Paolo Uccello

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Categoria:Storia Dell'arte
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Testo

PAOLO DI DONO, DETTO UCCELLO

La mia scelta di analizzare la vita di questo artista, annoverato convenzionalmente tra i “minori”, ma che personalmente ritengo tale unicamente in quanto, per sua sfortuna contemporaneo o quantomeno coevo di altri artisti universalmente noti come Donatello o Brunelleschi, deriva dal fatto che Vasari in tutti i commenti alle vite “de’più eccellenti pittori, scultori et architetti italiani, da Cimabue insino a’tempi nostri” formula giudizi più che positivi, quasi fino alla magnificazione dell’opera e del fautore, adulando in modo palese e ampolloso la bravura e le caratteristiche o esaltando campanilisticamente i suoi compatrioti. Per ciò che concerne l’operato di Paolo Uccello non si sbilancia, anzi, senza troppi giri di parole, lo rimprovera crudamente di dedicarsi troppo allo studio ed all’applicazione maniacale delle regole prospettiche in primo luogo, e poi anche per l’uso innaturale e non canonico dei colori nelle sue creazioni, derivante probabilmente dal fatto che i suoi toni coloristici sono propri del Gotico Internazionale ma armoniosamente trasferiti in una concezione Rinascimentale.
A riprova di questo fatto citiamo le parole di apertura del Vasari su Paolo: “Paulo Uccello sarebbe stato il più leggiadro e capriccioso ingegno che avesse avuto da Giotto in qua l’arte della pittura, se egli si fusse affaticato tanto nelle figure ed animali, quanto egli si affaticò e perse tempo nelle cose di prospettiva…” e, circa a metà dell’opera: “…fece i campi azzurri, le città di color rosso e gli edificj variati secondo che gli parve: ed in questo mancò, perché le cose che si fingono di pietra, non possono e non deono essere tinte d’altro colore.”.
All’inizio della trattazione su Paolo, il Vasari ammette sì che l’arte della prospettiva sia “bella ed ingegnosa”, ma afferma anche che chi vi si cimenta in maniera maniacale come l’Uccello, perda tempo, sfidi la natura ed in un certo senso si complichi la vita, tanto che quello che prima pareva semplice e certo, analizzato così razionalmente e ridotto a mera formula matematica possa apparire difficile e perdere la grazia che aveva in natura, poiché ricondotto a un insieme di linee e spigoli.
Vasari trova in questo fatto la probabile causa del carattere “solitario, strano, malinconico e povero” che contraddistingueva l’artista, affermando in seguito che “…dotato dalla natura di un ingegno sofistico e sottile, non ebbe altro diletto che investigare alcune cose di prospettiva difficili ed impossibili…”. [Fig.I]
A questo punto secondo me, con una semplice ma terribile frase, il Vasari annienta, nel vero senso della parola, Paolo Uccello, affermando che nelle sue opere vi fosse “…un non so che di stento, di secco, di difficile, di cattiva maniera, che muove a compassione chi le guarda, piuttosto che a meraviglia”.
.La ricerca di Paolo non era quindi tesa verso una natura “somigliante” al vero, ma “esattamente e razionalmente” vera, e quale mezzo è più razionalizzante della prospettiva?
Egli si adoprò con così tanto impegno, così tanta passione all’arte del disegno in prospettiva che “ridusse a perfezione il modo di tirare le prospettive dalle piante de’ casamenti e da’ profili degli edifizi […] per via dell’ intersecare delle linee.”.
Paolo si applicò sino al punto che elaborò egli stesso delle semplificazione al metodo canonico, trovando “ similmente il modo di girare le crociere e gli archi delle volte, lo scortare de’palchi con gli sfondati delle travi, le colonne tonde per fare in un canto vivo del muro d’una casa che nel canto si ripieghino,e tirate in prospettiva lo facciano […] parer piano”.
A questo punto Vasari ritorna sul fatto che se Paolo si fosse soffermato più sul disegno tradizionale naturalistico, si sarebbe senza dubbio andato ad annoverare tra i “grandi”, ma questa sua ostinata testardaggine nel voler perseverare su quella strada lo condussero sull’orlo della miseria.
Un passo mi ha particolarmente colpita, quando il Vasari ci testimonia un incontro (e dal modo in cui i due discorrono non doveva essere il primo) fra Paolo e Donatello, e quest’ultimo, dopo aver ammirato alcuni lavori del collega afferma “Eh, Paulo, questa tua prospettiva ti fa lasciare il certo per l’incerto: queste sono cose che non servono se non a questi che fanno le tarsie…”.
Il fatto che Donatello, da artista quale fosse, non ammirasse (o quantomeno apprezzasse) l’operato del collega mi lascia un po’ in dubbio, e il fatto che ciò rispecchi esattamente il pensiero dell’autore delle “Vite” contribuisce ad aumentare le mie perplessità sulla veridicità di chi abbia veramente pronunciato questa frase …
Tralasciando questi piccoli “pettegolezzi quattrocenteschi”, l’opera vasariana è senza dubbio un grande testamento artistico, grazie al quale è stato possibile scoprire opere di cui il tempo ci avrebbe perfino cancellato il ricordo; infatti, ben poche opere di Paolo Uccello sono giunte fino a noi.

Tra queste, il Vasari ci dà notizia del primo ciclo pittorico di Paolo, realizzato presso l’attuale Accademia di belle Arti di Firenze, rappresentante una nicchia bislunga in prospettiva, attorniata ai lati dai Santi Cosimo, Damiano e Antonio, andato irrimediabilmente perso, così come gli affreschi presso il monastero di Annalena, o quelli realizzati in Santa Trinità.
Il ciclo realizzato a San Miniato (cittadina nei pressi di Firenze), invece, fu poi imbiancato.
Adesso viene la parte a mio avviso più divertente: il Vasari ci narra un buffo aneddoto i cui protagonisti sono Paolo e l’abate di San Miniato: mentre l’artista lavorava presso l’abbazia, il religioso non gli cucinava nient’altro che formaggio, ad ogni pasto, tutti i giorni. Dopo qualche tempo Paolo non ne poteva veramente più ma, timido e riservato qual era, non osò manifestare la sua intolleranza al cacio e scappò. L’abate, non capendo il motivo della prematura dipartita dell’artista lo fece cercare a Firenze. Paolo, timoroso di qualche punizione, visse nell’ombra e nell’angoscia per un certo periodo; i religiosi vennero più volte a cercarlo a casa, ma lui si fingeva assente; se per le vie della città vedeva, anche solo da lontano, degli appartenenti all’ordine, correva via a gambe levate.
Due giovani adepti dell’abbazia riuscirono ad avvicinarlo e gli domandarono per quale ragione non avesse terminato l’opera e perché alla vista dei religiosi fuggisse. Paolo rispose che era tutta colpa dell’abate il quale “fra torte e minestre fatte sempre col cacio, mi ha messo in corpo tanto formaggio, che io ho paura, essendo già tutto cacio, di esser messo in opera come mastice; e se più oltre continuassi non sarei più Paolo, ma cacio.”. I frati, fra le risate, riferirono tutto all’abate che cambiò repentinamente il menù.
E’ ricordato anche un lavoro effettuato in Santa Trinità Maggiore sul quale il Vasari ci dà qualche informazione, mantenendo un punto di vista del tutto distaccato e soffermandosi solamente sull’esatta risoluzione tecnica: “Fece un casamento, […] con bella maniera e grazia e proporzione, mostrando il modo di far sfuggire le linee, e fare che in un piano lo spazio che è poco e piccolo, acquisti tanto che paia largo e assai lontano […] l’occhio si inganna. […] Volle ancora mostrare maggiore difficultà in alcune colonne che scortano per via di prospettiva, le quali, ripiegandosi, rompono il canto vivo della volta.”.
Si ricordano altri lavori minori presso la chiesa del Carmine, la loggia del monastero degli Angeli, la Cappella di San Girolamo dei Pugliesi, il dossale di San Cosimo e Damiano, effettuò dei lavori ad Urbino e in casa de’Medici eseguì una tempera su tela trattante scene allegoriche di caccia, pullulanti di animali, di cui oggi non si ha più notizia.
Paolo si dilettò particolarmente nelle raffigurazioni di animali, “…e per farli bene vi mise grandissimo studio; e, che è più, tenne sempre per casa dipinti uccelli, gatti, cani e d’ogni sorta di animali strani che potevano avere in disegno, non potendone tenere di vivi per esser povero; e perché si dilettò più degli uccelli che d’altro, fu cognominato Paolo Uccelli.”.
Questa sua maestria (doveva essere veramente abile se lo stesso Vasari, solitamente molto tirchio nell’elargire commenti a lui favorevoli, si permette una critica così positiva) si rifletté nell’esecuzione di alcune tele e tavole in onore di Lorenzo il Magnifico tra le quali, dalla descrizione sommaria e frammentaria che ci fornisce il Vasari, poteva figurare la famosa “Battaglia di San Romano”.[Fig.II]
Lavorò successivamente presso il chiostro di Santa Maria Novella, raffigurando alcune storie tra le quali compaiono la creazione degli animali “…con vario e infinito numero di acquatici, terrestri e volatili […] che parevan veri, e timorosi,e veloci…”e la creazione dell’uomo e della donna.
Il Vasari si permette un commento “Ma fu un bene assai che Paulo con l’ordine della prospettiva gli andò diminuendo e ritraendo come stanno quivi appunto, facendosi tutto quel che vedeva; cioè campi, aratri, ed altre minuzie della natura, in quella sua maniera secca e tagliente: laddove se egli avesse scelto il buono delle cose, e messo in opera quelle parti appunto che tornan bene in pittura, sarebbon stati del tutto perfettissimi.”.
Celebri sono anche le “Storie del Diluvio”: “Con tanta arte e diligenza lavorò i morti, la tempesta, il furore de’venti, i lampi delle saette, il troncare degli alberi e la paura dell’uomo.[…] ed in iscorto fece in prospettiva un morto, al quale un corbo gli cava gli occhi, ed un putto annegato; ceh per avere il corpo pieno d’acqua fa di quello un arco grandissimo.”.
In Santa Maria del Fiore innalzò alla memoria di Giovanni Acuto (nome italianizzato di John Hawkwood,condottiero inglese che alla testa dell’esercitò di Firenze aveva sconfitto i Pisani a Cascina), morto nel 1393, un affresco: “…un cavallo di terra verde, tenuto bellissimo e di grandezza straordinaria; e sopra quello, l’immagine di esso capitano, di chiaroscuro di colore verde terra, in un quadro alto dieci braccia […] dove tirò Paulo in prospettiva una gran cassa da morti, fingendo che corpo vi fusse dentro; e sopra vi pose l’immagine di lui, armato da capitano, a cavallo.”
Naturalmente il Vasari non manca di sottolineare con speciale malignità un particolare negativo, e cioè che “…se Paulo non avesse fatto che quel cavallo muove le gambe da una banda sola, il che naturalmente i cavalli non fanno, perché cascherebbero (il che forse gli avvenne perché non era avvezzo a cavalcare, né pratico con cavalli, che con altro animale.” [Fig.III]
La vita di Paolo sembra segnata dalla cattiva sorte, dalle stranezze del proprio carattere e dalla sconfortante opinione che avevano di lui alcuni suoi contemporanei. A riprova di quest’ultima affermazione nel testo è riportato un altro aneddoto: Paolo fu incaricato di realizzare un fregio raffigurante le storie di San Tommaso per il portale dell’omonima chiesa (oggi andato distrutto), ed egli si applicò a quest’opera in maniera assidua, “applicandovi tutto lo studio che seppe, dicendo che voleva mostrar in quella quanto valeva e sapeva” e proteggendo il tutto da sguardi indiscreti costruendovi attorno una sorta di fortino.Il giorno in cui l’opera finalmente portata a termine sarebbe stata mostrata, Donatello si trovava nei paraggi e fu invitato da Paolo ad ammirare per primo il frutto di cotanto mistero. Il verdetto finale del collega fu breve e lapidario: “Eh, Paulo; ora che sarebbe ora di coprire, tu scuopri!”.
Questo fu proprio il colpo di grazia: da quel momento Paolo si rinchiuse nella propria abitazione, a tracciare prospettive su prospettive, sino alla morte, sopravvenuta nel 1475, all’età di ottanta tre anni. Fu sepolto in Santo Spirito, nell’avello che Dono, suo padre, aveva commissionato per sé ed i suoi discendenti.
Alcune curiosità sulla vita di Paolo Uccello: dopo la sua morte, avvenuta nel 1475, “avendo disegnato tanto, lasciò ai suoi parenti nient’altro, secondo che da loro medesimi ho ritratto, che casse piene di disegni.” .
Paolo realizzò anche, su una lunga tavola, cinque uomini; i più importanti personaggi che avevano contribuito in qualche modo alla sua formazione. Essi erano Giotto “per il lume e principio dell’arte.”, Brunelleschi per l’architettura e la tanto cara prospettiva, Donatello per la scultura, Giovanni Manetti (suo amico) per la matematica e infine se stesso, per la prospettiva e il disegno degli animali.
Il linguaggio adottato dal Vasari, pur essendo volgare, permette una lettura chiara e veloce; ho apprezzato molto il fatto che all’interno del testo non comparissero solo date, opere e biografie, ma vi fossero riferimenti a particolari eventi della vita “privata” dei vari artisti.
Questa caratteristica a mio avviso contribuisce a mantenere viva l’attenzione del lettore e a rendere più “veri”i protagonisti, trasferendo questi “sprazzi di storia passata” in una dimensione più reale.

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