L'Antico Egitto

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Categoria:Storia Dell'arte

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Testo

(2040-1640 a.C.)
Con la V dinastia (2465-2323 a.C.), la classe sacerdotale assume un ruolo sempre più determinante per l’elezione stessa del re, detenendo quindi di fatto il potere. L’ isolamento in cui si trova il re rispetto al paese, genera la sempre maggior autonomia dei “nomarchi”, i governatori dei “nòmi” (dal greco nòmos, “parte, porzione”, e quindi “distretto”), le circoscrizioni amministrative in cui era divisi l’intero territorio egiziano.
Ciò genera una grave crisi del potere centrale; crisi che conduce, fra la IX e XI dinastia, al cosiddetto “primo periodo intermedio”, dal 2134 al 2040 a.C., quando con la XI e XII dinastia (1991-1783 a.C.), si riafferma il potere unitario su tutto il territorio, dando inizio al “Medio Regno”.
Con l’XI dinastia (2040-1991 a.C.) la capitale è a Tebe, nell’Alto Egitto. Si abbandona l’uso della sepoltura reale a piramide, per scavare le tombe nelle roccie.E’ il fondatore della dell’XI dinastia, Mentuhòtep I (2061-2010 a.C.) a scegliere questa nuova zona funeraria nei bastioni montuosi di Deir el-Bahri.
Successivamente la capitale torna a Menfi.Con il ridimensionamento dei sacerdoti e dei monarchi, con la stabilità politica, rinasce l’Egitto.I sovrani assoggettano la Nubia, impadronendosi delle sue miniere d’oro; compiono vittoriose imprese belliche in Asia e bonificano l’area dell’oasi del Faiyùm, preziosa riserva alimentare per tutto il paese.
Il re, uscito dal suo isolamento, viaggia, per controllare da vicino le loro azioni e per dominarli con la sua presenza.Non è più il dio invisibile; è un uomo, sia pure consacrato dalla divinità.Si spiega così probabilmente la differenza fra la statua di Mentuhòtep, uno dei restauratori dell’autorità centrale, nel tentativo di recuperare l’assolutismo divino dell’Antico Regno, si presenta massivo, privo di espressione umana, dominatore, posto al di sopra della contingenza dei sentimenti.Per questo , porta la corona rossa del Basso Egitto, reca la barbetta sottile arricciata del dio, ha il colore nero di Osiride e indossa il vestito bianco del “giubileo”, la cerimonia della rigenerazione reale, che avveniva ogni 30 anni.
La statua di Sosòstri III, invece, presenta le membra maggiormente articolate e mostra nel viso i segni dell’età.
Si può notare, in alcune figurazioni reali del Medio Regno, una sorta di “democratizzazione dell’aldilà”, dove tuttavia il termine “democrazia” non deve essere inteso in senso moderno come “governo di popolo”, ma come parziale umanizzazione del sovrano.Nelle tombe dei Principi e dei funzionari, troviamo anche vivacissimi gruppi in miniatura di lavoratori o di soldati al servizio della personalità defunta.
(1550-1070 a.C.)
La debolezza delle dinastie XIII e XIV (1783-1640 a.C. circa), conduce alla decadenza del potere. Stirpi di popolazioni nomadi asiatiche penetrano in Egitto: gli Hyksos.
E’ il secondo periodo intermedio, che termina con la XVII dinastia, durante la quale i principi egizi di Tebe riescono a cacciare gli stranieri e a restaurare l’unità nazionale.
Con la XVIII dinastia (1550-1307 a.C.) ha inizio il Nuovo Regno, periodo storico di grande espansione e di grande fioritura artistica.
E’ dalla XVIII dinastia che il sovrano viene indicato con il nome di “faraone”, derivato dal termine “pha-rao” con cui da sempre veniva designato il palazzo reale.
La capitale è a Tebe. Sulla riva orientale del Nilo, la riva dei viventi, Tebe si arricchisce di templi grandiosissimi che esaltano la maestà del re al cospetto di dio. Sulla riva occidentale, la riva dei morti, si moltiplicano le tombe in varie zone.
Poco ci rimane dell’architettura civile egiziana. Le case erano assai semplici sia per i comuni operai che per i sacerdoti. Erano costituite da muri , formati da un impasto di paglia e fango, e stanze di forma rettangolare senza aperture verso l’esterno. La maggior parte possedeva anche un piccolo cortile colonnato.
Poco ci rimane anche della struttura delle città, che non avevano fortificazioni. Esse erano attraversate da un’ordinata rete viaria ortogonale e da una Via Reale, che congiungeva i due edifici cardine : il Tempio e il Palazzo reale.
Le uniche costruzioni egizie non funerarie che i secoli ci hanno tramandato, sono i templi.
Lo schema assai complesso degli edifici di culto si fissa durante il Nuovo Regno. Il nucleo centrale era costituito da una buia stanza di pianta rettangolare, munita di colonne a forma di palma, dal soffitto decorato come un cielo notturno e con un’unica porta. In questa stanza si pensava che il dio vivesse, attraverso la sua statua, e quì veniva accudito quotidianamente dai sacerdoti, che lo lavavano, lo vestivano e gli portavano offerte di cibo.
La scala centrale era il luogo in cui si svolgevano le celebrazioni, costituita da più navate, separate da file di colonne, a forma di palma, che reggevano architravi. C’era un cortile esterno dal quale il popolo assisteva alle cerimonie : esso era delimitato da colonne sui tre lati aperti e ornato da statue colossali.
Elemento fondamentale dell’architettura egizia è il pilone: monumento in muratura di profilo trapezoidale che segnava il limite tra lo spazio terreno e quello sacro.
Non mancavano obelischi e viali ornati di sfingi o leoni che vegliavano sul tempio.
La Tebe antica non esiste più; ma esistono ancora, nelle località dette Kàrnak e Lùxor, due complessi templari, un tempo collegati da un lungo viale fiancheggiato da sfingi.
Il tempio di Kàrnak era dedicato al di ‘Amon che divenne, con il Nuovo Regno, una delle maggiori divinità di tutto l’Egitto. Dio creatore, che assommava in sé la solarità del dio di Eliòpoli, Ra, e la fecondità del dio di Kòptos, Min.
Il tempio di Kàrnak è la più vasta costruzione egizia, una delle più grandi del mondo. Nella grande impresa si impegnarono vari faraoni. Il complesso è racchiuso dalla cosiddetta cinta muraria di ‘Amon, un grande recinto in mattoni crudi, sviluppato per un perimetro di 2400 m. All’interno è il tempio di ‘Amon, la cui pianta è costituita da una serie di ambienti, il più interno dei quali è il sacrario. Si accede agli ambienti mediante sei piloni, porte monumentali (dal greco: pyle, “porta”) inseriti fra due corpi massicci a forma trapezoidale.
Dal primo pilone si entra nel grande cortile, e da qui, attraverso un secondo pilone, nella Sala ipòstila (“pòstila”è detta ogni sala il cui il tetto sia sostenuto da più file di colonne: dal greco hypò, “sotto”, e stylos, “colonna”.
Dentro il tempio potevano entrare solo i sacerdoti, ma solo il gran sacerdote e il faraone potevano accedere nel sacrario.
L’interno non era destinato alla gente comune e quindi ad impressionarla; eppure la grande Sala ipòstila ci fa intuire la grandezza della divinità e del re. Il concetto astratto (il divino) viene reso percepibile concretamente.
La sala è percorsa da una navata, la cui parte superiore risulta elevata sul resto dell’ambiente. La navata è sostenuta da dodici colonne con capitello a forma di papiro aperto, collegate da enormi architravi che elevano questo settore fino a 23m. dal suolo, distinguendolo chiaramente da tutto lo spazio circostante. Il soffitto della navata era disseminato di stelle dorate. Le colonne sono istoriate. Sulle pareti esterne della sala sono figurate le imprese militari di Seti I (1306-1290 a.C.) e di suo figlio Ràmses II (1290-1224 a.C.). Sulle pareti interne sono rappresentati gli onori resi dal faraone alle divinità, processioni e cerimonie d’incoronazione.
Il tempio di Lùxor, dipendeva da quello di Kàrnak e serviva per la processione del nuovo anno, in onore del dio ‘Amon.
D’avanti all’ingresso monumentale erano collocate sei statue colossali e due obelischi.
L’obelisco è un elemento indispensabile dell’arte e dell’ideologia egizia. E’ una forma geometrica perfetta, come la piramide, ma sottile, alta e appuntita elegantemente verso il cielo. Simboleggia il dito del sole e del sole segue il movimento diurno, indicando il trascorrere delle ore con le ombre allungate in terra. Il vertice (piramidion), riluceva, colpito dai raggi solari, perché era rivestito da una lamina metallica.
Anche in questo tempio, le decorazioni del pilone, dei cortili, degli ambienti interni, narrano scene di battaglie vittoriose condotte dai faraoni, o scene religiose.
Dello stesso periodo sono i celebri Colossi di Mèmnon, due gigantesche statue che rappresentavano il faraone Amenhòtep III (1391-1353 a.C.), che affiancavano originariamente l’ingresso del suo tempio funerario, oggi scomparso.
Durante la XVIII dinastia sorge, sulla riva sinistra del Nilo, uno dei tempi funerari più originali di tutto l’Egitto : quello della regina Hatshepsùt. E’ un tempio basso e largo, adeguato all’anfiteatro roccioso ai cui piedi si adagia; dimostra una concezione diversa da quella tradizionale del monumento faraonico. Il tempio della regina vive in simbiosi con la natura, salendo gradualmente, per terrazzamenti successivi collegati da rampe, verso la parete montagnosa.
Questa è un’opera dell’architetto Sènmut, influente consigliere della regina, che come Imhòtep, è esaltato oggi fra i maggiori architetti antichi.
I pilastri sono squadrati conferendo alla costruzione porticata un carattere di fermezza e di forza sintetica. Ma vi sono anche colonna athoriate (ossia con il capitello formato dal volto di Hàthor, la dea-vacca)e protodòriche. Queste ultime sono molto diverse dalle colonne doriche greche, sia perché non rastremate verso l’alto, sia perché prive di èntasi, sia perché non scanalate ma tagliate in sedici facce lisce.
All’interno del tempio sono rilievi vivaci, anche se le figure sono sempre riprodotte secondo i canoni usuali.
Hatshepsùt aveva preso il trono allontanando dal potere il nipote e suo predecessore Thutmòsi III (1479-1473 a.C.), regnando da sola per quindici anni (1473-1458 a.C.), vestita da uomo e con la barba posticcia, simbolo di regalità. Alla sua morte Thutmòsi III riprese il trono, vece cancellare ovunque il nome e l’immagine di Hatsheosùt e intraprese una lunga serie di vittoriose campagne militari, portando l’Egitto a una grande estensione territoriale.
Nel 1353 a.C. saliva al trono Amenhòtep IV, il quale attuava la massima rivoluzione religiosa di tutta la lunga storia dell’Egitto. Forse per ridimensionare lo strapotere dei sacerdoti del dio solare ‘Amon, i quali amministravano i più fecondi campi del regno e godevano delle decime di tutti i bottini bellici, egli sostituì il culto di ‘Amon e degli altri dei con quello unico di Atòn, il disco solare, cambiando il proprio nome, Amenhòtep (‘Amon è contento), in Akhènaton (Questo piace ad Atòn), chiudendo i templi di ‘Amon e disperdendone i sacerdoti, costruendo una nuova capitale nella madia valle del Nilo, Akhètaton (l’orizzonte di Atòn), l’odierna El-Amarna.
Le tombe di El-Amarna, si trovano sulla sponda orientale del Nilo, dove nasce il sole, rivolte però ad occidente, dove tramonta.
Dopo la morte di Akhènaton, il giovanissimo faraone Tutankhàton, sotto la spinta della violenta reazione sacerdotale e convinto forse da Nefertìti, la bellissima sposa-sorella di Akhènaton, riaprì al culto i templi di ‘Amon, riportò la capitale a Tebe ed assunse il nome di Tutankhàmon (immagine vivente di ‘Amon).
I bassorilievi e le sculture a tuttotondo avevano il compito ufficiale di onorare le divinità. In Egitto la scultura ebbe un grande sviluppo anche per l’abbondanza di materia prima: calcare, arenaria, granito, basalto, alabastro.
Le opere venivano dipinte in alcuni dettagli, oppure interamente, dopo essere state ricoperte di gesso. I pigmenti colorati venivano ricavati dalla macinazione delle pietre, diluiti con acqua e mescolati a resine, albume e cera d’api.
Le statue si presentano come un blocco compatto, dove è bandito ogni movimento, ad eccezione di un leggero avanzamento della gamba sinistra nelle statue erette. Nei soggetti rappresentati seduti, le braccia sono sempre poggiate sulle ginocchia, mentre in quelle in piedi esse sono inerti, abbandonate lungo i fianchi con i pugni chiusi.
Tutto ciò risponde a canoni prestabiliti dell’etichetta di corte poiché, nella statuaria minore, il formalismo viene superato in nome di una maggior attenzione alla realtà.
Accanto alla scultura ufficiale abbiamo così testimonianza di una produzione artistica non ufficiale, libera da ogni canone, che esprime con vivacità e realismo aspetti della vita quotidiana del popolo e degli schiavi.
Nel Nuovo Regno si avverte un influenza orientale che aiuta ad alleggerire le forme e contribuisce al raggiungimento di una maggior mobilità e di un più vivo realismo.
Il capolavoro artistico dell’età di Akhènaton è il celebre ritratto di Nefertìti. Qui la rappresentazione realistica del viso della giovane e bella regina trova forma compiuta nella assoluta armonizzazione reciproca delle varie parti, nella raffinatezza del lungo collo flessuoso, nei delicati trapassi chiaroscurali, nell’espressività degli occhi caudati, sottolineati dalle arcate sopracciliari, nella morbidezza delle labbra, nella purezza del profilo con la tenera curva delle orecchie, perfino nell’alto copricapo regale.
Il nome di Tutankhàmon, morto misteriosamente appena diciannovenne senza aver potuto compiere grandi imprese, è tuttavia uno dei più noti fra quelli dei faraoni egizi per le immense ricchezze scoperte all’interno della sua tomba scavata entro le viscere delle pareti rocciose della Valle dei re nella necropoli tebana a occidente del Nilo. Più piccola di tante altre, questa tomba è l’unica pervenuta intatta. Agli occhi degli scopritori, nel 1922 , si presentò piena di tesori affastellati alla rinfusa. Il trono, due carri, quattro grandi sarcofagi in legno dorato inseriti uno dentro l’altro, canòpi di alabastro che contenevano i visceri del re, le bare d’oro, la maschera funeraria, le sue statue di legno dorato e così via.
Nello schienale d’oro vi è una straordinaria vivacità nell’armonico rapporto dei corpi e dei colori, dove gioca un ruolo determinante la brillante preziosità dei materiali esaltati dal fulgore dell’oro riverberato dal piano di appoggio; e vi è un tono affettuosamente familiare nel gesto della regina e nella posa articolata del faraone comodamente seduto.
Le produzioni di lusso per gli Egiziani non erano solo appannaggio di faraoni e dignitari di rango che le utilizzavano per rendere più piacevole la vita, ma venivano ricercate da tutti perché rendessero sfarzosa e più agiata la vita dopo la morte.
L’arte in cui gli Egiziani veramente eccelsero fu quella dell’oreficeria. L’oro, in queste produzioni assunse un alto valore simbolico: testimoniava l’incorruttibilità, l’immortalità della divinità ed era immagine terrena della luce del sole.Le tecniche più frequentemente utilizzate erano quelle della filigrana (intreccio e saldatura di più fili metallici) e del cesello (strumento con cui si eseguono lavori di fine scultura su metalli).
Di altissima qualità sono le opere in cui, mediante l’incastonatura vengono inserite nelle lamine di metallo prezioso paste vitree e pietre dure come lapislazzuli e i turchesi.
La maschera d’oro di Tutankhàmon è uno dei capolavori di quest’arte.
Con la XIX (1307-1196 a.C.) e con la XX dinastia (1196-1070 a.C.) i templi reali tornano alle forme tradizionali. Spettacolari e grandiosi sono i due templi di Abu Simbel fatti costruire da Ràmses II. Vicini fra loro, uno più grande dell’altro, furono scavati nella roccia, sulla riva sinistra del Nilo, nella Bassa Nubia. Lo spessore roccioso, nel quale fu ricavato il primo, venne tagliato verticalmente per 33 metri di altezza e 36 di larghezza, così da costruirne la facciata, cui vennero addossate quattro statue colossali, rappresentanti Ràmses II seduto, col nèmes e l’urèo sulla fronte, la corona doppia, la barba posticcia, le mani appoggiate sulle gambe. Fra le sue gambe e ai suoi lati, molto minori di statura, sono principi, principesse e la regina Nefertàri.All’interno, via via che si procede verso il fondo, il pavimento si rialza gradualmente e il soffitto si abbassa, in modo da creare un impianto prospettico che rende illusivamente lontano il punto terminale, il sacrario, ove, solo il faraone e il gran sacerdote potevano accedere.
Poco lontano dal grande tempio, sorge il tempio più piccolo, dedicato a Hàthor, dea della fecondità, nelle cui sembianze, sulla facciata,, è raffigurata, insieme a Ràmses II, anche la moglie, la regina Nefertàri, unico esempio di esaltazione femminile in Egitto e di affetto regale in scala monumentale.


Nàrmer, oltre che unificatore del regno, è anche il costruttore di una nuova grande città all’inizio del delta, che i Greci chiamarono Menfi.
Dalla III alla VI dinastia (2650-2150) Menfi è la nuova capitale.Da questo momento ha inizio il periodo dinastico denominato Antico Regno, si tratta di un lungo periodo di eccezionale prosperità, dovuta soprattutto allo sviluppo del sistema di canalizzazione delle acque.
Della grandezza di Menfi, oggi non restano che macerie.Ma a Saqqara, la vicina necropoli, sorge la prima grande piramide in pietra, fatta costruire come sepolcro, da Zòser, fondatore della III dinastia.
E’ attraverso le necropoli che si può comprendere la mentalità, la cultura, la religiosità dell’antico Egitto.
Per gli egizi la tomba è il luogo dove prosegue eternamente la vita di colui che vi è stato deposto.La sua mummia e le statue garantivano al Ka la sopravvivenza.Il Ka,il “doppio” del defunto, entrava e usciva da una falsa porta, dove riceveva le offerte fresche recate sulla soglia per permettere il suo sostentamento.
Le tombe si trovano sulla riva occidentale del Nilo, là dove si spegne la luce del sole, come si spegne la nostra vita, mentre la città dei vivi si trovava sulla riva orientale, dove rinasce ogni mattina il sole, come l’uomo che si rigenera perennemente di padre in figlio.
La sepoltura utilizzata da re e nobili durante la I e la II dinastia fu la mastaba; un monumento formato da una cripta rettangolare di una decina di metri di lunghezza e altrettanti di altezza sulla cui terrazza superiore si apriva un pozzo.Quest’ultimo dava accesso mediante una scala alla camera mortuaria che veniva riempita di detriti; a fianco della cripta era posto un luogo di culto.
La piramide di Zòser è la trasformazione delle mastabe.Al mattone si sostituisce la pietra.A una prima mastaba se ne sovrapposero altre fino a raggiungere 60 metri di altezza.Al centro della costruzione vi era il sepolcro reale.
Si pensa che la piramide sia opera dell’architetto Imhòtep,visir del re,gran sacerdote e medico.
Nel serdab, una specie di camera chiusa, era la statua di Zòser, che, attraverso due fori praticati nella parete, poteva vedere la stella polare e le costellazioni intramontabili; meta del suo viaggio nell’aldilà.Oggi la statua ha perduto il colore originario, ha perduto la protesi degli occhi in cristallo di rocca, ma conserva la sua maestà.E’ il primo esempio di scultura reale a tuttotondo.Il sovrano è seduto sul trono in maniera indissolubile, così da costituire un’unica base a parallelepipedo, dalla quale si erge il busto, rigidamente frontale, l’occhio vigile e acuto, una mano sul petto, l’altra in riposo sulle gambe: pochi volumi squadrati che rendono il senso della potenza sovrana.
Il progetto della piramide raggiunse la sua forma “classica” durante la IV dinastia.Si deve al figlio di Snèfru, fondatore della IV dinastia, Chèope (2551-2528) e ai suoi successori Chèfren (2520-2494) e Micerino (2490-2472), l’erezione delle grandi piramidi di Ghiza, quelle piramidi che sono state oggetto di stupore fin dai più antichi visitatori e che tuttora sono quasi il simbolo dell’egitto antico.
La prima, quella di Chèope, la più antica e la più grande, è il prototipo.Essa presenta l’assoluta perfezione geometrica.
La forma delle piramidi è simile a quella dei raggi del sole, infatti essa è il simbolo del sole, il grande dio Ra, il cui culto divenne preminente a partire dalla IV dinastia.
I testi delle piramidi parlano della trasformazione nel sole del re defunto: il re-Hòrus veniva pertanto associato a Ra, il cui culto principale era nella città che i greci chiamarono Eliòpoli (città del sole), dove esisteva una raffigurazione dell’astro formata da una fenice posata su una base piramidale.
Meno grandi ma altrettanto perfette, le altre due piramidi, quella di Chèfren e quella di Micerino.
Ciascuna di esse ha le facce orientate secondo i quattro punti cardinali per indicare che il Ka del sovrano può dirigersi verso ogni parte del mondo.
Ai piedi della piramide di Chèope, sul lato sud, è stata scoperta una grande barca.E’ probabilmente la cosiddetta “barca solare” che doveva servire al re per il suo viaggio ultraterreno.
Il complesso di Ghiza, simbolo dell’Egitto faraonico, ha come guardiano la Sfinge, una creatura formata da una testa umana e un corpo leonico accosciato; simbolo della forza sovrana.
Il termine Sfinge probabilmente deriva dalle parole egizie “shese ankh”, che significano “immagine vivente”; sembra, infatti, che il suo volto rappresenti il faraone Chèfren.Egli è posto a guardia perenne della propria tomba. La massa pietrosa, alta 20 metri e lunga 73, con le zampe parallele adagiate orizzontalmente come due avancorpi, le superfici levigate, il volto tondeggiante dai grandi occhi fissi verso il sorgere del sole, esprimono la certezza dell’eterno.
Come i sovrani, anche gli alti dignitari dello Stato perpetuano nella propria tomba lo status della vita, ricercando l’eternità.
Anch’essi si fanno riprodurre ieraticamente, seduti immobili, gli occhi rivolti verso la divinità; ma in queste statue c’è qualcosa di più umano.Ad esempio, il gruppo di Rahòtep e Nèfert.Ambedue rigidamente seduti, con il braccio destro disteso sul busto, pur immobilizzati, mostrano una straordinaria vivezza negli occhi, ma anche nella modulazione plastica dei corpi.
E’ interessante notare il colore ocra del corpo di Rahòtep e quello chiaro di Nèfert.Caratteristici di quasi tutte le pitture delle civiltà antiche, i due colori indicano la realtà: gli uomini, che passavano la maggior parte della giornata all’aperto, esposti ai raggi solari, erano certamente abbronzati, mentre le donne, che vivevano nel chiuso delle case, conservavano un incarnato pallido.
Anche la pittura è vivace.La realtà tuttavia, in ossequio alla tradizione artistico-religiosa egizia, è rappresentata bidimensionalmente, scegliendo il profilo per gli animali e la scomposizione e ricomposizione delle varie parti del corpo per gli uomini, con un sistema proporzionale basato sulla divisione dell’intra superfice in un reticolo che organizza e coordina ogni componente.
Gli artisti erano particolarmente educati a questo tipo di rappresentazione e di proporzioni dalle scuole cui partecipavano e che permettevano loro di raggiungere una posizione sociale elevata.L’unità dell’insegnamento giustifica anche l’apparente uniformità dell’arte egizia secondo canoni ripetuti nel tramandarsi la professione di padre in figlio.

L’ETA’ TARDA
Con la XXI dinastia (1070-945 a.C.) ha inizio un nuovo periodo intermedio di lotte interne, divisioni politiche, di cedimenti bellici, finché con la XXV dinastia (712-657 a.C.) si ristabilisce l’unità del regno. Ma è ancora un’epoca di instabilità e di penetrazioni straniere all’interno del paese, che subisce varie sconfitte e che si avvia sempre più al suo declino, fino alla conquista greca di Alessandro Magno (332 a.C.).
Alla morte di Alessandro (323 a.C.), il vasto impero si spezzò in tanti regni quanti erano i diàdochi (successori).
L’Egitto venne assegnato a Tolomeo Lago, fondatore della dinastia tolemaica, la XXXI, destignare a regnare fino a Cleopatra VII, quando, in seguito alla sconfitta della regina e di Marcantonio (31 a.C.), l’intera regione divenne una provincia romana, entrando infine a far parte, nel 395 d.C.), dell’ipero romano d’Oriente.
In Egitto Alessandro fondò, nel 331 a.C., una nuova capitale, Alessandria; che conobbe, accanto a una fervida attività commerciale, una straordinaria fioritura culturale.
Alessandro sentì il bisogno di recarsi presso l’oracolo di ‘Amon per farsi riconoscere figlio del dio, divinizzandosi agli occhi degli egizi come i re del passato. Anche gli imperatori romani verranno divinizzati, in quanto depositari del potere faraonico.
Vi sono, in età tolemaica, alcuni elementi nuovi, come il mure che chiude la sala fino a una certa altezza, collegando fra loro le varie colonne, o come il mammisi (luogo della nascita), un piccolo edificio ove venivano celebrati i misteri della nascita del dio fanciullo.
Esistono anche, nell’età tarda, belle sculture, dove, accanto alla tradizionale fissità egizia, si può riscontrare una nuova forza espressiva; ed esistono, in età tolemaica, teste realistiche di faraoni, che sono ormai lontane dalle caratteristiche locali, per accostarsi ai ritratti della Roma repubblicana, come in pittura, che, come le sculture, hanno ormai acquisito il caratteristico realismo romano.
L’Egitto faraonico ormai non esiste più; ma sopravvive nel ricordo della grandezza passata.

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