futurismo

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Categoria:Storia Dell'arte

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IL RINNOVAMENTO RADICALE DELLA SOCIETà
Il movimento d’avanguardia di maggiore carica eversiva nacque quando il letterato italiano Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944) pubblicò su “Le Figaro” (un quotidiano francese) del 20 febbraio 1909, il Manifesto del futurismo.
Da allora molti giovani artisti, con sorprendente rapidità, si allinearono sulle stesse posizioni, tanto che, negli anni successivi, uscirono altri manifesti, relativi alle singole arti.
È del 1910 il Manifesto dei pittori futuristi, firmato da Boccioni, Carrà, Russolo, Severini e Balla; dello stesso anno è il Manifesto tecnico della pittura futurista, sottoscritto da Boccioni, Carrà, Balla, Russolo e Severini; al 1912 risale il Manifesto tecnico della scultura futurista, scritto da Boccioni; il Manifesto dell’architettura, del 1914, si deve ad Antonio Sant’Elia.
Va aggiunto anche che molti artisti come Sironi, Morandi, Rosai e Licini, pur essendosi avvicinati in una fase della loro produzione al futurismo, variamente superarono queste posizioni, considerandole momenti ormai conclusi delle loro esperienze.
Il futurismo si contrapponeva alla cultura tradizionale (il cosiddetto “passatismo”), e lanciava la sfida di un rinnovamento totale, radicale, nelle arti e nella vita sociale e politica.
Tale mutamento era considerato inevitabile, e direttamente collegato con la nuova realtà della civiltà industriale, dominata dalla macchina, dai miti della velocità e del progresso.
Ma nonostante il rifiuto dei legami con il passato e le velleità di fare tabula rasa della cultura precedente, il movimento manteneva non pochi sotterranei legami con le estetiche romantiche e postromantiche.
Al futurismo arrise un notevole successo, grazie anche all’abile regia con cui i suoi esponenti ne seppero divulgare le tematiche in mostre all’estero e in appositi incontri, le famose “serate” futuriste, durante le quali il pubblico era provocato attraverso la ridicolizzazione delle convenzioni borghesi e dei valori consolidati. Questo spirito anticonformista (pure legato a esperienze ottocentesche, come per esempio la “scapigliatura”), rozzo e non privo di infantilismo, costituiva un’anticipazione di atteggiamenti che si sarebbero sviluppati nelle altre avanguardie europee, e presupponeva l’intuizione del carattere accademico, morto, di tanta parte della cultura ottocentesca.

SPERIMENTAZIONE TOTALE E ANARCHIA
La disponibilità per il nuovo e l’apertura mentale favorirono lo sperimentalismo futurista nei vari campi: dalla letteratura (le parole in libertà delle poesie di Marinetti, l’“immaginazione senza fili” e l’uso sistematico dell’analogia, le rivoluzionarie proposte grammaticali) alle arti, nessuna esclusa: numerose le ricerche proposte nel campo grafico, musicale, fotografico, cinematografico. Problema centrale per il futurismo, come delle altre due avanguardie a esso collegate del vorticismo inglese e del sincromismo americano, era la rappresentazione del movimento, l’espressione cioè della mutevole dimensione temporale: di qui l’adozione di tecniche adeguate a questi scopi, come l’iterazione e la scomposizione. Significativa risulta poi la scelta delle tematiche, che sono sempre legate alla realtà contemporanea, a situazioni e ambienti urbani, spesso di tono provocatorio e, in qualche modo, politico.
Dal punto di vista politico, i futuristi furono certamente degli artisti impegnati, soprattutto nell’interventismo bellico in relazione alla prima guerra mondiale, ma in termini piuttosto velleitari e di scarsa consapevolezza, tanto che i loro destini politici furono spesso molto distanti, qualche volta opposti. La critica ha messo il movimento in relazione con il fascismo, interpretando quindi gli aspetti del nazionalismo e del radicalismo futurista come anticipazioni di simili posizioni del ventennio. Non tutti i futuristi ebbero però un medesimo credo politico; il comune denominatore del movimento fu una sorta di anarchismo, poco assimilabile al successivo culto dello Stato etico.

VARIETà STILISTICHE DEL LINGUAGGIO FUTURISTA
Sul piano delle arti figurative, il futurismo presenta problematiche comuni, ma stilisticamente appare piuttosto differenziato nelle opere dei suoi principali esponenti. Lo stile di Boccioni è drammatico, acceso dal cromatismo, mentre Severini si vale di una colorazione minuta, con effetti di brio e di leggerezza. Balla risente della tecnica fotografica di Anton Giulio Bragaglia e dei suoi studi per riprodurre il movimento in fotografia (fotodinamica), mentre lo stile di Depero è giocoso e fantastico. Che il futurismo non fosse tanto omogeneo è dimostrato anche dalle polemiche e divisioni interne. A Milano nel 1914 si formò il gruppo Nuove tendenze, che del futurismo rappresentò una sorta di variante moderata; a Firenze portavoce dei futuristi fu per un certo tempo il periodico “Lacerba”, che adottò il tono provocatorio tipicamente marinettiano in nome del culto dell’individualità e del nazionalismo. La figura preminente nell’ambiente fiorentino fu quella di Ardengo Soffici, che nei soggiorni giovanili a Parigi aveva approfondito la lezione di un altro movimento d’avanguardia, il cubismo.

RITORNO AI VALORI DELLA TRADIZIONE
Lo scoppio della guerra segnò un periodo di grande impegno per il movimento futurista che, essendo apertamente interventista, utilizzò tutte le proprie energie per la propaganda bellica. Ma la stagione creativa del futurismo, almeno per quanto riguarda l’arte figurativa, volgeva al termine, e probabilmente fu proprio la guerra ad accelerarne la conclusione. Boccioni morì nel 1916, ma le sue ultime opere si caratterizzavano già per una sorta di ritorno all’ordine; nello stesso anno Severini aveva recuperato una misura classica e si era orientato più decisamente verso il cubismo; e anche tutti gli altri artisti, che in qualche modo avevano sentito l’influenza futurista, da Mario Sironi a Giorgio Morandi, da Achille Funi a Ottone Rosai, si orientarono su strade diverse.

I MANIFESTI FUTURISTI
Il 20 febbraio 1909 sul quotidiano parigino “Le Figaro” compariva il manifesto di fondazione del futurismo, firmato da Filippo Tommaso Marinetti. Ogni nuova creazione o azione – viene affermato – nasce ora dalla “bellezza della velocità”; musei, biblioteche, città “venerate”, accademie devono essere distrutti, perché frutto di una cultura tradizionalista. L’arte nata dal progresso deve sostituire tutte le forme artistiche del passato, anche di quello più recente, perché stantie e immobili.
Al progetto aderisce un gruppo di giovani pittori: Umberto Boccioni (1882-1916), Luigi Russolo (1886-1947) e Carlo Carrà (1881-1966). Il Manifesto dei pittori futuristi esce subito dopo, 1’11 febbraio 1910, ed è firmato anche da Gino Severini (1883-1966) e Giacomo Balla (1871-1958). Scritto di getto dopo l’incontro con Marinetti, esprime con violenta aggressività i nuovi ideali artistici. Nel Manifesto tecnico dell’11 aprile si dichiara ancora il distacco dalla pittura tradizionale e realista, si proclama l’avvento di una nuova poetica: quella della “sensazione dinamica”. Viene frantumata la concezione spaziale del passato: “Lo spazio non esiste più. La costruzione dei quadri è stupidamente tradizionale. I pittori ci hanno sempre mostrato cose e persone poste davanti a noi. Noi porremo lo spettatore al centro del quadro”. Viene anche espressa una nuova teoria sul colore: “Il volto umano è giallo, è rosso, è verde, è azzurro, è violetto. Le nostre sensazioni pittoriche non possono essere mormorate. Noi le facciamo cantare e urlare nelle nostre tele che squillano fanfare assordanti e trionfali”.

ALLA RICERCA DI UNA VIA: L’ADESIONE AL FUTURISMO
Sarà soltanto a partire dal 1911 che si potrà parlare di vera e propria pittura futurista. Fino alla fine del 1910, Boccioni oscilla ancora tra un esasperato espressionismo di influenza munchiana e un puntinismo alla Seurat; Carrà lotta tra un accademismo di stampo ottocentesco e le nuove ricerche sul colore; Russolo rimane legato a idee simboliste; Severini è fortemente attratto dalla pittura postimpressionista francese. Anche le prime opere “futuriste” dipinte nel 1910 risultano ancora strettamente derivate dal divisionismo.
Nella primavera del 1910 i primi dipinti futuristi vengono pubblicamente presentati a Milano, presso la Mostra d’arte libera organizzata negli ex padiglioni della fabbrica Ricordi. Nel contesto di questa grande esposizione, una piccola sezione è dedicata appunto ai futuristi Boccioni, Carrà e Russolo. In La città che sale, un dipinto di sapore simbolista, Boccioni rappresenta in un vortice di colore, frammentato da pennellate oblique e filamentose, la tensione di uomini e animali. Carrà e Russolo espongono opere realizzate secondo la nuova espressione della forma, aderendo “al concetto sinfonico delle masse, del peso e del volume”. Un attacco inaspettato viene da una violenta recensione firmata sulla rivista “La Voce” da Ardengo Soffici, un giovane letterato fiorentino vicino agli ambienti dell’avanguardia parigina. I futuristi organizzano una sorta di spedizione punitiva a Firenze contro Soffici; la lite viene però presto ricomposta e i contendenti saranno presto uniti nel nome del futurismo.

LA PRIMA DIFFUSIONE DEL FUTURISMO
In seguito alla pubblicazione del manifesto nel 1909, Marinetti decide di propagandare il movimento futurista e di farlo conoscere con un’azione promozionale di vasto respiro.
Viene progettata una mostra a Parigi presso la Galerie Bernheim-Jeune; Boccioni e Carrà raggiungono Severini nella capitale francese, dove vedono per la prima volta le opere dei cubisti.
Nel febbraio del 1912 l’esposizione viene finalmente inaugurata. Nella prefazione al catalogo, gli artisti futuristi sottolineano la divergenza dal cubismo per la sua espressione giudicata statica; essi, in alternativa, affermano di voler ricercare “uno stile del movimento” in opposizione alla visione analitica francese. Viene nuovamente chiarita la loro posizione teorica: “Per far vivere lo spettatore al centro del quadro, bisogna che il quadro sia la sintesi di quello che si ricorda e quello che si vede”.
E ancora essi affermano: “Se dipingiamo le fasi di una sommossa, la folla irta di pugni e i rumorosi assalti della cavalleria si traducono sulla tela in fasci di linee che corrispondono a tutte le forze in conflitto secondo la legge di violenza generale del quadro”.

IL GRUPPO STORICO DELLA PITTURA FUTURISTA
Alla chiarezza delle idee esposte dai futuristi nei loro manifesti, viene man mano a corrispondere un programma figurativo più aggressivo. In Boccioni, in particolare, forma e spazialità si amalgamano sinteticamente con il colore, analizzato in nuove combinazioni di complementari, contrasti di toni, deformazioni espressionistiche. La rappresentazione frantumata, spezzata, rifratta si ricompone in un vortice di luminosità e in una forte tensione ascensionale. Tuttavia, la scomposizione del soggetto non è intesa a creare una diversa dimensionalità, né Boccioni cerca di costruire una realtà che dell’oggetto conservi unicamente la memoria. Egli mira piuttosto a dilatare lo spazio attraverso elementi formali che sottolineino la tensione dinamica del soggetto in rapporto all’ambiente circostante. Negli Stati d’animo Boccioni ricerca uno stile per tradurre in immagini sensazioni ed emozioni: le linee diventano un prolungamento dinamico dello stato d’animo del soggetto, una trasposizione oggettivata di una percezione. Negli Addii (1911) la visione appare confusa e caotica: la locomotiva s’incunea in un aggrovigliato gioco di linee ondulate e orizzontali, che ricordano il disordine della partenza e simulano abbracci convulsi. In Quelli che vanno velocissime pennellate oblique sottolineano la traiettoria del treno in corsa, mentre in Quelli che restano prevale la linea verticale della stasi. In Carrà lo spazio viene scandito da ritmi lineari più accentuati, e anche la struttura formale dell’oggetto risulta approfondita. I colori sono più pacati rispetto a quelli di Boccioni, attutiti dalla preoccupazione di dipingere un insieme uniforme. In tal modo Carrà crea un magico equilibrio di forme e colori, soffermandosi soprattutto sull’elemento compositivo e dando, quindi, una sensazione di moto sospeso. Ne La Galleria di Milano (1912) le forme si susseguono in un ritmo dinamico che tende a superare il puro dato visivo; la figurazione viene eliminata per fare emergere la vibrante energia della materia. Nelle opere futuriste di Russolo non perde forza l’eco simbolista che risuonava in tutta la sua produzione precedente. Ricordo di una notte (1911) dipinge un’apparizione, un sogno, in cui le figure spettrali si muovono nella città deserta. Tra i futuristi, Russolo concede all’immaginazione e alla fantasia lo spazio maggiore, grazie alla descrizione lineare di colori e luci, in un surreale gioco di movimenti. Nel Dinamismo di un’automobile (1912-1913) la composizione si semplifica in una successione di forme triangolari che simulano il moto della folla e della macchina. Balla rappresenta invece il movimento con un approccio più analitico, contemplando nel tempo lo spostamento spaziale dell’oggetto. In Dinamismo di un cane al guinzaglio o nelle Mani di un violinista, realizzati tra il 1911 e il 1912 egli registra la successione del movimento del guinzaglio, dei piedi o delle mani sullo strumento. Severini, infine, è l’artista più vicino alle ricerche neoimpressioniste. La sua immagine è costruita attraverso la frammentazione del colore e della forma, riuniti dall’armonia dell’insieme compositivo. Le impressioni visive appaiono spezzate in tante tessere colorate, che si ricompongono come in un caleidoscopio. Nei quadri di quel periodo (Il boulevard, 1911), l’artista, più che il movimento, si propone di rappresentare una simultaneità plastica e sensitiva.

VERSO UNA MAGGIORE ASTRAZIONE
All’interno del gruppo “storico” già dal 1913 si evidenziano sempre più le posizioni individuali.
Russolo nel corso dell’anno abbandona la pittura per dedicarsi alla musica e alla costruzione di nuovi strumenti, in grado di creare modulazioni armoniche e accordi che diano la “sensazione del pulsare della vita agitata” delle metropoli.
Carrà elabora nel manifesto La pittura dei suoni, rumori, odori le sue teorie, affermando che suoni, rumori, odori devono penetrare nell’insieme pittorico ed esprimere plasticamente quelle sensazioni; a queste idee corrisponde nella sua pittura una sempre più approfondita astrazione delle forme in senso dinamico. Carrà, tuttavia, non nega la visione volumetrica dell’insieme, che si accompagna a una ricerca di maggiore solidità materica. Intorno al 1913 anche la pittura di Severini tende verso una semplificazione della struttura, come si evince anche dal suo scritto coevo sulle “analogie plastiche”; le sue opere, perciò, sono mosse da un vitalismo coloristico e luminoso molto intenso. Questo studio sul movimento e sulla velocità porta Severini a privilegiare intensità e irradiazioni luminose, in una scintillante astrazione coloristica. Il soggetto della danza e delle ballerine mette in evidenza questa scomposizione della luce e il frazionamento delle linee, sintetizzate in allegri e gioiosi vortici di colori puri (Ballerina in blu, 1913).

IL DINAMISMO NELLA PITTURA E NELLA SCULTURA DI BOCCIONI
La ricerca pittorica di Boccioni corre parallela a quella plastica. Complementarismo dei colori e dinamismo dei piani che si intersecano creano nell’immagine una notevole complessità spaziale. Gli studi sul dinamismo lo portano, già dal 1912, ad allargare i suoi interessi all’ambito della scultura (proprio in questo anno, tra l’altro, pubblica il Manifesto tecnico della scultura futurista). Nei suoi insiemi plastici egli cerca di sintetizzare le pulsioni di un moto relativo all’oggetto con il moto assoluto dell’universo, prolungando nello spazio i piani dell’immagine rappresentata. Ciò porta anche Boccioni a spingere la raffigurazione verso un’astrazione che, tuttavia, non cancella il soggetto, ancora riconoscibile grazie alle linee della sua tensione dinamica. In Forme uniche della continuità nello spazio (1913) Boccioni raggiunge l’apice del suo lavoro, realizzando il principio secondo cui l’immagine deve essere “manifestazione dinamica della forma, la rappresentazione dei moti della materia nella traiettoria che ci viene dettata dalla linea di costruzione dell’oggetto e della sua azione”. Già in questo momento si intravede tuttavia, per esempio in Dinamismo di un foot-baller (1913), la possibilità di un ritorno a un’analisi formale.
Ritorno che avviene alla fine del 1914 attraverso una meditazione su volumi e masse, sulla scia dell’insegnamento cézanniano. Il superamento della poetica futurista nelle opere del 1916 parte proprio da questa premessa.

GEOMETRIE DEL COLORE IN BALLA E DEPERO
Balla, dal suo verismo oggettuale, approda, intorno al 1913, a un’audace astrazione di linee e di colore.
Le Compenetrazioni iridiscenti (1912-1914) rappresentano l’estrema schematizzazione dei suoi studi sul movimento e sulla luce. I triangoli colorati, avvicinati in accordo ad affinità ottiche, creano astratte e analitiche tessiture visive. Mercurio passa davanti al Sole, visto da un cannocchiale del 1914 segna il passaggio dalle Compenetrazioni a una vera e propria sintesi delle forme.
La simultaneità che in Boccioni nasce dalle compenetrazioni delle forme, nei dipinti di Balla del 1915 avviene attraverso schemi geometrici iridati. Ed è questa particolare concezione di forma e colore a influenzare Fortunato Depero, che aderisce al futurismo nel 1914.
Nel 1915 esce il Manifesto sulla ricostruzione futurista dell’universo, firmato da Balla e da Depero che si proclamano astrattisti futuristi e che inneggiano a un universo gioioso, “coloratissimo e luminosissimo”.
Dopo la guerra e la morte di Boccioni e di Sant’Elia, il movimento marinettiano perderà l’iniziale carica eversiva e si aprirà una fase nuova, più ludica ed esteriore.

SANT’ELIA E LA NASCITA DI UN’ARCHITETTURA FUTURISTA
Nel movimento futurista, l’architettura e in particolare la città sono evocate fin dall’inizio come l’ambiente fisico in cui si condensa la dinamica della vita nuova, il luogo delle “folle agitate dal lavoro dal piacere o dalla sommossa” (Marinetti, 1909). La città esteticamente sognata dai futuristi è quella del traffico e del rumore, degli arsenali e dei cantieri, delle stazioni e dei grattacieli: una città colorata e fumante, solcata da automobili, treni, aerei, illuminata dalla luce artificiale. Una città d’acciaio e di cemento attraversata dai tunnel, con i ponti lanciati sopra le strade da casa a casa, alta verso il cielo. In realtà però, l’architettura è l’ultima espressione artistica, nell’ambiente futurista, a fare la sua effettiva comparsa, dopo la letteratura, la pittura, la musica e la scultura. La data ufficiale è l’11 luglio 1914, quando esce il Manifesto dell’architettura futurista a firma di Antonio Sant’Elia.
Antonio Sant’Elia (1888-1916), nato a Como, si era formato all’inizio del Novecento nell’ambiente di Vienna, in particolare alla scuola dell’architetto austriaco Otto Wagner, da cui aveva assorbito sia il gusto secessionista, sia l’interesse per i valori urbani dell’architettura.
Le esercitazioni grafiche che impegnavano gli studenti della scuola di Wagner hanno lasciato un segno nei successivi progetti futuristi di Sant’Elia: fantasie architettoniche in cui ritroviamo forti dilatazioni prospettiche, linee inclinate, volumi elementari, in un essenziale “dinamismo architettonico” che sembra interpretare perfettamente le immagini letterarie di Marinetti. Tuttavia, queste fantasie architettoniche sono del 1912-1913, successive a una serie di progetti più tradizionali che precedono l’incontro con il futurismo. Da questi primi disegni prende il via, nel 1913, una serie di tavole dal titolo Città nuova, esposte l’anno successivo alla mostra promossa dal gruppo d’arte milanese Nuove Tendenze, di cui fanno parte fra gli altri Mario Chiattone, Ugo Nebbia, Leonardo Dudreville, Achille Funi. In queste tavole Sant’Elia rappresenta in prospettiva alti edifici, generalmente centrali elettriche o palazzi a gradoni con torri esterne di ascensori, che si innalzano su un intreccio a vari livelli di strade, ferrovie sotterranee e sopraelevate, ponti, viadotti, passaggi coperti.
Le tavole della Città nuova evocano, più che realmente mostrarla nella sua struttura funzionale, l’immagine di una metropoli, al pari delle raffigurazioni dei grattacieli di New York che compaiono in quegli anni sulle riviste illustrate e che molto probabilmente suggestionano la fantasia di Sant’Elia. È su questi disegni che avviene l’incontro fra Marinetti e Sant’Elia per il tramite di Carlo Carrà. Da quell’incontro nasce il Manifesto dell’architettura futurista, nel quale si condensano in otto punti i principi sui quali viene a fondarsi l’architettura futurista: l’impiego dei nuovi materiali, il valore della sintesi artistica, il dinamismo delle linee oblique ed ellittiche, il contenuto decorativo del materiale nudo, l’ispirazione tratta dal mondo della macchina, la fine della tradizione compositiva, il mondo delle cose come proiezione del mondo dello spirito, la transitorietà dell’architettura.
La morte in guerra di Sant’Elia interrompe l’elaborazione della sua personalissima visione dell’architettura e delle città nuove. Dei progetti di Sant’Elia, uno solo verrà più tardi costruito da Giuseppe Terragni (1904-1943): il Monumento ai caduti di Como (1931-1933). In ogni caso, l’influenza del Manifesto e delle immagini fantastiche elaborate da Sant’Elia persistono a lungo, tanto che se l’architettura è l’ultima ad arrivare nell’universo futurista, sarà anche l’aspetto destinato a permanere più a lungo e a fornire nei successivi venti anni continue suggestioni e idee.

IL VORTICISMO
Il critico e pittore britannico Wyndham Lewis (1882-1957) rimase molto colpito dalla mostra dei futuristi italiani a Londra nel 1912. Sull’esempio degli artisti guidati da Marinetti si propose di cantare la metropoli e la vita moderna, l’epopea della macchina e il futuro. Il nuovo movimento fu definito vorticismo; esso nacque ufficialmente a Londra nel 1914 e nell’estate di quell’anno apparve anche il primo numero della rivista “Blast”, che recava il sottotitolo di “Review of the Great English Vortex”. Il vorticismo ebbe nel poeta Ezra Pound un sostenitore e un ideologo, mentre gli artisti di maggiore spicco che aderirono al movimento furono i pittori Christopher Nevinson, David Bomberg, Edward Wadsworth e gli scultori Jacob Epstein e Henri Gaudier-Brzeska.
Nel quadro New York del 1914-1915, Lewis offre uno scorcio immaginario della città americana in piani verticali slanciati, linee diagonali aguzze e larghe campiture di colori puri, senza sfumature. Wadsworth supera poi ogni riferimento realistico evidenziando il dinamismo di linee e colori, che si susseguono creando un serrato percorso labirintico. Bomberg è invece molto attratto dalla danza: nei suoi dipinti l’intrico geometrico delle linee che s’intersecano rimanda a gesti coreografici rimasti sospesi nello spazio, mentre Nevinson appare soprattutto influenzato dalla pittura dei futuristi italiani, in particolare da Boccioni.
Più interessanti le realizzazioni del vorticismo nel campo della pittura. Jacob Epstein (1880-1959) negli anni dieci visitò Parigi e conobbe l’opera dello scultore rumeno Brancusi; il viaggio gli rivelò il mondo della scultura africana e primitiva. Tornato in seguito in Inghilterra, aderì al movimento vorticista e nel 1913 realizzò La perforatrice, ispirata nelle sue forme essenziali e meccaniche allo svolgimento della vita moderna. In altre sculture degli anni 1913-1914, Epstein si avvicinò a Brancusi nella purezza di blocchi marmorei, memori ancora del cubismo e ispirati a un marcato erotismo. Più tardi, l’opera di Epstein si sarebbe avvicinata a una visione più classica, veemente ma allo stesso tempo intimamente controllata.
Henri Gaudier-Brzeska (1891-1915) eseguì nel 1914 il Ritratto ieratico di Ezra Pound, bloccando i lineamenti del poeta e teorico del vorticismo in un robusto totem moderno; mostrò ulteriormente le sue qualità di scultore in una serie di lavori che, pur risentendo dell’influenza di Brancusi e Archipenko, esprimono pienamente la sua originalissima visione. L’artista non poté esprimere compiutamente il proprio talento a causa della sua precocissima morte, avvenuta a soli ventiquattro anni nel corso della prima guerra mondiale.
L’opera di Epstein e Gaudier-Brzeska influenzò grandemente gli sviluppi successivi della scultura inglese e in particolare l’opera di Barbara Hepworth e di Henry Moore.
Il movimento vorticista si esaurì dopo la prima guerra mondiale; gli orrori del conflitto e il clima di austerità che regnava in Inghilterra, portarono gli artisti ad allontanarsi da quell’ideologia che aveva voluto cantare “la grande città moderna come un’avanzata giungla di ferro” e aveva fatto dichiarare ai suoi discepoli di essere soprattutto “dei grandi nemici del sentimento romantico”.

IL SINCRONISMO
Il 17 febbraio del 1913 si aprì a New York, presso l’armeria del 69° reggimento di fanteria, la grande esposizione che doveva essere ricordata semplicemente come l’“Armory Show”. Per la prima volta fu offerta al pubblico statunitense una vasta panoramica sull’impressionismo, sul fauvismo, sull’espressionismo, sul cubismo, una visione d’insieme dell’arte della fine del XIX secolo e del XX appena iniziato. La manifestazione ottenne un grande successo di pubblico, anche se a quella data molti artisti statunitensi avevano già abbandonato la patria per conoscere direttamente l’arte del vecchio continente: Parigi era la meta, l’arte contemporanea, il loro credo.
Due americani trapiantati a Parigi, i pittori Morgan Russell (1886-1953) e Stanton Macdonald-Wright (1890-1973), fondarono nella capitale francese il movimento sincromista che si rifaceva alle teorie dell’orfismo di Delaunay, ma che appariva anche influenzato dal futurismo italiano. I due artisti, che esposero a Monaco e a Parigi nel 1913, proponevano l’uso esclusivo dei colori primari in una pittura che oscillava fra un realismo trasfigurato e una marcata tensione verso l’astrazione.
Fin dagli anni 1909-1910 Russell aveva cominciato a usare il termine “sincromia” nei titoli dei suoi quadri. Se Delaunay era il richiamo più evidente per i pittori sincromisti, anche l’esposizione dei futuristi italiani alla galleria parigina Bernheim-Jeune del 1912 aveva avuto grande importanza; Boccioni in particolare aveva attratto Russell che, se non condivideva l’interesse per il movimento e la velocità, approvava le svolte tematiche e tecniche proposte dalle opere dell’artista italiano. Nella tela Sincromia in blu-violetto del 1913, il richiamo a Delaunay appare evidente: ogni rapporto con il reale è scomparso e la linea è protagonista dell’avvicendamento dei colori, in una composizione a scaglie di tinte brillanti.
La fase sincromista di Russell terminò nel 1915; invece Macdonald-Wright perseguì ancora in seguito quello stile. Il suo Autoritratto si richiama visibilmente alle sue teorie iniziali: una composizione ispirata all’orfismo, nella quale la ripartizione cubista è superata da una particolare attenzione per la gamma coloristica.
Le idee dei sincromisti non arricchirono soltanto in senso generico la corrente modernista americana: alcune soluzioni di Russell e Macdonald-Wright furono accolte da Joseph Stella (1880-1946) che, dopo aver partecipato all’Armory Show e aver lavorato in Europa, aderì nel 1917 al gruppo dadaista di New York. Stella, influenzato da futurismo e orfismo, diede una rappresentazione singolare degli spazi urbani americani tra la fine del primo decennio del secolo e gli anni venti. Una ripartizione memore della frammentazione cubista si affiancava a immagini iperboliche di grattacieli svettanti e di ponti sospesi nel vuoto.

BOCCIONI AUTORITRATTO
Diversamente dalla maggior parte degli autoritratti realizzati in studio, Umberto Boccioni ha raffigurato se stesso sullo sfondo di una periferia urbana, anticipando uno dei temi preferiti del Futurismo.
La stagione invernale, evocata dal pesante abbigliamento dell'uomo, è suggerita anche dalla luce tersa che illumina la strada e gli edifici.
La figura del pittore risalta in primo piano e richiama la nostra attenzione il volto, assai caratterizzato nei tratti somatici, e lo sguardo, assai intenso .
Seguendo il procedimento pittorico proprio dei pittori divisionisti, il colore è steso per minuscoli tocchi di tonalità diverse che costruiscono le forme e le figure.
La composizione è asimmetrica. Per dare risalto allo sfondo, la figura dell'uomo, anzichè occupare la posizione centrale, è infatti spostata a destra.
La parete chiara che delimita il dipinto a destra, è usata, più che con intenti spaziali, per dare luminosità e risalto alla figura dell'uomo.
L'ampia distanza che intercorre fra il soggetto ritratto e gli edifici sullo sfondo è data dalla disparità delle dimensioni.
Gli edifici sono disposti nello spazio secondo il sistema della prospettiva.
E' ben individuabile la provenienza della luce da sinistra che proietta le ombre nitide dei palazzi.

FORME UNICHE NELLA CONTINUITà DELLO SPAZIO
E’ tra le opere dell’artista quella più emblematica per ciò che Boccioni ha sempre inteso esprimere e cioè la manifestazione dinamica della forma, della materia in movimento.
In quest’opera Boccioni si propone di studiare il movimento di una figura nuda che cammina rapidamente, sovvertendo la tradizionale identificazione della statua, della scultura, con l’immobilità.
Forma unica significa, allora, forma unitaria del corpo che si muove e dello spazio in cui si muove.
Non si tratta di delineare - come sarà per la scultura cubista - l’idea della quarta dimensione spaziale quanto di cogliere le forze e le forme degli oggetti e dei corpi nel loro infinito e impercettibile svolgersi.
Il corpo di bronzo modellato come ritmo nello spazio - lo scultore diceva espressamente di voler “fare l’atmosfera in luogo della figura” - ha una forza anatomica massiccia e maestosa, quasi fosse un corpo michelangiolesco.
Nel processo di sintetizzazione del movimento e della metamorfosi aerodinamica che il corpo riceve concorrono molti aspetti che l’artista sublima in una combinazione misurata di elementi stilistici: il gioco delle ossa e dei muscoli intorno all’anca, la deformazione elastica dei muscoli del tronco della figura esposta alle correnti atmosferiche, fino allo sdoppiamento dell’immagine per effetto della traccia che di essa tende a restare nell’obiettivo della retina al momento dell’osservazione.

Esempio