La Crocefissione di Masaccio, Paolo Uccello, Donatello e Andrea del Castagno

Materie:Tema
Categoria:Storia Dell'arte

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Testo

LA CROCIFISSIONE DI MASACCIO
Il pannello che qui esaminiamo, e che è attualmente conservato al Museo di Capodimonte a Napoli, è uno dei più famosi ed interessanti. In esso, su fondo oro, è rappresentata la Crocifissione, con ai piedi della croce la Madonna e San Giovanni, in piedi, e la Maddalena inginocchiata e con le braccia protese verso l’alto. Sulla croce è raffigurato un alberello, simbolo dell’albero della vita.
Osservando normalmente il dipinto, si ha la sensazione che la figura del Cristo presenti un errore anatomico: non ha il collo. In realtà il pannello era collocato nella parte alta del polittico, e pertanto chi lo guardava ne aveva una visione dal basso verso l’alto. Coerentemente con questo punto di vista, Masaccio cercò di rappresentare la figura del Cristo come se anche noi stessimo ai piedi della croce. In questo caso, infatti, la sporgenza dello sterno ci impedirebbe la visione del collo. Masaccio tenne conto di ciò, e costruì la figura del Cristo con il busto sporgente e la testa più arretrata, da cui derivò l’immagine finale con il Cristo senza il collo. In pratica per capire bene il meccanismo visivo, invece di guardare l’immagine come ora la vedete nello schermo del vostro computer, dovreste provare a mettere la faccia sulla tastiera e provare a guardare da sotto in su: forse in questo modo riuscirete a cogliere l’esattezza della rappresentazione.
Questo dipinto è quindi una ulteriore testimonianza di come Masaccio sia sicuramente il pittore più innovativo e moderno della sua epoca. Egli aveva perfettamente capito il concetto di relatività dell’immagine: le cose e le persone non hanno un’immagine unica, quale noi ci aspettiamo per convenzione, ma hanno infinite immagini, sempre diverse, secondo il punto di vista dal quale noi osserviamo la realtà. Gli altri pittori ci hanno messo decenni e a volte secoli per capire questa, che a noi sembra oggi, una semplicissima verità.
LA CROCIFISSIONE DI ANDREA DEL CASTAGNO
La pittura di Andrea del Castagno, una delle figure più originali del Quattrocento fiorentino, è rimasta pressoché sconosciuta e i suoi affreschi per buona parte coperti da strati di intonaco fino all'Ottocento. Prima opera a lui attribuita è una Crocefissione e santi, dipinta in Santa Maria Nuova poco dopo il suo arrivo a Firenze. Nel 1442 realizza nella Chiesa di San Zaccaria a Venezia il suo primo ciclo con Dio Padre e i quattro Evangelisti. Rientrato a Firenze fornisce i disegni per la vetrata con la Deposizione in Santa Maria del Fiore e pone mano al suo capolavoro, la decorazione del refettorio del convento di Sant'Apollonia con Crocifissione, Deposizione, Resurrezione e la superba Ultima Cena, piena espressione dello stile individuale di Andrea.
IL CROCIFISSO DI DONATELLO
La concezione di Donatello è «popolare»;Donatello aveva scolpito in legno un crocifisso e lo aveva mostrato all’amico Brunelleschi per averne un parere; ma, contrariamente a quanto lo scultore si aspettava, il Brunelleschi lo criticò, affermando che quello era un contadino, e non un corpo simile a Gesù Cristo, il quale era delicatissimo e perfetto in tutte le parti del corpo. Alla replica di Donatello, che è facile giudicare, difficile è fare, il Brunelleschi scolpì un suo crocifisso, ugualmente in legno Molti dubitano della veridicità dell’aneddoto e negano che il Crocifisso attribuito a Donatello sia veramente suo. Il Crocifisso donatelliano mostra nel corpo le sofferenze patite; tuttavia mostra anche, nella serietà del viso e nella compostezza del corpo, la dignità di chi ha superato quelle sofferenze con la forza delle proprie qualità morali. Dopo un breve periodo di coesistenza delle due tipologie di piedi, nel XV secolo si afferma definitivamente quella dei due piedi sovrapposti, come si riconosce anche nel Crocifisso di Donatello del 1425 conservato nella chiesa fiorentina di Santa Croce.
DILUVIO E RECESSIONE DELLE ACQUE DI PAOLO UCCELLO
Ricerca continua sulla prospettiva e delle leggi geometriche che la governano. Inesauribile fantasia, che gli permette di usare la prospettiva in modo assolutamente innovativo e non compreso ai tempi, con il fine di ricreare un mondo irreale e fiabesco. Secondo quanto aggiunge Vasari - sempre nelle sue celebri "Vite" - Paolo Uccello fu affascinato dallo studio della prospettiva, di cui sperimentò nelle sue opere le varie possibilità e applicandosi allo studio analitico delle leggi scientifiche che regolano la rappresentazione degli oggetti nello spazio tridimensionaleUn'altra caratteristica fu l'uso di cieli e sfondi scuri, su cui risaltavano luminose le figure in primo piano. I colori non sempre realistici accentuavano l'atmosfera irreale e mitica delle scene raffigurate. Paolo di Dono, detto PAOLO UCCELLO (Firenze, 1397 – 1475) appartiene, cronologicamente, alla prima generazione degli artisti fiorentini del ‘400. L’impostazione dello spazio è un elemento ormai definitivamente acquisito ed ora bisogna finalizzare la prospettiva all’espressione del proprio mondo: ciascuno di noi possiede un proprio modo di porsi in relazione con la propria realtà, dandole il proprio ordine razionale. Esso passava la maggior parte del suo tempo applicandosi negli studi prospettici, applicando la prospettiva anche agli oggetti più impensabili senza arrivare alla pratica di essi. Utilizzò la prospettiva per studiare le forme più essenziali della realtà ma ciò non venne apprezzato dai suoi coetanei. Il Vasari, infatti, lo criticò spesso ad esempio per la rappresentazione degli animali con colori di ogni sorta (specialmente uccelli di cui era appassionato e da cui deriva il soprannome). Esso era infatti un sostenitore della “verosimiglianza” (“la pittura è una finestra aperta sul mondo”) e alla quale i dipinti di Uccello non corrispondevano per via dei colori surreali. Poiché dal settecento in poi si è operata una netta distinzione tra speculazione razionale ed arte, si è visto in lui più uno scienziato che un artista. Solo dal ‘900 si cominciò ad apprezzare le sue opere, giungendo alla sua piena rivalutazione rendendosi conto che la prospettiva gli serve per realizzare volumi cristallini: ridusse la realtà e la spogliò della sua apparenza trovandone le forme immutabili, essenziali e quindi eterne. Dal 1425 al 1430 l’artista si trova a Venezia e lavora ad alcuni mosaici della basilica di San Marco. Da questa esperienza impara l’accostamento dei colori senza passaggi intermedi e l’astrazione delle forme.

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