Materie: | Appunti |
Categoria: | Storia Dell'arte |
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Data: | 08.10.2001 |
Numero di pagine: | 31 |
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Testo
INTRODUZIONE
La ricerca archeologica si è sviluppata a Carmignano in un’epoca abbastanza recente. Le prime segnalazioni, che riguardano la probabile presenza di una necropoli etrusca a Comeana risalgono infatti ai primi anni sessanta. Il Dott. Borgioli, che all’epoca abitava davanti al tumulo di Montefortini, da sempre appassionato di arte antica, affascinato dalla forma perfetta e simmetrica della collinetta, scrive per la prima volta nel 1962 alla Sovrintendenza ai Beni archeologici, richiedendo un sopralluogo. Il Dott. Borgioli, in quewgli anni aveva seguito con interesse la campagna di scavi che si stava svolgendo nelle zone limitrofe, ad esempio a sesto Fiorentino e la forma così perfetta ed insolita, in una zona abbastanza pianeggiante di quella collinetta aveva destato in lui il sospetto e la speranza che proprio davanti alla sua abitazione potesse nascondersi un tesoro dell’architettura Etrusca. I primi accertamenti vengono fatti di lì a pochi anni, ma non la prima vera e propria campagna di scavi viene condotta solo nel 1974, a causa della mancanza di fondi. Nei 1° anni che trascorrono tra la prima lettera alla Sovrintendenza del dottor Borgioli e la prima vera e propria campagna di scavi, nel territorio di Carmignano, vengono fatti altri rilievi che portano alla conoscenza della presenza di altri importanti resti antichi. Infatti viene rilevata la presenza di un’altra tomba a Comeana, di una cinta muraria nei pressi di Pietramarina, ed in seguito a rilevamenti aereofotogrammetrici, viene supposta la presenza di un tumulo ad Artimino, nei pressi della villa Medicea. In questi anni, però, i tombaroli deturpano alcune tombe e rovinando la struttura di alcune di queste.1
Poiché fino al 1974 non si ha una vera e propria campagna di scavi, anche gli scritti storiografici sull’architettura etrusca nella zona sono molto recenti e gli studi scientifici e storiografici, sono portati avanti da un piccolo gruppo di studiosi. Per questo motivo non ci sono visioni discordanti o opposte, come spesso accade per la ricostruzione della storia di architetture molto antiche. Inoltre c’è da dire, che in questi luoghi la campagna archeologica è ancora in corso e quindi ci sono ancora molte ombre sull’essenza dell’architettura etrusca in questa zona. Il primo studioso ad occuparsi delle ricerche sul territorio è stato Francesco Nicosia, i cui scritti sono più volte citati in questa ricostruzione storiografica. Nicosia negli anni è stato affiancato da molti tecnici, che lo hanno aiutato a r portare alla luce molti reperti archeologici ed architettonici. Negli ultimi anni il suo posto è stato preso da G. Poggesi, M.C. Bettini, O. Paoletti P. Palecchi, che già lo avevano affiancato durante le ricerche. Anche gli scritti di questi “archeologi” sono citati in questa ricostruzione.
Avendo però a disposizione poche fonti, ho deciso di impostare la ricerca in 3 fasi.
Durante la prima fase ho ritenuto importante documentarmi sull’architettura etrusca in genere, partendo, dal PALLOTTINO Etruscologia, (1984), in modo di essere in grado di fare dei confronti tra le varianti e le costanti diatopiche e diacroniche dell’architettura etrusca.
In un secondo momento, ho cercato di reperire tutte le fonti possibili sull’architettura etrusca a Carmignano, cercando sia scritti pubblicati, che atti dei convegni, e devo per questo ringraziare l’Ufficio Cultura del Comune che più volte mi ha permesso di consultare scritti non facilmente reperibili, sia perché non pubblicati, che perché molto specifici del territorio. Le fonti che ho usato, i questa fase, sono tutte citate in bibliografia, e sono appunto tutti gli scritti riguardanti specificatamente il territorio carmignanese, e le varie campagne archeologiche condotte in questi anni.
La terza fase, è quella che mi è sembrata la più interessante, ed è stata l’esperienza diretta. A Carmignano, esiste un’associazione di volontari “Gruppo Archeologica”, che permette a chi ne ha l’interesse di visitare i tumuli fin ora scavati, ma non ancora aperti al pubblico una volta al mese. Io ho cercato di cogliere la volo l’occasione, per cercare di sondare con mano quello che fino al momento avevo studiato ed ho visitato col gruppo sia il Tumulo di Montefortini, che la Necropoli di Prato Rosello. Inoltre, mi hanno permesso di partecipare a delle lezioni sulla tecnica degli scavi archeologici, che iniziavano nel mese di maggio, in preparazione della nuova campagna di scavi del prossimo ottobre. Tutto questo è stato molto interessante, anche perché alcune delle lezioni sono state condotte da G. Poggesi i cui scritti avevo già utilizzato per la mia ricostruzione storiografica.
PREMESSA
L’INSEDIAMENTO ETRUSCO
Sul versante Sud – Ovest del Montalbano una fortunata serie di scoperte archeologiche ha restituito testimonianze di grandissimo rilievo soprattutto riguardo all’occupazione dell’area nel periodo etrusco, portando alla luce reperti e straordinarie architetture risalenti al VII secolo a.C., ovvero alla fase “orientalizzante” della civiltà etrusca.2
Situato su un’altura dominante, alla confluenza tra Ombrone ed Arno, in posizione favorevole su una delle direttrici commerciali per la pianura Padana, l’insediamento di Artimino si sviluppa probabilmente sulle tre cime del colle ed era protetto da una cinta muraria della quale rimangono numerose tracce.
L’altura dove oggi sorge la Villa medicea, “la Ferdinanda”, fu probabilmente l’acropoli della città antica, qui, dietro l’edificio della Paggeria è stata individuata un’area sacra.
Le abitazioni dovevano concentrarsi invece sul poggio occupato dal castello di Artimino, privilegiando la pendice meridionale del colle.
Una vasta necropoli occupava il versante est sud – est del colle fino all’Arno (necropoli del Prato Rosello) e alcune grandi tombe gentilizie si trovavano ai piedi del colle (tombe di Montefortini e Boschetti), lungo una delle più importanti direttrici viarie; un gruppo di sepolture di età ellenistica si trovava nella zona della Pieve di San Leonardo ad Artimino.
La grande ricchezza testimoniata in questa zona per il periodo orientalizzante (VII sec. a.C.) dagli oggetti preziosi rinvenuti nelle tombe e dalla magnificenza di queste strutture, era dovuta probabilmente più che allo sfruttamento delle risorse agricole, al controllo del commercio che passava da questi territori sfruttando vie naturali fluviali e di crinale. Anche nella successiva età arcaica le importazioni di ceramica corinzia ed attica testimoniano la continuità di questo ruolo. L’abbandono dell’insediamento avvenne probabilmente all’inizio dell’età imperiale.
1
ARTIMINO
Anche se non ci sono certezze scientifiche circa la denominazione etrusca della comunità artiminiese, rimane assai verosimile la sua derivazione dal teonimo etrusco Artimini/Artumes, analogamente a quanto si accetta per la derivazione dei nomi di altre comunità etrusche da teonimi. Artimino, dunque, sembra essere uno dei molti insediamenti etruschi che conservano, sotto il nome attuale, il ricordo vivo di quello etrusco, segno del persistere, attraverso le vicende di almeno ventidue secoli, di una tradizione continua.3
1.1 AREA DELLA PAGGERIA
Nell’aria situata dietro l’edificio della Paggerie medicea, opere di sbancamento edilizio hanno messo in luce nel 1972 resti di edifici antichi.
Nella campagna archeologica del 1974, sono state esplorate due piccole zone (tot 65mq), chiamate saggio A e saggio B. Nel saggio B è stato individuato un pozzo scavato nella roccia ed una canaletta in lastre di arenaria. Nel saggio A, a livelli più antichi è stato identificato l’angolo di una struttura arenaria con antistante platea lastricata, l’alzato era forse realizzato con la tecnica del “graticium” (fango con intelaiatura di legname e canne) e si trattava probabilmente di un edificio con funzione pubblica o sacrale databile alla fine del IV sec. a.C. Sull’edificio distrutto ne è stato poi costruito un altro del quale resta il lato sud. Ciò che è visibile è parte del podio basamentale di un grande edificio pubblico, probabilmente un tempio, a pianta rettangolare, orientato Est-ovest, costruito nel corso del III sec. a. C.4
L’area Sacra che ha tracce di frequentazione dall’età arcaica, è stata abbandonata agli inizi dell’età imperiale.
“L’analisi dei dati stratigrafici emergenti dello scavo A è stata molto complessa, per la modesta estensione del saggio. Lo strato A7 appare costituito dei prodotti e di eventi che implicano intensa attività di fuoco, mentre tutti i reperti cronologicamente caratterizzati in esso contenuti siano compresi entro la fine del VI sec. a.C. Ciononostante, data l’incompletezza della documentazione, e date anche le difficoltà di datazione degli impasti “locali”, che costituiscono la massima parte dei materiali mobili contenuti nello strato, non si ritiene ancora provato sufficientemente che esso rappresenti l’intatto testimone, ancora in situ di una frequentazione arcaica. Lo strato A9 è coinvolto nella massiccia organizzazione edilizia dell’area cui si legano la costruzione del podio A4, quella del muro A3 ad esso parallelo, ed i dispositivi di fondazione e collegamento A8 e A2: una struttura in pietra locale nelle porzioni conservate, di medie dimensioni, ma esattamente orientata e di modesta ma certa monumentalità, sulla cui qualificazione come edificio pubblico o sacro non si ritiene possano esistere dubbi. I dati disponibili residui, sembrano indicare per la sua costruzione un’epoca non lontana dalla fine del IV sec. a.C.”5
“Nonostante la quantità di dati estraibili dal saggio B sia superata dal numero di problemi suscitati dall’irregolare e incompleto andamento del saggio stesso, sembra possibile affermare che l’area fu sede di frequentazione relativamente intensa, anche se in forme non precisabili, nel corso del VI sec. a.C”6
1.2 LA NECROPOLI DI PRATO ROSELLO
Ubicata sul versante del colle, che – dall’altura dove un tempo sorgeva l’insediamento etrusco, oggi occupata dalla villa medicea – digrada sensibilmente in direzione dell’Arno, la necropoli di Prato Rosello fu identificata come tale durante gli ultimi mesi del 1966, a seguito di sistematiche ricognizioni topografiche effettuate sul territorio artiminese che consentirono una precisa individuazione dei tumuli A e B, al momento ben protetti da una folta vegetazione; tre anni dopo l’area fu investita da un incendio di notevoli proporzioni, che mise in evidenza i resti di altre sepolture monumentali, del tumulo C, in particolare.(Al momento attuale sono stati esplorati in ordine di tempo i tumuli C,A,B,X).
Il tumulo C
Delimitato da un tamburo ad arricchito da un altare-terrazza, destinata con ogni probabilità all’esposizione del defunto, analogamente a quanto documentato nel tumulo di Montefortini a Comena, il tumulo c appare costituito da una tomba a camera cui si accede attraverso una ripida scala ed un breva vestibolo; le pareti della cella sono realizzate mediante grandi lastre di arenaria unite ad incastro, secondo un procedimento già attestato nella tomba dei Boschetti a Comeana; l’elemento della parete destra, probabilmente rovinatosi durante le ultime fasi della costruzione, sembra essere stato integrato mediante una struttura di lastre di arenaria di piccole dimensioni; al centro, un unico monolite -posto in verticale- funge da pilastro di sostegno della copertura, suddividendo nello stesso tempo gli spazi interni. I materiali del corredo suggeriscono per la sepoltura un arco cronologico compreso fra l’ultimo ventennio del VII e gli inizi del VI secolo a.C. 7
Il tumulo A
Il tumulo A, esplorato agli inizi degli anni 70 ed oggi assai evidente per la conformazione emisferica della montagnola artificiale, appare costituito da grandi ambienti, separati al centro da un’area ove si possono ipoteticamente identificare due cellette, e realizzate con tecniche costruttive diverse, utilizzando pietrame di piccola pezzatura per l’uno e lastre di grandi dimensioni per l’altro; in quest’ultimo sembra plausibile riconoscere la camera vera e propria (dall’area del monumento proviene un’anfora con coperchio, relativa ad una sepoltura ad incinerazione databile fra la fine del VI secolo e gli inizi del secolo successivo).8
Il tumulo X
Il tumulo X, rapidamente indagato nel 1999, a seguito di un deprecabile intervento di “clandestini”, consta di una tomba a camera di piccole dimensioni, con pareti realizzate mediante grandi monoliti, ben connessi tra loro con accurati incastri (analoghe soluzioni nella tomba dei Boschetti a Comeana e nel tumulo C), presenti anche sulle due lastre poste ai lati della porta di ingresso; pressoché in corrispondenza della parte centrale della cella, un monolite, piantato verticalmente e quasi appoggiato alla parete di fondo, doveva servire a sorreggere la copertura della stanza, oltre che a creare una spartizione interna; il pavimento formato da lastre di varia forma e di spessore disomogeneo, non prive di asperità sulla superficie, tiene evidentemente conto della parziale suddivisione dell’ambiente. Più problematica appare invece la definizione della parte anteriore dell’edificio, dove l’azione degli ultimi violatori ha comportato l’asportazione del terreno, compromettendo la possibilità di lettura globale del complesso architettonico; sembra comunque di poter distinguere un’accurata sistemazione dei blocchi in corrispondenza della prima parte dei muri laterali, quasi ad identificare una sorta di vestibolo, cui si doveva accedere mediante un tratto fortemente ripido, rampa o gradini, come sembra deducibile osservando il dislivello esistente fra il pavimento della camera e le pietre conservate all’estremità opposta. I prototipi metallici ritrovati fanno ipotizzare che la tomba risalga alla prima metà del VII sec. a.C..9 Il ritrovamento di un coltello, parte integrante dell’armamento di un guerriero, consente di riconoscere nel tumulo X una sepoltura maschile.10
Il tumulo B
Il tumulo B, esplorato definitivamente nel 1991, sorge nelle immediate vicinanze del tumulo A ed è ad esso collegato mediante un’area basolata a larghe lastre irregolari, che raccorda le strutture proteggendo il terreno e valorizzando nello stesso tempo i complessi architettonici. Il tumulo, costituito da una consistente montagnola di terra, è circoscritto da un tamburo circolare a basse lastre di arenaria, disposte orizzontalmente su filari, sulla cui sommità aggetta l’ultima serie di lastre, a definire una sorta di grundarium di protezione per le strutture, secondo una tipologia particolarmente nota nel territorio populoniense, altrimenti troppo esposte al dilavamento della pioggia.
Il centro del tumulo è occupato da una tomba a camera a pianta rettangolare, preceduta da un ampio dromos, cui si accede mediante una breve e pertanto ripida gradinata, rivestita da pietrame piuttosto irregolare; i gradini sono cinque, tre dei quali ben conservati, ma comunque nel complesso identificabili, dal momento che è visibile, nella sezione sotto la parete sinistra dell’ingresso, l’inizio della corrispondente stratificazione argillosa del terreno, di forma scalettata. Il dromos, con pavimento in terra battuta, è costituito da pareti a blocchi di varie dimensioni, disposti su filari orizzontali e preceduti, in corrispondenza della parte inferiore, da grandi lastre sistemate verticalmente, che costituiscono una delle soluzioni architettoniche più ragguardevoli dell’intero complesso, mantenendo nello stesso tempo un forte collegamento con le costruzioni a blocchi monolitici, quali Boschetti ed i tumuli C,X, in parte, A; non disponiamo al momento di dati comprovanti l’esistenza di una ipotetica struttura di copertura del lungo corridoio, che andrà pertanto immaginato a cielo aperto. Un elemento litico, posto verticalmente poco prima della gradinata, ma spostato rispetto all’asse di collegamento, suggerisce l’ipotesi che anche qui, come nel tumulo C e come a Montefortini, esistesse una terrazza-altare, destinata alla prothesis del defunto e del suo corredo, durante lo svolgimento delle cerimonie funebri.11 La camera con pareti a blocchi disposti su filari orizzontali, ha il pavimento in terra battuta e conserva al centro un pilastro monolitico rettangolare, collocato a debita distanza rispetto alla parete di fondo, che divide idealmente l’ambiente, costituendo nello stesso tempo un fondamentale sostegno per il tetto a grandi lastre sovrapposte, in parte conservate in corrispondenza delle pareti lunghe, in parte recuperate durante i lavori di scavo, ormai divelte e allontanate dalla primitiva collocazione; nel corso degli scavi è stato identificato il taglio relativo alla breve fossa di fondazione realizzata per l’innalzamento del pilastro centrale, che risulta fratturato proprio in corrispondenza del punto di passaggio fra la parte interrata dell’alloggio originale ed il piano d’uso della tomba, identificato pertanto con certezza. La monumentalità della struttura ha attirato, nel corso dei secoli, più di un profanatore attraverso il grande varco aperto sulla parete di fondo della tomba, con probabilità responsabile della rovina quasi definitiva del tetto e della scomparsa dell’ipotetica terrazza-altare.
La tomba è riferibile alla seconda metà del VII sec. a.C.12
Durante la fase conclusiva degli scavi della tomba a Camera, ci si è interrogati sulla prsenza di alcuni esigui blocchi di pietra, seppure disomogenei e privi di interconnessione, sistemati quasi ad andamento circolare in prossimità della parete sinistra della cella, dove l’altezza del tumulo originario è maggiormente conservata.. Si è dato pertanto avvio allo scavo della tomba a pozzo del tumulo B.
La tomba a pozzo del tumulo B
Prima della costruzione della tomba a camera, l’area ove attualmente sorge il tumulo B veniva già utilizzata con funzione di necropoli.
Al centro di un forte rilievo artificiale del terreno, si apre una tomba a pozzo, costituita da una cavità circolare di forma pressochè cilindrica, del diametro e della profondità di circa tre metri (diametro superiore m3 e diametro inferiore m 2,70, quindi leggermente rastremata verso il basso), realizzata piuttosto regolarmente entro un alto e compatto riporto d’argilla di colore giallo-ocra, presente in natura in una zona non lontana ad ovest della necropoli13.
La sommità del pozzo è delimitata da una struttura circolare a piccole lastre di arenaria unite a secco e fornite di regolare paramento esclusivamente in corrispondenza della superficie interna (all’esterno le lastre sembrano semplicemente infisse nello strato di argilla di riporto), quindi funzionali all’individuazione dello spazio compreso entro tale anello, con probabilità area di rispetto per la stessa sepoltura (realtà confrontabile nell’ambito del territorio bolognese14). La struttura circolare ed il pozzo sono stati parzialmente danneggiati in corrispondenza del settore meridionale, a seguito della realizzazione del taglio per la messa in opera della tomba a camera; durante lo scavo, l’identificazione di questo taglio, se da un lato ha accertato la maggiore antichità del pozzo, all’inizio ancora indefinito dal punto di vista cronologico e funzionale, ha posto vari quesiti interpretativi riguardo alla casualità o meno dell’azione di “intromissione” della struttura più tarda nei confronti di quella preesistente. Si può ipotizzare infatti che fosse un preciso intento quello di inglobare la tomba a pozzo nella costruzione del tumulo relativo alla tomba a camera, in un ambito “familiare” in qualche modo coerente, e che si sia verificato esclusivamente un errore nel calcolo degli ingombri della struttura esistente rispetto a quella in costruzione; oppure che si sia voluto il collegamento strutturale fra i due monumenti sepolcrali, al fine di creare una sorta di cordone ombelicale, come sembra in diversi casi.15 Non si può escludere la semplice utilizzazione di una montagnola esistente cui appoggiarsi con la parete sinistra della tomba a camera, con una notevole riduzione dell’entità del lavoro di realizzazione del grande tumulo.
L’interno del pozzo era riempito di una serie di stratificazioni di pietrame di vario tipo. Al di sotto, si apre un cassone quadrangolare a lastre verticali (circa 2m di lato), con i lati Nord ed Est accostati alla parete argillosa ed il lato ovest raccordato a quello nord con l’ausilio di una lastra posta in obliquo a smussare l’angolo, adattata nella parte superiore mediante due appositi incastri. Il pavimento è costituito da un monolite, con superficie piuttosto regolare fratturato a 2/3 circa della lunghezza, nel settore meridionale, con una zona lacunosa in corrispondenza dell’angolo nord-est, che si presume tale fin dalla messa in posa del lastrone.
Per quanto concerne la sequenza costruttiva, è evidente che, una volta collocati stabilmente pavimento e lati nord, est ed ovest, è stato posizionata la parete corrispondente al lato sud, la “porta”, semplicemente appoggiandola alla struttura ed incassandola nel terreno per pochi centimetri, ricavando quindi una porzione di spazio residuo fra cassone e parete del pozzo; tale spazio sembra poi essere stato riempito con grosse pietre, piuttosto informi, in parte scarti di lavorazione, sistemate come contrafforte a sostegno del lastrone e poi sigillate mediante un sottile strato argilloso, identificato in un piccolo settore. E’ addirittura molto probabile che proprio lo slittamento del monolite meridionale abbia determinato il cedimento generale della struttura, a cui deve avere contribuito sostanzialmente il taglio per la costruzione della parete di sinistra della successiva tomba a camera.
Il cassone è definitivamente coperto mediante un “tetto” formato da tre lastre sovrapposte (la centrale chiude, sovrapponendosi a quelle laterali), pressochè quadrangolare quella centrale e più piccole e con il limite esterno a profilo tendenzialmente convesso quelle laterali. Tale copertura, dato il diverso sviluppo in altezza dei muri perimetrali, era con ogni probabilità posta in obliquo, in modo da creare uno spiovente che consentisse anche un deflusso delle eventuali infiltrazioni di acqua piovana, fuori dall’area di sepoltura. I monoliti sono semplicemente appoggiati su tre delle pareti della struttura (est, ovest, sud), mentre, in corrispondenza del lato nord, sembrano piuttosto insistere su una piccola mensola inserita nell’argilla delle pareti del pozzo. La forte frammentazione delle lastre sembra imputabile ad un crollo avvenuto in età antica, con probabilità in concomitanza e comunque di conseguenza alla costruzione della tomba a camera, che ha tagliato, con la realizzazione della fossa di fondazione della parete sinistra, parte della struttura circolare esterna e parte della meridionale del pozzo, consentendo un maggiore e diversificato afflusso delle acque piovane ed avviando pertanto un pericoloso processo di squilibrio interno; a sostegno dell’ipotesi di un crollo avvenuto in un momento non troppo distante da quello della costruzione , si ricorda che i materiali del corredo poggiano direttamente sul livello pavimentale, dimostrando pertanto che non è trascorso tempo sufficiente a far penetrare, attraverso gli interstizi, infiltrazioni di terra in misura tale da produrre sul piano una sedimentazione stratificata.
Il corredo funebre indica, nel suo insieme, l’appartenenza del defunto al ceto egemone di quest’area territoriale. Del resto la stessa struttura architettonica della tomba, che implica la disponibilità di pietra, la capacità di estrarla e lavorarla correttamente, la collaborazione di chi era in grado di progettare una magnifica struttura come questa implica l’appartenenza del defunto al ceto sociale egemone.16
2
COMEANA
Un viatore antico poteva giungere al sito dell’odierna Comena, intorno alla metà del VII sec. a.C., cioè nel periodo Orientalizzante medio , superando l’ampia pianura ricca di acque che separa le propaggini della dorsale appenninica e del Monte Giovi della catena del Montalbano, sia venendo da nord-est. Area attualmente occupata da Fiesole, Sesto Fiorentino, Quinto, Settimello e Calenzano), sia venendo da nord e dal corso del Bisenzio (area di Prato i di Montemurlo), sia, infine venendo da ovet-nord ovest, seguendo un itinerario segnato dal corso dell’Ombrone al piede del Montalbano. La piana con i suoi fertili terreni, coperti da ricca vegetazione, solcata da consistenti corsi d’acqua, paludosa in parte, costituiva una grande fonte di mezzi di sostentamento, offrendo un’ampia opportunità di caccia, di pesca e di ottimi pascoli, nonché estesi spazi adatti ad ogni coltura. Il passaggio più agevole verso la costa tirrenica, ed i “commerci” oltremarini, era qui costituito dal superamento, attraverso la zona dell’attuale Comena ed il non proibitivo valico di Artimino.
L’antica via per Comeana, seguendo la riva destra dell’ombrone, era probabilmente il limite di grandi fattorie, i cui proprietari si “presentavano” al nostro viatore con i tumuli funerari destinati ad essi e alle loro famiglie (gentes) ed innalzati su mammelloni di terreno eminenti lungo la via: il tumulo, infatti, aveva, oltre alla funzione di sottrarre “all’etere maligno ed alle fere” i resti dei defunti, anche quella di esibire quale cospicuo segno e simbolo della proprietà della terra da parte dei nuclei familiari egemoni, ciascuno guidato da un “principe” (princeps), che vantava sulla comunità autorità, basata sull’attività guerresca.
Il tumulo era segno, oltre che della disponibilità terriera, anche della disponibilità di materie prime, come la pietra di buona qualità, adatta a funzioni e lavorazioni specializzate, quale è nel nostro caso la pietra serena, che viene estratta dalle cave, “coltivate” con tecnologie adeguate; ma era anche segno di disponibilità di mano d’opera (si pensi che per costruire un grande tumulo occorrevano alcune migliaia di giornate lavorative). Il tumulo, inoltre, con la tomba a camera che conteneva, dimostrava la disponibilità di architetti capaci di progettare e costruire strutture belle e solide, in grado di soddisfare le esigenze del committente. Di questi tumuli, vere sentinelle sul corso dell’Ombrone, due sono giunti fino a noi.17
2.1 LA NECROPOLI DI COMEANA
Il Tumulo dei Boschetti domina l’ultima curva della strada d’accesso al paese di Comeana ed incombe sull’attuale cimitero. E’ stato fortemente sbassato da lavori agricoli: il tumulo, di cui si sono conservati i resti del tamburo e di altre strutture esterne, sembra abbia perduto, nel corso dei secoli, almeno 4,5 metri dell’altezza originaria, compresa la parte superiore delle strutture in pietra.
Le strutture superstiti, sono costruite quasi totalmente in pietra serena, di vario spessore e determinato dalla funzione; queste strutture, con orientamento da nord-est a sud-ovest si conservano con un’altezza massima di 1,25m sul piano pavimentale della cella.
Percorso un breve dromos in discesa (quasi completamente distrutto dai lavori agricoli), si incontrava una grande sottile lastra di pietra serena, che sbarrava l’accesso al vestibolo, un piccolo vano rettangolare largo m 1,41, lungo m1,26, le cui pareti laterali sono costituite in gran parte da due lastroni verticali larghi m 0,95, che si dipartono dalla struttura della cella (tipo ante). La parte fra queste “ante” è pavimentata con lastrone regolare, quasi soglia dell’ingresso alla cella funeraria. La chiusura di questa era costituita da un lastrone largo quanto il vestibolo. La cella è un vano rettangolare, con la parete d’ingresso costituito da due lastroni ortostatici a delimitare la porta, mentre le altre pareti furono realizzate mediante lastroni di cospicua ampiezza (manca la misura dell’altezza, che possiamo supporre, in base al confronto con la cella del tumulo C del Prato di Rosello, superasse i 2 metri); la lunghezza varia. I lastroni sono accuratamente connessi ad incastro in modo da appoggiarsi per contrasto, in modo da reggere, la relativa, pressione della terra costitutiva del corpo del tumulo. La cella è accuratamente pavimentata con lastre di forma irregolare, tagliate in modo che i loro margini combacino quasi perfettamente; alla parete di fondo appoggia una piccola teca quadrangolare, destinata forse a contenere la deposizione di un incinerato o il suo corredo realizzate mediante sottili lastre disposte verticalmente, la cui altezza doveva essere limitata. Poiché il tumulo venne realizzato innalzando progressivamente la struttura di terra fortemente argillosa attorno alle pareti ortastatiche, compattando questa terra a mano a mano, essa costituiva un vero e proprio cemento, stabile ed esente da infiltrazioni di acque piovane, poiché sopra la copertura della cella era certamente presente un manto impermeabile di ottima argilla. Della copertura non si può dire molto: è ipotizzabile che fosse realizzata a doppio spiovente, con due lastroni di pietra serena ben connessi a contrasto (esempi di tale tipo di copertura sono noti specialmente, per quest’epoca, nell’area di Castelnuovo Berardenga, dove veniva esaltata la disponibilità di grandi lastroni di travertino). Non si può, però, escludere la possibilità di un soffitto piano, mentre è da escludere che vi sia stata una copertura a filari di lastre progressivamente aggettanti. Il fatto che le tre pareti monolitiche siano state rinvenute spezzate verticalmente a circa metà della lunghezza, e inoltre alquanto inclinate verso l’interno fa pensare che tale danno risalga ad un tempo nettamente posteriore all’antica violazione, successivo al parziale smantellamento del tumulo e degli strati protettivi di argilla: tale smantellamento non impedì più le infiltrazioni verticali d’acqua, responsabili della pressione esterna contro le pareti. Ma altri elementi inducono ad ipotizzare che i rischi impliciti nella struttura monolitica delle pareti siano stati valutati già nella generazione successiva, cioè nella seconda metà del VII sec.
Poco oltre il tumulo dei Boschetti, nella nostra via si immette da sinistra quella che proviene dall’attuale Signa. In prossimità di questo trivio, in antico forse collocato più ad est, fu eretto, intorno alla metà del VII sec. a.C:, un tumulo che oggi domina la via con la sua mole imponente, esaltata da un manto di querce.
Il Tumulo di Montefortini è una collinetta artificiale, innalzata sul suolo alluvionale; l’altezza attuale, inferiore forse di 3 metri a quella antica, è di circa 12 metri; il diametro primitivo di circa 60 metri fu modificato nel corso del VII secolo; con un allungamento che portò ad una conformazione ellittica.
Percorrendo la strada poderale che fiancheggia il lato orientale del tumulo e che probabilmente ricalca la via antica, è possibile vedere qualche breve tratto del tamburo, risalente alla prima fase (metà del VII sec. a.C) del tumulo e più o meno profondamente interrato dagli antichi lavori di ampliamento relativi alla seconda fase (ultimo quarto del VII sec. a.C.) : tale ampliamento, più accentuato nella parte sud- ovest, comportò un netto rialzamento di essa e implicò la fine dell’uso del tamburo, che fu coperto di terra e in parte anche smantellato, con immediato reimpiego delle lastre di arenaria della cornice. Questo tamburo fu costruto probabilmente per cingere e delimitare la base della collinetta.
Il tamburo è costruito con elementi di arenaria particolarmente ben lavorabile, assai compatta e agrana fine, di colore giallastro localmente denominata “scoperchiatura”. Questo materiale è usato nel tamburo prevalentemente in due tipologie, ambedue ben definite nella parte destinata alla vista e nelle commettiture. Gli ortostati sono infissi nel terreno in modo da costituire un paramento perfettamente liscio con sommità omogenea: su questa linea orizzontale e continua si impostano tre filari di lastre, costituenti una cornice in cui il gradino inferiore aggetta con evidente funzione di gronda (suggrunda), dalla struttura ortostatica, il secondo è allineato sulla verticale di essa, il superiore, arretrato, funge da contrappeso e costitusce il raccordo con la struttura di terra argillosa del tumulo. Tali elementi sono “cementati” accuratamente tra loro mediiante argilla biancastra finissima. Il tamburo ha un andamento continuo, che segue la linea di base del tumulo di prima fase: non si tratta di una curva costante, ma vi sono anche tratti rettilinei; quest’andamento si interrompe nel settore nord-ovest del tumulo, qui dal tamburo sporge ortogonalmente una struttura rettilinea ad esso omogenea e concatenata, in relazione alla quale la consueta cornice delimita un’area pavimentata con ampie lastre di scarsa coesione. Questa struttura sporgente dal tamburo, è detta “altare-terrazza”.
Il margine nord-ovest dell’altare-terrazza, che ne fungeva da sfondo verso il corpo del tumulo era costituito da una pseudo-gradinata. E’ oggi possibile, sulla base di nuovi scavi mirati (Tumuli della necropoli di Prato Rosello, Tumulo del Sodo II a Cortona), nonché di ricerche afferenti al complesso tema, attribuire all’altare-terrazza la funzione di luogo destinato all’esposizione (prothesis) del defunto e del corredo funebre, durante i giorni necessari alle cerimonie funebri. Il non casuale rinvenimento nel tumulo di una tomba precedente (la tomba a tholos), che ha restituito cospicui elementi di almeno un corredo funebre, consente di collegare ragionevolmente il tamburo e l’altare-terrazza a quella tomba, con una datazione intorno alla metà del VII sec. a.C.
Nell’ultimo venticinquennio del VII sec. .C. fu inserita una tomba a cella rettangolare, rispettando le strutture strettamente pertinenti alla crollata tomba a tholos, nella parte Nord-Ovest del tumulo, all’uopo sensibilmente allungato ed aumentato di altezza. La costruzione si compone di tre elementi: un corridoio di accesso a cielo aperto, un vestibolo quadrangolare coperto, una camera sepolcrale. Il dromos ha dimensioni inusitate (lunghezza m 13 circa, larghezza m 2,50-2,80), conserva le sue strutture per tutta l’altezza, che parte da zero e cresce progressivamente verso il vestibolo, fino a superare i tre metri e mezzo. Mentre la parte inferiore delle due pareti è costruita, come tutto il resto della tomba, con lastre di diverse varietà di arenaria disposte in filari orizzontali irregolari, nella parte superiore è presente quasi esclusivamente calcare, reperibile nei campi circostanti, usato in blocchi grossolanamente sbozzati solo sulla faccia a vista. E’ stata documentata la presenza di una specie d’intonaco in terra argillosa, trovato in buono stato di conservazione, ma destinato a soccombere agli agenti eolici. Forse era destinato a mascherare l’uso di varie qualità di pietre. Nella parete che separa il dromos dal vestibolo si apre un portale trilitico: le strutture che sovrastano l’architrave furono distrutte da antichi violatori; l’architrave monolitico si presenta spezzato in due, probabilmente in seguito allo squilibrio dei carichi sovrastanti, provocati dai violatori. Le ante del portale sono parzialmente frammentate e fessurate per lo stesso motivo.La porta del vestibolo era in origine sigillata con il lastrone. Il corto vestibolo è coperto con un tetto di lastroni progressivamente aggettanti. Queto tipo di copertura se adottatto per ambienti a pareti rettilinee (esso costituisce una semplificazione della copertura a tholos, a falsa cupola), consente di realizzare una maggiore solidità rispetto alle coperture a tetto piano (queste affidano la responsabilità statica ad un lastrone), ma è realizzabile praticamente solo in ambienti di larghezza limitata. Esso, pur rinunciando ad uno dei vantaggi offerti dalla tholos (lo sfruttamento della irresistibilità del cerchio ottenuto con lastre, che ha un comportamento, in piano, comparabile a quello dell’arco verticale), ne sfrutta il vantaggio più evidente: poiché il baricentro di ciascun lastrone ricade all’interno del sottostante elemento, il peso finale della copertura viene a gravare prevalentemente sulle pareti laterali; l’antico costrutture si è però preoccuoato di usare lastroni tanto lunghi da giungere ad attestarsi alle pareti frontali del vestibolo. La stabilità di queste strutture aumenta notevolmente quando la terra argillosa del tumulo, venendo a gravare sui filari di lastroni, non solo istituisce su di essi un poderoso contrappeso, ma impone a tutta la struttura coesione ed elasticità. Il tetto del vestibolo raggiunge i tre metri d’altezza. Maggiore di quasi un metro è l’altezza massima che raggiunge, nell’elemento conclusivo, la copertura della cella, anch’essa realizzata con lastroni aggettanti: anche in questo caso l’antico costruttore usò molti artifici che non è qui il caso di analizzare, ma in primis quello di adoperare per quanto possibile lastroni così lunghi da inserirsi con le esrtemità nella muratura delle due opposte pareti d’ingresso e di fondo. Anche il portale di accesso alla cella è una monumentale struttura trilitica. La cella rettangolare presenta la peculiarità di una mensola ricorrente, che sporge dalle due pareti lateralie da quella di fondo, in corrispondenza dell’inizio degli aggetti, sottolineando la distinzione fra la parete verticale e la struttura di copertura. Questa peculiarità aveva causato la primitiva denominazione (tomba della mensola ricorrente), che si è dovuto abbandonare quando, scoperta la adiacente anteriore tomba a tholos, si ritrovò anche qui lo stesso elemento architettonico: la presenza di tale eccezionale tipo di mensola nelle due tombe si aggiunge ai molti elementi indicanti la persistenza nella proprietà del tumulo della medesima gens, che potrebbe aver commesso ambedue le strutture allo stesso architetto. Le tombe sono databili fra l’ultimo venticinquennio del VII secolo e la prima generazione del secolo successivo.18
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PIETRAMARINA
Il bosco di Pietramarina, sulla sommità di uno dei rilievi sud-orientali del Montalbano, a 585 metri sul livello del mare è certamente una delle zone più affascinanti e d interessanti del Montalbano.
Le prime ricerche archeologiche nell’area risalgono alla fine degli anni ’60, quando il sito, data la sua particolare conformazione morfologica, fu individuato come sede di un probabile antico insediamento nel corso delle ricerche topografiche condotte nel territorio da F. Nicosia. Le conferme della presenza dell’occupazione etrusca si ebbero nel 1973. Dopo un intervento nell’area perimetrale effettuata agli inizi degli anni 80, che confermò la presenza della cinta muraria, le ricerche sistematiche sono state riprese nel 1991 e sono tutt’ora in corso.
L’area sommitale del poggio è coronata da una cinta muraria approssimativamente a ferro di cavallo ancora interrata, ma chiaramente visibile. I saggi di scavo aperti in due punti del fianco Est della struttura, attualmente reinterrati per motivi di conservazione, hanno consentito di verificarne alcuni caratteri strutturali. Le mura sono realizzate a sacco, con un paramento esterno a vista di lastre e blocchi sommariamente squadrati e connessi a secco, di dimensioni medie e grandi, rinzeppati con scaglie e piccole pietr; con un riempimento interno di sassi e terra e un paramento irregolaree, probabilmente, per quanto concerne la parte conservata nel breve tratto indagato, addossato al terreno retrostante. L’ingresso potrebbe essere ipotizzato a sud, dove l’andamento del terreno segna un avvallamento. Gli scarsi materiali restituiti dai saggi di scavo consentono di attribuire l’opera muraria alla fase di occupazione etrusca, e molto probabilmente ad un orizzonte avanzato (età ellenistica), ma non permettono di precisarne la cronologia. L’area intramuraria complessiva ha un’estensione di poco meno di un ettaro ed è interessata dall’affioramento di strutture e crolli di pietre.
Tutta l’area di Pietramarina sorge in un importante punto di controllo viario, e leggende popolari identificano la zona come “Area Sacra”, ma ancora non si hanno dati certi per confermare queste “credenze”. La destinazione dell’area definita dalla cinta muraria in epoca etrusca non è stata ancora chiarita nel corso delle indagini archeologiche. La sua estensione relativamente limitata e ben perimetrata, la collocazione topografica, la tipologia che richiama quella di altri siti sommitali identificati in passatoda F.Nicosia, come Dicomano-Poggio Colla, si stanno confermando essere luoghi di culto in epoca arcaica, suggerirebbero l’ipotesi che si possa trattare di un’area santuariale extraurbana, purtroppo non ancora suffragata da elemanti certi, e comunque sottoposta a significative e forse sostanziali ristrutturazioni nel corso del tempo. Per le fasi di età ellenistica dovremmo pensare ad un insediamento fortificato d’altura, analogo a quello di Radda.
Edificio ß
Qui è stata riportata alla luce parte di un grande edificio di m 16,80x11,30 complessivi, con i lati lunghi orientati approssimativamente in senso est-ovest e con almeno un tramezzo interno. Le strutture perimetrali sono realizzate con pietre e lastre anche di grandi dimensioni, rincalzate con scaglie e piccole pietre per regolarizzare l’andamento delle assis, disposte per lo più su due filari esterni con riempimento interno; sono connesse a secco con argilla giallastra. Al momento è stata messa in luce più estesamente solo l’ultima fase edilizia del vano I, che è impostata direttamente sulle murature precedenti. Qui è stato messo in luce e scavato il crollo del tetto laterizio adddossato al muro meridionale ed esteso all’angolo. Probabilmente si trattava di una tettoia limitata a questa parte del vano, vista l’estensione circoscritta del croll, o forse semplicemente il crollo si è conservato solo in parte, nel punto più pianeggiante e più protetto, mentre il resto è fluitato seguendo il pendio, insieme agli elementi dell’alzato. La copertura comunque proteggeva un’area di focolare addossata all’interno del muro Sud del vano. Ad esso si addossava un piano d’appoggio laterizio, realizzato con un embrice interno capovolto; il piano era completato con altri due mezzi embrici disposti uno sul lato lungo, l’altro sul lato corto, che servivano per raggiungere la grandezza desiderata per il piano. L’uso connesso con il focolare, probabilmente per la deposizione delle braci e forse la cottura , è confermato dalla formazione sulla superficie esterna di una patina biancastra compatta. Complessa e ancora solo in minima parte indagata la situazione delle precedenti fasi edilizie e cronologiche nell’area di questo edificio. Dopo un impianto probabilmente capannicolo, testimoniato da buche di palo scavate nella roccia e da interventi di regolarizzazione del medesimo filone roccios, e dopo la costruzione della prima struttura in muratura, situata nella stessa area, ma con orientamento leggermente diverso e la cui esistenza è documentata da un cospicuo crollo di pietre e argilla gialla, l’area venne probabilmente regolarizzata livellando il crollo e su di esso venne impostata una nuova costruzione. Dai resti sembra che un momento di distruzione sia avvenuto nel V sec. a.C.. In seguito a questo evento, pare, che l’edificio sia stato riempito utilizzando terreno asportato dall’area circostante.
Edificio E
Nel saggio aperto a ll’esterno sud est dell’edificio è visibile un tratto di muro di un edificio relativo probabilmente alla prima monumentalizzazione dell’area, ipoteticamente in fase con la struttura crollata prima dell’erezione del grande edificio a, visibilmente tagliato al momento della costruzione del muro sud del medesimo. Questa struttura, con andamento leggermente disassato rispetto all’orientamento dell’edificio succcessivo, è realizzata con pietre locali di media pezzatura, sbozzate e legate con la solita argilla giallastra e dovrebbe essere riferibile all’età arcaica. Sotto la stessa tettoia, nel piano roccioso sono visibili due incassi accuratamente tagliati. Questi due incassi possono essere riferiti alle strutture, probabilmente capannicole, relative alla I fase dell’occupazione stabile del sito; questa struttura embra risalire ad un periodo che va dall’orientalizzante maturo all’arcaismo.
Edificio E
A Sud dell’edificio è stato delineato il perimetro di un’altra costruzione di dimensioni minori, con il lato lungo orientato in senso est-ovest, probabilmente con un tramezzo. I muri sono relizzati, come i precedenti. L’interno non è ancora tato indagato. Per quanto è stato possibile indagare, si può considrare questo edificio come il più recente.19
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MATERIALI UTILIZZATI PER LA COSTRUZIONE DEI TUMULI
Esistono strette relazioni tra le caratteristiche ambientali dell’area in cui viene costruita una necropoli, le tecniche costruttive e le materie prime utilizzate, nonché dello stato di conservazione dei diversi tumuli. La materia prima utilizzata influenza anche la tecnica costruttiva e quando il materiale locale presenta caratteristiche fisiche scasenti, per particolari aspetti costruttivisi utilizzano materiali più adatti provenienti da aree più lontane.
“La necropoli di Prato Rosello è situata su un versnte scosceso in direzione del fiume Arno. I rilievi di questa dorsale presentano una direzione nord-ovest/sud-est e risultano costituiti da arenacee torbidiche depositate in ambiente marino profondo, in un periodo compreso tra l’Oligocene superiore ed il Miocene inferiore. L’area di Prato Rosello è caratterizzata dalla presenza di banchi arenacei coperti da un modesto spesore di suolo, oppure affioramenti di colore giallo ocra interesati da evidenti fratturazioni, superfici di erosione o da uno strato sabbioso giallastro prodotto dalle alterazioni dell’arenaria.r….… Il tumulo B, come il tumulo X, è costruito utilizzando blocchi di arenaria della stessa natura di quelli costituenti il substrato di fondazione degli stessi: infatti, le lastre utilizzate per il dromos e per il cassone della tomba a pozzo, sono di arenaria quarzosofeldspatica a composizione omogenea.c….… La struttura murarria è costituita ancora dapiccoli blocchi arenacei, alcuni squadrati, altri arrotondati, e da siltiti sottilmente stratificate. Questo tipo di terra è utilizzato anche per la copertura del tumulo e la fondazione del dromos. In considerazione del fatto che ci troviamo in corrispondenza di affioramenti arenacei e che l’alterazione di tale roccia da luogo essenzialmente a sabbia, l’elevata componente argillosa presente nel terreno suddetto deve essere ricercatain zone limitrofe, che possono essere quelle presenti da ovest nella necropoli, dove affiorano terreni argilloso-scistosi del complesso Caotico. Le lastre arenacee di dimensioni maggiori presentano fratture trasversali alla stratificazione dovute a carichi differenziati a cui sono state sottoposte, a causa di cedimenti del terreno verificatisi dopo la copertura del dromos.e….… Tra gli elementi costituenti l’apparato murario si ritrovano anche siltiti sottilmente stratificate e fittamente fratturate a causa della loro bassa resistenza meccanica e rari frammenti marnosi, anch’essi fratturati, provenienti dalla formazione del Macigno. I materiali lapidei utilizzati nella costruzione degli elementi strutturali del tumulo venivano recuperati nelle immediate vicinanze e scelti in funzione del diverso uso: le lastre del dromos e di copertura delle tombe venivano ricavate dagli strati meno fratturati e di spessore maggiore, mentre per la costruzione della struttura muraria venivano utilizzati elementi lapidei di piccole dimensioni costituiti sia da arenarie che da stilitio, raramente, da rocce marnose. La presenza di blocchi arrotondati fa supporre che parte di questi fosse recuperata nei depositi fluviali a valle di Prato Rosello.
Lo stesso tipo di pietra è stato utilizzato anche nella costruzione del tumulo di Montefortini, dove l’utilizzo dell’arenaria non era dovuto alla disponibilità in situ di questo materiale, ma ad una precisa scelta, andando a prelevare la pietra nei vicini affioramenti della Gonfolina. In questo caso l’utilizzo dell’arenaria è stato preferito a quello del più vicino Alberese, che però presentava maggiori diffoltà di lavorazione. Infatti, solo parte del dromos della tomba più recente di Montefortini è stata costruita con questo tipo di pietra.o….… 20
1 Confronta G.G. BORGIOLI, La campagna archeologica di Carmignano e di Artimino, in Prato arte, n°75, 1999
2 Confronta M.C. BETTINI, F. NICOSIA, G.POGGESI, Il parco archeologico di Carmignano, Firenze 1997.
3 Confronta F. NICOSIA, La ricerca archeologica su Artimino, in M.C. BETTINI, F. NICOSIA, G.POGGESI, Il parco archeologico di Carmignano, Firenze 1997, p.25.
4 Confronta AA.VV., Artimino.Scavi 1974. L’area della paggeria medicea:relazione preliminare, Museo Archeologico di Artimino. Materiali per la ricerca sul territorio1 (a cura di G.CAPECCHI),Firenze 1987, pp. 27-33.
5 Confronta AA.VV., Artimino.Scavi 1974. L’area della paggeria medicea:relazione preliminare, Museo Archeologico di Artimino. Materiali per la ricerca sul territorio1 (a cura di G.CAPECCHI),Firenze 1987, p.59.
6 Confronta AA.VV., Artimino.Scavi 1974. L’area della paggeria medicea:relazione preliminare, Museo Archeologico di Artimino. Materiali per la ricerca sul territorio1 (a cura di G.CAPECCHI),Firenze 1987, pp. 69-70
7 Confronta G. POGGESI, La necropoli di Prato Rosello, in AA.VV., Artimino: il guerriero di Prato Rosello (a cura di GABRIELLA POGGESI), Firenze 1999, pp.17-19
8 Confronta G. POGGESI, La necropoli di Prato Rosello, in AA.VV., Artimino: il guerriero di Prato Rosello (a cura di GABRIELLA POGGESI), Firenze 1999, pp.19-20
9 Confronta NICOSIA, L’Etruria mineraria, in Atti XII Convegno di studi Etruschi e Italici,1981, p.356.
10 Confronta G. POGGESI, La necropoli di Prato Rosello, in AA.VV., Artimino: il guerriero di Prato Rosello (a cura di GABRIELLA POGGESI), Firenze 1999, pp.19-23
11 Confronta ZAMARCHI GRASSI, La cortona dei Principes,1992, pp.130-131.
12 Confronta G. POGGESI, La necropoli di Prato Rosello, in AA.VV., Artimino: il guerriero di Prato Rosello (a cura di GABRIELLA POGGESI), Firenze 1999, pp.23-28.
13 Confronta:GENTILI, Il dono delle Eliadi. Ambre ed oreficerie dei principi Etruschi di Verrucchio, 1994, pp.67 e 101: a Verrucchio, numerose tombe a pozzo, profonde fino a 3 metri dal piano di campagna, seppure di minore diametro;
CATENI, La necropoli Villanoviana delle Ripaie a Volterra, in L’Etruria mineraria, 1981, p.193: a Volterra, necropoli delle Ripaie, i pozzetti più poveri sono a minore profondità dal piano di campagna, rispetto ai pozzetti più ricchi, tanto da legittimare l’idea che, al di là delle finalità di tutela, la profondità della deposizione costituisse un segno di potere per il defunto e che, in sintesi, lo sforzo di energie utilizzato per costruire un monumento fosse proporzionale all’importanza del personaggio cui esso era destinato.
14 VON ELES-BOIARDI, Insediamenti della prima età del ferro, in La pianura bolognese nel Vilanoviano, 1994, p.101: Casteldebole, sepoltura 21 ed altre, caratterizzate da una forma a pozzetto rivestito, con notevole quantità di ciottoli sovrapposti alla tomba, che sembra costituissero una vera e propria struttura segnacolo, formata da un piccolo tumulo di sassi sovrastato, in un solo caso, da un cippo alla sommità.
15 CATENI MAGGIANI, Volterra dalla prima età del ferro al V sec. a.C.: Appunti di topografia urbana in Aspetti della cultura di Volterra etrusca, 1995, p.43: a Volterra, settore settentrionale della necropoli della Guerruccia, numerosi casi di sovrapposizione di sepolture in aree con probabilità riservate a specifici gruppi familiari;
GIUNTOLI, Gli Etruschi a Massa Marittima. Testimonianze archeologiche del Lago dell’Accesa, 1993, p.10: necropoli del lago dell’Accesa, tombe 12 e 12bis, datate nell’ambito del VII sec., rispettivamente a fossa e a camera con tumulo, sovrapposte, ove, la struttura più antica sembra “intenzionalmente preservata”.
16 Confronta G. POGGESI, La necropoli di Prato Rosello, in AA.VV., Artimino: il guerriero di Prato Rosello (a cura di GABRIELLA POGGESI), Firenze 1999, pp. 30-40.
Confronta G. POGGESI, Artimino necropoli di Prato Rosello: la ricerca in corso, in AA.VV., Archeologia 2000 Un progetto per la Provincia di Prato, Atti della giornata di studio Carmignano, 29 aprile 1999, Firenze 2000, pp.21-24.
17 Confronta F. NICOSIA, La necropoli monumentale di Comeana, in M.C. BETTINI, F. NICOSIA, G.POGGESI, Il parco archeologico di Carmignano, Firenze 1997, pp. 49-50.
18 Confronta F. NICOSIA, La necropoli monumentale di Comeana, in M.C. BETTINI, F. NICOSIA, G.POGGESI, Il parco archeologico di Carmignano, Firenze 1997, pp 49-65.
19 Confronta M.C. BETTINI, L’area archeologica e naturalistica di Pietramarina in M.C. BETTINI, F. NICOSIA, G.POGGESI, Il parco archeologico di Carmignano, Firenze 1997, pp.121-135.
Confronta M.C. BETTINI, Notizie preliminari sull’insediamento etrusco di Pietramarina, in AA.VV., Archeologia 2000 Un progetto per la Provincia di Prato, Atti della giornata di studio Carmignano, 29 aprile 1999, Firenze 2000, pp.39-47.
20 Confronta P.PALECCHI, Prato Rosello: nota sulla geologia e sui materiali utilizzati per la costruzione dei tumuli, in AA.VV., Artimino: il guerriero di Prato Rosello (a cura di GABRIELLA POGGESI), Firenze 1999, pp. 88-91.
Confronta P.PALECCHI, Il tumulo B: relazione tra ambiente tecniche costruttive e stato di conservazione, in AA.VV., Archeologia 2000 Un progetto per la Provincia di Prato, Atti della giornata di studio Carmignano, 29 aprile 1999, Firenze 2000, pp.36-38.
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