Basilica di Santa Maria del Carmine

Materie:Appunti
Categoria:Storia Dell'arte

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Testo

Storia ed arte della Basilica di Santa Maria del Carmine

La chiesa di Santa Maria del Carmine sorge nel quartiere di San Frediano, antico borgo popolare fiorentino.
I padri di S. Maria del Carmine appartengono ad un ordine religioso, i Carmelitani, di origine e tradizione antichissime; essi provenivano dal Monte Carmelo, in Galilea, dove nel IX secolo a.C. era vissuto il profeta Elia, considerato il fondatore dell’Ordine. Il primo nucleo dei Carmelitani quindi, era dedicato al culto della Madonna e di Cristo, e allo studio delle Sacre Scritture.
L’ insediamento dei primi Carmelitani nella città di Firenze si fa risalire al 1260, anche se erano presenti in Europa da oltre un millennio, a causa delle persecuzioni dei Musulmani che li avevano costretti ad abbandonare la Terra Santa.
La Regola dell’ Ordine Carmelitano è approvata da Papa Onorio III nel 1210, ma la equiparazione dell’ Ordine Carmelitano agli altri ordini Mendicanti, già presente sul trritorio, avvenne nel 1247 con il Papa Innocenzo IV.
L’arrivo in città dei Carmelitani si colloca in un momento storico in cui si andava affermando l’insediamento dei domenicani di S. Maria Novella, dei francescani in S. Croce, degli agostiniani di S. Spirito, degli umiliati di Ognissanti, dei serviti in SS. Annunziata ed altri.
Ben presto l’impegno sociale rivolto al sostegno dei più umili, l’attività di evangelizzazione e di predicazione dei padri del Carmine e la fervente venerazione della duecentesca tavola della Madonna del Popolo, ne fanno un importante centro religioso ed intellettuale e determinano la necessità di edificare una grande chiesa e un convento che potesse degnamente accogliere i religiosi e permettere loro lo svolgimento delle proprie attività.
Fu così che i carmelitani insieme agli agostiniani di S. Spirito, diventarono uno dei poli di aggregazione religiosa dell’ Oltrarno fiorentino e la loro chiesa sarà dedicala appunto alla Madonna del Carmine (o a Maria del Carmelo).
La costruzione della chiesa è resa possibile grazie al mercante Cione di Tifa Ranieri Vernacci, che, nel suo testamento del 30 aprile 1267 lascia 400 fiorini piccoli per i poveri e dispone che 300 fiorini siano destinati ai carmelitani, e che la metà di detto valore sia costituita da un terreno con casa nella parrocchia di S. Frediano e la restante somma sia utilizzata per la costruzione della chiesa. Depositaria delle sue volontà è la moglie Agnese, la quale obbedì alle disposizioni del marito.
Così il 30 giugno 1268 il vescovo di Firenze Giovanni de’ Mangiadori effettua la cerimonia della posa della prima pietra, e iniziarono i lavori per il Carmelo o Carmine, cioè per la chiesa e il convento dei padri carmelitani. Terminata nel 1476 la chiesa del Carmine aveva il carattere romano-gotico di tutte le chiese dell’epoca ed era adorna di affreschi trecenteschi.
E’ storicamente difficile stabilire se vi fosse un oratorio preesistente (secondo documenti apocrifi risalenti addirittura al 743 d.C.) che funzionava per il culto e venne poi incorporato nella nuova struttura, o fossero gettate subito le fondamenta dell’ampia chiesa di dimensioni attuali. E’ verosimile tuttavia che già nel 1270 esistesse una piccola chiesa con sagrestia comunicante con il convento.
Dinanzi alla chiesa del Carmine fu tracciata, fin dai primi tempi una grande piazza, come quella francescana di S. Croce e quella domenicana di S. Maria Novella. Fino ad allora, dentro il cerchio delle prime e seconde mura, le chiese non avevano avuto che angusti sagrati. Ma i nuovi ordini religiosi, dinanzi alle loro chiese fuori dalle mura, tracciavano spaziose piazze sulle quali predicavano, facevano recitare le sacre rappresentazioni e tenevano feste per la ricreazione del popolo. La Piazza del Carmine sorse, come la Piazza di S. Croce e la Piazza di S. Maria Novella, con questo carattere e con questo intento.
Le strutture originarie della chiesa sono in stile romano-gotico (fine ‘200, fine ‘400). Nella seconda metà del ‘500 la chiesa subì alcune modifiche ad opera del Vasari. Fino al ‘700 la chiesa originaria subì modifiche a livello costruttivo e decorativo (affreschi); soprattutto si parla di interventi seicenteschi.
Tornando alla struttura originaria, la pianta della chiesa è a croce latina, cioè la forma è quella di un crocifisso, con un corpo lungo, chiamato navata, intersecato da un braccio più corto, il transetto. La chiesa di oggi è quella che viene dopo la ricostruzione seguita all’incendio del 1771, ma ha mantenuto le caratteristiche strutturali della chiesa preesistente. Dunque, la pianta a croce latina è simile a quella originaria, a navata unica, transetto e ampia crociera (spazio che deriva dall’intersezione tra navata e transetto) sulla quale si innalza la cupola, su quattro pennacchi, a tamburo ottagonale. Anche le tre strutture originarie della chiesa prevedevano questi elementi, oltre al coro, al campaile e alle cappelle. Non risulta documentato il nome dell’architetto che ne eseguì il disegno, anche se si fa riferimento al maestro Lapo, discepolo di Arnolfo, o allo stesso Arnolfo, ma anche in questa occasione gli stessi padri carmelitani concorsero direttamente alla costruzione dello stesso complesso monumentale: frà Cambio da Cambio è ricordato come direttore di altri lavori compiuti in S. Frediano. L’opera dei padri, nell’esecuzione dei lavori era tipico anche nella realizzazione di altre basiliche fiorentine; questo perché i padri erano gente di grande cultura, in grado di seguire essi stessi i lavori.
I lavori continuarono durante tutto il Trecento. Secondo le fonti, nella metà di questo secolo ci può essere stato l’intervento di Francesco Talenti, detto "Cecco", e di Jacopo da Spoleto, architetto attivo soprattutto nell’ultimo ventennio.
Intanto, sotto la direzione dei frati, si fa erigere il tramezzo, o iconostasi, che a metà della chiesa divideva il coro dei frati dalla navata destinata ai fedeli. La navata era illuminata da cinque bifore per ogni lato, in corrispondenza delle quali vi erano cappelle appena incassate nello spessore delle murature, ed era decorata con affreschi di Lorenzo di Bicci o più probabilmente di suo figlio Neri. All’inizio del 400 con il sostegno della famiglia degli Ardighelli venne progettata la facciata, in pietra forte, ma dopo averne eseguito una piccola fascia inferiore rimane incompiuta così come la vediamo oggi. Sopra il portale le vetrate istoriate del rosone rappresentavano la concezione della Vergine.
La costruzione della chiesa doveva essere stata completata il 19 aprile 1422, quando si celebrò la cerimonia della consacrazione ufficiale, officinata dall’Arcivescovo di Firenze Amerigo Corsini, membro di una famiglia, i Corsini, strettamente legata alla comunità carmelitana. Una volta compiuto, l’intero complesso e il suo mantenimento viene affidato non solo ai monaci, ma anche alle ricche famiglie che avevano ottenuto il patronato delle cappelle; molto importante risulta l’apporto delle varie confraternite laiche che affiancavano i frati, come la Compagnia delle Laudi e la Società di S. Agnese, che curava l’organizzazione e l’allestimento di sacre rappresentazioni che richiamavano un vasto pubblico. Esse avevano sempre il medesimo soggetto, l’assunzione in cielo della Vergine e l’ascensione di Cristo, ma ogni volta venivano realizzate creando degli "effetti speciali".
(Patronato: quando le ricche famiglie assumevano il patronato delle cappelle a loro dedicate, significava che tali famiglie concorrevano, con il loro denaro privato, a finanziare le opere e i lavori della chiesa. Questo avveniva in tutte le chiese, poiché tutti i grandi complessi monumentali nascevano con il concorso di denaro pubblico e denaro privato. Le famiglie con patronato acquistavano così anche grande prestigio).
A quel tempo la chiesa al suo interno era divenuto lo scrigno di opere tali che ne facevano meta e scuola dei maggiori artisti che lì si portavano per ammirare le preziose opere che la decoravano; prima fra tutte la cappella Brancacci. Essa era stata realizzata a partire dal 1366 da Pietro di Piuvichese Brancacci e fatta affrescare fa Felice Brancacci, ricco mercante e uomo politico, che dette l’incarico a Masolino di raffigurarvi le "Storie di S. Pietro". Dibattuta è la datazione degli affreschi ma pare che l’affidamento dell’incarico sia da collocare alla fine del 1424. Masolino nell’esecuzione delle pitture si fa affiancare dal giovane Tommaso di ser Giovanni Casai, detto Masaccio, nato a S. Giovanni Valdarno nel 1401. La decorazione intrapresa rimase sospesa per alcuni anni a causa, forse, di motivazioni di tipo economico o per la chiamata a Roma prima di Masolino e poi di Masaccio, comunque fu terminata da Filippino Lippi tra il 1471 e il 1485 che "diede di sua mano l’ultima perfezione" (Vasari). Oggi il Carmine è soprattutto la Cappella Brancacci. Essa viene definita "un sacrario della pittura italiana" e certamente merita una visita a parte. Modesta di proporzioni, assai buia se non fosse per l’illuminazione elettrica non attirerebbe affatto l’ignaro visitatore della chiesa. Eppure vi si concentra un raggruppamento di opere d’arte che ha pochi eguali al mondo, o che forse non ne ha nessuno. Gli affreschi di Masaccio, opera capitale di questo genio innovatore, sono fra le più alte creazioni della pittura italiana e mondiale, e costituiscono un ulteriore passo decisivo dopo quello operato da Giotto più di un secolo prima; essi furono pertanto studiati da tutti i pittori del Rinascimento che seguirono: Angelico, Lippi, Andrea del Castagno, Verrocchio, Botticelli, Ghirlandaio, Perugino, Leonardo, Michelangelo, Raffaello, fino ai cosiddetti primi Manieristi. Quindi, a giusto titolo, Masaccio fu considerato un precursore dell’arte rinascimentale. Una spazialità sicura creata con la coerente applicazione della prospettiva, sia lineare che aerea (la quale cioè tiene conto del medium atmosferico interposto tra il riguardante e gli oggetti), figure di un realismo severo e sintetico, osservate con profondità psicologica ed esprimenti un grande vigore morale, plastiche e classicheggianti, ma anche trattate con libertà pittorica: tutto ciò concorre a costituire i caratteri salienti di un sommo capolavoro.
Nel 1680 il marchese Francesco Ferroni, interprete del gusto del suo tempo, si offrì, volendo acquistare la cappella, di togliere di mezzo gli affreschi e di rinnovare la cappella a somiglianza della Corsini, nell’altro lato del transetto. Ma intervenne la duchessa Vittoria della Rovere che impedì la distruzione, non concedendo al marchese Ferroni di "far segare le mura del primo ordine ove sono le pitture più insigni", per conservarle altrove, e di "rinnovare" così la cappella senza grave danno per le pitture.
Recentemente gli affreschi della cappella sono stati restaurati: i colori sono stati restituiti all’antico splendore grazie a tecniche di pulitura (lo sporco era dovuto anche all’accumulo di nerofumo a causa delle candele), a ritocchi, a rinforzi dei colori sbiaditi. In questa sede sono stati dati solo degli accenni all’importanza della Cappella Brancacci, poiché questa non è stata oggetto del restauro di cui ci siamo occupati per altre zone della chiesa. Non sarebbe però possibile parlare del Carmine senza menzionarne il suo più ricco tesoro.
La critica ha individuato gli affreschi (istoriazioni) attribuibili a Masolino, a Masaccio e a Filippino Lippi. Appartengono a Masolino: nella parete di destra sono i primi due in alto, e cioè "I progenitori nel Paradiso Terrestre e la tentazione" e "La guarigione dello zoppo e la risurrezione di Tabita". Nella parete dell’altare è di Masolino l’affresco in alto a sinistra, "La predica di S. Pietro".
Nella parete dell’altare, tutte le pitture sono di Masaccio, tranne quelle già citate di Masolino, e cioè: "La cacciata", "Il tributo", "Il battesimo dei neofiti", "La distribuzione dei beni e la morte di Anania", "S. Pietro che risana con l’ambra".
Gli affreschi di Filippino Lippi sono tutti nella parte inferiore della parete. Di Masaccio e Filippino Lippi è "La resurrezione del figlio di Teofilo e S. Pietro in cattedra".
Durante il periodo della Controriforma, a partire dal 1568, la chiesa originaria, unitamente a quanto avvenuto per le chiese di S. Croce e di S. Maria Novella, subisce ad opera del Vasari rilevanti modifiche, viene abbattuto il tramezzo, arretrato il coro e trasferiti gli altari disposti a fianco del coro, lungo la navata; ciò non avvenne in maniera indolore, cioè con ogni probabilità andarono perduti gli affreschi delle cappellette gotiche, pertanto con l’intervento vasariano si procede alla creazione di nuove cappelle lungo la navata che le facoltose famiglie fiorentine fanno costruire.
Altro evento significativo da ricordare è l’acquisto nel 1636, da parte della famiglia Corsini, della cappella che si apre all’estremità sul braccio sinistro del transetto, per dare una degna sepoltura a S. Andrea Corsini canonizzato nel 1629.
La Cappella Corsini è espressione dello stile barocco seicentesco. Anch’essa, quasi quanto la Cappella Brancacci, è un monumento a sé. Si salvò dall’incendio ed è quindi preesistente ai rifacimenti. Risale ai ‘600 (architetto Pier Francesco Silvani) e precisamente fu iniziata nel 1675; nel 1682 Luca Giordano dipinse nella cupola l’ "Apoteosi di S. Andrea Corsini", il santo della famiglia, a cui è dedicata la cappella. La cupola, affrescata da Giordano, è ornata da ricchi fregi a festone in stucco dorato. All’altare si trova, in un sepolcro d’argento finemente cesellato, la salma di S. Andrea Corsini, che fu vescovo di Fiesole e visse dal 1302 al 1373; gli si attribuiscono numerosi miracoli. L’elemento più fantasioso e più decisamente barocco della cappella, che ne fa il complesso forse più caratteristico del ‘600 fiorentino, è la decorazione in marmo realizzata dall scultore Giovanbattista Foggini. Si tratta di altorilievi, di fantasiosi "quadri scolpiti" raffiguranti folle di uomini e cavalli che sembrano sforzarsi per uscire dalla cornice ed invadere lo spazio, così come lo invade arditamente la spada del Santo.
Anche gli altri due "quadri marmorei", per quanto più composti (S. Andrea Corsini in gloria e Apparizione della Madonna a S. Andrea) rappresentano un momento estremo della fantasia e dell’estro tipici dell’arte barocca. Come già detto, una magnifica ghirlanda di stucco dorato incornicia, più in alto, le finestre alla base della cupola.
La cappella Corsini appare nel suo splendore in quanto è stata restaurata negli anni ottanta.
Questo doveva essere l’aspetto della chiesa che è lecito presupporre, sulla base delle descrizione fatta dal Richa nelle "Notizie istoriche delle chiese fiorentine" nel XVIII secolo. Tale aspetto si è conservato fino al 1771 allorquando la chiesa venne distrutta da un terribile incendio.
Nel 1763 si dà inizio ai lavori di rinnovamento delle strutture del tetto di copertura; successivamente Zanobi del Rosso, architetto granducale, disegna e fa realizzare un soffitto di legno riccamente intagliato con capriate policrome, in stile tardo barocco-rococò. I lavori per la realizzazione della nuova copertura lignea erano quasi giunti al termine quando la notte tra il 28 e il 29 gennaio 1771 divampa un incendio che nel giro di alcune ore divora tutto l’interno. Grazie alla tempestività con la quale si intervenne, si riuscì a salvare dalle fiamme la Cappella Brancacci, la Cappella Corsini, la Sagrestia, il Convento, nonché la "Crocefissione" del Vasari e la Visitazione del Lomi al terzo e quarto altare di destra lungo la navata. Tutto il resto andò distrutto.
Dopo l’incendio con urgenza si imponeva la necessità della ricostruzione. L’aspetto attuale della chiesa è quindi il frutto di quanto venne realizzato fra il 1771 e il 1775; con questo si spiega lo stile tipicamente settecentesco (tardo barocco), ma mai pesante come nelle manifestazioni tipiche del barocco seicentesco: lo stile è anzi molto sobrio ed elegante.
L’incarico di disegnare la nuova chiesa viene da prima dato a Zanobi del Rosso, ma il suo progetto venne giudicato troppo dispendioso, per cui furono presi in esame altri progetti e la scelta cadde su quello di Giuseppe Ruggeri.
Quindi, già nell’estate del 1771, si dà inizio alla ricostruzione.
Parte delle antiche muraglie vengono riutilizzate, anche se si smantellano le sei antiche cappelle con gli affreschi trecenteschi e si abbattono completamente le volte del transetto.
Il transetto viene modificato edificando due cappelle: una a destra e una a sinistra della Maggiore, in simmetria con quelle di fronte, e viene costruito un grande arco a cornice dell’organo collocato nello spazio occupato dal finestrone gotico. Nella conduzione dei lavori ancora una volta ha un ruolo decisivo l’apporto dei frati carmelitani: sotto la loro guida vennero innalzati muri, ricostruite le capriate, le nuove volte della crociera e della navata, la vela campanaria e la cupola. A seguito della morte di Ruggeri, subentra l’architetto Giulio Mannaioni, che nel 1765 porta a compimento la costruzione architettonica.
La decorazione pittorica delle volte viene affidata ai pittori Giuseppe Romei e Domenico Stagi. Nell’opera tardo barocca, e quindi anche nel progetto del Ruggeri, si vogliono creare spazi di grande suggestione scenografica. Questa è una nuova concezione dell’arte. Infatti lo Stagi, che fu anche scenografo, ha curato le scenografiche rappresentazioni prospettiche dell’ambientazione archittettonica, attraverso la realizzazione di finte architetture, colonne balaustre al centro delle quali, nella navata, il Romei dipinge L’ "Ascenzione di Gesù", nella volta sopra il coro il "Rapimento di Elia", in quella del transetto sinistro la "Vergine che dona il velo a S. M. Maddalena de’ Pazzi", in quella del transetto destro la "Gloria del Beato Mazzinghi". Sono del Romei anche l’ "Apoteosi dei Santi del Vecchio e del Nuovo Testamento"nella cupola e le rappresentazioni nei quattro pennacchi dei "Profeti" Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele. La collaborazione tra l’elemento architettonico (Stagi) e l’elemento pittorico (Romei) ha fornito un effetto nella decorazione delle volte che è un illusione prospettica: si parla dei cosiddetti dipinti "al reale", in cui con le decorazioni vengono idealmente "proseguite" le architetture.
Abbiamo detto che i due estremi del transetto sono occupati dalla Cappella Brancacci a destra e dalla Cappella Corsini a sinistra.
Percorrendo il transetto, vi troviamo sei cappelle; a sinistra della Cappella Brancacci, un vestibolo conduce alla Sagrestia. Qui ci accoglie, con sorprendente contrasto, un’atmosfera diametralmente opposta: luce attenuata, linee composte. Anche questo mirabile ambiente si salvò dall'incendio ed è, in pratica, lo stesso della chiesa trecentesca. Si è conservato persino, sia pure restaurato, il tetto a capriate di legno vivacemente dipinte (capriate policrome). Alle due lunghe monofore ogivali sui lati fa riscontro la slanciata bifora gotica della cappelletta di Santa Cecilia che si apre nel fondo e che è completamente rivestita di affreschi del tardo ‘300, variamente attribuiti a Spinello Aretino o a Bicci di Lorenzo. Gli affreschi rappresentano scene della vita di S. Cecilia ("Storie di S. Cecilia"); sull’altare, "Crocifissione", nella maniera di Jacopo del Sellaio, e, sotto, predella con "Storie di S. Andrea Corsini", di scuola fiorentina del ‘400 inoltrato. Sulla parete a destra dell’ingresso "Madonna col Bambino" e i "S.S. Giovanni Battista, Elia, Niccolò e Leonardo", polittico attribuito ad Andrea da Firenze. Sopra una porticina a destra della cappella, lunetta con "Pietà", affresco del ‘300. Sopra una porticina a sinistra della cappella, "Madonna col bambino", lunetta ad affresco del ‘300. Sulla parete sinistra della Sagrestia: "Madonna col bambino", tavoletta del ‘400; "S. Andrea Corsini guarisce il cieco nato", grande tela del Poccetti (1600); "Madonna adorante il bambino", tavola del ‘400. Presso l’entrata si osserva un’opera curiosa, la cosiddetta "Poltrona di S. Andrea", che non risale però all’epoca del Santo, bensì a quella della sua canonizzazione (XVII secolo) e che è quindi un bell’esempio di taglio ligneo barocco.
Dal vestibolo della Sagrestia si scende nel Chiostro, costruito sui primi del secolo XVII (il Chiostro è infatti seicentesco). Sotto il portico, monumento funebre dello scultore e architetto G. Battista Foggini, morto nel 1725.
Più avanti si apre una sala di forma quattrocentesca, dove una parete è completamente ricoperta dal "Cenacolo" di Alessandro Allori (1582). Le belle pitture di gusto gotico (inizi del ‘400) sono state staccate dalle pareti di un oratorio sottostante alla chiesa. Nella vicina Sala Capitolare gotico-trecentesca ci accoglie subito, presso l’entrata, lo sguardo straordinariamente vivo di un S. Girolamo che fa parte di quelle straordinarie pitture di eccezionale interesse staccate dalle intercapedini di cui abbiamo parlato adesso: "Storia di S. Girolamo" di Gherardo Starnina (1404) provenienti dalla Cappella di S. Girolamo; "Conferma della Regola Francescana" di Filippino Lippi; "Flagellazione", "Ultima Cena e Santi", affreschi frammentari (1402-04), e grande "Crocifissione", provenienti dalla Cappella della Passione; "Crocifisso", di artista vicino all’Angelico. Nel vicino Salone Vanni, si trovano i resti di un’ "Ultima Cena" di Francesco Vanni, affresco frammentario, quindi.
Esiste anche un altro chiostro di architettura rinascimentale, ed esistono altri ambienti ancora da "esplorare" con la speranza che sotto i miseri intonaci si celi qualche altro capolavoro d’arte, come la famosa "Sagra" che Masaccio avrebbe dipinto proprio per questa chiesa. La "Sagra", cioè la consacrazione della chiesa, venne dipinta da Masaccio nel 1424 ca e vi erano ritratti Masaccio stesso, Masolino, Brunelleschi, Donatello e noti cittadini come Felice Brancacci, Niccolò da Uzzano, Baccio Valori, Giovanni di Bicci de’Medici, Lorenzo Ridolfi. L’affresco scomparve in un rifacimento architettonico tra il 1598 e il 1600. Si pensa che gli sia stata alzata una parete davanti senza distruggerlo.
Le lunette affrescate non hanno attribuzione certa, e sono state riposizionate dopo essere state staccate. La chiesa all’esterno ci mostra la disadorna facciata dell’originaria chiesa del XIII secolo; in basso si può osservare la fascia in pietra forte iniziata nel ‘400 e mai portata a termine, e il segno dell’antico rosone. Sul lato sinistro esterno dove si aprono le ampie finestre settecentesche è facilmente percepibile il rialzamento operato proprio nel ‘700, e su questo lato si trova una serie di archetti gotici (‘300) preesistenti. La parte più antica della chiesa è comunque la parte a meridione (l’ala meridionale del chiostro), ovvero la parte del complesso del Carmine che ospita il convento.
Tornando nella navata, l’ambiente attuale, in pratica, costituisce un "rivestimento" delle mura della chiesa preesistente. Lungo la navata vi sono cinque cappelle per ogni lato, incavate nel muro. Si presentano piuttosto piatte, mentre di solito hanno una maggiore profondità (in altre chiese che presentano cappelle sui lati della navata). Più che cappelle sono delle nicchie. Questa particolarità, cioè il loro essere poco profonde, si spiega col fatto che sono state utilizzate le mura della preesistente chiesa gotica, uscite indenni dall’incendio, e su di esse grava il "peso" della nuova costruzione.
Gli altari delle cappelle sono sormontati da archi a mezzo tondo e decorati con semicolonne, testine d’angelo e altre decorazioni a stucco. Le ritmiche arcate delle cappelle laterali sono sottolineate da lesene, tra le quali sono sistemati confessionali e alcune porte che mettono in comunicazione la chiesa con altri ambienti, sormontate da frontoni, fregi decorativi e nicchie che appaiono vuote ma che avrebbero dovuto ospitare le statue degli Apostoli, in ricordo delle pitture andate perdute. Intorno alla navata e alla crociera, eccettuato il coro e la facciata della Brancacci, gira un cornicione, al di sopra del quale sono impostate le volte dipinte.
Tra i dipinti più importanti della Cappella lungo la navata, c’è la Crocefissione del Vasari (seconda cappella a destra).
Troviamo quindi le volte affrescate dal Romei e le architetture realizzate dallo Stagi, un ambiente tardo barocco di grande suggestione determinato, come visto, dalle volte dipinte "al reale". La parte di coro, con l’organo settecentesco, è una delle parti della chiesa dove si nota più nettamente l’atmosfera di transizione, dal tardo Rococò al Neoclassico. Sulla destra risalta il monumento ad arcata di Pier Soderini, ultimo gonfaloniere della gloriosa Repubblica Fiorentina, scolpito minuziosamente nel suo tipico stile un po’ ritardatario da Benedetto da Rovezzano (1522).
Alzando gli occhi, dalla crociera, vediamo che ci troviamo sotto la cupola, che, a tamburo ottagonale, si innalza su quattro pennacchi. Dall’esterno, è più evidente che la cupola ha base ottagonale. La copertura è realizzata con un motivo a spicchi.
Campanile: nella chiesa originaria il campanile era posizionato leggermente sul retro. Nella chiesa settecentesca venne realizzata una vela campanaria. Il campanile a vela è formato da un setto murario con nicchie dove stanno le campane. Solo S. Maria Novella e S. Spirito hanno vele campanarie, le altre basiliche fiorentine hanno normali campanili.

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