Storia dell'arte: dalla civiltà egea a quella romana

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Categoria:Storia Dell'arte
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Testo

LA CIVILTÀ’ EGEA
Nel mare Egeo sorsero diverse civiltà che svilupparono un’attività artistica varia ed ampia.
La prima fu quella Cicladica che, volendo rappresentare la figura della Dea Madre lo fa con statue stilizzate con forme geometriche. Quella successiva fu l’arte Cretese. Questi ultimi popoli crearono tre palazzi: a Cnosso, a Festo, a Mallia. Una volta distrutti furono ricostruiti più grandi e più belli, erano decorati con pitture dai colori vivaci, c’erano cortili, in cui si riunivano le collettività e le colonne erano rastremate verso il basso. Per la pittura c’è una grande industriosità per dipingere sui vasi, infatti, i vasi, che erano molto sottili per via dell’uso del tornio girevole, venivano decorati secondo le forme dei vasi stessi, quindi risultava un’inscindibilità tra l’oggetto e la decorazione; quest’ultima è resa ancora più bella dalla policromia (rosso, giallo, bianco su fondo scuro).
Adesso si affaccia un nuovo stile (il 2°) che permette all’artista una libertà nuova, infatti i soggetti (sempre a tema naturalistico) non seguono più l’andamento da vaso, ma ne sono liberi, un esempio è la Brocchetta di Gurnià, che raffigura un polipo (nero su sfondo chiaro) che è immerso nell’acqua. Questa figura, anche se riprodotta nelle sue caratteristiche essenziali, ci dà sempre il senso del naturalismo. Questo lo si scorge anche in pitture parietali come il Gatto con fagiano (sempre nero su bianco) che rappresenta un gatto che sta per assalire un fagiano e nella Fanciulla di Cnosso (vari colori distesi in superficie per evitare il volume, come gli altri).
Il 3° stile mostra una stilizzazione più rigida e le forme che seguono quelle del vaso, proprie di una civiltà in decadenza.
L’arte micenea
La civiltà Micenea appare molto diversa di quella Egea, infatti rispetto a questa è più povera, e, per sopravvivere deve combattere. A verifica di questo basta pensare che le mura di Micene, o di Tirinto erano spesse dai 7 ai 17 metri ed erano alte 10 m, in modo da fortificare la città. Queste mura erano fatte con blocchi parallelepipedi e il gioco di luci e ombre che gioca sulle commettiture le fa sembrare ancora più forti. Così i palazzi diventavano città – fortezza. Le mura presentavano delle aperture, che venivano sovrastate da un triangolo detto triangolo di scarico. Questo triangolo veniva costruito perché il peso delle mura sovrastanti si scaricasse sulle colonne e non sull’architrave che altrimenti si sarebbe spezzato. Un esempio ce lo abbiamo nella Porta dei Leoni, dove il triangolo è decorato di due leoni con in mezzo una colonna che richiama molto quella cretese (rastremata verso il basso) e sotto i piedi un altare di pietra. Un’usanza di questa popolazione era quella di seppellire i defunti in tombe sotterranee, dove, oltre al defunto, vi si mettevano anche i suoi tesori. La tomba più importante è quella detta Tesoro di Atreo. Per entrare nella tomba si deve percorrere un corridoio detto dromos, lungo 36 metri leggermente in discesa, attraverso una porta con il caratteristico triangolo di scarico. Alla fine di questo dromos c’è la tholos, circolare, che ha un’altezza di 13 metri e un diametro di 14 metri. Questa è stata costruita con 33 anelli concentrici di mattoni. Gl’ingegneri, infatti hanno avuto l’accortezza di spostare in avanti di 1/3 della lunghezza del mattone, ogni strato superiore. Così la tholos non sarà una cupola perfetta, ma risulterà leggermente a punta. Ogni blocco era decorato con una rosetta per raffigurare il cielo. Da questa cupola, ove si deponevano i tesori del defunto si passa alla tomba vera e propria a pianta quadrata. Per quello che riguarda le sculture abbiamo solo alti e bassi rilievi e la pittura della ceramica si schematizza molto e nelle pitture si ha la punteggiatura sul contorno.

LA CIVILTÀ GRECA
La civiltà micenea è decaduta per contrasti interni tra le popolazioni. Questo ha favorito la nascita della civiltà greca, infatti molti emigrarono in quella zona. Ogni pezzo di terra era soggetto ad una città, che si sviluppava in montagna (acropoli) ed in pianura (necropoli). La più grande era Atene che aveva varie costruzioni, tra cui il teatro greco, che era uno dei luoghi dove si ritrovavano tutte le persone per discutere della democrazia. All’inizio del V secolo il teatro era formato da uno spazio circolare che ospitava lo spettacolo (proscenio) che era formato da colonne fiancheggiate da anfore di terracotta per amplificare il suono e far udire tutto anche a chi stava lontano; l’orchestra, situata dietro il proscenio, poteva essere semicircolare o circolare e la cavea (gradinate), che veniva addossata alle pendici di un colle per permettere la visione a tutti, era una semicirconferenza. Il teatro meglio conservato è quello di Epidauro. Questo teatro ha la cavea divisa in due settori: quello inferiore con 55 gradini e quello superiore con 12. L’orchestra ha un diametro da 20 metri. Il proscenio è andato perso. Ancora oggi, però, rispetta la sua forma originaria, infatti se facessimo cadere una moneta al centro dell’orchestra si sentirebbe il rumore fino all’ultimo gradino. È stato progettato da Policleto il giovane, l’architetto. Un altro teatro conservato è quello di Dionisio ad Atene.
I vari periodi
Dalle origini si sono susseguiti vari periodi, fra cui quello di formazione (XI – VIII sec.), quello arcaico (VII – V sec.), quello di transizione (480 – 450), l’età classica (metà V – fine IV sec.) ed il periodo ellenistico (IV – I sec.).
Il periodo della formazione
Questo periodo presenta molti elementi di vasellame in ceramica, ma l’elemento fondamentale è lo stile geometrico dei vasi disposto in fasce. La fasce sono interrotte da personaggi non reali, ma visti geometricamente o stilizzati. In una vaso Dipylon (nome della necropoli ateniese dove sono stati rinvenuti i vasi) si hanno due scene, una scena rappresenta un corteo funebre, un’altra un corteo di bighe (carri a 2 o 4 cavalli). Qui i personaggi sono tutti uguali e visti allo stesso modo (idealizzati).
Età arcaica
Quest’età è caratterizzata dalla costruzione dei templi. All’inizio il tempio era un semplice rettangolo (VIII – VII sec.) ed era rivolto verso oriente, ed era più o meno grande a seconda della divinità a cui era dedicato. All’inizio era formato da due pareti laterali con apertura semispiovente e, all’interno c’era il naos (la divinità). Anteriormente c’era il pronaos, ricavato allungando le mura ed i semispioventi. A sostegno dei semispioventi c’erano le colonne, in modo da formare un porticato. Il tempio è allora detto in antis. Successivamente le colonne furono poste posteriore (infiantis). Ancora più tardi si avranno quatto colonne invece di due (prostylos), poi otto (quattro avanti e quattro dietro) e si avrà l’amphiprostylos. Dopo le colonne si misero tutt’intorno al tempio e si avrà il peripteros, che poi verranno messe in doppia fila (dipteros), questi sono i tempi rettangolari, mentre quelli circolari si chiamavano tholos. Nell’antichità i tempi erano costruiti in legno, ma per la frequenza degli incendi si fecero in pietra. Allora a ciò si ebbe una trasformazione verticale con tre ordini o tre stili: dorico, ionico e corinzio.
Ordine dorico
Si sviluppa nel VII secolo nel Peloponneso e nella Magna Grecia e dei tre ordini è il più antico. Il basamento del tempio è formato da tre gradini (crepidoma), che servono per portarlo in piano. Le colonne si impostano direttamente sullo stilobate (pavimento). La colonna greca ha un fusto più robusto rastremata versa l’alto con circa 20 scanalature. La rastrematura arriva ad 1/3 della colonna, che diminuisce di spessore in prossimità del capitello. Questa rastrematura è detta entasi. Il capitello è formato nella parte più bassa da un collarino con scanalature concentriche, serve a non far arrivare le scanalature della colonna fino al capitello. Sopra c’è l’echino, che poggiando sul fusto della colonna funge da cuscinetto. Sopra ancora c’è l’abaco quadrangolare. Sopra alle colonne c’è la trabeazione, cioè l’architrave (epistilio), che poggia su due capitelli, è decorato a gocce. La parte superiore è composta dalle metope e dai triglifi. Questi si alternano, perché i triglifi sono riquadrati in pietra con tre scanalature, mentre le metope sono scolpite a bassorilievo. La copertura, sia anteriore che posteriore è rappresentata dai frontoni, fatti da due semispioventi ed una base, in modo da formare un triangolo. La base si dice geison (parte interna). Quella esterna sima. I sima sono decorati a palmette e terminano con statue o con teste, la parte interna del triangolo è detta timpano (in origine era aperta per far uscire i fumi di incenso usato all’interno del tempio, poi fu chiuso). Le colonne sono leggermente inclinate all’interno per avere l’effetto prospettico. Il centro dei lati esterni sono lievemente rigonfiati per non avere l’illusione ottica che il tempio si restringa verso la fine. Le colonne laterali sono sempre il doppio di quelle frontali, o, al massimo, il doppio più uno.
Ordine ionico
Si diffuse nel VI sec. a.C. sulle coste dell’Asia Minore e sulle isole egee. Il tempio ionico ha una basamento detto crepidoma fornito di due o tre gradini. La colonna ionica ha un basamento che poggia per terra. Esso è costituito da sporgenze (tori) e da rientranze (trochili). Il fusto della colonna ha un diametro minore a quello dorico ed è quasi uniforme, più slanciato ed è più pittorico; ha 24 scanalature e gli spigoli sono smussati e richiamano la circonferenza (l’ordine dorico ha spigoli vivi). C’è il capitello ed è formato dall’echino, fatto da due volute che sono unite attraverso il collarino e dentro sono decorate ad ovuli. Sopra abbiamo l’abaco come un tronco di piramide a base quadrata capovolto. Sopra il capitello abbiamo la trabeazione. L’architrave è formato da tre fasce dette tenie, sopra ancora c’è una decorazione a bassorilievo continuo, descrivendo un avvenimento per intero. Ancora sopra c’è il frontone fatto dal geison e due semispioventi come quello d’ordine dorico. La decorazione non è però a palmette ma ad ovuli. All’interno c’è il timpano decorato con delle sculture.
Ordine corinzio
Si sviluppa nel V sec.. Il cambiamento sta nel capitello che ha solo delle foglie di acanto che si girano con le punte rivolte verso l’alto. Dopo abbiamo l’ordine composito, fatto dall’insieme di quello ionico più quello corinzio. Abbiamo sia le volute sia foglie di acanto che derivano dall’arte egizia. Il basamento è fatto da un parallelepipedo a prisma a base quadrata detto plinto. Alla fine l’ordine dorico è un tempio plastico, quello ionico più pittorico per la slanciatezza dei fusti.
Scultura
La statuaria arcaica ha come tema fondamentale la figura umana, soprattutto maschile. Tra queste sculture abbiamo il kouros, figura umana maschile nuda, e il kore, figura femminile viste, non nude, ma con panneggi.
Attraverso queste sculture viene espresso l’uomo ideale nelle più alte qualità sia fisiche che morali. Quindi non viene rappresentata una bellezza reale, ma ideale, poiché raffigurano la perfezione, che non esiste nell’uomo reale ma in quello ideale.
Correnti dorica, ionica, attica
Nella scultura si hanno tre stili: dorico, ionico, attico.
Quello dorico si distingue per la forza della composizione, che viene definita con delle linee poco mosse.
Invece in quello ionico, abbiamo linee molto mosse spezzate e si distingue anche per l’elasticità della stessa composizione. Qui abbiamo anche presente il pittoricismo: plasticismo pittorico.
Mentre in quello attico abbiamo un equilibrio tra massa e linea e vi è presente il pittoricismo.
Polymedes di Argo – Kouros di Milo
Come tutte le statue maschili sono nude. Braccia tese lungo il corpo e le mani chiuse a pugno. Non esiste nessun movimento e quindi sono plastiche. Mentre il pittoricismo lo troviamo nell’aspetto fisico e soprattutto nello sguardo.
Sebbene siano più o meno della stessa altezza (m 2.16; m 2.14), una sembra più alta perché è raffigurata più slanciata.
Nel Polymedes abbiamo una linea continua ed è una raffigurazione plastica. Mentre nel Kouros abbiamo linee molto ondulate e sembra che sorride un po’.
Ad Atene si sviluppò la scuola Attica e da questa scuola vennero fuori delle opere importanti. Durante il periodo di transizione, periodo dall’invasione dei Persiani fino all’inizio della nuova corrente, si svilupparono i tirannicidi.
Moskophoros
Abbiamo un’impostazione geometrica; forme a x delle braccia formate insieme alle zampe del vitello, questo per avere il cosiddetto equilibrio delle figure. Notiamo anche una vivacità molto accentuata sui volti sia dell’animale che nell’uomo e per questo fa parte della corrente ionica.
Il tardo arcaismo e gli inizi dell’età classica
Questo è il periodo che va dagli inizi alla metà del V secolo e appartiene sia all’età arcaica che a quella classica. In questo secolo esistono due punti di riferimento precisi: le guerre persiane e la ricostruzione dell’Acropoli di Atene.
Proprio perché nel 447, nell’età di Pericle, inizia la ricostruzione dell’Acropoli creando uno dei più importanti complessi monumentali di tutti i tempi.
Tra gli scultori di questo periodo ricordiamo Mirone e Policleto, e le statue bronzee di Riace, l’Auriga di Delfi, il Trono Ludovisi.
Auriga di Delfi
È ionica, perché c’è movimento e quindi plasticità. Era posta su una biga perché ha in mano ancora delle bighe. Abbiamo anche le pieghe della tunica che ci danno l’effetto chiaroscuro e quindi il movimento.
Trono Ludovisi
Su questo trono doveva sedersi qualcuno di grande importanza. Blocco di pietra monolitico in cui è stato ricavato una sedia. Sullo schienale esterno troviamo la nascita di Venere e iniziamo ad avere anche il nudo femminile. La nascita risulta quasi in movimento. Al centro Venere con due ancelle, una a destra e una a sinistra, con un panneggio che cercano di coprire la nudità di Venere. Ma, appunto, lo scultore fa in modo di farci vedere il corpo di Venere. Sui due braccioli abbiamo due persone che suonano degli strumenti dell’epoca.
Mirone
Il più illustre artista dell’antichità per quanto concerne le statue in bronzo. Nato in Beozia e detto Ateniese perché svolge la sua attività in Atene. Tra le opere che ci sono giunte, oltre ad essere pochissime, abbiamo anche tantissime copie delle quali ci dobbiamo fidare. Tra queste abbiamo: il Discobolo ed Atena e Marsia, tutte e due risalenti verso il 450 a.C.. in queste opere vuole raffigurare il movimento immobile, cogliere l’attimo in cui avviene l’azione.
Nel discobolo troviamo un atleta che sta per lanciare il disco e raffigura il corpo dello stesso atleta in tensione, facendo vedere i muscoli, mentre il volto è visto senza sudore, levigato in tutta la sua bellezza e la realtà viene superata, cioè il volto è una raffigurazione idealizzata, mentre il colpo è visto reale: la scultura è realistica idealizzata.
In Atena e Marsia viene colto l’attimo in cui cade il fulmine mentre Marsia tende a nascondersi per la paura. Anche questa è una scultura realistica idealizzata.
Policleto
Nasce nel V sec. a.C. nel Peloponneso e ci fa capire, attraverso le sue opere, le caratteristiche sculturali dell’epoca, ma anche la proporzione del corpo umano. È uno dei più noti artisti. Le sue opere giunte a noi sono poche, e, some in Mirone, abbiamo tantissime copie. Le due opere più importante sono il Dorifero (o portatore di lance) e il Diadumeno.
Il Dorifero risale al 450 a.C., e non viene raffigurata una posizione in movimento. Prima di realizzarla cerca di studiare questo corpo umano. Tutti gli artisti che verranno dopo prenderanno spunto da quest’opera, ma viene preso tale sono da coloro che lo osservano sul posto. Policleto detta il Kanon, detta, cioè, le unità di misura per realizzarlo. Per quelli che erano invece lontani scrive un trattato sulle proporzioni del corpo umano, dove sono elencate tutte le regole che sono stata utilizzate per scolpire il Dorifero. Attraverso questa opera ci dà un equilibrio statico, non dinamico; cioè il movimento non è tanto accentuato, ma è un movimento statico.
Bronzi di Riace
Sono stati ritrovati a Riace (R.C.), nel 1972, a circa otto metri di profondità nel mar Ionio, e subirono dei trattamenti, vengono restaurate. Questo perché si suppone che la nave che le trasportava abbia fatto naufragio. Sono due statue votive, rubate dai Romani da un santuario greco. Sono state attribuite contemporaneamente a Mirone, Policleto e Fidia. Mostrano nelle loro proporzioni un carattere eroico. Sono entrambi nudi e ponderati nell’equilibrio, come nel Dorifero. Due mani vuote, ma una delle due doveva tenere lo scudo, e l’altra la spada. La idealizzazione mostra cose simili con le statue del V sec. Mostrano una realtà, cioè abbiamo i colori naturali, utilizzano il rame, per le labbra e i capezzoli; l’argento per le ciglia; l’avorio o pasta vitrea per gli occhi.
L’età classica
L’artista che emerge in questo periodo è Fidia. Egli opera tra il 440/430 a.C. In questo periodo termina le guerre Persiane con la vittoria della Grecia. La città di Atene trasse dei vantaggi, e sotto il governo di Pericle, ci furono delle grandi iniziative artistiche: ricostruzione dell’Acropoli di Atene. Pericle affidò la carica di Epistopos, direttore dei lavori, a Fidia. La principale ricostruzione fu quella del Partenone. Questo tempo è dedicato ad Atena, eretto tra il 449/447. Io progetto dello stesso venne affidato a Ictino, il quale si serve dell’edificio abbattuto, utilizzando le colonne e il basamento, e deve seguire anche i tempi impostoli da Fidia per la realizzazione. Ictinio lavora insieme a Kallicrate.
Partenone
Il Partenone è d’ordine dorico, periptero, octastilo (sul fronte ci sono 8 colonne), anthiprostilos (possiede un portico anteriore e uno posteriore). Sul lato destro e sinistro abbiamo 17 colonne, misura 31 metri per 70, altezza 15 (è così alto perché doveva contenere Atena che era alta circa 11 metri). Le colonne del Partenone sono alte circa 10 m, sono doriche e rastremate, ma poco rigonfie. All’interno abbiamo due celle. Una ampia, divisa da colonne di ordine dorico in doppio ordine (una colonna sotto e una sopra), dove all’interno era posta la statua di Atena, che oggi non vi è più. Questa statua era decorata con oro, avorio e gemme preziose. La seconda sala, più piccola, detta Partenon, dove avevamo le vergini che tessevano il Peplo da dedicare alla dea, e, questa stanza, era chiamata anche sala del tesoro, o sala delle vergini. Questa sala è caratterizzata da colonne di ordine ionico e sono uniche (non sono doppie, come nell’altra sala).
Il Partenone divenne una chiesa cristiana, prima, e una moschea, poi. Esso, oltre ad essere importante per la sua maestosità, è anche importante per la decorazione: comprende 92 metope e 159 m di fregio continuo, che si trova sulle pareti delle celle, e circa 40 statue a tutto tondo.
L’ammirazione oltre al fregio va anche al valore sacro, rispettano la religione dell’epoca. Qui si avverte l’assenza divina che va oltre l’immaginazione, non c’è una percezione reale, ma panteistica.
Avevamo due frontoni: ad ovest abbiamo su di esso la raffigurazione della lotta tra Atena e Poseidone per il predominio sull’Attica; ad est invece viene descritta la nascita di Atena.
Il Partenone fu il tesoro di Atene che destò per anni l’ammirazione di tutti i popoli antichi. In questa composizione non abbiamo la simmetria, è una rappresentazione nuova: abbiamo il nudo, nel senso della plasticità del corpo umano. Dove non rappresenta il nudo rappresenta la plasticità attraverso la scultura di stoffe, panneggi, che sono talmente sottili e trasparenti che riescono a far vedere il corpo, dandoci così il senso di chiaroscuro con le pieghe delle tuniche.
Fidia
Di egli sappiamo con sicurezza che fu l’autore delle statue di Zeus nel Tempio di Olimpia, alta 14 m, inaugurata nel 498 e considerata a quel tempo una delle quattro meraviglie del mondo; di Athena Promachos e di Atena Lemnia sull’Acropoli di Atene, di Athena Parthenos nella cella del Partenone, quest’ultima alta 15 m, inaugurata nel 438, e la sua realizzazione avvenne attraverso uno scheletro di legno, il quale venne successivamente ricoperto da più di 1000 kg di oro più avorio e gemme preziose, il suo peso si aggirava sui 1150 kg. Entrambe le statue erano stata realizzate in oro e avorio, chiamate perciò crisoelefantini.
Gli altri edifici dell’Acropoli
Essi, pur di autori diversi, rispondono tutti a criteri di equilibrio e di rapporti organici di interdipendenza: i Propilei (l’ingresso), dorici, di Mnesicle; il Tempietto di Atena Nike, ionico, di Kallicrate; l’Eretterio, ionico, di Filocle.
I Propilei erano costruiti da un corpo centrale: il portico, che aveva sopra un architrave. Avevamo 6 colonne davanti e 6 dietro; diviso in tre navate dove passava la via sacra. Lateralmente vi erano due altre costruzioni: a destra uno adibito a banchetti, a sinistra un ambiente più piccolo asimmetrico destinato al santuario delle Grazie.
Il Tempietto di Atena Nike, ionico, innalzato su una pianta di 5 per 8 m, amphiprostilo.
L’Eretterio, ionico tetrastilo (4 colonne frontali), irregolare, dedicato sia ad Atena che a Poseidone.
Attaccato all’Eretterio avevamo la loggetta del cariatidi, detta così perché le colonne ioniche vennero sostituite da fanciulle, che sorreggono l’architrave. Hanno un panneggio che crea il chiaroscuro. Tra queste fanciulle vi è, oggi, una copia: perché una è stata portata in Inghilterra.
Skopas
Originario dell’isola di Paro, ma lavora nel Peloponneso, in Asia Minore, ma soprattutto in Attica. Contemporaneo di Prassitele, nelle sue opere interpreta di dramma dell’uomo e sono quasi tutte in marmo, tranne una statua in bronzo. Le decorazioni a cui partecipa Skopas sono state rinvenute ad Atena Alla, e forse ne è anche lui il realizzatore. Skopas è importante per la sua tensione drammatica e di violenza passionale, come dimostrano alcune sue opere come Menade danzante di Dresda e i frammenti di teste, nel museo di Tegea.
Menade danzante: raffigura delle danzatrici, che venivano chiamate baccanti, perché erano delle seguaci di Bacco e danzavano dopo che avevano consumato il banchetto. Entravano in uno stato passionale di furore (erano ubriache), durante il quale sbranavano e divoravano un capretto, incarnazione del dio. È una statua pittorica, non è levigata, ma abbiamo l’effetto chiaroscuro.
Il movimento scopadeo è improvviso. Attraverso la violenza del moto. Attraverso la velocità dello scatto, l’uomo conquista il suo ambiente; non ne fa parte in un rapporto reciproco ed equilibrato: lo domina.
Prassitele
Ateniese, attivo prima e dopo la metà del IV secolo a.C.. A lui vengono attribuite dalle fonti numerose opere, ma a noi sono giunte solo copie. La caratteristica della scultura prassitelica, quasi sempre in marmo, è la ricerca esasperata della perfezione. Tanto che le statue erano “finite” da un famoso pittore, Nicia, che con sapienti colori sembrava che le rendesse vive e ne ricopriva il marmo con una miscela trasparente di olio e cera, per evitare sia che gli agenti atmosferici la rovinassero e sia per dare al marmo un tono caldo ambrato. Ma rendendo vive le statue non era la logica della realtà. Scolpiva adolescenti e giovani, e andava alla ricerca di un sentimento di dolcezza sensuale.
L’opera che ci permette di capire l’arte del Prassitele, è l’Afrodite, nella quale è espressa tutta la dolcezza sensuale, col nudo femminile. La sensualità aumenta quando la donna sta per svestirsi, ecco perché raffigura l’attimo in cui sta per lasciar cadere la tunica.
Un’altra opera importante è l’Apollo Sauractano, nel quale è raffigurato Apollo appoggiato ad un tronco di un albero ad osservare una lucertola che veniva molestata.
Lisippo
Nato verso il 370 a .C. è il terzo grande artista del periodo classico. Si muove dalla grande lezione di Policleto per giungere ad un’arte fortemente espressiva. Aggiunge, cioè, oltre all’equilibrio l’espressività. L’equilibrio non è statico ma dinamico, proprio per l’aggiunta dell’espressività. Le statue sono proporzionate, ma rimpicciolisce la tesa e ne allunga il collo, perché pensava che facendo questo divenisse più slanciata, ma era uno sbaglio.
Tra le sue opere ricordiamo lo Strigilatore, colui che sia sta detergendo (pulendo). A differenza di Mirone, non cogli l’attimo preciso, ma un attimo preciso dell’azione. A quel tempo vi erano gli atleti lottatori, che prima di scendere nell’arena venivano unti di grasso, per far sì che, nella presa dell’avversario, le mani di quest’ultimo scivolassero. Ma nel momento in cui cade si sporca. E Lisippo cogli proprio l’attimo in cui si sta pulendo con lo strigile (un raschietto).

LA CIVILTÀ’ ETRUSCA
Questa è un’arte realistica dove non esiste l’idealismo. Esiste invece la rappresentazione del volto umano in modo realistico, accentuando il fisico umano per come si presenta. Gli scultori etruschi a differenza di quelli greci si propongono di dare una rappresentazione reale nei minimi particolari, avendo così una realtà visiva, realistica.
A Chiusi troviamo delle urne, dette canopi, realizzate in bronzo e terracotta che riproducevano i volti dei personaggi. Erano dei vasi chiusi da un coperchio a forma di testa umana la quale riproduceva il defunto e presentavano anche le braccia attaccate al vaso. Venivano chiamati canopi dal nome di un’antica città egizia ove si sono trovate urne cinerarie simili.
L’Arringatore (colui il quale sta parlando al popolo) è una statua in bronzo di cui non si conosce il nome dello scultore, ma, invece, il suo animo, in quanto è riuscito a penetrare nell’animo del personaggio. Fu scoperta presso Perugia nel 1556 nel Trasimeno, e nel 1565 fu acquistata da Cosimo I, mentre oggi è conservata nel Museo Archeologico di Firenze. Il personaggio è in una posizione realistica con il braccio destro teso in avanti, mentre quello sinistro è attaccato al corpo che regge la tunica. La figura ha una tale forza di carattere che annuncia ciò che sarà dell’arte successiva, quella romana. È piantata al suolo attraverso ambedue le gambe, come avveniva in Policleto. Oltre nel panneggio, le cui linee sono molto realistiche, il realismo si vede molto nel viso. Infatti, sulla fronte abbiamo delle rughe, dove scende la frangetta, e ha gli zigomi sporgenti, gli occhi incavati e le labbra leggermente socchiuse.
Altre opere di questo periodo sono La Lupa Capitolina (VI-V secolo a.C.), nella quale abbiamo la presenza di forza e sensibilità, e La Chimera di Arezzo, attraverso la quale notiamo la potenza dell’animale, che nel mito classico vomitava fuoco e fiamme.

LA CIVILTÀ’ ROMANA
L’arte romana viene influenzata dall’arte greca ed etrusca, quest’ultima per la sopraelevazione degli edifici utilizzando l’arco a botte, mentre dai greci prendono gli ordini architettonici. Essi danno origine all’ordine composito (ordine ionico più ordine corinzio). Nell’architettura utilizzano il mattone e per unirli avevano il cemento (polvere vulcanica) e un esempio ne sono gli acquedotti.
Il foro romano era costituito da tre piani e intersecavano il senso verticale ed orizzontale due volte a botte (volta a crociera), perché in questo modo si otteneva uno spazio quasi quadrato e maggiore. Quindi scaricavano il peso in quattro punti e sorreggevano meglio la parte superiore. Ai pilastri addossavano semicolonne con capitelli e al pianterreno utilizzavano lo stile dorico, perché più plastico per sorreggere meglio, al primo piano lo stile era ionico, più decorativo, al secondo avevamo quello corinzio, più leggero e decorativo.
Le basiliche sono costituite da una grande aula rettangolare, all’interno delle quali non avvenivano solo riunioni religiose, ma venivano trattati anche vari argomenti. Tra le più importanti abbiamo la basilica Giulia (55 – 44 a.C.) intitolata a Gaio e Lucio Cesare, nella zona centrale del foro. L’interno è diviso in cinque navate, la centrale ha due coperture a semispioventi, mentre in quelle laterali una. La navate centrale è divisa mediante un doppio peristilio (recinto), uno alla base e uno al primo piano, con pilastri con su archi e trabeazioni (portico). Questa navata è più alta delle altre e sui pilastri abbiamo semicolonne con capitelli per renderli più plastici. Gli archi di trionfo vengono organizzati in onore degli imperatori da parte di altri popoli, hanno la formazione di un parallelepipedo e terminano con una trabeazione superiore. La decorazione è a bassorilievo e raffigura la guerra vinta. Vengono rappresentati con una sola luce o a tre luci, cioè tre aperture con tre archi di cui quello centrale più alto, come l’arco di Costantino.
L’età giulio-claudia
Nel 27 a.C. Ottaviano viene proclamato Augusto ed ha inizio l’impero romano e il suo nuovo imperatore dà un impulso nuovo a tutta la vita sociale, culturale, artistica di Roma. In questo periodo abbiamo l’attuazione del Teatro Marcello che fu progettato da Cesare. Era dedicato al nipote Marcello, morto nel 23 a.C. e qui vennero celebrati nel 17 a.C. i ludi saeculores, giochi che avvenivano ogni cento anni, e venne inaugurato nel’11 a.C.. Era il più antico teatro romano in pietra, aveva tre piani con ogni ordine di altezza, 34 metri, ed era formato da una cavea, un palcoscenico e dall’orchestra. Mentre i Greci per realizzare un teatro sfruttavano il pendio di una collina, i Romani invece sfruttavano i pilastri con archi e volte. Oggi non esiste più, tranne la cavea semicircolare e prevedeva un aspetto monumentale, ma vi era un equilibrio tra le parti piene e le vuote.
L’età dei Flavi
Nerone morì nel 68 d.C. e quindi termina la dinastia di Augusto. Si impone ora quella dei Flavi. In pochi mesi si succedettero tre imperatori, finché nel 68 Flavio Vespasiano le legioni d’Oriente lo proclamarono imperatore. Sotto di lui e sotto il suo successore, il figlio Tito, l’arte romana raggiunse una completa autonomia di linguaggio.
Vespasiano nel 72 fece costruire l’Anfiteatro Flavio, oggi noto come il Colosseo. L’anfiteatro è l’unione di due teatri e quindi risulta ellittico e non circolare con un asse maggiore e uno minore. Le orchestre erano unite insieme e dalla loro unione avevamo l’arena, dove avvenivano gli spettacoli, i più famosi erano quelli dei gladiatori. Oggi sono considerati luoghi di martirio e quindi sacri, proprio perché attraverso lotte che avvenivano all’interno venivano uccisi i cristiani. Il Colosseo era alto 48.50 metri, gli assi dell’ellisse esterna misuravano 188 metri per 156 e dell’arena 77 per 46.50 metri. È detto Colosseo per una statua colossale di Nerone che si trovava all’interno sulla destra. Oggi sono ancora visibile invece le mensole che servivano a sostenere una fitta rette di pali, ai quali era ancorato il velario che, in caso di sole, poteva coprire tutta l’area dell’anfiteatro. Questa struttura venne realizzata in mattoni rivestiti di travertino e l’arena era separata da un alto zoccolo (muro). Questo aveva delle apertura attraverso le quali passavano gli attori che dovevano andare in scena. I gradini più bassi erano in arte di marmo ed erano riservati a personaggi illustri, mentre il popolo si doveva accontentare di stare in piedi nella parte più alta. Alla base avevamo l’ordine dorico, salendo quello dorico e corinzio ed era organizzato con pilastri e arcate rivestiti di travertino. L’ultimo piano era anche in travertino con finestre divise da semipilastri come avveniva alla base.
L’età di Adriano
Adriano è il successore di Traiano ed a lui si deve il Pantheon, un tempio dedicato alle sette divinità planetarie. Innalzato la prima volta da Agrippa nel 27 a.C., venne danneggiato da un incendio nell’80 d.C., da un altro venne distrutto nel 110 e venne ricostruito tra il 118-128 d.C. con l’utilizzo anche qui di mattoni. È a pianta centrale e composto da tre parti, un corpo centrale cilindrico, una cupola emisferica e un avancorpo detto pronao: vano rettangolare attaccato alla parte cilindrica e formato da otto colonne corinzie in due file da quattro. Abbiamo tre navate di cui la navate centrale è la più spaziosa delle altre due. Quelle laterali terminano con due grani nicchie ricavate dal cilindro, mentre la navata centrale corrisponde all’unica entrata. Questo vano circolare è realizzato in mattone, per cui lo spessore del cilindro è di oltre sei metri, nel quale sono inseriti gli archi ciechi di scarico, i quali, però, non riusciamo a vederli né dall’interno né dall’esterno. Il diametro e l’altezza è di 43.40 metri. Alla sommità della cupola abbiamo un occhio, la sola apertura, di 8.5 metri, da cui penetra la luce all’interno. Su tutta la pianta interna circolare si alternano nicchie rettangolari e semicircolari, davanti le quali ci sono due colonne di ordine corinzio e due colonne scanalate con capitelli. Le nicchie ne sono sette in corrispondenza degli assi e delle diagonali, proprio per questo ne dovrebbero essere otto, l’altra infatti è rappresentata dall’ingresso dove non abbiamo le colonne che ci da un senso di verticalismo, mentre un’altra nicchia in corrispondenza dell’ingresso è adibita alla parte presbiteriale (l’altare). Nella parte superiore c’è una trabeazione, al di sopra della quale il tamburo dove poggia la cupola, sul quale abbiamo una decorazione di quadrati e di finestre finte con elementi greci (timpano) che ci rende le finestre classiche. La cupola è semisferica, decorata a cassettoni quadratici i quali, anche se sembra che decrescono verso l’interno, sono tutti uguali. L’unica fonte di luce, come detto prima, è l’occhio. Attraverso la luce che vi entra e che illumina il Pantheon, abbiamo un effetto chiaroscurale, un gioco di luce e ombra.
L’età di Traiano
Nel Foro di Traiano vi è stata innalzata la cosiddetta Colonna di Traiano. È stata realizzata tra il 110 e il 130 d.C. e l’unico artista che l’ha realizzata è ignoto. Interamente di marmo, alta 35 metri, con il fusto di 29.60 metri, il diametro 3.80 e lo spessore di 1.5, ha alla base un basamento a prisma a base rettangolare con un’apertura alla base che doveva contenere le ceneri di Traiano. In cima avevamo una statua sostituita nel 1157 con una statua di San Pietro. Sul fregio, lungo duecento metri, con ventitré giri elicoidali, abbiamo rappresentato un avvenimento in continuazione. Questi anelli hanno un’altezza diversa, le fasce vanno da 90 centimetri a 1.25 metri dalla linea inferiore a quella superiore. Su questo fusto sono rappresentate le guerre daciche del 101-102, 106-107, d.C. vinte da Traiano. La narrazione ha inizio alla presenza del dio Danubio che in forma umana emerge dai fiume per assistere al passaggio dei soldati romani. Si interrompe un’unica volta, nell’intervallo fra le due guerre, per presentare una Vittoria alata che scrive sul proprio scudo le glorie romane. Si conclude con la rappresentazione della Notte avvolta nel suo mantello. È un bassorilievo, le figure non sono accentrate, tranne qualche volta che lo sono lievemente. La luce colpendo le immagini crea l’effetto chiaroscurale e la forma cilindrica della colonna aumenta il pittoricismo perché la luce scivola sulla circonferenza.

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