Materie: | Riassunto |
Categoria: | Scienze |
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NATURA E ORIGINE DEL TERREMOTO
I sismi si verificano solo in determinate aree dette sismiche, che si distribuiscono prevalentemente lungo le catene montuose, le dorsali, le fosse… Un terremoto è una vibrazione della terra prodotta dalla rapida liberazione di energia meccanica in qualche punto al suo interno, detto ipocentro. Dall’ipocentro si propagano onde di tipo meccanico (come il suono) che si indeboliscono con la distanza. Le rocce, come ha scoperto Reid, si comportano in maniera elastica deformandosi progressivamente e accumulando energia fino a raggiungere il punto di rottura, che innesca il movimento del suolo intero generando le vibrazioni che causano il terremoto. (modello del rimbalzo elastico) Ciò che muove le rocce sono i movimenti interni della terra (crosta e mantello), che sottopongono a sforzi immensi le rocce accumulando energia elastica. Dopo la liberazione dell’energia si torna a una situazione di equilibrio, fino a che non si accumula altra energia, e ciò da origine al ciclo sismico: 1: stadio intersismico: si accumula energia. 2: stadio presismico: la deformazione elastica delle rocce raggiunge i livelli critici di resistenza, e si modificano esse stesse, preannunciando il sisma. 3: stadio cosismico: l’energia potenziale si libera sottoforma di calore e movimento. 4: stadio postsismico: dopo una serie di scosse di assestamento o repliche, la situazione torna alla normalità. Lo studio del ciclo sismico può aiutare a prevedere i terremoti.
PROPAGAZIONE E REGISTRAZIONE DELLE ONDE SISMICHE
Ai diversi tipi di movimento dell’ipocentro corrispondono diversi tipi di onde sismiche che si propagano sfericamente, e a causa della riflessione e della rifrazione di esse quando cambiano mezzo, esse vengono percepite dall’epicentro (sopra l’ipocentro) in modo confuso e violento. Per studiarle bisogna porsi a una certa distanza, poiché esse viaggiano a velocità diverse. Onde di compressione o longitudinali: dette onde P sono le più veloci (4-8 km/h) e si propagano nella direzione dell’onda stessa: le rocce si comprimono e si dilatano al loro passaggio, e si propagano in ogni mezzo, se arrivano al suolo creano un rombo cupo dovuto allo spostamento d’aria. Onde di taglio o trasversali: dette onde S, provocano un’oscillazione perpendicolare alla direzione dell’onda, cambiano la forma ma non il volume delle rocce attraversate e sono più lente (2,3-4,6 km/h), non si propagano nei fluidi. Le onde P ed S sono dette interne o di volume e si generano nell’ipocentro. Poi ci sono le onde superficiali che si propagano dall’epicentro e diminuiscono con la profondità. Esse sono le onde R, come le increspature sull’acqua, e le onde L, che sono come le S ma solo superficiali. Queste onde hanno una frequenza più bassa ma si propagano più lontano e più a lungo. La registrazione di un sisma si chiama sismogramma, che sull’epicentro è confuso, ma lontano da esso le onde si separano perché hanno diverse velocità e si possono studiare: prima arrivano le P, poi le S e infine le L e le R. La rifrazione e la riflessione delle onde all’interno della terra fa sì che il sismologo ottenga moltissime informazioni, come la potenza, la durata, la posizione dell’epicentro e la profondità dell’ipocentro, la direzione e l’ampiezza del movimento che ha generato il terremoto, dati sulla struttura interna della terra. Per determinare la profondità dell’ipocentro sono però necessarie almeno 10 stazioni di rilevamento, così da classificare il terremoto come superficiale (0-70 km, 75% dei terremoti), intermedio (70-300 km, 22%) o profondo (300+ km, 3%).
LA FORZA DI UN TERREMOTO
La forza di un terremoto si calcola per i suoi effetti visibili (scala delle intensità, la più usata è la Mercalli divisa in 12 gradi, o la MSK nell’est europeo) o per la grandezza (magnitudo). La scala delle intensità valuta esclusivamente gli effetti del terremoto su oggetti, persone e sul terreno, catalogando i dati macrosismici. Le isosisme sono linee che uniscono i punti a equivalente intensità: la più interna contiene l’epicentro macrosismico, che non sempre coincide con quello strumentale, la più esterna delimita le aree in cui il terremoto ha prodotto effetti rilevabili direttamente. Le isosisme non sono circonferenze perfette, ma sono irregolari, e danno così informazioni sulla geologia di quel territorio: se sono molto ravvicinate significa che le onde hanno subito un rapido smorzamento e viceversa. La magnitudo si calcola invece misurando l’ampiezza delle oscillazioni del terremoto. L’unità di misura è il terremoto standard, che su un sismogramma posto a 100 km dall’epicentro genera un’oscillazione Ao di 0,001 mm. In realtà ogni stazione di rilevamento ha il suo valore Ao diverso dagli altri, che dipende dalla complessità geologica che attenua in maniera diversa le onde. La scala di magnitudo è logaritmica, per cui ad ogni aumento di un livello la forza espressa aumenta alla potenza del 10. Le due scale non hanno valori concomitanti, poiché l’intensità dipende dalla profondità dell’ipocentro, dalla distanza dall’epicentro e dalle caratteristiche geologiche, mentre il magnitudo calcola la forza del terremoto espressa nell’ipocentro, ed è rilevata uguale in ogni parte del pianeta.
EFFETTI DEL TERREMOTO
La conseguenza principale di un terremoto è l’oscillazione complessa del suolo che si trasmette agli oggetti sovrastanti. I danni agli edifici sono dati dai movimenti orizzontali e dalla durata delle oscillazioni. L’ingegneria antisismica è in grado di costruire edifici che resistono alle oscillazioni. L’entità del danno è dovuta anche alla natura geologica su cui si costruisce: su ghiaie e sabbie il terreno si può costipare, altri tipi di terreno possono addirittura perdere consistenza e andare incontro al fenomeno della liquefazione. I movimenti del suolo si amplificano se le onde passano da un mezzo roccioso e denso a uno più argilloso, creando effetti ancora più vistosi. Altri effetti primari sono le fratture del terreno, il sollevamento o l’abbassamento del suolo. Il terremoto causa indirettamente anche incendi dovuti alla rottura delle linee del gas o dell’elettricità, carestie e epidemie. Se il terremoto si verifica sotto il mare, si ha il maremoto: l’oscillazione del fondo marino genera una perturbazione che si manifesta con onde molto lunghe che si propagano a 500-1000 km/h. Quando queste onde raggiungono la costa si innalzano fino a decine di metri.
TERREMOTI E INTERNO DELLA TERRA
La struttura interna della terra viene studiata attraverso i dati sismici. Le onde attraversano l’intera terra subendo variazioni di velocità e di traiettoria che forniscono una radiografia dell’interno del pianeta. La velocità aumenta con la profondità (salvo alcune eccezioni), e le onde non sono rettilinee ma curve perché rifratte. Esiste una zona d’ombra posta tra 11000 e 16000 km dall’epicentro in cui le onde P arrivano solo in piccolissima parte. Queste zone fanno supporre l’esistenza di un nucleo che devia e rallenta le onde P e non si fa nemmeno penetrare dalle onde S: ciò significa che probabilmente esso è, almeno nella sua parte più esterna, fluido. Studiando le onde si è posto il limite tra il mantello e questo nucleo a 2900 km dalla superficie (discontinuità di gutenberg). Su basi simili si è scoperto un nucle più interno solido il cui limite a 5170 km di profondità è detto discontinuità di lehmann. Il mantello non raggiunge la superficie, ma è diviso dalla crosta dalla discontinuità di mohorovicic. Lo studio della propagazione delle onde sismiche ha però rivelato che l’interno del pianeta non è omogeneo nelle sue tre zone: tra i 70 e i 250 km di profondità le onde P smettono di aumentare di velocità e anzi la diminuiscono. Questa zona è perciò probabilmente fluida ed è chiamata astenosfera. La parte sovrastante di mantello è più solida, praticamente rocciosa, e viene chiamata litosfera.
DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DEI TERREMOTI
Il 2 % dell’energia liberata dai terremoti segue il percorso delle dorsali oceaniche. Una sismicità più elevata si ha vicino alle fosse, il cui ipocentro è più profondo quanto più ci si allontana, come se fossero distribuiti su una superficie ideale inclinata che discende nella terra, detta poi superficie di benioff. Essa corrisponde all’80% dell’energia liberata in un anno. Una sismicità lungo le catene montuose costituiscono il 20% e raramente sono più profondi di 100 km. Vi sono poi i terremoti vulcanici, detti temori, che sono generati dal movimento del magma, ma si deve ricordare che vulcanesimo e terremoti sono due fenomeni che non si influenzano tra loro, ma avranno casomai una causa comune.
LA DIFESA DAI TERREMOTI
Ogni anno i terremoti causano sia direttamente che indirettamente la morte di 10000-15000 persone e danni alle cose per valori altissimi che gravano sull’economia del paese. Si deve perciò tentare di prevederli e di ammortizzarne gli effetti. La previsione deve dirci dove e quando e con che intensità si presenterà il sisma. Si può fare una previsione deterministica, che segnala gli eventi precursori di un terremoto. Nel ’75 in Cina venne sfollata la regione di Haicheng, e cinque ore dopo un terremoto distrusse il 90% degli edifici, ma con pochissime vittime. L’anno dopo nella regione del Tangshan, a soli 400 km, si ebbero gli stessi fenomeni, la zona fu evacuata, ma non successe nulla. Ma alcuni mesi dopo un terremoto di magnitudo 8 uccise 650000 persone senza che venisse rilevato alcun segno precursore, e ciò ridimensionò la speranza di poter predire un terremoto. Alla base dello studio dei fenomeni precursori c’è il modello del rimbalzo elastico: Le rocce immagazzinano energia deformandosi fino alla rottura completa, ma prima di essa si è notato che esse si dilatano a causa delle numerose microfratture al loro interno. Questo fenomeno, detto dilatanza, genera anomalie rilevabili, come la variazione di velocità delle onde P o i sollevamenti del terreno o l’aumento della quantità di gas radon all’interno delle falde acquifere o liberato dal suolo. Un altro tipo di previsione è quella statistica, che si basa sul presupposto che la distribuzione delle aree sismiche non è casuale, e che la loro storia sismica si ripeta (ciclo sismico). Questi dati sono contenuti nei cataloghi sismici. Questa previsione non può essere che a lungo termine, ma è utile per individuare aree in cui concentrare gli studi deterministici perché è più probabile l’arrivo di un terremoto. Un altro modo per difendersi dai terremoti è la prevenzione: educare le masse, studiare la geol Crosta: parte più esterna del pianeta, spessore varia tra 30 e 70 km in corrispondenza dei continenti, e in media 6 km sotto i fondi oceanici. Rocce granitoidi nei continenti, basiche nei fondali marini. La base della crosta è indicata dalla superificie di Moho. Mantello: dopo la superficie di moho le onde sismiche si muovono con una velocità superiore rispetto alla crosta: questo indica una maggiore rigidità. La pressione aumenta con la profondità. Tra i70 e i 250 km di profondità si trova la astenosfera ossia una fascia dove il mantello è parzialmente fuso; si ritiene sia formato in gran parte da peridotiti, rocce ultrabasiche formate quasi esclusivamente da olivina e pirosseni. L’insieme di crosta e mantello fino all’astenosfera è detto litosfera. Nucleo: varie ipotesi sulla sua composizione; si crede sia formato da una lega di ferro e nichel; la parte più esterna è fluida.
Tettonica
La terra perde continuamente calore (f.t.), prodotto nel suo interno dagli isotopi radioattivi. Il flusso termico è disomogeneo e riflette la presenza di correnti connettive: materiale più caldo (più leggero) risale nel mantello, mentre materiale più freddo sprofonda (con la velocità di qualche cm/anno). La temperatura cresce con la profondità: nel mantello arriva fino a 3000 gradi, nel nucleo oltre 4000.
La terra è circondata da un campo magnetico esteso nello spazio circostante; molte rocce possono venire magnetizzate al momento della loro formazione e conservare tracce del campo magnetico che le ha influenzate (paleomagnetismo), per cui è possibile ricostruire l’apparente posizione del polo nord magnetico nel passato. Si è scoperto che i due poli magnetici si invertono periodicamente di posizione (inversione di polarità magnetica).
Crosta continentale: spessore maggiore (in media 35km, si arriva anche a 70); età delle rocce da oggi fino a 4000 Ma; composizione eterogenea, con profonde deformazioni (pieghe, faglie, falde, metamorfismo..). è divisa in cratoni: divisi a loro volta in scudi e tavolati, sono aree stabili da molto tempo; e orogeni: deformate negli ultimi 500 Ma; le più recenti sono ancora instabili.
Crosta oceanica: spessore inferiore(media 6km), età inferiore a 190 Ma; composizione omogenea sedimenti che coprono le rocce basiche – basalti e gabbri – in strati non deformati).
La crosta galleggia sul sottostante mantello; le catene montuose emergono in quota perché al di sotto di loro la crosta ha un forte spessore di rocce meno dense rispetto al mantello (radici) che le mantiene in equilibrio – isostasia. Ogni variazione di spessore nella crosta si traduce in movimenti verso l’alto e verso il basso, verso un nuovo equilibrio (aggiustamenti isostatici).
La crosta oceanica comprende un sistema di dorsali oceaniche, una sorta di ampio inarcamento verso l’alto la cui sommità è percorsa dalla rift valley, una profonda e ampia fossa tettonica; entro tale fossa risale continuamente dal mantello magma basaltico, che si solidifica e forma nuova crosta; in altri settori la crosta oceanica si inflette verso il basso formando le fosse abissali fiancheggiate da archi vulcanici e con forte sismicità (ipocentri lungo superficie di Benioff).
L’ipotesi dell’espansione dei fondi oceanici prevede che lungo la rift valley delle dorsali, dove il magma risale, si formi continuamente una nuova litosfera (quindi anche crosta) oceanica, mentre i due lati delle dorsali si allontanano reciprocamente; nello stesso tempo, nelle fosse oceaniche altra litosfera, ormai fredda e densa, sprofonda nel mantello (subduzione) e viene riciclata; questo sprofondamento provoca terremoti e, con la fusione progressiva del materiale che affonda, produce magmi che risalgono e alimentano numerosi vulcani (arco vulcanico). Una conferma della graduale espansione dei fondali oceani e della loro progressiva consunzione è stata vista nella distribuzione a fasce alternativamente positive e negative delle anomalie magnetiche registrate in corrispondenze dei fondali marini, che viene attribuita al paleomagnetismo dei basalti della crosta oceanica, combinato col fenomeno dell’inversione di polarità magnetica.
La litosfera è divisa in una ventina di placche di dimensioni varie, stabili al loro interno e delimitate da combinazioni di margini attivi: dorsali di espansione (margini costruttivi o divergenti), fosse di subduzione (margini distruttivi o di convergenza) e faglie trasformi (margini conservativi). Globalmente la nuova litosfera che si produce lungo le dorsali è bilanciata da vecchia litosfera che viene riciclata nella subduzione. Le singole placche possono essere formate da sola litosfera oceanica o continentale o da entrambe.
Il movimento delle placche provoca la profonda deformazione di interi lunghi settori di crosta, con formazione di catene montuose (orogeni) secondo vari meccanismi: per consumazione della crosta oceanica in subduzione sotto il margine continentale di una placca; per collisione interposta tra due placche in convergenza tra loro; per accrescimento crostale a seguito di collisioni di frammenti di crosta di varia natura trascinati a saldarsi lungo un margine continentale. Modesti lembi di litosfera oceanica possono rimanere incastrati nella crosta deformata (ofioliti)
La litosfera continentale può lacerarsi lungo grandi fratture provocate fa movimenti del mantello. La fossa tettonica che si forma si allarga e i due settori della litosfera si separano. Nello spazio interposto si forma nuova litosfera oceanica, che diviene il pavimento di un nuovo oceano in espansione. Lungo i margini del nuovo oceano si accumulano grossi spessori di sedimenti (prismi sedimentari) . inversioni nel movimento delle placche possono portare un prisma sedimentario a collidere e le sue rocce entrano così a far parte di una catena montuosa (un orogeno, destinato a diventare un nuovo lembo della crosta continentale) il movimento delle placche porta alla periodica aggregazione di un supercontinente (robinia, pangea) destinato a smembrarsi (ciclo di Wilson).
Vulcanesimo e sismicità sono strettamente connessi con la tettonica delle placche. Vulcanesimo effusivo e terremoti superficiali sono associati alle dorsali (fusione parziale del mantello in risalita e faglie lungo la rift valley) ; vulcanesimo esplosivo e terremoti da superficiali a profondi sono collegati al piano di subduzione ( fusione e deformazione con faglie della placca che affonda); vulcanesimo isolato ai punti caldi. Terremoti lungo le catene montuose indicano che gli sforzi dovuti alle collisioni continentali non si sono ancora esauriti. Terremoti superficiali all’interno di una placca possono segnalare la prossima formazione di un nuovo margine.
Il motore delle placche è visto in movimenti convettivi all’interno del mantello, con circuiti unici tra la base de mantello e la litosfera o con circuiti separati nel mantello inferiore e quello superiore. Litosfera oceanica fredda e pesante sprofonderebbe nel mantello e alcuni lembi scenderebbero fino al limite con il nucleo, mentre da quelle stesse regioni risalirebbero i pennacchi, che si manifestano nei punti caldi. Il lavoro di questo gigantesco motore termico è fatto a spese dell’energia termica della terra, legata al calore latente che si libera nella solidificazione del nucleo esterno (fluido) e al decadimento degli isotopi radioattivi.
ogia del territorio e costruire edifici antisismici.