Storia dell'arte: da Buoninsegna a Brunelleschi

Materie:Appunti
Categoria:Storia Dell'arte

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Testo

DUCCIO DA BUONINSEGNA
È un predecessore di Giotto, ma si muove su una linea opposta e rappresenta il primo dei grandi pittori senesi più vicini alla condizione bizantina.
MAESTA’ Museo dell’Opera del Duomo – Siena (1308/1311)
Siena.
Grandiosa.
Fu commissionata dal comune di Siena, per essere collocata sull’altare del Duomo dedicato alla Madonna. La Vergine era infatti in quel periodo parte di un programma di glorificazione, di cui la Maestà è il fulcro.
Ritroviamo in essa una condizione diversa da quella di Giotto: non si parla di volume. Ci dà una sensazione di tridimensionalità che in realtà non esiste. La composizione dei santi e dei patroni che la circondano è lineare e molto simile all’icona con una assenza di volume.
Dipinta per essere collocata sull’altare, e quindi da entrambi i lati. Su quello anteriore: Maestà, su quello posteriore: storie cristologiche.
SIMONE MARTINI
Aristocratica e Ghibellina, Siena aveva riaffermato, nel 1311, con la Maestà di Duccio, la propria fede nel carattere aulico della cultura figurativa bizantina, attinta alle fonti più pure.
Simone Martini, nato nel 1284.
L’esercizio dell’arte non è per lui un modo per inserirsi nella realtà storica concorrendo a formarla, ma di sollevarla al di sopra della realtà per una sorta di vocazione o elezione spirituale.
Per l’artista diventa normale trascendere l’opera con l’esaltazione al punto da tradurla all’infinito (il
trascendente diventa immanente, il basso portato verso l’alto).
L’aspetto decorativo porta Simone Martini ad essere un esponente di base del successivo gotico fiorito.
(Gotico = purezza di linea, dramma e catarsi)
(Barocchetto veneziano = all’interno della linea c’è una decorazione barocca)
MAESTA’
Quando Simone Martini nel 13145 dipinge la Maestà riprende il tema duccesco e lo sviluppa in una ritmica gotica, quasi a dimostrare come la radice di quel linguaggio “moderno” fosse greca e non latina.
Ripete il tema e lo schema compositivo del capolavoro di Duccio. Ma se in quest’ultimo ogni figura, ogni colore, ogni segno esprimeva la certezza di una perfezione raggiunta e ormai immutabile, nel dipinto di Simone tutto è fremito, aspirazione ad una perfezione ancora più alta ma irraggiungibile.
Simone conosceva già l’arte francese. Non v’è dubbio quindi che cerchi di superarla in un linearismo ancora più ritmico, in un colore ancora più palpitante di luce. C’è dunque, più che coscienza, la nostalgia del passato; più che la ricerca, l’aspirazione inquieta al moderno, a una spiritualità fuori del tempo.
Nella Maestà le figure, non più schierate in ranghi paralleli, si assiepano a semicercio intorno al trono, formando all’interno del gruppo allineamenti trasversali, incrociati, che portano con un’onda di moto saliente al vertice avuto del trono.
Al centro della mobile ghirlanda la Madonna è quasi isolata, in un suo spazio protetto dalle fragili strutture del trono. I beati sembrano volere e non osare varcare questo sacro recinto.
Il baldacchino, simile al padiglione della tribuna d’onore in un torneo, suggerisce il paragone della corte celeste alle corti mondane.
La Madonna, isolata, sta nel piano più in alto: è trascendente, ma risulta legata al potere terreno.
La figura della Madonna non è piatta come in Duccio, né solida come in Giotto. Fluttua in una spazialità indefinita. In essa i colori non si distendono in zone smaltate come in Duccio né si costruiscono in masse pastiche come in Giotto: si succedono in ondate ritmiche, più pallidi o più intensi, e sono spesso variegati d’oro, affinché ne emani una luminosità vibrante. Anche Simone, come Duccio si esprime esclusivamente con la linea e il colore. Ma la sua linea sottile, flessibile tesa e modulata alla stesso tempo anima il colore, provoca tenui variazioni chiaroscurali, mutamenti di tinta.
ANNUNCIAZIONE (Firenze – Uffizi)
Non c’è spazio per l’immaginazione che possa andare al di là di ciò che è rappresentato. Martini è legato ad una condizione cortigiana che è tale perché così ha voluto l’Onnipotente. L’icona è il mezzo di legame tra il potere temporale e quello ultraterreno.
L’unico elemento che non emana luce è la Madonna: il suo manto brilla per un’altra luce.
La Madonna è fisicamente terrena, ma mentalmente rivolta a Dio. La postura è di difficile percezione poiché non è tridimensionale. Il corpo della Madonna è curvato, non è degno.
La Madonna chiude il libero tenendo il segno, come accade quando si è profondamente immersi nella lettura e si viene interrotti (in questo caso l’atteggiamento indica il suo legame al mondo terreno).In questo momento la Madonna è dentro casa e ciò è dimostrato dal mobile su cui si poggia.
C’è una certa attenzione al fatto decorativo gotico, dato dall’apertura tripartita e dagli archetti pensili.
L’indicazione centrale dello Spirito Santo non ha un senso ecclesiastico, ma è l’esaltazione del fatto narrato, gettato al nostro tempo, sublimato, trasceso attraverso il colore oro che toglie ogni riferimento dimensionale.
C’è un errore: l’angelo ha in mano un ramo d’ulivo, simbolo di Firenze, mentre nella Bibbia portava un giglio.
PIETRO E AMBROGIO LORENZETTI
Si trovano a conclusione del periodo senese.
Sono personaggi che la critica ha recentemente rivalutato, ma che dalla descrizione del Vasari non appaiono come grandi artisti.
La loro arte era, infatti, un po’ imbastardita: arte senese + pratica giottesca. Come risultato danno l’arte di Pietro Lorenzetti, mentre Ambrogio è un pittore politico.
PIETRO.
Somma elementi diversi, mette insieme idee e stili differenti.
LA DEPOSIZIONE
della croce è interessante per il luogo (Assisi, Basilica inferiore) e per la datazione (dopo il 315, quando la rivoluzione giottesca è consolidata).
Nella Deposizione la chiusura bloccata dei contorni delle figure chine è un motivo giottesco, ma applicato a fissare la tensione dei corpi inarcati e non a fare gravità o senso spaziale alle masse.
Scmpare l’unita del contorno nel lungo esilissmo corpo del Cristo gttato come un ponte a collegare e a dinamizzare i due gruppi.
Proprio qui, all’apice del pathos, la linea raggiunge il masseimo dell’eleganza gotica.
La composizione è concepita come un incalzare e sommarsi di forze ascendenti, con un crescendo che culmina nella figura che sfiora l’asse orizzontale del braccio della croce.
La croce è a “tau” e vi è una costruzione gotica.
C’è un tentativo di conferire volume ai panneggi dei personaggi che depongono Cristo dalla croce: Nicodemo, per esempio, toglie i chiodi.
Vi è una drammaticità di tutto il contesto accomunata alla morte e ciò conferisce un valore molto alto al momento drammatico narrato.
Pietro sente tutta la drammaticità di Giotto, ma ne oltrepassa la misura, e la esaspera nel tragico, senza avvedersi di tornare così verso il tragico bizantino.
Perciò in quello che vuol essere il suo grande balzo verso il “moderno”, si scopre, nella composizione e nell’iconografia, un marcato accento di arcaismo.
GENTILE DA FABRIANO
Non sappiamo molto di questo autore. Rappresenta il prototipo della decorazione come elemento fine a se stesso.
ADORAZIONE DEI MAGI (Firenze - Uffiizi)
È una riaffermazione spettacolare della poetica “cortese” con tutti i suoi temi e motivi, un’opera fatta per affascinare e lusingare la colta e potente borghesia fiorentina.
Gentile vuole dimostrare che la sua è una poetica aperta, capace di spiegare nell’infinta varietà dei suoi aspetti lo spettacolo del mondo.
Mostra tutta la sua erudizione enciclopedica: sa la storia dei Magi nei particolare, conosce le caratteristiche fisionomiche e di costume dei lontani popoli d’Oriente, le forme della flora e della fauna esotica, le raffinate maniere dei principi e dei cavalieri,…
Lo spazio del quadro ha più piani di profondità: la luce è pur sempre luce celeste e di emanazione divina, ma passando negli spessori dell’atmosfera si addensa, diventa un pulviscolo argenteo che aderisce alle cose come se fosse brina.
C’è una grande attenzione per i particolare e poca invece rivolta al contenuto.
Nelle tre lunette ci sono tre diverse situazioni: in quella centrale si svolge il fatto narrato. L’attenzione allo spazio ed al tempo viene riservata al secondo piano, mentre la decorazione è in primo piano: forte attenzione alla moda del tempo (riscontrabile negli abiti dei magi). La decorazione è molto raffinata, attira l’attenzione dello spettatore.
Il corteo è costruito con una dimensione quasi prospettica e non c’è una concentrazione del fatto narrato.
PALAZZO DUCALE Venezia
La composizione architettonica è decisamente sbilanciata: i primi due ordini bilanciano il terzo che appare decisamente pesante.
Si comprende in questa circostanza il passaggio tra simmetria (data dalle regole matematiche) ed euritmia (armonia). Nel secondo caso si parla sempre in termini matematici, ma vengono prese in maggiore considerazione tutte le componenti dell’opera.
La parte inferiore (costituita da una teoria arcuata di colonne che raddoppiano nel secondo ordine e da medaglioni quadrilobi o quadrilobati tra un’ogiva e l’altra) e quella superiore hanno la stessa dimensione simmetrica, ma il primo ed il secondo ordine risultano decisamente più leggeri rispetto al terzo, che manca di euritmia. La parte superiore domina quella sottostante nonostante le varie modifiche apportate per alleggerirla: aperture quadrilobe, merletti di derivazione araba. La trama decorativa della parte sovrastante sembra un lavoro all’uncinetto, realizzato mediante lavorazioni geometriche coeve ai merletti (il bianco pesa).
CA’ D’ORO
Ribalta il Palazzo Ducale in verticale. I pieni ed i vuoti sono accordati in senso verticale; la parte vuota è più ampia rispetto a quella piena e l’occhio ha una sensazione di gradevole equilibrio.

DUOMO DI MILANO (gotico fiorito)
Ha un’importazione a croce latina: la quinta navata presenta un deambulatorio che percorre il duomo in tutto il suo perimetro.
La decorazione deriva dalla linea verso l’alto.
Il tetto è a capanna, di derivazione lombarda.
Il tiburio centrale è altissimo.
Troviamo degli archi rampanti decorati a gattoni.
Le vetrate sono di chiara derivazione.
RINASCIMENTO
Rappresenta la dimensione generale di un momento che abbraccia tutto il 1400 e costituisce la base del nostro pensiero.
Riscontriamo 4 personaggi principali:
• BRUNELLESCHI: architetto
• DONATELLO: scultore
• MASACCIO: pittore.
• ALBERTI: architetto (colui che ha distinto l’arte dall’artigianato)
Essi diedero avvio al Rinascimento.,
Vasari ci descrive questo periodo di quasi 200 anni come una curva che vede una fase di progresso, u apogeo, rappresentato da Michelangelo, Raffaello (unico ad essere grande architetto, eccezionale scultore, grandissimo pittore) e Leonardo. Infine vi è una fase di decadenza che è il Manierismo.
A questo periodo appartengono gli affreschi del Castello di Manta, di dubbia attribuzione: il Maestro d’Elva, cioè Hans Clemen e Gimono Jaquerio.
Il caratteri di transizione da un periodo all’altro sono sempre molteplici. Non c’è un distacco netto. In Italia vi è una dimensione figurativa estremamente diversificata (a causa della divisione politica del territorio).
In questo periodo di transizione in Firenze coesistono questi elementi.
Venezia risente della sua dimensione nordica, della vicinanza al centro-nord d’Europa.
Secondo la critica contemporanea ci sono periodi che dobbiamo rappresentare in modo rettilineo (x es: una sommatoria di avvenimenti).
Ogni elemento vale solo se calato nel contesto all’interno del quale il prodotto è stato realizzato.
Il Rinascimento rappresenta un momento alto, soprattutto nell’ambito fiorentino.
Si confrontano qui artisti eccezionali, perché è un crogiolo di tensioni. Queste danno infatti origine a dibattiti e ciò avviene anche nell’arte, dal momento che le stesse prese di posizione diventano arte.
Il Rinascimento è un periodo che vede la rinascita dei modelli antichi.
Non è una riprese dei modelli antichi, però, per una riproposizione tale e quale. Sarebbe riduttivo.
Qui l’antico viene preso in modo acritico: l’antico è storia, insegnamento, esperienza e quindi diventa il messo attraverso il quale è possibile rappresentare la contemporaneità.
C’è uno stacco dal Bizantinismo: avviene un’esplosione della dinamicità del progresso.
Porta avanti quel cammino che era già stato iniziato dal Romanico, con lo scisma. Viene portato all’esasperazione.
L’elemento centrale è la prospettiva, non tanto perché fino a ora l’uomo non avesse provato la tridimensionalità, dal momento che è tridimensionalità quella di Giotto. Qui cambia la logica prospettica: c’è una prospettica lineare.
Gli artisti elaborano e riconoscono le regole.
L’uomo è al centro di tutto, perché è la traduzione grafica di ciò che l’uomo vede.
Fino a questo momento al centro vi era il trascendente. Questo non viene abbandonato, ma viene ricercato attraverso l’uomo.
UOMO = storia, ragione, scienza.
Uomo è la centralità, attraverso la quale si vuole dimostrare l’esistenza di Dio.
Nasce quindi una battaglia con la Chiesa, che ne uscirà perdente, nel tentativo di stare dietro a questa nuova cultura. È costretta a percorrere strade letali per la sua immagine.
Sorge la committenza laica, con opere naturalmente più piccole, perché i privati non possiedono piazze, panteon, ecc.
Botticelli si schiera con la prospettiva dell’uomo al centro, che era una filosofia di base Aristotelica e non neo-platonica.
SI assiste ad una forte qualificazione dell’arte: non è un lavoro manuale, non è più artigianato.
L’arte = bello. Bello = Idea, lavoro, intelletto. --- Idea e arte sono in stretta relazione.
Nicolò Cusano (filosofo del 1400) dice che “l’arte è un elemento molteplice. La disposizione armonica degli elementi è compito intellettuale”.
L’elemento di base è la conoscenza e questa implica a sua volta cultura.
In ciò la dimensione temporale in cui si legge il Rinascimento va dal 1400 alla fine del 1500.
L’inizio è databile più precisamente nel 1401, quando venne bandito un concorso per la seconda porta del Battistero.
Partecipano a questo concorso Brunelleschi e Ghiberti.
Sulla porta doveva essere rappresentato il sacrificio di Isacco.
Il committente fu l’Arte dei Mercanti.
(pag 116)
Le due Formelle rappresentano
1. ancoraggio al passato (Ghiberti)
2. il passaggio verso il nuovo (Brunelleschi)
Il Ghiberti elenca tutti gli elementi del racconto biblico: Isacco, Abramo, l’ara, la montagna, l’angelo, l’ariete, i servi, l’asino.
Non rappresenta un dramma, ma evoca un antico rito sacrificale. Le figure sono vestite all’antica, la fronte dell’ara ha un fregio classico.
Isacco ostenta le sue proporzioni perfette del corèpo nudo.
Abramo inarca l’alta figura con un movimento garbato. A
Affinchè lo sguardo possa indugiare sulla bellezza dei particolarei, la storia ha un tempo rallentato.
Quella di Ghiberti è piena, non ha spazi vuoti. È costruita su linee di forza flesse e contrapposte.

Linea flessa
I due servi a lato sono distanti dall’azione. C’è un crinale divisorio.
Non c’è pathos.
Alla linea flessa corrispondono:
Abramo
Isacco

cavallo

Abramo: panneggi di derivazione antica.
Isacco: postura di derivazione antica.
Angelo: ancora distante.
A sinistra: animale che dovrà essere sacrificata al posto di isacco.
L’azione è distante e bloccata.
Non c’è concitazione. Non c’è partecipazione.
C’è la citazione dell’antico.
Tutto è narrato. Tutto è perfettamente compreso nella geometria della losanga quadrilobale.
L’arte è più semplice. Ghiberti era un autore già affermato e conosciuto: ha l’approvazione assicurata.
Formella di Brunelleschi.
La “storia” di Brunelleschi dura molto meno di quella del Ghiberti: gli atti delle figure sono simultanei, formano un unico moto.
Le forze si scontrano: tutta la massa protesa del corpo di Abramo spinge la mano ad affondare la lama, l’altra mano rovescia brutalmente all’indietro la testa della vittima scoprendo la gola indifesa.
Il busto di Isacco si flette sotto la spinta, ma nelle gambe è già un accenno di resistenza e di reazione. L’angelo piomba dal cielo: la sua figura è una traiettoria tesa, che termina nella mano che afferra il polso di Abramo.
L’urto di tre volontà in contrasto si concentra nel nodo delle teste e delle mani al vertice di un triangolo che rompe il ritmo ripetuto delle curve della cornice.
La base è formata da servi e dall’asino: ma la loro estraneità all’azione l’intensifica ancora di più: il dramma parte da zero e subito è al colmo.
Imposta la formella con una divisione differente:

C’è concitazione.
Sull’ara sacramentale è rappresentata l’Annunciazione. Vi è una mescolanza di Nuovo e Vecchio Testamento.
C’è un intervento naturale: il panneggio di Abramo è infatti impigliato nella natura. C’è un fenomeno globale.
Esce dallo schema della formella.
C’è pathos, partecipazione, elemento convulso.
Il Ghiberti descrive lo spazio con il succedersi di piani e di episodi.
Il Brunelleschi lo costruisce con la simultaneità dei moti, l’equilibrio dinamico del loro contrapporsi.
Il Ghiberti è il più naturale. Cerca di proporzionare paesaggio e figure; studia le sfaldature della roccia e le fronde degli alberi, fa scorrere la luce lungo i piani e i risalti, incanala l’ombra nei solchi della forma.
Il Brunelleschi, del paesaggio, vede poco o nulla: una scheggia di roccia lontana e convenzionale, un albero che dovrebbe essere distante.
Il Ghiberti è lo studioso più antico. Evoca i costumi degli anitichi, inseriche ornati classici, ritrova il gusto pittorico dei rilievi ellenistici.
Il Brunelleschi si limita a citare, in un servo, il motivo classico del giovane che si toglie la spina dal piede.
Il Brunelleschi è il più rivoluzionario.
Lo spazio del Ghiberti è un spazio naturale in cui accade un certo fatto.
Il Brunelleschi elimina lo spazio naturale, fa il vuoto. Nel vuoto costruisce uno spazio nuovo con i corpi, i gesti, l’azione delle persone.
Vince Ghiberti, perché le formelle erano bronzee e per se avessero accettato le formelle di Brunelleschi, il costo sarebbe stato maggiore.
Ghiberti, quindi, realizza la seconda porta con 28 pannelli, suddivisi in questo modo:
• storie cristologiche nei 20 pannelli superiori. Devono essere letti da sinistra verso destra, dall’Annunciazione alla discesa dello Spirito Santo.
• Antico Testamento negli 8 inferiori.
FILIPPO BRUNELLESCHI
C’è una forte amicizia tra lui e Donatello. Si confrontano, si frequentano e nascono opere interessanti.
Rappresenta il personaggio di riferimento per l’architettura e per i contemporanei.
Tra il 1377 e il 1446 troviamo fra le sue opere, in primo piano, la
CUPOLA DEL DUOMO (Firenze)
C’è ricerca di geometria, della condizione armonica, e dell’euritmia.
La simmetria diventa basilare.
Brunelleschi introduce regole prima di allora sconosciute.
Vince un conocorso per realizzare questa cupola.
C’erano però alcuni problemi:
• La parte sottostante è gotica, mentre Brunelleschi non lo era più;
• La cupola è molto grande, talmente grande che è impossibile realizzare i ponteggi. Non ci sono travi così grandi e sarebbero difficili da manovrare.
• Brunelleschi deve cimentarsi con la forma e tradurre il progetto alle maestranze.
La cupola è a doppia membrana. La seconda, quella più interna, è autoreggente, di legno. Non ha bisogno di sostegno.
Per non lasciare spazi vuoti crea tribune cieche che sorreggono visivamente.
Questo sfondo cieco le fa vibrare in quanto cambia la sua condizione di ombre nel corso della giornata.
Brunelleschi realizza dei loculi per illuminare l’interno.
Realizza anche una cornice e poi chiude la cupola, che non è semicircolare (come nel Rinascimento), altrimenti sarebbe stata troppo pesante.
È gotica, ma eccezionalmente spinta verso il Rinascimento (costoni portanti all’esterno): per questo disegna lo spazio.
Per la lanterna bandiscono un altro concorso che nuovamente Brunelleschi vince. Farla fare, infatti, da un altro sarebbe stato incoerente.
Gli elementi sono rinascimentali: per es: vince la linea sul volume (che è appunto Rinascimentale).
Nel frattempo si cimenta in altre opere come lo
SPEDALE DEGLI INNOCENTI.
Si cimenta con uno spazio che è quello della piazza, spazio che deve essere di “relazione”. Esso, tuttavia, può essere chiuso da quinte.
L’elemento non chiuso che si pone a metà tra interno e esterno è il portico (disegnato con attenzione al quadrato e al numero 9).
Le colonne non sono possenti né forti, infatti non devono sostenere elementi pesanti. Sono di stampo corinzio.
Al di sopra c’è una teoria arcuata a tutto sesto che cadenza il portico.
A questo quadrato Brunelleschi contrappone la stessa dimensione nella profondità:
a
l
t
prof
largh
corrispondono l’altezza della colonna, la profondità e la larghezza.
Al di sopra le volte sono realizzate con pietra serena (una pietra che ha toni grigiastri e che ossidandosi diventa più scura).

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