Materie: | Appunti |
Categoria: | Storia Dell'arte |
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Data: | 02.05.2001 |
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(Impegno e disimpegno, poetiche e ideologie del fenomeno culturale più dissacratorio di tutto il Novecento)
I primi anni del Novecento segnano, in ogni campo, il distacco dal passato, il balzo verso un avvenire più “tecnologico”. Il nuovo secolo si annuncia, infatti, come il secolo delle più grandi invenzioni della storia dell’umanità: la luce elettrica permette all’uomo di uscire per sempre fuori dal tunnel di una lunga notte che per millenni lo ha condizionato; l’automobile gli consente di provare emozioni, gusti, odori, sensazioni che nessuno prima ha mai sentito; la potenza devastatrice delle armi genera un’esaltata euforia; l’aeroplano sembra coronare l’antico sogno dell’uomo di dominare anche il cielo. Simbolismo e crepuscolarismo avevano già avvertito, anche se in sordina, la crisi del secolo romantico di fronte ad un mondo sempre più movimentato, a un’Europa sempre più aperta grazie al lungo periodo di pace e alle Esposizioni Universali che, oltre all’economia, favorivano lo scambio delle idee. Ma chi se ne rende conto, con chiara coscienza e programmatica provocazione, è Filippo Tommaso Marinetti, fondatore, teorico ed animatore del Futurismo. (Tutta l’avventura futurista inizia, infatti, con il “Manifesto” di Marinetti pubblicato a Parigi nel 1909, con la funzione di propagandare lo stile innovativo di questa vivace corrente artistica e letteraria d’avanguardia sviluppatasi in Italia nel primo decennio del ‘900.)
Se il Crepuscolarismo è una prima forma di avanguardia italiana e un primo timido tentativo, peraltro tutto letterario, di dare una risposta nuova alla tradizione, ripensando la funzione del poeta e del poetare, il Futurismo, invece è un più rivoluzionario movimento d'avanguardia che ha risonanza europea. Il Futurismo, infatti, vuole programmaticamente dare una risposta radicale al “passatismo” della tradizione, coinvolgendo la totalità degli aspetti della cultura e dell’arte: dalla letteratura, alla pittura, alla musica, allo spettacolo, ecc. Vuole porsi come modo di sentire e di vivere, sintonizzandosi con le espressioni tipiche della vita moderna nelle sue variabili più vistose: la tecnica, l'industria, la macchina, la velocità, la massa, la città, la pubblicità, ecc. Nel loro primo proclama, il “Manifesto” del 1909, i Futuristi scrivono: “Noi vogliamo cantare l'amore del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità. Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.”
È evidente il bisogno di vivere globalmente e totalmente, ma spesso acriticamente, la contemporaneità, con una carica dirompente e una furia iconoclasta verso il passato, il vecchio e il tradizionale, con un atteggiamento polemico e provocatorio che faranno del Futurismo il protagonista assoluto e scandalistico del dibattito culturale pubblico tra il 1909 e il 1913.
Il Futurismo nasce ufficialmente quando a Parigi, sulle colonne del “Figaro” del 20 febbraio del 1909, appare il “Manifesto del Futurismo”, a firma di Filippo Tommaso Marinetti.
La scelta della tribuna parigina per il lancio del movimento è azzeccata e si rivela subito una gran cassa di risonanza capace di interessare aree culturali molto lontane, dalla Francia alla Russia dove il Futurismo ebbe altro svolgimento e, a livello letterario, produsse le sue cose migliori.
Nel 1909 esce sul quotidiano parigino “Le Figaro” il primo “Manifesto del Futurismo” contenente i semi fondamentali di questa delirante e fruttuosa esperienza. Punti fondamentali e irrinunciabili della nuova corrente sono l’esaltazione della velocità (“un’automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bella della Vittoria di Samotracia”), la glorificazione della guerra “sola igiene del mondo”, la distruzione “dei musei, delle biblioteche, delle accademie d’ogni specie” per togliere di mezzo una cultura morta che si regge sul “passatismo”, la liberazione dell’Italia “dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologi, di ciceroni e d’antiquarii”. Nessuno ha mai osato dire tanto e così esplicitamente, soprattutto, perché la tribuna dalla quale Marinetti parla non è solo la “provincia” italiana, ma addirittura Parigi. D’altra parte, Marinetti è irriducibile e continua a tuonare provocatoriamente: la violenza e il paradosso estroso delle immagini si reggono su un’estrema pirotecnica del linguaggio, tratto molto spesso dalla nuova realtà industriale del secolo, e reso incalzante da una foga irruente del discorso continuamente arrembante, spiritato, talora profetico e visionario.
Al movimento, accompagnato da fenomeni del gusto e della moda, aderiscono ben presto scrittori e artisti di varia natura e provenienza culturale: i poeti Corrado Govoni e Aldo Palazzeschi, ad esempio, dopo aver attraversato l'esperienza crepuscolare.
Trascurando tutti gli altri innumerevoli campi in cui il Futurismo porta le sue regole della trasgressione e della novità, un ruolo particolarmente significativo svolge il Manifesto del Teatro di Varietà del 1913, ancora una volta firmato da Marinetti. La scelta è di nuovo dissacrante e provocatoria; dopo aver proclamato il proprio “schifo” per il teatro contemporaneo “minuzioso, lento, analitico e diluito, degno tutt’al più della lampada a petrolio”, Marinetti rivela i pregi del Varietà: “distrugge il Solenne, il Sacro, il Serio, il Sublime dell’Arte coll’A maiuscola”. La furia iconoclasta continua, la volontà di cambiare il mondo non si è ancora calmata. “Il Futurismo – scrive ancora Marinetti – vuole trasformare il Teatro di Varietà in teatro dello stupore, del record e della fisicofollia”.
Uno stato di volontaria allucinazione, dunque, che dà frutti buoni e meno buoni. Da un lato una frenetica attività, davvero una passione, che sconvolge l’Europa intera, approdando perfino nella lontana Russia (si pensi a Blok, Esenin, Majakovskij); dall’altro un entusiasmo talora un po’ epidermico per l’esaltazione della forza e della violenza che porta i futuristi, dietro il capofila Marinetti, a impegolarsi con l’esaltazione della guerra “sola igiene del mondo” e con l’avventura fascista che si presenta proprio con i caratteri roboanti così cari al movimento. Tuttavia bisogna osservare che vera e propria adesione politica al verbo mussoliniano si può forse attribuire solo a Marinetti, mentre la “corte futurista” badava probabilmente di più ad ottenere fama e commesse grazie all’illustre amicizia. Certamente un pizzico di opportunismo e qualche illusione da “grandeur” devono aver giocato un ruolo importante nella compiacente adesione al nuovo regime che, capace di ridare a Roma un impero, sembra promettere seriamente di consentire quella “Ricostruzione futurista dell’Universo” teorizzata nel 1915.
Nato in Francia nel 1910 da genitori italiani, il Futurismo ebbe risonanza europea e costituì una nuova ventata rivoluzionaria che scosse l’ambiente dell’arte. Il clima in cui maturò l’avventura futurista era dominato da un rapido sviluppo sia della scienza che delle nuove tecnologie, sotto la pressione dei grandi interessi industriali e finanziari. La realtà del primo Novecento, infatti, appare caratterizzata dalla macchina, dalle masse operaie emergenti, dalla metropoli che si diffonde a “macchia d’olio”; e ancora, dall’automobile e dall’aereo, simboli di una velocità sempre più frenetica, dal telegrafo, dal telefono, dal cinema, simboli delle accelerate comunicazioni di massa.
E sono proprio i modelli di questa nuova realtà ad attirare l’attenzione e la simpatia dei futuristi: le macchine, i grandi complessi industriali, le città moderne, la velocità, il telegrafo, il telefono, il cinema ed, infine, l’automobile, nuovo mito nascente, ne sono alcuni esempi. Il Futurismo celebrò il mito della macchina e della velocità e la concezione della guerra come “sola igiene del mondo”.
È in questo quadro storico che l’intellettuale vive lo “shock della modernità”, cui cerca di reagire con risposte diversificate. Quale la risposta dei futuristi? Essi si fanno banditori e sacerdoti della nuova civiltà nel bene e nel male, esaltandone alcuni vistosi aspetti, quali la velocità, la simultaneità, l’automobile che è il nuovo fascinoso mito destinato a tanto avvenire. Compreso l’inarrestabile sviluppo della nuova realtà portata dalla macchina e l’impossibilità di esorcizzarla, i futuristi aprono la via all’esaltazione, spesso indiscriminata, della civiltà industriale e urbana.
Una volta accettata questa logica, i futuristi promuovono un violento attacco contro l’arretratezza delle strutture socio-economiche del paese, contro la mancanza di un profondo sviluppo tecnologico che, in quegli anni, tanto ancora differenzia il clima nazionale dal clima metropolitano europeo. Scatenano la loro violenza “travolgente e incendiaria”, i loro artifici provocatori contro tutto ciò che è di ostacolo a un nuovo progresso industriale e alla dimensione del moderno. Attaccano anche il vecchiume delle istituzioni culturali e letterarie, lo stagnante culto dell’arte, l’umanesimo antiproduttivo del poeta.
Il Futurismo, contro la cultura e l’arte tradizionale, propugnò una nuova estetica ed una nuova concezione di vita, fondate sul dinamismo come principio – base della moderna civiltà industriale. Marinetti aggredì gli schemi arcaici e vincolanti della cultura tradizionale con violenza ed asprezza e ne attuò una impetuosa corrosione.
I futuristi, quindi, rinnegarono il passato e guardarono alla realtà dell’era meccanica, nella quale tutto si muove, tutto corre. Nacque da ciò l’esigenza di dipingere l’oggetto in movimento, o meglio il movimento stesso degli oggetti nello spazio, creando composizioni in cui sono resi concreti dinamismo, velocità, suoni, odori, rumori; gli oggetti, in tal modo, venivano rappresentati con un procedimento molto simile a quello attuato dai cubisti che, sulla superficie piana della tela, scomponevano l’oggetto nei suoi volumi, in tutte le sue parti, visibili e nascoste, riducendolo quasi ad una sequenza di forme geometriche organizzate in una visione simultanea nel tempo e nello spazio. Si tratta di immagini che si deformano in un turbine di linee, forme e colori, dentro il quale lo spettatore si sente quasi trascinato. (Per rendere evidente questa esplosione di movimento e velocità i futuristi scomposero e costruirono le immagini con un procedimento molto simile a quello adottato dai Cubisti.)
Al di là di ogni pericolosa e ambigua esaltazione, resta comunque che oggi tutta la critica riconosce che il Futurismo italiano è stato il movimento d’avanguardia più innovativo del Novecento anche a livello europeo. Ripulito dalle incrostazioni di regime, esso viene così riconsegnato ad una dimensione artistica più propria, di sicuro più asettica e meno manichea, caratteristica di un processo di rivalutazione che, attraverso un pullulare di mega-mostre e convegni, sembra contraddistinguere questi iperattivi anni Ottanta.
(La rivoluzione formale) Marinetti, eccezionale protagonista-organizzatore-agitatore, fece seguire a quello dei 1909 altri manifesti: il “Manifesto tecnico della letteratura futurista” (11 maggio 1912) e “Distruzione della sintassi - Immaginazione senza fili - Parole in libertà” (11 maggio 1913).
Nel 1912 Marinetti pubblicò il “Manifesto tecnico della letteratura futurista”. Il suo scopo era essenzialmente quello di liberare la poesia dagli schemi e dai modelli arcaici e vincolanti della cultura tradizionale. Rinnegando il passato Marinetti intendeva rivolgere la poesia al futuro: di qui il nome del suo movimento, appunto il “Futurismo”.
Anche il linguaggio deve essere rivoluzionario se si vuole condurre fino in fondo il processo di definitiva rottura con la tradizione: la parola deve essere foneticamente, graficamente e sintatticamente liberata: “Bisogna distruggere la sintassi… si deve usare il verbo all’infinito… si deve abolire l’aggettivo… l’avverbio… anche la punteggiatura… ogni sostantivo deve avere il suo doppio… c’è bisogno di analogie sempre più vaste… non vi sono categorie d’immagini… distruggere nella letteratura l’io”. Questi i capisaldi del “Manifesto tecnico della letteratura futurista” del 1912, secondo i cui principi Marinetti scrive il poemetto parolibero “Zang Tumb Tumb”, l’“Assedio di Adrianopoli”, dove l’ardore e il fragore della battaglia, il crepitare della mitragliatrice, il sibilo delle pallottole, il rombo del cannone sono resi con invenzioni sia fonetiche che grafiche del tutto inedite.
Importante risulta l’operazione futurista nel liquidare i valori culturali della vecchia borghesia preindustriale, già avviata in tono minore dai crepuscolari, e nel prospettare, non senza ambiguità, un orizzonte di valori culturali e letterari aderenti alla nuova realtà industriale. Ma l'operazione più efficace, linguisticamente e letterariamente parlando, i futuristi la svolgono sul piano tecnico-formale. Mentre i crepuscolari prendono, più di quanto non danno, dalla lingua letteraria e dalla lingua parlata, l'esperienza futurista invece incide in maniera più efficace.
Possiamo così riassumere le nuove proposte linguistiche di Marinetti e dei futuristi: distruzione della sintassi, della punteggiatura, dell'aggettivo, in particolare dell'aggettivo qualificativo, dell’avverbio, della letteratura dell'io.
E ancora, i futuristi recuperano e utilizzano l'onomatopea, l'immaginazione senza fili, l'analogia, l'aggettivo semaforico, il verbo all'infinito, il verso libero, le parole in libertà, lo sperimentalismo grafico.
(Il Futurismo predilesse lo sperimentalismo delle onomatopee, ossia quei suoni che imitano la natura, delle immagini e delle parole in libertà.) Nei futuristi troviamo la volontà di rifiutare il passato e l’esigenza di rinnovare il linguaggio artistico per adeguarlo ai tempi nuovi. In letteratura, infatti, i futuristi proposero una rivoluzione formale basata, oltre che sulla distruzione della sintassi, della punteggiatura, dell’aggettivo, dell’avverbio, anche su una nuova disposizione delle parole “in libertà”, anticipando in tal modo il “Dadaismo”. Si tratta di un movimento artistico e letterario d’avanguardia, sorto a Zurigo nel 1916. Siamo nel periodo della prima guerra mondiale: le distruzioni, la morte, il dolore che il conflitto lascia dietro di sé e il crollo di ogni valore spirituale provocano in un gruppo di artisti, poeti e scrittori pacifisti per lo più profughi, provenienti da varie nazioni e di differenti ideologie, tutti impegnati in una intensa propaganda contro la guerra e rifugiatisi a Zurigo, un gesto di protesta violenta, di accusa e di rivolta contro la società ed i miti da essa costruiti come la cultura tradizionale e le convenzioni sociali. Nasce così il movimento Dada la cui parola, probabilmente presa dal linguaggio infantile, nella sua insignificanza, vuole significare il rifiuto radicale di quel gruppo per ogni atteggiamento razionalistico. Il movimento Dada fu dunque il violento disgusto di intellettuali ed artisti per l’assurdità e l’orrore della guerra; fu un preciso impegno anticonformista; fu la rivolta antiautoritaria che divenne nelle opere di quegli artisti violenza provocatoria; fu la rivolta contro una società impositiva ed alienante che tutto valutava in rapporto alla logica del profitto; fu un’intransigente negazione verso l’arte, al fine di costruirne una nuova, in radicale opposizione a quella tradizionale, o meglio una “anti–arte” che fosse contestatrice, provocatoria, ironica.
Dobbiamo riconoscere a Marinetti e ai futuristi la prospettiva di un nuovo uso del linguaggio poetico e non poetico, il sincero bisogno di rinnovamento formale, oltre che tematico, che veniva a saldarsi con le esigenze dei nuovi linguaggi tecnologici. Lo snellimento sintattico, la tecnica dell'analogia, le parole in libertà segnano uno dei momenti fondamentali nell'evoluzione della poetica moderna e influenzeranno l'evoluzione della lingua fino ai giorni nostri. D'altra parte, però, non possiamo neppure tacere i limiti di un'esperienza che spesso si risolve nei giochi di parole, in smania distruttrice, in puro sperimentalismo grafico. All'efficace azione distruttiva di certi schemi non si affiancò un'altrettanto efficace azione ricostruttrice di schemi diversi. Mancò a questi poeti la coscienza che la lingua, oltre che creazione, è anche costrizione, convenzione necessaria.
FUTURISMO