Brunelleschi, Donatello, Masaccio, Alberti

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Arte
Filippo Brunelleschi (1377-1446)
Nato a Firenze nel 1377 è l’uomo che diede vita alla nuova architettura del Rinascimento. Iniziò la sua opera artistica come orafo e si affermò nel 1401 con il concorso per la porta nord del Battistero fiorentino. Dopo essere stato orafo dedicò all’architettura tutta la sua vita. Studiò a Roma insieme a Donatello soprattutto l’arte antica, riprendendo dagli antichi architetti il gusto per le proporzioni e per le simmetrie. Filippo partecipò nel 1418 al concorso per la cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze, essendo la chiesa ancora scoperta sopra al coro dove era prevista una cupola a base ottagonale di grandissime dimensioni, 46 m, che arrivano a 54 con lo spessore del tamburo. La cupola di Brunelleschi è autoportante, e cioè non necessitava di impalcature durante la sua costruzione. Per due volte fu spinto a forza fuori dal concorso dove gli esponenti dell’Arte della Lana, i finanziatori, ascoltavano i progetti di vari architetti. Ma nel 1420 il progetto di Filippo fu accettato e iniziò l’opera con Lorenzo Ghiberti che non partecipò più alla costruzione dal 1425, essendo Filippo molto geloso della sua opera. La cupola si regge su un tamburo ottagonale forato da otto finestre circolari. All’esterno il colore dei mattoni è rosso e sono presenti otto nervature bianche che delimitano ogni lato e convergono su un ripiano ottagonale. Su questo si trova una lanterna cuspidata (a punta) stretta da otto contrafforti a volùte (perché si conclude a nastro arrotolato). L’aspetto della cupola è maestoso e si può capire ciò visitando l’interno: si sale dalle scale a chiocciola scavate in due grandi pilastri alla fine delle navate laterali, e si arriva al terrazzo al di sotto della cupola; si passa poi per un’apertura scavata nella muratura e si arriva in un corridoio. Da qui si può vedere come la cupola sia in verità formata da due cupole diverse, una interna all’altra. Le due cupole sono collegate da otto costoloni d’angolo e da sedici costole intermedie disposte lungo le facce delle vele. Costoloni e costole sono uniti da anelli in muratura. Le scale sono fra le due mura e portano al corridoio sottostante il pavimento della lanterna. Da lì si passa alla lanterna, dalle dimensioni maestose che dalla terrazza sembra un tempietto separato dal resto della cupola. La costruzione della cupola fu difficile per costi e tecnica e occupò Filippo per tutta la vita. Quando fu terminata furono subito evidenti le lesioni della muratura che interessano quattro delle otto vele. Oltre a questa grandiosa opera Brunelleschi si occupò di molte opere di uso civico e militare sia a Firenze che in altre città del settentrione tutte incentrate sulla ricerca della sperimentazione, strutturate in modo da far sentire a proprio agio chi ne usufruisce. Realizza questo intento con l’utilizzo di forme geometriche semplici, soprattutto il quadrato che oltre a dare le proporzioni diventa con Filippo elemento reggente degli edifici (il cubo era considerato già dagli antichi la forma più solida e stabile). Lo Spedale degli Innocenti fu iniziato nel 1419 vicino alla chiesa dei Servi di Maria a Firenze e pose le premesse per la creazione della piazza di SS. Annunziata, la maggior piazza Rinascimentale. L’edificio si erge su un piano simile a uno stilobate, di nove gradini, che corrispondono al numero delle arcate del porticato e a quello delle campate sotto delle volte a vela. Sulla seconda cornice poggiano invece nove finestre a forma classica sormontate da un timpano. La campata è cubica e il loggiato è modulare. I moduli sono ripresi nella Sagrestia Vecchia di San Lorenzo (1422-1428) ambiente accessibile dal braccio sinistro del transetto della Basilica di San Lorenzo e composto da uno spazio cubico al quale è sovrapposta una cupola emisferica ombrelliforme, raccordata da pennacchi alle murature che sulle imposte hanno dodici finestre tonde ed è rafforzata da altrettante nervature. Sul lato opposto all’entrata si apre una scarsella, un abside di piccole dimensioni composto da due cubi uguali coperti da una cupola emisferica. Ogni spazio è scandito da paraste, cornici e archi grigi che risaltano sul bianco dell’intonaco. La ricerca spaziale si complica nella Cappella de ’ Pazzi, nel chiostro di Santa Croce, cominciata nel 1430 su commissione della famiglia Pazzi.Il modulo è ancora il quadrato che però qui si allunga ad un rettangolo coperto da una cupola centrale e da due volte a botte. La scarsella è simile a quella della sagrestia vecchia e il porticato riprende quello interno più grosso. La cappella fu terminata dopo la morte di Brunelleschi. La Basilica di San Lorenzo è del 1419 ma i lavori sono ripresi nel 1442 e conclusi da Ciaccheri (1405-1460). Pianta a croce latina e tre navate, la chiesa presenta cappelle nel transetto e a fianco dell’abside e si rifà a Santa Croce, con un senso dello spazio tutto nuovo: l’esterno mostra forme semplici e l’interno con le cornici e le fasce di pietra del pavimento con la copertura piana cassettonata della navata centrale danno effetto prospettico all’edificio. In Santo Spirito la complessità aumenta: iniziata nel 1444 fu terminata con varianti al progetto di Filippo. L’edificio era a croce latina con navate laterali tutt’attorno al perimetro della chiesa (anche nei transetti) dando un addensamento delle colonne vicino al presbiterio. Le cappelle laterali sono semisferiche e non rettangolari come in San Lorenzo. La loro forma fu però coperta all’esterno dagli altri architetti che preferirono standardizzare l’opera secondo il gusto del tempo.
Donatello (1386-1466)
Donato di Niccolò di Betto Bardi, detto Donatello, nato a Firenze e amico di Brunelleschi, era di modestissime origini e lavorò presso la bottega di Ghiberti dal quale impara la fusione del bronzo e l’amore per l’arte classica. Fra il 1402 e il 1404 è a Roma con Filippo e qui ammira le opere classiche che studierà e reinterpreterà. La sua attività è soprattutto a Firenze ma si reca anche a Prato dove costruisce dal 1428 al 1438 un pulpito per il Duomo e a Siena dove decora Duomo e Battistero. Dal 1443 al 1454 è a Padova dove studia Giotto e diffonde l’arte rinascimentale. Con lui la scultura raggiunge grandi risultati, riprendendo la scultura classica e superandola grazie all’introspezione dei personaggi di Donato. Donatello sperimenta tutte le tecniche possibili (tuttotondo, bassorilievo, stiacciato) e usa tutti i materiali (marmo, bronzo, terracotta, legno), dando ad ogni opera un impronta personale. San Giorgio gli fu commissionato dall’Arte dei Corazzai per una nicchia esterna della chiesa di Orsanmichele. Si nota il decorativismo del mantello e il mantenimento di qualche traccia di gotico, ma la posa e il volto esprimono l’umanità dei personaggi di Donatello. Giorgio è solido e ben piantato, con le gambe divaricate e lo scudo come punto d’appoggio. Alla fermezza fisica si aggiunge quella morale del volto fiero e fermo. Nel basamento si trova un bassorilievo con San Giorgio e il Drago dove si nota la padronanza prospettica dell’autore: al centro il santo trafigge il drago, simbolo del peccato; l’eroe è rappresentato naturalisticamente, il mantello si agita e il piede serra il cavallo. Sulla destra la principessa osserva e alle sue spalle si trova un portico in prospettiva, simbolo della razionalità, in antitesi con la grotta all’estrema sinistra. Il bassorilievo inoltre crea effetti di chiaroscuro simili alla pittura. Il chiaroscuro è anche caratteristica dell’Abacuc (1425) che con un'altra scultura del profeta Geremia doveva essere posta all’esterno del Campanile di Giotto. Le pieghe del mantello danno questo effetto, e danno al personaggio imponenza e dignità. Donatello si ispira ad un popolano, e il volto risulta un ritratto di un uomo calvo e magro, lontano dai canoni di perfezione, con lineamenti contratti e disarmonici, segno di una vita misera. Nel 1427 collabora con Ghiberti e Della Quercia alla fonte battesimale del battistero di Siena. Realizza quindi una formella bronzea intitolata il Banchetto di Erode dove cura molto prospettiva e personaggi. A sinistra un servo offre la testa di San Giovanni ad Erode, che si ritrae disgustato anche a destra gli invitati si ritraggono e ciò forma un vuoto al centro della formella che crea un senso di profondità e prospettiva incredibili. Gli archi dello sfondo, che utilizzano la tecnica dello stiacciato danno ancora più rilievo alla scena grazie anche all’utilizzo di luci e ombre. Il realismo è drammatico e va contro la superficialità umana. Nel David in bronzo commissionatogli dai Medici nel 1440 il dramma da posto alla serenità; primo nudo dopo un millennio, la statua prende spunto dal classico e il soggetto risulta pensoso e con una posizione innaturale (ripresa da Policleto). La luce è ripresa come modellatrice delle masse e da ombra alla testa mozza di Golia, sotto il piede del giovane. Il David è preso dall’autore come un uomo del suo tempo, non un eroe e quindi la razionalità e la virtù vincono la rozzezza e la violenza. Nel 1433 dopo esser stato a Roma gli viene commissionata la cantoria di Santa Maria in Fiore, che ha come tema quello gioioso del salmo 150 nel quale si loda Dio con canti e balli. L’impostazione è personalissima e parte dal classico (fregio continuo), inventando uno spazio prospettico entro il quale muovere i personaggi. Davanti a questo spazio ci sono colonnette rivestite di mosaico mentre dietro si stende un piano anch’esso dorato da tessere. In questo spazio dei putti corrono e danzano (vivaci come le opere di Skopas). La scena risulta poco religiosa in quanto le ali sono in secondo piano e non importanti. Grande importanza è data al movimento con alcune figure che sono indefinite per dare più velocità all’azione. Il periodo padovano è il più maturo di Donatello, con il monumento equestre Gattamelata (1447-1453) posto davanti alla Basilica di Sant’Antonio. Monumento celebrativo per Erasmo da Narni, il gruppo bronzeo è posto su un alto basamento e si ispira alla statuaria romana. Usciti dal medioevo i cavalieri non sono più fiabeschi ma uomini veri e questo è sottolineato dal volto di Gattamelata, che rivendica nell’imperfezione la propria umanità: severo, stempiato, dallo sguardo risoluto dalla grande introspezione. Anche il cavallo sembra vero e diventa tutt’uno con il corpo del cavaliere. Alla fine della sua vita le opere di Donatello vanno oltre le concezioni della sua epoca come per esempio nella Maddalena (1456), in legno, scolpita per il battistero di San Giovanni a Firenze. Si riallaccia all’Abacuc e si concentra sulla psicologia del soggetto. Dopo il digiuno la Maddalena risulta consunta nel fisico e nella mente. Il volto è sofferente e ossuto, le mani nodose il corpo mortificato da una cascata di capelli i piedi scheletrici come delle radici. Donatello trasgredisce gli schemi per rappresentare i valori della dignità umana.
Masaccio (1401-1428)
Tommaso di Giovanni Cassai detto Masaccio per la sua cura incredibile che riserva alle sue opere. Nato a San Giovanni Valdarno, vicino ad Arezzo, si forma a Firenze dove si trasferisce dal 1417. Collabora con Masolino da Panicate (allievo di Ghiberti e rinnovatore del gotico) e forse suo discepolo, si trova in un clima di grande fermento artistico che lo porta a sviluppare subito il suo talento. Si riallaccia a Giotto e crea una nuova pittura diventando con Brunelleschi e Donatello punto di riferimento per gli artisti a venire. Lavora, oltre a Firenze, a Pisa (1426) dove crea un polittico per la chiesa del Carmine e a Roma (1428) dove inizia un polittico per Santa Maria Maggiore e dove muore lo stesso anno. Le sue opere vanno dall’affresco alla tempera e le più importanti sono Sant’Anna Metterza, il polittico di Pisa e la cappella Brancacci insieme alla Trinità. Sant’Anna Metterza fu dipinto insieme a Masolino nel 1424-25, pala d’altare per Sant’Ambrogio, a Firenze. La madonna è in trono con il bambino e dietro di loro si trova S. Anna, mentre cinque angeli volano intorno ai tre santi. Si pensa che Masolino abbia dipinto gli angeli (tranne forse quello in alto e quello a destra che tiene il tendaggio) e Sant’Anna mentre Masaccio dovrebbe aver dipinto Maria e Gesù. Il corpo della Vergine è ben definito e percepibile grazie ai panneggi delle vesti ed è quindi dotato di un volume proprio come tutti i personaggi del pittore. Masolino cerca di imitare Tommaso ma Sant’Anna risulta bidimensionale e la prospettiva delle vesti risulta non chiara e non esatta. La mano sinistra sembra senza il braccio e la gamba sinistra non è percepibile. Nel polittico di Pisa (1426) riaffiora ancora il volume delle figure del giovane maestro. Il polittico è diviso in Madonna in trono con Bambino e quattro Angeli e la Crocifissione. Il primo vede la fisicità della Vergine mostrata dal chiaroscuro del panneggio. Il Bambino è rappresentato mentre mangia un acino d’uva e risulta naturale e umano; la sua aureola risulta sottoposta alle regole della prospettiva e così tutto il trono e la composizione. Nella Crocifissione sono presenti quattro personaggi che formano una geometria nuova e innovativa. Maria a sinistra piange immobile e severa avvolta nel mantello che conferisce un aspetto scultoreo grazie ai chiaroscuri alla sua figura. San Giovanni sembra attonito, mentre al centro Cristo è rappresentato nell’immobilità della morte. La vista dal basso gli scorcia gli arti tesi che ricordano le membra tozze del crocifisso in legno di Donatello. In basso si trova Maddalena della quale si vedono le spalle e le mani protese verso quelle di Cristo quasi a formare un triangolo rovesciato. Traspare il suo dolore anche senza la raffigurazione del volto. Nella Cappella Brancacci nella chiesa del Carmine a Firenze Massaccio dal 1424 disegna eventi della storia di San Pietro e della Genesi con Masolino. Nell’affresco del Tributo, il primo in alto della parete sinistra, si racconta dell’entrata a Cafarnao di Gesù a cui non è concesso di entrare nel tempio senza pagare. La storia narra che Pietro trova in un pesce che Gesù gli dice di pescare i soldi per entrare. Masaccio raffigura tre momenti nello stesso dipinto: al centro Gesù, fra gli apostoli stupiti dice a Pietro di pescare il pesce, a destra in secondo piano si vede il solo Pietro che trova il denaro nel pesce e a sinistra è sempre il primo papa a dare i soldi al gabelliere. Al centro è molto evidente l’intensità del quadro con lo stupore degli apostoli e il preannuncio della scena successiva. Ogni personaggio ha un rilievo scultoreo dato dai chiaroscuri e dalla prospettiva che rimane la stessa anche se i momenti rappresentati sono diversi; la prospettiva unifica quindi spazio e tempo in una visione unitaria della realtà. Il paesaggio accentua la prospettiva con delle montagne brulle in successione cromatica dal verde al grigio azzurro. Anche le architetture simili a quelle fiorentine del tempo danno determinazione spaziale creando volumi puri e geometricamente definiti. La fonte luminosa è unica e arriva dal lato destro in alto, fuori dal dipinto. Un altro affresco della serie, simile per intensità a quello del Tributo è La Cacciata dal Paradiso Terrestre. La luce arriva anche qui da destra, l’affresco è situato all’inizio del secondo registro della parete sinistra, accanto al Tributo. Adamo ed Eva vengono qui scacciati da un angelo armato dal paradiso. Le due figure sono nude, massicce, sgraziate, modellate dal chiaroscuro. Adamo che sta ancora attraversando la porta piange coprendosi il viso mentre Eva si copre le parti intime, disperata. Il suo volto è distrutto dal dolore, rappresentato grazie a giochi di luci ed ombre con il predominio di queste. Il paesaggio non riduce la drammaticità con un'unica roccia e un cielo quasi irreale, dal blu troppo scuro. In questa serie Masaccio mette in relazione i volumi creando dei personaggi che sembrano veri. Nella Trinità (1426-28) in Santa Maria Novella, a Firenze, l’ultima opera del maestro, la prospettiva rende comprensibile lo spazio, formato da tre piani diversi. In primo piano si trova un sarcofago con uno scheletro e la scritta “Io fui già quel che voi siete e quel ch’io sono voi ancor sarete”, che allude alla transitorietà delle cose terrene. In secondo piano, in ginocchio, i due committenti dietro ai quali si apre la cappella; al suo interno si presentano la Vergine e San Giovanni; Cristo è anche qui robusto e tozzo e sorretto da Dio, in quarto piano, punto più alto della composizione. Tra il volto di Dio e Gesù Masaccio inserisce lo Spirito Santo, la colomba colta nell’atto di planare al suolo. I personaggi sono monumentali, i loro mantelli danno volumi precisi come sculture a tutto tondo. Dal punto di vista simbolico i piani indicano i valori rispettivamente dalla morte all’intercessione per mezzo della preghiera fino alla salvezza e alla sconfitta della morte. Con Masaccio si conclude la tradizione Medioevale con lo sviluppo delle intuizioni di Giotto, dando origine a personaggi realistici modellati dal chiaroscuro e credibili grazie alle loro espressioni. In più i personaggi sono inseriti in paesaggi prospettici e quindi reali.
Leon Battista Alberti (1404-1472)
L’esistenza del Rinascimento figurativo si deve ad Alberti che diede una sistemazione teorica alle innovazioni dei primi anni del Quattrocento. Nato a Genova, la sua famiglia era in esilio e si trasferì prima a Venezia e quindi a Padova. Laureatosi in diritto a Bologna, nel 1428 poté tornare a Firenze per poi trasferirsi come abbreviatore apostolico a Roma nel 1432. Tornò a Firenze nel 1434 con il Papa Eugenio IV e si spostò poi a Ferrara e ancora a Firenze per il Concilio (1438-39) per la riunificazione di Chiesa di Occidente e Oriente. Nel 1443 tornò definitivamente a Roma dove morì nel 1472. Alberti fu uno dei più colti umanisti, scrisse vari trattati e fu autore di poesie e morali, scrisse di geometria, topografia e meccanica. Architetto e pittore scrisse i primi tre grandi trattati dell’Età Moderna: il De pictura (1453-36), il De re Aedificatoria (1447-52) e il De statua. Nel De pictura esprime i concetti della prospettiva e si da la definizione di disegno, l’importanza della composizione delle storie e le relazioni luce-colore. Per Alberti il disegno è linea di contorno e le sue concezioni si trovano in due dipinti che gli sono stati attribuiti: la Natività della Vergine (che si trova a New York) e la Presentazione della Vergine al Tempio (a Boston). Nelle due tavole che forse facevano parte di una predella si hanno prospettive architettoniche con zone di luce e ombra secondo la provenienza di questa. Le scene, tratte dai vangeli apocrifi, sono movimentate da un numero elevato di personaggi, animali e cose. Le dimensioni dei personaggi sono metro paragone degli edifici in cui si trovano; in più il cielo deve essere quasi bianco verso il basso e azzurro più in alto. Lo scopo della pittura oltre ad imitare la realtà è quello di trovare la bellezza, ciò che piace all’occhio, armonia e accordo. Nel De statua parla dell’utilizzo e della realizzazione di uno strumento che sarebbe servito per indicare gli elementi di una statua. Nel De re Aedificatoria le conoscenze di Alberti portano ad una trattazione completa dell’arte dell’edificare. Scritto nel 1452 prende come esempio Vitruvio e parla quindi del disegno, dei materiali, dei procedimenti degli edifici pubblici e privati, delle strade, dei ponti, delle fortezze, dell’organizzazione delle città, dei canali, dell’ornamento e degli ordini architettonici. Infine delle cause delle lesioni e della loro prevenzione. Come architetto Alberti interviene nel 1450 nel rifacimento della chiesa di San Francesco a Rimini, chiesa gotica, chiamata anche Tempio Malatestiano, perché finanziata da Malatesta, signore della città, secondo cui doveva diventare monumento celebrativo. Alberti incapsula l’edificio in un involucro marmoreo, non curandosi dell’edificio sotto, lasciando per esempio le sue arcate in asse con le finestre laterali. Secondo la sua concezione non dirige i lavori ma lascia che se ne occupi Matteo de ‘ Pasti. La parte superiore doveva essere coronata da un fastigio mentre dei semitimpani l’avrebbero raccordata con la cornice sottostante. Una cupola avrebbe poi terminato l’edificio. Nella facciata ebbe presente gli archi di trionfo mentre nei fianchi si rifà agli acquedotti. Il basamento è come un podio e sorregge i pilastri e le semicolonne; queste dividono la superficie in tre parti: quella centrale con il portale sotto una arcata profonda, e quelli laterali che ne riprendono il motivo. Le arcate sono cieche ma dovevano diventare contenitori per i sarcofagi dei signori di Rimini. Oltre al Tempio Alberti costruisce anche il Palazzo Rucellai che ritrovava la sovrapposizione degli ordini. Attorno al 1456 progetta poi la facciata di Santa Maria Novella, che era già stata parzialmente costruita nel ‘300 (portali inferiori laterali, archi acuti e arcate cieche) e Alberti dovette armonizzare vecchio e nuovo. Nella zona inferiore creò solo il portale con una grande arcata a tutto sesto tra due colonne corinzie, riproposte agli angoli della facciata. Tra parte inferiore e superiore c’è un alto attico, e sopra a questa si trova una facciata sullo schema del tempio tetrastilo con quattro paraste corinzie zebrate che sorreggono una architrave su cui poccia un timpano. Due ampie volute decorate congiungono la parte superiore all’attico nascondendo il tetto. La facciata è iscrivibile in un quadrato, due quadrati circoscrivono la parte inferiore mentre uno quella superiore. La ripresa del tempio greco si trova anche nel progetto di San Sebastiano e Sant’Andrea tutte e due a Mantova, volute dai Gonzaga. San Sebastiano è a pianta centrale, iniziata nel 1460 e portata avanti da Luca Fancelli. La pianta è a croce greca con un pronao su un solo lato; la facciata prevedeva sei lesene ma due furono eliminate dando importanza alla muratura. Sopra le lesene si ha una cornice e un frontone spezzato. In Sant’Andrea, progettato nel 1470 e iniziato da Fancelli si torna alla pianta longitudinale. La facciata riprende l’arco di trionfo unito alla facciata di un tempio classico con tre aperture per il pronao, una centrale, amplissima, con una grande arcata e altre due piccole. Quattro lesene sorreggono un basso architrave sopra al quale si trova un timpano. All’interno una volta a botte cassettonata sorretta da pilastri tra cui si aprono cappelle coperte da volte a botte. L’apertura sotto una nicchia e una finestra è ripresa tra le cappelle interne.

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