La Basilica di S. Andrea di Mantova

Materie:Riassunto
Categoria:Storia Dell'arte
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Testo

La chiesa di S.Andrea deve la sua paternità a Leon Battista Alberti (Genova 1406 – Roma 1472), architetto e teorico di architettura, che arrivò a Mantova nel 1459 al seguito di Papa Pio II, il quale aveva scelto la città lombarda come sede della dieta [assemblea di dignitari per costruire un esercito contro i turchi]. Il Papa raccomandò l’architetto a Ludovico II Gonzaga, che in quegli anni stava promuovendo un rinnovamento urbano per mostrare la potenza ducale.
Sul luogo sorgeva già un antico monastero benedettino, poi abbattuto, per ospitare le reliquie del Sacro Sangue. Leggenda vuole che Longino l’Isaurico, il soldato romano che trafisse con la lancia il costato di Gesù in croce, portò con sé nei suoi pellegrinaggi fino a Mantova questo sangue. Purtroppo alla sua morte la reliquia fu perduta, e ritrovata solo ben 700 anni dopo grazie alle indicazioni fornite da S.Andrea a un fedele in sogno. La reliquia subì più tardi molti spostamenti e suddivisioni per ragioni di sicurezza. Nel 1500 furono realizzati 2 reliquiari d’oro per mostrare la reliquia al continuo afflusso di Papi e Imperatori che venivano a renderle omaggio nei secoli. Durante il Risorgimento una parte fu trafugata e mai resa dall’esercito austro-ungarico, che quindi diminuì ulteriormente la reliquia. All’oggi, ogni venerdì santo i reliquiari vengono esposti ai fedeli e poi portati in processione per la città, mentre per il resto dell’anno sono conservati nella cripta sotterranea. Ma la chiesa ospita un’altra importante reliquia, ovvero il corpo di Andrea Mantenga, che vede giusto quest’anno il 500 anno dalla sua morte.
Del monastero raso al suolo, di stile romanico ma ingrandito in epoca gotica, oggi possiamo vedere solo il campanile del 1414. Nel 1472, appena prima dell’inizio dei lavori per la nuova costruzione, il suo progettista Alberti morì, così che l’opera fu affidata a Luca Fancelli, precedente “direttore dei lavori” di Alberti, che cercò di mantenere il progetto iniziale, rispettando soprattutto la lavorazione a modulo; essa prevedeva la suddivisione della facciata, secondo precisi rapporti aritmetici, in quadrati divisibili in ulteriori quadrati giustificati dalle linee architettoniche della chiesa.
La facciata presenta un ampio arco a tutto sesto ispirato a un gigantesco arco trionfale romano, con una fornice che si apre in profondità e fa della facciata un oggetto quasi a se stante, staccato dal corpo della chiesa. Due giganteschi pilastri [scanalati corinzi, ovvero lesene] racchiudono l’arco monumentale e sorreggono il frontone classico, alla base del quale si scarica il peso di una seconda arcata, detta ombrellone, che corrisponde alla volta a botte della navata. Da notare inoltre il portale di marmo dell’ingresso centrale, scolpito tra il 400 e il 500, mentre le porte laterali sono con nicchioni e finestre sopra, entrambe racchiuse da pilastri corinzi retti da plinti.
La facciata quindi colpisce per la sua imponente struttura che sovrasta la piazza, in forte contrasto con l’uscita posteriore lasciata grezza, verso piazza Alberti.
Infine la cupola, opera di Filippo Juvara del 1765, che si erge dove Alberti avrebbe previsto una copertura a calotta, domina su tutta la città con la imponenza.

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