Giotto compianto sul Cristo morto

Materie:Tema
Categoria:Storia Dell'arte

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Testo

AUTORE: Giotto di Bondone
TITOLO DELL’OPERA: Compianto su Cristo morto
DATAZIONE: 1304–1306 circa
COLLOCAZIONE: Cappella degli Scrovegni, Padova
TECNICA: Tempera ad affresco
COMMISIONE: di Enrico Scrovegni
AUTORE:
Giotto di Bondone nasce probabilmente intorno al 1267 nei pressi di Vespignano,in Toscana da una famiglia contadina. Egli si trasferì giovanissimo a Firenze dove fu accolto nella bottega di Cimabue. Infatti si racconta che Giotto sia stato “scoperto” proprio da Cimabue mentre era intento a disegnare su di una pietra le pecore del proprio gregge. Giotto, col passare del tempo imparò nella bottega l’arte della pittura fino a diventare un artista autonomo e originale, tanto da superare il proprio maestro. Anche Dante nella Divina Commedia nel canto XI del Purgatorio dice ricordando il suo contemporaneo:” Credette Cimabue nella pittura / tener lo campo, e ora a Giotto il grido, / sì che la fama di colui è scura.”. Giotto infatti divenne così famoso che venne chiamato con i suoi numerosi allievi a lavorare in molte città italiane. Il suo primo lavoro gli venne commissionato verso il 1290/1300 ad Assisi nella basilica di San Francesco dove dipinse “le storie di Isacco”. Nel 1299 quando ancora deve terminare i lavori ad Assisi, Giotto viene chiamato a Roma dal Papa BonifacioVIII, in occasione del giubileo indetto per l’anno successivo, dove realizza gli affreschi del ciclo della Basilica di San Giovanni in Laterano. Passati i trent’anni Giotto è ormai un maestro affermato che disponeva di una bottega ed aveva già raggiunto una certa prosperità economica. Nel 1287 si sposa con Ciuta di Lapo del Pela dalla quale avrà quattro figli. Primo fra i pittori toscani tra il 1303 ed il 1306 viene chiamato a lavorare a Padova a servizio di Enrico Scrovegni, esponente di una delle più importanti famiglie della città. La costruzione della cappella fu iniziata con tutta probabilità nel 1302 e venne poi consacrata verso il 1303. L’edificio è realizzato in semplice materiale laterizio, si presenta come un’aula rettangolare di dimensioni non particolarmente ampie. La facciata è a capanna e presenta al centro un’ampia trifora; l’aula è coperta da una volta a botte a tutto sesto. All’interno, la decorazione della cappella segue un complesso programma iconografico, incentrato sulle storie della Vergine e di Cristo. La volta a botte presenta, entro scudi, su di uno sfondo a cielo stellato, le figure a mezzo busto della Madonna con il bambino, del Cristo benedicente e di profeti e santi.
Nella fascia inferiore delle pareti sono dipinte a monocromo quattordici figure allegoriche dei vizi e delle virtù, identificate dal nome in alto; infine i quadri con le storie evangeliche.
Per gli anni che vanno dal 1328 al 1333, i registri della Cancelleria del Regno di Napoli attestano a favore di Giotto pagamenti ed donazioni da parte del re Roberto d’Angiò, per il quale eseguì importanti opere, tutte perdute, in Castel Nuovo e a Santa Chiara. Successivamente si trasferì a Firenze dove fu nominato capomastro dell’opera del Duomo di Firenze per la costruzione del campanile, ma l’8 gennaio 1337 Giotto muore all’età di settant’anni.
La sua grande fama è legata al fatto che con la sua opera compì una vera e propria rivoluzione nella pittura del tempo. I suoi dipinti, infatti, non rappresentano uomini astratti, schematici e immobili, come avveniva nella pittura della tradizione bizantina; ma uomini ben proporzionati e modellati dalla luce e dall’ ombra, che sembravano muoversi, gioire e soffrire come uomini veri. Giotto eliminò inoltre il fondo d’oro che esprimeva la sacralità delle scene, sostituendolo con ambienti o paesaggi che appaiono reali, pur nella loro semplicità, grazie alla rappresentazione tridimensionale dello spazio. Giotto non volle quindi riprodurre un mondo ideale, ricco, elegante e raffinato, ma semplicemente intese riprodurre il mondo del suo tempo con una concretezza tutta nuova.
L’OPERA:
“Giuseppe di Arimatea, discepolo di Cristo, chiese a Pilato, di nascosto, per timore dei Giudei, di prendere il corpo di Cristo. Pilato lo concesse ed egli andò, portando con sé Nicodemo. Presero il corpo di Gesù, lo avvolsero in bende intrise di oli aromatici e lo deposero in un sepolcro nuovo, posto in un giardino vicino al luogo della crocifissione”. Questo è il racconto di Giovanni ( 19,38-42), che Giotto interpreta in uno dei quadri più drammatici poiché, vuole mostrare il dolore, per rendere lo spettatore più partecipe. Il realismo prospettico con il quale i soggetti sono immersi nello spazio, rivela il cambiamento che Giotto porta nella pittura di quel tempo, sostituendo allo spazio bidimensionale dell’arte bizantina e alto Medioevo con quello tridimensionale e naturalistico della tradizione classica. Il dipinto è percorso do una diagonale rappresentata tridimensionalmente dal colle che consente di dividere lo spazio della scena nel Compianto e nello spazio paesaggistico. Il paesaggio è cupo e sembra rappresentare il dialogo tra la morte e la vita. In alto sospesi in un cielo blu troviamo dieci angeli in volo disposti in modo quasi equidistante, che si catapultano acrobaticamente, proprio come succedeva, tramite vari marchingegni, nel teatro del tempo, esprimendo un dolore molto umano, ciascuno diverso dall’altro. Il cielo diventa sfondo tridimensionale che fa pensare alla profondità e ad una natura che assiste immobile alla dinamica delle azioni, delle espressioni e degli stati d’animo.
Nella zona del Compianto In primo piano si colgono due figure femminili il cui volto non è visibile poiché entrambe sono rappresentate di spalle, coperte da un lungo manto verde. La prima, posta a sinistra dell’osservatore, è ritratta accovacciata, curvata nella schiena, con la testa china, in atto di dolore. Volge idealmente lo sguardo abbassato a destra, in direzione del volto di Cristo, da lei poco distante. La seconda figura centrale assume, analogamente alla prima, la medesima postura, con la differenza che la direzione cui volge lo sguardo è frontale, anche se lo scorcio rivela una posizione del corpo di tre quarti, rivolto a sinistra della composizione. Della prima figura si intravede la gamba destra, della seconda la sinistra. Tutte e due le donne siedono a terra e partecipano compostamente alla scena. In secondo piano si compie l’atto di dolore più intimo ed espressivo della Madonna sul corpo di Cristo. Cristo non è adagiato sulla terra nuda, il suo corpo è leggermente sollevato e giace parzialmente sulle ginocchia della Vergine (posta a sinistra del dipinto rispetto l’osservatore) che abbraccia spalle e busto del figlio, avvicinando il proprio volto al suo. Cristo, parzialmente nascosto in prossimità del bacino e delle gambe dal corpo della figura femminile centrale, collocata in primo piano, ha un incarnato pallido e sembra rigido. Il figlio di Dio occupa quasi i tre quarti della larghezza del dipinto. Il suo volto è tipicamente gotico, mentre l’anatomia del suo corpo rivela già un avvicinamento di Giotto all’arte classica, quindi alla tradizione latino romana. La figura di Maria Maddalena, ai piedi di Cristo, è inconfondibile. La femminilità che la connota nasce da piccoli accorgimenti, dettagli che riguardano la capigliatura, folta e non completamente raccolta, né nascosta da alcun velo. Maria Maddalena è vista di profilo; il suo corpo, in prossimità del busto risulta coperto da una veste dal colore chiaro.
La posizione assunta, iconograficamente, è di grande innovatività; Maddalena infatti viene rappresentata seduta, con le gambe allungate e leggermente flesse, coperte da un manto rosso e poste a contatto parziale con la terra, quindi, idealmente, con il corpo di Cristo. I personaggi aureolati sono solo quelli investiti dalla sacralità e dalla santità, tutti gli altri sono uomini e donne comuni, che assistono tristemente, sia pur turbati, al compianto. Maria Maddalena sorregge delicatamente i piedi di Cristo e piange. La bocca schiusa, i lineamenti regolari, l’allungamento dell’occhio a forma di mandorla, sono tutti tratti che enfatizzano la sua bellezza ed emotività. In terzo piano si collocano Maria di Cleofa e Maria Salomè: entrambe le figure esprimono apertamente il loro dolore, sono ritratte una in piedi, collocata a sinistra rispetto l’osservatore e in posizione retrostante il volto di Cristo, con manto azzurro viola e braccio destro sollevato in atto di dolore, l’altra al centro, in posizione china sul corpo di Cristo, colta nell’atto di sollevarne dolcemente le braccia sostenendo i polsi, quasi a voler perpetuare un ultimo, possibile contatto con il Messia. Il corpo di Maria Salomè è straordinariamente espressivo, il viso rivolto a quello di Gesù, drammatico nella sua espressività, trattiene con la realtà del dolore un rapporto di somiglianza e identità. Maria Salomè ha il capo parzialmente coperto dal manto. In quarto piano appare l’immagine toccante di Giovanni Evangelista; la postura assunta è di grande suggestione. Braccia spiegate e tese dietro al busto, viso teso in direzione del volto di Cristo. Giovanni è ritratto nella sua giovane età come Maddalena, Maria di Cleofa e Maria Salomè. Giovanni si apre a un’espressione di dolore eloquente, è ritratto di profilo e l’espressione del viso ricalca la tipologia degli altri volti sofferenti. Giotto sottolinea la partecipazione emotiva dei personaggi, esaltandone l’espressività senza portarsi a una lettura esasperata dell’espressività. Appena retrostanti a Giovanni Evangelista troviamo, nell’ordine, dal centro verso il margine destro della scena, le figure di Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo. Entrambi raffigurati in posizione composta, in piedi. Giuseppe d’Arimatea è caratterizzato da una folta barba e dalla nuca stempiata, Nicodemo da una barba più contenuta. A sinistra rispetto alla composizione, dove i piani di posa si susseguono progressivamente, troviamo un’altra donna piangente, la sua posizione è eretta e il capo reclinato a destra è sorretto dalle mani giunte, secondo una tipologia posturale diffusa nell’iconografia del Compianto. Alle spalle della donna una piccola folla di fedeli, appena visibile, chiude la scena e allude a un ipotetico corteo. Però il vero protagonista dell'affresco è in realtà lo spazio, abilmente misurato, anzi calcolato al punto che i protagonisti possono muoversi solo al suo interno, come ne fossero prigionieri. I soggetti si sovrappongono a vari livelli: dalle due donne anonime agli angeli incorporei con sguardo umano; l'artista ha aumentato questi livelli artificiosamente, dipingendo delle teste di pie donne senza corpo, allargando le braccia di Giovanni, che quasi toccano la roccia: il tutto per dare un certo effetto di tridimensionalità, come se lo spettatore avesse di fronte a sé una rappresentazione teatrale, in cui però il costone di roccia con l'albero rinsecchito pare svolgere una funzione di pura scenografia.Un'ultima osservazione vogliamo farla sul costone di roccia, che pare una sorta di linea di compromesso tra l'umano e il religioso e non soltanto un elemento compositivo. E' troppo dominante per potergli attribuire una funzione decorativa, e sarebbe riduttivo interpretarlo semplicemente da un punto di vista tecnico, come una soluzione spaziale innovativa. Esso in realtà ha una funzione simbolica, in quanto rappresenta la coscienza cristiano-borghese dell'artista Giotto, che da un lato vorrebbe emanciparsi totalmente dal religioso e dall'altro non se la sente di farlo, perché perderebbe la committenza. Di qui l'idea di tenere separati i campi, lasciando ad altri il compito di una maggiore coerenza.
PANORAMICA DEL DIPINTO:
Osserviamo ora gli assi che compongono le varie figure presenti nell’affresco.

Rappresentazione semplificata delle figure che
appartengono alla scena

Esempio