liquidità, tale da ricordare la luminosità soffusa e avvolgente che caratterizza gli spazi interni dell’architettura araba nordafricana.
Ricordiamo che la conquista dell’Etiopia e del 1936: l’espansione coloniale dell’Italia e il suo ruolo di grande potenza mediterranea sono argomenti di estrema attualità.

Marcello Piacentini e l’architettura di Regime
Con Macello Piacentini (1881-1960), architetto e urbanista, accademico d’Itlia, la tendenza prevalentemente eclettica dell’architettura italiana del ventennio fascista giunge a particolare evidenza. Uomo di ampia cultura storica, Piacentini spoglia l’orientamento nazionalista dei suoi significati primari: in primo luogo, l’avversione al culto della potenza e l’adesione alla moderna società industriale, per derivarne un eroico classicismo contemporaneo, pronto a sfoggiare archi e colonne in marmo, come già al tempo di Roma imperiale.
Prestigio, solennità, imponenza: questo, ai suoi occhi, è quanto l’architettura può proporsi di comunicare.
Il Palazzo di giustizia di Milano, edificato tra il 1939 e il 1940, mostra in pari misura avidità progettuale e devozione al monumentale.
Le grandi finestre e le severe scritte latine sulla facciata, altissimi SETTI ( elementi di separazione tra due ambienti, dal latino saectum: recinto, siepe): divisori posti all’entrata, scalinata, conferiscono al palazzo caratteri di tempio e di santuario, cui si accede per concessione.
È evidente che l’intero progetto mira ad avvolgere di sacralità la giustizia amministrativa dello stato, a sottrarla dal controllo dei cittadini; essa non è un semplice servizio preso, un diritto esercitato attraverso pubblici magistrati che gli stessi contadini hanno incaricato a presentarla in termini indiscutibili e quasi intimidatori.

Palazzo di giustizia di Milano

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