Materie: | Appunti |
Categoria: | Storia Dell'arte |
Download: | 149 |
Data: | 18.12.2000 |
Numero di pagine: | 15 |
Formato di file: | .doc (Microsoft Word) |
Download
Anteprima
masaccio_1.zip (Dimensione: 14.6 Kb)
trucheck.it_masaccio.doc 63 Kb
readme.txt 59 Bytes
Testo
Masaccio [[] (Tommaso di ser Giovanni di Simone Guidi, detto), pittore italiano (San Giovanni Valdarno, Firenze, 1401 - Roma 1428 [?]). Scarse sono le notizie sul grande pittore, compartecipe, con l'architetto Brunelleschi e con lo scultore Donatello, nella Firenze del terzo decennio del XV sec., di quella rivoluzione artistica cui fu più tardi dato il nome di Rinascita. Nacque il 21 dicembre 1401, giorno della festività di san Tommaso da cui gli deriva il nome di battesimo, a Castel San Giovanni in Altura (od. San Giovanni Valdarno) dal notaio Giovanni di Mone Casai e da monna Jacopa di Martinozzo, secondo quanto il fratello minore Giovanni raccontò nel 1472 ad Antonio Manetti. Nel 1406 morì il padre e nacque il fratello Giovanni, poi pure pittore e soprannominato lo Scheggia. Poco più tardi la madre si rimaritò con un vecchio speziale, vedovo e padre di due figlie. Nel 1417, anno della morte del patrigno, Masaccio probabilmente si trasferì a Firenze; nel gennaio del 1422 si iscrisse all'Arte dei medici e speziali come «Masus S. Johannis Simonis pictor populi Sancti Nicholai de Florentia»; nel 1424 risultava iscritto alla compagnia di san Luca e abitante nella parrocchia di San Michele Visdomini. Il 19 febbraio 1426 ricevette dal notaio ser Giuliano di Colino degli Scarsi da San Giusto la commissione di una grande pala d'altare da destinarsi alla cappella, in costruzione, del committente della chiesa del Carmine di Pisa. È questa l'unica opera di cui siano documentate paternità e cronologia. Non sicuro è l'anno della morte: nel novembre del 1429 sul catasto di Firenze il nome di Masaccio risulta cancellato con la giustificazione «dicesi è morto a Roma»; si reputa che in quella città egli fosse stato chiamato dall'amico Masolino nel 1428 e che dopo pochi mesi fosse già morto, improvvisamente, sì da far nascere il sospetto, infondato, di avvelenamento. Del tutto taciuta da fonti contemporanee è la formazione di Masaccio, problema tra i più discussi dalla critica modema. Una delle tesi più accreditate, basata su un'asserzione del Vasari e poi ripresa, è che egli abbia compiuto il suo tirocinio presso Masolino da Panicale, anch'egli valdarnese. Ma la prima opera certa di questo, allora già quarantenne, la Madonna dell'umiltà della Kunsthalle di Brema datata 1423, lo mostra su posizioni «gotico-internazionali» di ascendenza del Ghiberti che nessun addentellato hanno con le opere, neppure le prime, di Masaccio. Altra ipotesi vorrebbe il giovane Masaccio avviato alla pittura nello stesso paese natale da pittori locali, come Mariotto di Cristofano, e, a Firenze, da Gentile da Fabriano e Arcangelo di Cola da Camerino. Altri ancora denunciando, invece, l'indipendenza di Masaccio dagli orientamenti tradizionali, insistono su un suo precoce orientamento verso i maggiori d'età Brunelleschi e Donatello, oltre che sul recupero della lezione dell'ultimo Giotto. Secondo un'ipotesi il primo dipinto di Masaccio dovrebbe essere il polittico con la Madonna col Bambino in trono tra due angeli nel pannello centrale, i Santi Bartolomeo e Biagio nel laterale di sinistra, i Santi Giovenale e Antonio Abate in quello di destra, nella chiesa di San Giovenale a Cascia presso Reggello (Firenze), il quale, esposto nella Mostra di arte sacra antica a Firenze nel 1961, fu quell'anno stesso pubblicato con l'ascrizione a Masaccio. La tavola centrale reca la data 23 aprile 1422, e (particolare interessante perché, almeno allo stato attuale delle nostre conoscenze, è il primo caso nella pittura europea) non in lettere gotiche, ma in «lettere antiche» o capitali umanistiche dedotte dai vecchi codici. Sarebbe questa una testimonianza del rapporto precoce di Masaccio con la cultura più avanzata di Firenze, mentre la rigorosa intelaiatura prospettica, specialmente della parte centrale, e il preciso naturalismo (il Bambino era stato pensato nudo, e soltanto in extremis fu coperto di un velo) rimanderebbero rispettivamente a Brunelleschi e a Donatello. L'attribuzione di quest'opera a Masaccio è stata quasi unanimemente accolta; le poche, e talvolta parziali, opposizioni si basano sui caratteri neotrecenteschi della concezione generale e di gran parte dell'esecuzione, rifiutando di giustificarli come propri di un artista esordiente, poiché negli altri primi dipinti Masaccio non fa alcuna concessione alla tradizione locale. Subito dopo l'aprile 1422, data della consacrazione della chiesa (ma secondo altri verso il 1424- 1425), Masaccio verosimilmente dipinse l'affresco con la Sagra nel chiostro del Carmine di Firenze, oggi perduto, ma noto attraverso copie e descrizioni cinquecentesche, soprattutto di quella del Vasari da cui risalta con grande chiarezza come Masaccio avesse improntato la scena a esatta rappresentazione di un fatto storico contemporaneo, e cioè con istanze nettamente umanistiche, e a una precisa ricerca prospettica, interpretata come principio per costruire e ordinare razionalmente la realtà. Masaccio, insomma, avrebbe impostato quest'opera già con tutti i propri problemi i quali valsero nella contemporanea Firenze come rottura con gli indirizzi attuali, e nel contempo sollecitazione a una nuova visione dell'uomo, esaltato nella sua dimensione storica e dominatore della realtà, indagata e proposta nella sua sostanza razionale. Questi temi furono da Masaccio svolti e approfonditi nelle opere immediatamente seguenti, strettamente legate a Masolino: la Madonna col Bambino e Sant'Anna, dipinta per la chiesa di Sant'Ambrogio a Firenze e ora agli Uffizi, e gli affreschi celeberrimi della cappella Brancacci nella chiesa del Carmine, pure a Firenze. La pala degli Uffizi (comunemente detta Sant'Anna Metterza, e cioè «messa terza» dopo Maria e Gesù) fu attribuita dal Vasari a Masaccio e ritenuta prova del suo discepolato presso Masolino per l'indubbio influsso dell'arte di questo. Ma recentemente vi è stato riconosciuto di Masaccio soltanto il monumentale, plastico gruppo della Madonna col Bambino e l'angelo reggicortina di destra (da alcuni critici, però non persuasivamente, anche la Sant'Anna e la testa scorciata dell'angelo al culmine) e restituite le parti restanti a Masolino il quale, peraltro, avrebbe subito, e non esercitato, l'ascendente della forte e già ben costituita personalità del giovane collaboratore. Una netta distinzione s'avverte infatti tra le immagini delicate e gentili di Masolino, esili presenze cromaticamente squisite, e il denso risalto chiaroscurale, la coscienza morale, la fierezza popolana dei personaggi di Masaccio, che scartano qualsiasi ricerca di bellezza fisica. Probabilmente, subito dopo, Masaccio dipinse nella cappella Brancacci, ancora accanto a Masolino che con ogni verosimiglianza diede inizio all'affrescatura alla fine del 1424 o al principio del 1425, il Battesimo dei neofiti e aggiunse al centro della scena di Masolino con il Risanamento dello storpio e la resurrezione di Tabita le case popolane del fondo e due vicoli prospettici, dando così non solo unità ai due episodi in primo piano, ma inserendo anche, in prosecuzione con le idee espresse nella Sagra, nel tono aneddotico dei due miracoli di Pietro, l'accento rude e veritiero di uno squarcio urbano della Firenze contemporanea. Secondo un'ipotesi recente ma non concordemente accolta dalla critica, nel 1425 Masaccio si sarebbe recato con Masolino a Roma; insieme i due pittori avrebbero iniziato gli affreschi nella chiesa di San Clemente e il trittico a doppia faccia per Santa Maria Maggiore, commemorativo della fondazione della chiesa stessa. L'opera risulta già smembrata nel XVII sec. e dispersa poi in varie gallerie. Il pannello di sinistra della parte anteriore coi Santi Girolamo e Giovanni Battista (Londra, National Gallery) è, quasi unanimemente, ritenuto di Masaccio, mentre discussa è la cronologia, che alcuni vorrebbero anticipare al 1423, altri spostare al più tardo e documentato viaggio romano. Partito nel settembre 1425 Masolino per l'Ungheria al seguito di Pippo Spano, Masaccio tornò a Firenze e vi riprese l'affrescatura della cappella Brancacci dipingendo, nell'ordine, il Tributo della moneta, la Cacciata dei progenitori, San Pietro che distribuisce ai poveri i beni della comunità; il San Pietro che risana gli infermi con la sua ombra, i tre episodi della Storia di Teofilo nel registro inferiore (dopo una cinquantina d'anni completata da Filippino Lippi), intervallandola nel corso del 1426 per attendere anche al polittico per la chiesa del Carmine di Pisa. Di questa mirabile opera, smembrata alla fine del XVIsec. e dispersa in varie collezioni pubbliche e private, sono noti soltanto undici elementi: la parte centrale con la Madonna col Bambino in trono e quattro angeli (Londra, National Gallery), il soprastante Crocifisso tra Maria e San Giovanni Evangelista e con la Maddalena (Napoli, Gallerie di Capodimonte), San Paolo (Pisa, Museo nazionale) e Sant'Andrea (Vienna, Raccolta Lanckoronski) del registro superiore, e (tutti negli Staatliche Museen di Berlino) quattro piccoli Santi (Agostino, Girolamo, due Carmelitani) probabilmente facenti parte dei pilastri; i Martiri di san Pietro e di san Giovanni Battista, l'Adorazione dei Magi, San Giuliano che uccide i genitori e san Nicola che dota tre fanciulle povere (la cui autografia è discussa, sicché si è pensato ad Andrea di Giusto oppure allo Scheggia) costituenti la predella. La ricostruzione ideale del polittico è possibile grazie alla precisa descrizione dell'opera fatta dal Vasari nella seconda edizione delle Vite: recentemente, e con buone ragioni, si è proposto che il registro inferiore di esso fosse non, come si riteneva, distinto in tre parti, ma, con idea assai nuova, a campo unico, comprendendo, oltre la superstite Madonna col Bambino in trono, anche i Santi Pietro e Giovanni Battista a sinistra e, a destra, i Santi Giuliano e Nicolò (scomparsi). Un confronto con l'analoga Madonna col Bambino nella Sant'Anna Metterza fa risaltare l'approfondimento della costruzione spaziale espressa dalla stringata coordinazione prospettica specialmente nel trono e nei liuti degli angeli, la saldezza plastica dei volumi che si ritrova nella drammatica Crocifissione: qui il Cristo col torace gonfio e la testa infossata tra le spalle, oltre a costituire una di quelle diversioni dall'iconografia tradizionale sovente reperibili nelle opere di Masaccio, conferma l'attenzione verso la realtà dell'uomo, fisica e psicologica: Masaccio riduce anche il Cristo a una dimensione umana, sottraendolo dalla dimensione metafisica del suo pur ideale maestro Giotto. Gli affreschi della cappella Brancacci al Carmine (che un completo restauro ha restituito nel 1990 al primitivo splendore) sono il testo fondamentale della pittura rinascimentale, subito riconosciuti nel loro altissimo, esemplare valore dai più sensibili pittori suoi coetanei o persino più anziani quali l'Angelico, Filippo Lippi, Paolo Uccello, e quindi da Andrea del Castagno, Domenico Veneziano e Piero della Francesca, e ancora più tardi da Leonardo, Michelangelo e Raffaello, sino al suo più importante e tuttora valido biografo, il Vasari. Il Tributo è l'opera chiave e generalmente la più ammirata: in un paesaggio scabro ove i tronchi degli alberi hanno il valore di commisurare la profondità dello spazio, di proporsi, nella loro nudità, quali essenziali volumi, di opporsi ai vaghi scenari fioriti del gotico internazionale e di precisare una dimensione temporale reale, gli apostoli si dispongono intorno al Cristo (la testa si reputa per ragioni stilistiche dipinta da Masolino), anch'essi creando rigorosi rapporti di spazio. Nei successivi riquadri Masaccio approfondì particolarmente l'intelaiatura prospettica con un rigore più razionale, che trova nella Trinità affrescata in Santa Maria Novella a Firenze, verosimilmente poco prima della sua partenza per Roma, l'espressione più alta, soprattutto per il vano della cappella, risolto con un'architettura classica arieggiante quella dell'amico Brunelleschi, che assai probabilmente vi collaborò, sia per la stessa invenzione architettonica, sia per l'audace inscenatura prospettica. La prospettiva illusionistica è applicata anche nel sottostante affresco della mensa, recentemente ritrovato, che inquadra un sarcofago sul quale giace uno scheletro. Se si accetta la precedenza cronologica del pannello londinese del trittico della Neve, è difficile accertare l'attività di Masaccio a Roma, alla quale alcuni critici riferiscono la sinopia della Crocifissione in San Clemente. Valido tuttora, nella sua brevità lapidaria, è il commento fatto dal Brunelleschi alla notizia della morte del giovane amico: «Noi habbiamo fatto una gran perdita».
Masaccio [[] (Tommaso di ser Giovanni di Simone Guidi, detto), pittore italiano (San Giovanni Valdarno, Firenze, 1401 - Roma 1428 [?]). Scarse sono le notizie sul grande pittore, compartecipe, con l'architetto Brunelleschi e con lo scultore Donatello, nella Firenze del terzo decennio del XV sec., di quella rivoluzione artistica cui fu più tardi dato il nome di Rinascita. Nacque il 21 dicembre 1401, giorno della festività di san Tommaso da cui gli deriva il nome di battesimo, a Castel San Giovanni in Altura (od. San Giovanni Valdarno) dal notaio Giovanni di Mone Casai e da monna Jacopa di Martinozzo, secondo quanto il fratello minore Giovanni raccontò nel 1472 ad Antonio Manetti. Nel 1406 morì il padre e nacque il fratello Giovanni, poi pure pittore e soprannominato lo Scheggia. Poco più tardi la madre si rimaritò con un vecchio speziale, vedovo e padre di due figlie. Nel 1417, anno della morte del patrigno, Masaccio probabilmente si trasferì a Firenze; nel gennaio del 1422 si iscrisse all'Arte dei medici e speziali come «Masus S. Johannis Simonis pictor populi Sancti Nicholai de Florentia»; nel 1424 risultava iscritto alla compagnia di san Luca e abitante nella parrocchia di San Michele Visdomini. Il 19 febbraio 1426 ricevette dal notaio ser Giuliano di Colino degli Scarsi da San Giusto la commissione di una grande pala d'altare da destinarsi alla cappella, in costruzione, del committente della chiesa del Carmine di Pisa. È questa l'unica opera di cui siano documentate paternità e cronologia. Non sicuro è l'anno della morte: nel novembre del 1429 sul catasto di Firenze il nome di Masaccio risulta cancellato con la giustificazione «dicesi è morto a Roma»; si reputa che in quella città egli fosse stato chiamato dall'amico Masolino nel 1428 e che dopo pochi mesi fosse già morto, improvvisamente, sì da far nascere il sospetto, infondato, di avvelenamento. Del tutto taciuta da fonti contemporanee è la formazione di Masaccio, problema tra i più discussi dalla critica modema. Una delle tesi più accreditate, basata su un'asserzione del Vasari e poi ripresa, è che egli abbia compiuto il suo tirocinio presso Masolino da Panicale, anch'egli valdarnese. Ma la prima opera certa di questo, allora già quarantenne, la Madonna dell'umiltà della Kunsthalle di Brema datata 1423, lo mostra su posizioni «gotico-internazionali» di ascendenza del Ghiberti che nessun addentellato hanno con le opere, neppure le prime, di Masaccio. Altra ipotesi vorrebbe il giovane Masaccio avviato alla pittura nello stesso paese natale da pittori locali, come Mariotto di Cristofano, e, a Firenze, da Gentile da Fabriano e Arcangelo di Cola da Camerino. Altri ancora denunciando, invece, l'indipendenza di Masaccio dagli orientamenti tradizionali, insistono su un suo precoce orientamento verso i maggiori d'età Brunelleschi e Donatello, oltre che sul recupero della lezione dell'ultimo Giotto. Secondo un'ipotesi il primo dipinto di Masaccio dovrebbe essere il polittico con la Madonna col Bambino in trono tra due angeli nel pannello centrale, i Santi Bartolomeo e Biagio nel laterale di sinistra, i Santi Giovenale e Antonio Abate in quello di destra, nella chiesa di San Giovenale a Cascia presso Reggello (Firenze), il quale, esposto nella Mostra di arte sacra antica a Firenze nel 1961, fu quell'anno stesso pubblicato con l'ascrizione a Masaccio. La tavola centrale reca la data 23 aprile 1422, e (particolare interessante perché, almeno allo stato attuale delle nostre conoscenze, è il primo caso nella pittura europea) non in lettere gotiche, ma in «lettere antiche» o capitali umanistiche dedotte dai vecchi codici. Sarebbe questa una testimonianza del rapporto precoce di Masaccio con la cultura più avanzata di Firenze, mentre la rigorosa intelaiatura prospettica, specialmente della parte centrale, e il preciso naturalismo (il Bambino era stato pensato nudo, e soltanto in extremis fu coperto di un velo) rimanderebbero rispettivamente a Brunelleschi e a Donatello. L'attribuzione di quest'opera a Masaccio è stata quasi unanimemente accolta; le poche, e talvolta parziali, opposizioni si basano sui caratteri neotrecenteschi della concezione generale e di gran parte dell'esecuzione, rifiutando di giustificarli come propri di un artista esordiente, poiché negli altri primi dipinti Masaccio non fa alcuna concessione alla tradizione locale. Subito dopo l'aprile 1422, data della consacrazione della chiesa (ma secondo altri verso il 1424- 1425), Masaccio verosimilmente dipinse l'affresco con la Sagra nel chiostro del Carmine di Firenze, oggi perduto, ma noto attraverso copie e descrizioni cinquecentesche, soprattutto di quella del Vasari da cui risalta con grande chiarezza come Masaccio avesse improntato la scena a esatta rappresentazione di un fatto storico contemporaneo, e cioè con istanze nettamente umanistiche, e a una precisa ricerca prospettica, interpretata come principio per costruire e ordinare razionalmente la realtà. Masaccio, insomma, avrebbe impostato quest'opera già con tutti i propri problemi i quali valsero nella contemporanea Firenze come rottura con gli indirizzi attuali, e nel contempo sollecitazione a una nuova visione dell'uomo, esaltato nella sua dimensione storica e dominatore della realtà, indagata e proposta nella sua sostanza razionale. Questi temi furono da Masaccio svolti e approfonditi nelle opere immediatamente seguenti, strettamente legate a Masolino: la Madonna col Bambino e Sant'Anna, dipinta per la chiesa di Sant'Ambrogio a Firenze e ora agli Uffizi, e gli affreschi celeberrimi della cappella Brancacci nella chiesa del Carmine, pure a Firenze. La pala degli Uffizi (comunemente detta Sant'Anna Metterza, e cioè «messa terza» dopo Maria e Gesù) fu attribuita dal Vasari a Masaccio e ritenuta prova del suo discepolato presso Masolino per l'indubbio influsso dell'arte di questo. Ma recentemente vi è stato riconosciuto di Masaccio soltanto il monumentale, plastico gruppo della Madonna col Bambino e l'angelo reggicortina di destra (da alcuni critici, però non persuasivamente, anche la Sant'Anna e la testa scorciata dell'angelo al culmine) e restituite le parti restanti a Masolino il quale, peraltro, avrebbe subito, e non esercitato, l'ascendente della forte e già ben costituita personalità del giovane collaboratore. Una netta distinzione s'avverte infatti tra le immagini delicate e gentili di Masolino, esili presenze cromaticamente squisite, e il denso risalto chiaroscurale, la coscienza morale, la fierezza popolana dei personaggi di Masaccio, che scartano qualsiasi ricerca di bellezza fisica. Probabilmente, subito dopo, Masaccio dipinse nella cappella Brancacci, ancora accanto a Masolino che con ogni verosimiglianza diede inizio all'affrescatura alla fine del 1424 o al principio del 1425, il Battesimo dei neofiti e aggiunse al centro della scena di Masolino con il Risanamento dello storpio e la resurrezione di Tabita le case popolane del fondo e due vicoli prospettici, dando così non solo unità ai due episodi in primo piano, ma inserendo anche, in prosecuzione con le idee espresse nella Sagra, nel tono aneddotico dei due miracoli di Pietro, l'accento rude e veritiero di uno squarcio urbano della Firenze contemporanea. Secondo un'ipotesi recente ma non concordemente accolta dalla critica, nel 1425 Masaccio si sarebbe recato con Masolino a Roma; insieme i due pittori avrebbero iniziato gli affreschi nella chiesa di San Clemente e il trittico a doppia faccia per Santa Maria Maggiore, commemorativo della fondazione della chiesa stessa. L'opera risulta già smembrata nel XVII sec. e dispersa poi in varie gallerie. Il pannello di sinistra della parte anteriore coi Santi Girolamo e Giovanni Battista (Londra, National Gallery) è, quasi unanimemente, ritenuto di Masaccio, mentre discussa è la cronologia, che alcuni vorrebbero anticipare al 1423, altri spostare al più tardo e documentato viaggio romano. Partito nel settembre 1425 Masolino per l'Ungheria al seguito di Pippo Spano, Masaccio tornò a Firenze e vi riprese l'affrescatura della cappella Brancacci dipingendo, nell'ordine, il Tributo della moneta, la Cacciata dei progenitori, San Pietro che distribuisce ai poveri i beni della comunità; il San Pietro che risana gli infermi con la sua ombra, i tre episodi della Storia di Teofilo nel registro inferiore (dopo una cinquantina d'anni completata da Filippino Lippi), intervallandola nel corso del 1426 per attendere anche al polittico per la chiesa del Carmine di Pisa. Di questa mirabile opera, smembrata alla fine del XVIsec. e dispersa in varie collezioni pubbliche e private, sono noti soltanto undici elementi: la parte centrale con la Madonna col Bambino in trono e quattro angeli (Londra, National Gallery), il soprastante Crocifisso tra Maria e San Giovanni Evangelista e con la Maddalena (Napoli, Gallerie di Capodimonte), San Paolo (Pisa, Museo nazionale) e Sant'Andrea (Vienna, Raccolta Lanckoronski) del registro superiore, e (tutti negli Staatliche Museen di Berlino) quattro piccoli Santi (Agostino, Girolamo, due Carmelitani) probabilmente facenti parte dei pilastri; i Martiri di san Pietro e di san Giovanni Battista, l'Adorazione dei Magi, San Giuliano che uccide i genitori e san Nicola che dota tre fanciulle povere (la cui autografia è discussa, sicché si è pensato ad Andrea di Giusto oppure allo Scheggia) costituenti la predella. La ricostruzione ideale del polittico è possibile grazie alla precisa descrizione dell'opera fatta dal Vasari nella seconda edizione delle Vite: recentemente, e con buone ragioni, si è proposto che il registro inferiore di esso fosse non, come si riteneva, distinto in tre parti, ma, con idea assai nuova, a campo unico, comprendendo, oltre la superstite Madonna col Bambino in trono, anche i Santi Pietro e Giovanni Battista a sinistra e, a destra, i Santi Giuliano e Nicolò (scomparsi). Un confronto con l'analoga Madonna col Bambino nella Sant'Anna Metterza fa risaltare l'approfondimento della costruzione spaziale espressa dalla stringata coordinazione prospettica specialmente nel trono e nei liuti degli angeli, la saldezza plastica dei volumi che si ritrova nella drammatica Crocifissione: qui il Cristo col torace gonfio e la testa infossata tra le spalle, oltre a costituire una di quelle diversioni dall'iconografia tradizionale sovente reperibili nelle opere di Masaccio, conferma l'attenzione verso la realtà dell'uomo, fisica e psicologica: Masaccio riduce anche il Cristo a una dimensione umana, sottraendolo dalla dimensione metafisica del suo pur ideale maestro Giotto. Gli affreschi della cappella Brancacci al Carmine (che un completo restauro ha restituito nel 1990 al primitivo splendore) sono il testo fondamentale della pittura rinascimentale, subito riconosciuti nel loro altissimo, esemplare valore dai più sensibili pittori suoi coetanei o persino più anziani quali l'Angelico, Filippo Lippi, Paolo Uccello, e quindi da Andrea del Castagno, Domenico Veneziano e Piero della Francesca, e ancora più tardi da Leonardo, Michelangelo e Raffaello, sino al suo più importante e tuttora valido biografo, il Vasari. Il Tributo è l'opera chiave e generalmente la più ammirata: in un paesaggio scabro ove i tronchi degli alberi hanno il valore di commisurare la profondità dello spazio, di proporsi, nella loro nudità, quali essenziali volumi, di opporsi ai vaghi scenari fioriti del gotico internazionale e di precisare una dimensione temporale reale, gli apostoli si dispongono intorno al Cristo (la testa si reputa per ragioni stilistiche dipinta da Masolino), anch'essi creando rigorosi rapporti di spazio. Nei successivi riquadri Masaccio approfondì particolarmente l'intelaiatura prospettica con un rigore più razionale, che trova nella Trinità affrescata in Santa Maria Novella a Firenze, verosimilmente poco prima della sua partenza per Roma, l'espressione più alta, soprattutto per il vano della cappella, risolto con un'architettura classica arieggiante quella dell'amico Brunelleschi, che assai probabilmente vi collaborò, sia per la stessa invenzione architettonica, sia per l'audace inscenatura prospettica. La prospettiva illusionistica è applicata anche nel sottostante affresco della mensa, recentemente ritrovato, che inquadra un sarcofago sul quale giace uno scheletro. Se si accetta la precedenza cronologica del pannello londinese del trittico della Neve, è difficile accertare l'attività di Masaccio a Roma, alla quale alcuni critici riferiscono la sinopia della Crocifissione in San Clemente. Valido tuttora, nella sua brevità lapidaria, è il commento fatto dal Brunelleschi alla notizia della morte del giovane amico: «Noi habbiamo fatto una gran perdita».