RICERCA DETTAGLIATA AIDS

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Testo

A.I.D.S.

Epidemiologia

Mappa dell'Africa colorata in base all'incidenza della percentuale di sieropositivi adulti (età 15-49)
Si pensa che la sindrome sia originata nell'Africa sub-sahariana (Gao et al., 1999) per mutazione di un retrovirus animale, forse della scimmia, che nel XX secolo fu trasmesso alla popolazione umana diventando poi una epidemia globale. La UNAIDS e il WHO stimano 25 milioni di morti dalla scoperta della sindrome, il che ne ha fatto una delle più terribili epidemie della storia. Nel solo 2005 sono stati stimati circa 3,1 milioni di morti di cui 570.000 bambini.
Globalmente, un numero compreso tra 36,7 e 45,3 milioni di persone vive con l'HIV (fonte UNAIDS, 2005). Nel 2005, un numero compreso tra 4,3 e 6,6 milioni di persone è stato infettato e un numero compreso tra 2,8 e 3,6 milioni di persone è morto per l'AIDS, un incremento dal 2004 e il numero più alto dal 1981.
Il più recente report di valutazione del World Bank's Operations Evaluation Department valuta l'efficacia dell'assistenza offerta dalla Banca Mondiale agli stati in termini di deifnizione delle strategie, lavoro analitico e prestiti con l'esplicito obiettivo di ridurre l'impatto epidemico dell'AIDS. Questa è la prima valutazione generale dell'aiuto della Banca Mondiale alle nazioni, dall'inizio dell'epidemia di HIV/AIDS fino a metà del 2004. Trattando di implementazioni di programmi governativi per i governi, il rapporto fornisce indicazioni su come i programmi nazionali per la lotta all'AIDS possono essere resi più efficaci.
I dati diffusi dall'Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2004 rivelano un aumento della pandemia da HIV così come un aumento delle persone decedute per AIDS.
Nei paesi dell'Africa Sub Sahariana vi sono circa 25-28 milioni di persone infette da HIV, più del 60% di tutta la popolazione e più dei tre quarti delle donne. In America latina e nell'area caraibica, nello scorso anno, vi sono state circa 2.000 infezioni che hanno portato il numero di sieropositivi a circa 2 milioni. Con i suoi 100.000 morti tale area è quella che è stata più colpita dopo l'Africa Sub Sahariana.
In medio oriente ed in Nord Africa, ad eccezione del Sudan, tutta l'area presenta una prevalenza di HIV bassa. Attualmente vi sono circa 600.000 infetti dal virus (compresi i 55.000 che si sono aggiunti lo scorso anno) e nel 2003 l'AIDS ha ucciso circa 45.000 persone.
Nei paesi dell'Europa dell'Est e dell'Asia Centrale l'epidemia è in espansione con 1,3 milioni di persone sieropositive contro le 160.000 del 1995.

Patogenesi
Ciò che l'infezione virale provoca è la comparsa di uno stato infiammatorio cronico che si risolve in un deficit funzionale e quantitativo del sistema immunitario. Sebbene una risposta immune particolarmente forte può essere utile per controllare la replicazione virale, il mantenimento di un tale stato nel corso del tempo può portare a progressivo esaurimento e deplezione cellulare.
Evento centrale nella patogenesi dell'infezione da HIV è l'interessamento della linea linfocitaria.
Effettivamente oltre alla riduzione numerica si notano anche vari fenomeni imputabili alla riduzione funzionale dei linfociti T:
• Riduzione della risposta proliferativa alla stimolazione antigenica,
• Sbilanciamento della risposta Th1 a favore di quella Th2. Ciò determina una riduzione dell'immunità cellulare a tutto vantaggio di quella umorale,
• Mancanza o riduzione della risposta T ad opera di antigeni cui si era precedentemente suscettibili. Si ipotizza che ciò possa essere dovuto ad una precoce deplezione dei linfociti CD4 di memoria probabilmente a causa della loro alta espressione del recettore CCR5.
Attualmente si ritiene che tutti questi fenomeni non abbiano una base univoca ma multifattoriale:
• è noto che l'HIV sia in grado di uccidere direttamente la cellula per lisi (effetto citopatico). Ciò potrebbe avvenire per accumulo eccessivo di particelle o materiale genetico o proteico di natura virale. Si pensa che a ciò si possa aggiungere un'inibizione eccedente dell'espressione proteica della cellula ospite,
• l'HIV è in grado di generare sincizi per la fusione delle membrane cellulari di cellule infette tra loro oppure con cellule sane a causa del legame che si può formare tra gp120 e CD4. A seguito della fusione si determina un forte rigonfiamento e morte cellulare in poche ore. Sembrerebbe che la capacità di formare sincizi sia limitata solo ai ceppi T-tropici di HIV-1.
• la formazione di anticorpi contro proteine dell'envelope virale può essere responsabile della lisi di cellule esprimenti questi antigeni sulla loro superficie. Possono intervenire diversi fenomeni in quest’evento: la lisi mediata da linfociti T specifici o ad opera di cellule citotossiche (NK, granulociti, fagociti mononucleati),
• apoptosi linfocitaria. Questo fenomeno coinvolgerebbe sia i linfociti T CD4+ che quelli CD8+. Per i primi si sospetta il coinvolgimento del legame CD4-gp120 nella genesi del fenomeno cui si aggiunge l'attivazione linfocitaria per stimolazione del recettore per l'antigene
(TCR) con conseguente aggregazione dei CD4 e scatenamento del fenomeno apoptotico. Nella genesi di questo fenomeno, tuttavia, sono coinvolti altri fattori. Varie proteine virali, env, vpr, nef, vpu e tat hanno dimostrato di indurre apoptosi in linfociti T non infetti sebbene tra essa si ritenga che in vivo l'azione più importante venga svolta da env. Anche l'attivazione del recettore CXCR4 riveste una certa importanza in quanto esso è in grado di indurre una cascata molecolare apoptotica indipendente da Fas. Altri studi, inoltre, hanno dimostrato che l'attivazione di CXCR4 è un evento importante nello sviluppo dell'apoptosi sia dei linfociti CD4+ che CD8+.
• perdita dei precursori delle cellule immunitarie. Si ritiene che ciò possa avvenire o per infezione diretta delle o di cellule progenitrici situate nel timo o di cellule accessorie capaci di secernere citochine e fattori necessari al processo di differenziazione.
• si è notato un certo grado di omologia tra gp120, gp41 e gli antigeni HLA-DR e HLA-DQ. Ciò ha portato ad ipotizzare che eventuali anticorpi contro le proteine virali possano cross-reagire con le proteine HLA espresse su linfociti specifici determinando, così, un blocco del legame di quest’ultimi con il recettore CD4 delle cellule infette cui segue un'inibizione di tipo funzionale,
• sembrerebbe che il legame di gp120 o gp41 sul CD4 sia in grado di inibire la funzione dei linfociti T helper rendendoli incapaci di rispondere alla stimolazione mediata da CD3,
• possibile legame di superantigeni di origine virale alla catena b del TCR con conseguente anergia linfocitaria.
In corso di infezione da HIV vengono a crearsi due compartimenti virologici distinti ma comunicanti:
• un compartimento attivo costituito dal virus libero nel sangue e da quello contenuto all'interno di linfociti caratterizzato da una replicazione virale elevata,
• un compartimento di latenza costituito da linee cellulari e zone anatomiche dell'organismo dove il virus resta in uno stato latente e che fungono, perciò, da serbatoi (reservoir).
Se il compartimento attivo gioca un ruolo importante nel danneggiare il sistema immunitario, quello di latenza è il principale responsabile della mancata eradicazione del virus dall'organismo.
I reservoir di HIV vengono suddivisi in cellulari ed anatomici.
Quelli cellulari sono costituiti dalle cellule follicolari-dendritiche, dai linfociti CD4+ quiescenti e dai monociti-macrofagi.
Dei reservoir anatomici fanno parte, invece, il sistema nervoso centrale ed i testicoli (sebbene altri compartimenti dell'organismo siano sopettati di avere una funzione simile).
Le cellule follicolari dendritiche sembrano avere un ruolo importante, almeno nelle prime fasi dell'infezione, a causa della loro funzione di presentazione dell'antigene, nel portare il virus a contatto con gli organi linfoidi o i linfociti CD4+. Oltre a ciò si è visto che sono capaci di trattenere sulla loro superficie un elevato quantitativo di virioni. Tuttavia in corso di terapia antiretrovirale tale numero si riduce drasticamente a tal punto che qualche autore sostiene che esse, in corso di terapia antiretrovirale efficace, perdano la loro funzione di reservoir o, al massimo, che diventi di secondo piano. E’ da notare, tuttavia, che tale conclusione non è unanimemente condivisa.
I linfociti CD4+ quiescenti possono essere infettati da HIV anche se le modalità di questo fenomeno non sono ancora chiare. I linfociti quiescenti vengono sottoposti a maturazione nel timo e da lì emergono rimanendo in uno stato latente fino all'incontro con l'antigene. Si ritiene che l'infezione col virus possa avvenire o nello stadio immaturo all'interno del timo (organo nel quale il virus è stato rintracciato) o nello stadio di quiescenza una volta completata la maturazione. In tal caso si ritiene che a causa dello stato di quiete della cellula il genoma virale si trovi nella forma non integrata. Un'altra ipotesi sostiene che il virus infetti linfociti attivi i quali, una volta concluso il loro stato di attività, possono andare incontro ad uno stato di latenza, ammesso che siano riusciti a sopravvivere. In tal caso il genoma virale si trova nella forma integrata anche se non si ha produzione di virioni.
I monociti/macrofagi sono un compartimento sottoposto ad un infezione cronica e produttiva da parte di HIV, essendo poco sensibili agli effetti citopatici del virus. La continua produzione virale e la capacità dei monociti di veicolare il virus in quasi tutto l'organismo rendono tale compartimento il più importante nel mantenimento dell'infezione. E’ noto,inoltre, che i monociti/macrofagi sono la principale fonte di virus in caso di interruzione o fallimento della terapia antiretrovirale.
E’ noto che HIV si può ritrovare nel sistema nervoso centrale di individui infetti. Da alcuni dati si ipotizza che la penetrazione del virus possa avvenire in tempi molto precoci dopo l'ingresso nell'organismo. Nel sistema nervoso centrale l'infezione virale è limitata ai macrofagi ed alle cellule della microglia mentre gli altri tipi cellulari non sembrano essere coinvolti (tranne gli astrociti la cui infezione, come si è affermato precedentemente, non è produttiva). L'assoluta particolarità del sistema nervoso centrale quale elemento di riserva di HIV la si evince anche dal fatto che il virus in esso presente è genotipicamente e fenotipicamente differente rispetto a quello plasmatico ed è tendenzialmente R5-using.
Per quanto riguarda l'apparato genitale maschile è noto che nel liquido seminale il virus si può rintracciare. sebbene non sia chiaro da quale cellule possa venir trasmesso. Da questo punto di vista è interessante notare che, in alcuni esperimenti, HIV-2, ma non HIV-1, abbia dimostrato di infettare le cellule di Leydig. Un altro studio ha dimostrato che i macrofagi testicolari esprimono CCR5, CXCR4, CD4 e CD45 suggerendo che essi siano i principali distributori del virus a quel livello. Anche nel caso dell'apparato genitale il virus rintracciabile presenta mutazioni differenti rispetto a quello plasmatico.

Clinica

Grafico che mostra l'andamento della carica virale e dei linfociti CD4 nel corso dell'infezione da HIV
In circa la metà delle persone infettate dal virus dopo circa 3-6 settimane dal contatto si verifica una sindrome similnucleosica che spontaneamente regredisce e che è caratterizzata da: faringite, febbre, linfoadenopatia, astenia, cefalea, sonnolenza e rash cutaneo. La gravità dei sintomi è assai variabile. Tali manifestazioni si accompagnano ad un'intensa viremia ed ad un forte aumento della proteina p24. In alcuni casi si sono verificate delle infezioni opportunistiche probabilmente a seguito di una rapida diminuzione o disfunzione dei linfociti CD4. Come affermato precedentemente tale quadro sindromico regredisce in maniera spontanea e si assiste anche ad un aumento dei CD4 che tende a riportarsi nella norma (o a poco meno) ed a rimanere costante per un periodo più o meno lungo. Nel 10% dei casi, tuttavia, il quadro immunologico non migliora e precipita in maniera fulminante.
A distanza di 1-3 mesi dall'infezione si può verificare una sieroconversione con comparsi di anticorpi contro gli antigeni virali. Si ritiene che questo fenomeno sia coinvolto nella regressione della sintomatologia similnucleosica in quanto determina una brusca diminuzione della carica virale che diventa così bassa da non essere più rilevabile anche se il virus permane a livello dei linfmonociti. Il sistema immunitario, però, non riesce ad eliminare completamente il virus dall'organismo.
Successivamente il quadro della persona infetta tende a rimanere costante per un periodo assai variabile la cui mediana si aggira intorno ai 10 anni. Questo quadro viene definito di latenza clinica in quanto la persona non accusa altri sintomi o segni di malattia ma il cui sistema immunitario tende lentamente a declinare. Si è notato che la velocità di progressione è correlabile con la quota di RNA di HIV presente.
Maggiore è la quota di RNA, più rapido è il passaggio ad uno stato sintomatico. Talvolta in questa fase si può generare una linfoadenopatia persistente.
La continua deplezione dei linfociti CD4 e la loro disfunzione causano la comparsa di malattie alcune delle quali dovute ad infezioni opportunistiche mentre le altre sembrano dovute allo stato di infezione cronica da HIV. Tra le più frequenti si ricordano:
• Linfoadenopatia generalizzata,
• Lesioni orali quali mughetto, leucoplachia (forse per azione del virus di Epstein-Barr) ed ulcere aftose,
• Herpes Zoster,
• Trombocitopenia a causa sconosciuta ma di cui si sopetta un'azione diretta del virus sui megacariociti,
In questo stadio possono anche comparire lesioni neurologiche di vario tipo sia periferiche che centrali (queste ultime fanno parte di un complesso sindromico che va sotto il nome di AIDS Dementia Complex).
A questi sintomi se ne possono accompagnare anche altri quali febbre, diarrea e dimagrimento che vanno sotto il nome di complesso correlato con l'AIDS (AIDS related complex, ARC). I reperti che si ritrovano in corso di ARC da molti Autori non sono considerati come uno stato di AIDS conclamato anche se, ovviamente, sono espressione di un declino del sistema immunitario.
Lo stato di ARC successivamente culmina nello stadio di AIDS conclamato caratterizzato da svariate infezioni opportunistiche (polmonite da Pneumocisitis carinii, criptosporidosi, toxoplasmosi, istoplasmosi, candidosi, citomegalovirus, tubercolosi, micobatteriosi atipiche, ecc.), neoplasie varie (sarcoma di Kaposi, linfomi a cellule B, carcinomi) e da una progressione del quadro neurologico.
Il più delle volte l'exitus avviene a seguito delle infezioni opportunistiche tra cui più spesso per le polmoniti.
La terapia
Attualmente, l' infezione da HIV viene trattata con la cosiddetta highly active antiretroviral therapy (HAART) nella quale si utilizzano opportune combinazioni di farmaci antiretrovirali. Il suo utilizzo, a partire dal suo ingresso nel 1995, ha consentito di ridurre la morbidità e la mortalità degli individui che sono stati infettati dal virus. Tale terapia, inoltre, permette anche un miglioramento dei parametri immunitari con un netto aumento del linfociti CD4+ che sembra permanere fino a 4-5 anni cui si accompagna un abbassamento della carica virale plasmatica e liquorale.
L'utilizzo della HAART, tuttavia, in uno studio preliminare condotto su dieci persone infette da HIV-2 sembra avere una minore efficacia rispetto ai risultati che si ottengono con HIV-1.
Attualmente la terapia antiretrovirale utilizza farmaci appartenenti a tre classi:
• gli inibitori della trascrittasi inversa, a loro volta distinti in inibitori nucleosidici, nucleotidici e non nucleosidici,
• gli inibitori della proteasi,
• gli inibitori della fusione,
Gli inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa per esplicare la loro azione devono venir trifosforilati dalle chinasi endocellulari e successivamente competono con i desossinucleotidi endogeni durante il processo di retrotrascrizione. L'efficacia di tali composti dipende dalla concentrazione intracellulare loro e dei desossinucleotidi con cui si trovano a competere. Ciò significa che cellule come i macrofagi, che hanno un metabolismo limitato ed in conseguenza di ciò una concentrazione molto bassa di desossinucleotidi, sono assai sensibili all'azione di tali farmaci.
Gli inibitori nucleotidici, di cui in Italia è registrato solo il Tenofovir si comportano come inibitori competitivi della trascrittasi inversa, come gli inibitori nucleosidici, ma, a differenza di quest’ultimi, presentano un gruppo fosfato legato ad una purina od una pirimidina. Ciò permette l'eliminazione della prima tappa di fosforilazione semplificando le tappe di metabolizzazione riducendole a due. Anche tale categoria di farmaci, così come gli inibitori nucleosidici, presenta un'azione maggiore sui macrofagi che sui linfociti infettati. Si è visto che l'indice terapeutico del Tenofovir sui monociti/macrofagi si aggira intorno a 15000 mentre sui linfociti si situa su 20.
Gli inibitori non nucleosidici della trascrittasi inversa esplicano la loro attività legandosi direttamente al sito attivo dell'enzima determinandone il blocco dell'azione. Tali farmaci sono indipendenti dal metabolismo cellulare in quanto non necessitano di alcuna modificazione e non risentono della concentrazione di dessosinucleotidi. A seguito di ciò il loro effetto su monociti/macrofagi e linfociti sembra essere equivalente.
Gli inibitori della proteasi vanno a bloccare l'ultima parte del ciclo replicativo di HIV in quanto impediscono la maturazione delle proteine virali. Ciò determina un blocco dell'assemblaggio e del rilascio di nuovi virioni. Un tale meccanismo d'azione fa sì che gli inibitori della proteasi siano utili in tutte quelle situazioni in cui le fasi iniziali del ciclo virale sono già passate rendendo perciò inutile l'uso degli inibitori della trascrittasi inversa. Una simile situazione si rinviene nei macrofagi i quali, come si è visto precedentemente, fungono da reservoir di HIV ai cui effetti citopatici sono poco sensibili. In tali cellule il genoma virale è già integrato in quello dell'ospite per cui gli unici composti in grado di bloccare la replicazione virale a questo livello attualmente sono gli inibitori della proteasi. Sfortunatamente la concentrazione efficace di questi composti sui monociti/macrofagi e maggiore di quella dei linfociti CD4+ attivi e spesso sono equivalenti alle massime concentrazioni plasmatiche raggiungibili in vivo. Ciò non solo può favorire la comparsa di effetti avversi ma può anche rendere ragione del fatto che in alcuni distretti dell'organismo l'inibizione della replicazione virale nei monociti/macrofagi ottenuta in tal modo sia incompleta.
Gli inibitori della fusione sono una categoria di farmaci usciti di recente di cui, al momento, l'unico esponente è l'Enfuvirtide, determinano un blocco del processo di fusione del virus con la membrana della cellula ospite. Questo processo si articola in tre fasi: aggancio, legame ai corecettori e fusione delle membrane. Enfuvirtide è un peptide che mima un motivo della proteina gp41. Quando la proteina gp120 si aggancia ai suoi recettori, gp41 subisce una serie di cambiamenti conformazionali che culminano nella formazione di una struttura a tre foglietti β che funziona da ponte tra il virione e la cellula da infettare. Enfuvirtide determina un blocco della regione amino-terminale della gp41 impedendo la formazione dei tre foglietti.

Sintomatologia
I primi sintomi dell'AIDS sono simili a quelli che si sviluppano in soggetti con un normale sistema immunitario. La maggior parte sono infezioni causate da batteri, virus, funghi, parassiti e altri organismi.(Holmes et al., 2003) Negli individui affetti da AIDS sono comuni le infezioni opportunistiche, e aumenta il rischio di sviluppare varie forme di tumore come il Sarcoma di Kaposi, tumori del cervello e linfomi. Sintomi comuni sono febbre, sudorazione specie notturna, ingrossamento ghiandolare, tremore, debolezza e perdita di peso(Guss, 1994a; 1994b). La sopravvivenza media con terapia antiretrovirale è di 4-5 anni dal momento della diagnosi di AIDS conclamato (Schneider et al., 2005). Senza il supporto terapeutico la morte sopravviene entro un anno (Morgan et al., 2002b). La maggior parte dei pazienti muore per infezioni opportunistiche dovute al progressivo indebolimento del sistema immunitario (Lawn et al., 2004).
Definizione di AIDS e infezione da HIV
Fin dal 1982 sono state coniate varie definizioni per il monitoraggio epidemiologico dell'infezione: tra queste la definizione Bangui e quella dell'Organizzazione Mondiale della Sanità datata 1994. Tuttavia, non sono da intendersi come utili per la classificazione clinica dei pazienti, in quanto non sono appropriate e specifiche. Il sistema di classificazione usato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità e quello del CDC Centers for Disease Control può essere utilizzato solo nei paesi sviluppati.

Classificazione delle infezioni e malattie da HIV dell'OMS
Nel 1990, l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha raggruppato i diversi tipi di casi definendo una scala per i pazienti affetti da HIV-1. Questa è stata aggiornata nel settembre del 2005. La maggior parte di queste infezioni opportunistiche può essere facilmente curata in soggetti altrimenti sani.
• Stadio I: l'infezione da HIV è asintomatica e non categorizzata come AIDS
• Stadio II: include minori manifestazioni mucocutanee e ricorrenti infezioni del tratto respiratorio superiore
• Stadio III: include diarrea cronica prolungata per oltre un mese, gravi infezioni batteriche e tubercolosi
• Stadio IV include toxoplasmosi del cervello, candidosi di esofago, trachea, bronchi o polmoni e sarcoma di Kaposi; queste patologie sono usate come indicatori dell'AIDS.

Sistema di Classificazione delle Infezioni da HIV secondo i CDC
Negli USA, la definizione di AIDS is governata dai Centers for Disease Control and Prevention (CDC). Nel 1993, i CDC allargarono la loro definizione di AIDS andando ad includere persone sane ma positive al test per l'HIV, e con un numero di linfocitiT CD4+ inferiore a 200 per µl di sangue. La maggioranza dei nuovi casi di AIDS negli Stati Uniti sono diagnosticati quando si ha un basso numero di linfociti T ed è presente una infezione da HIV (MMWR, 1992).

Manifestazioni cliniche dell'AIDS

Le principali patologie polmonari
Polmonite da Pneumocystis jiroveci
La polmonite da Pneumocystis jirovecii (originariamente noto come Pneumocysits carinii), nelle persone immunocompetenti è relativamente rara ma diventa piuttosto comune nelle persone con AIDS. Tra costoro, prima dello sviluppo di trattamenti efficaci e delle appropriate metodologie diagnostiche, si trattava di una delle più frequenti cause di morte nei paesi ricchi. Tuttora, resta uno dei segni principali di AIDS in individui non sottoposti al test per HIV e tende a presentarsi soprattutto nei casi in cui la conta dei linfociti CD4 è inferiore ai 200 per µl (Feldman, 2005).
Tubercolosi
La tubercolosi, tra le principali patologie associate all'infezione da HIV, è l'unica che può essere trasmessa a persone immunocompetenti tramite la respirazione. Si tratta d'una patologia che può manifestarsi anche ai primi stadi dell'infezione da HIV ma al momento si dispone di efficaci terapie preventive. Una delle più grandi problematiche per il futuro, tuttavia, è il crescente tasso di resistenza polifarmacologica.
Nonostante fosse ritenuta essere sotto controllo nei paesi occidentali, grazie alle terapie farmacologiche ed a misure di sanità pubblica, la sua incidenza è ripresa a salire e nei paesi in via di sviluppo è rimasta sempre su alti tassi di prevalenza, grazie anche alla crescente diffusione di HIV nella popolazione.
Nei primi stadi dell'infezione da HIV (in cui la conta dei linfociti CD4+ è >300 cellule per µl), la tubercolosi si manifesta principalmente come patologia polmonare mentre, nei casi avanzati, si presenta nelle forme extrapolmonari con interessamento del midollo osseo, del tratto gastrointestinale, dell'osso, del fegato, dei linfonodi regionali e del sistema nervoso centrale (Decker and Lazarus, 2000)..
Le principali infezioni del tratto gastro-intestinale
Esofagiti
L'esofagite è un'infiammazione del rivestimento dell'estremo inferiore dell'esofago (il dotto che porta allo stomaco). Nelle persone contagiate da HIV l'infiammazione è dovuta a funghi (candidiasi), virus (herpes simplex-1 o citomegalovirus). In rari casi è dovuta a micobatteri (Zaidi and Cervia, 2002).
Diarrea cronica
Nell'infezione da HIV, molte possono essere le cause di diarrea, dai comuni batteri (Salmonella, Scighella, Listeria, Campylobacter, o Escherichia coli) alle infezioni parassitiche, nonché insolite infezioni opportunistiche come la criptosporidiosi, la microsporidiosi, il Mycobacterium avium complesso (MAC) e il citomegalovirus (CMV). La diarrea può anche essere successiva ad un trattamento con antibiotici (comune per il Clostridium difficile), essere un effetto collaterale di alcuni farmaci usati per trattare l'infezione da HIV o semplicemente accompagnarsi all'infezione da HIV, particolarmente durante il primo stadio. Negli ultimi stadi dell'infezione da HIV si pensa che la diarrea sia una conseguenza dei cambiamenti delle modifiche nel modo in cui il tratto intestinale assorbe le sostanze nutrienti e può essere una delle principali cause del deperimento dovuto all'infezione da HIV (Guerrant et al., 1990).

Le principali patologie neurologiche
Toxoplasmosi
La toxoplasmosi è una patologia causata da un organismo unicellulare conosciuto col nome di Toxoplasma gondii. Esso generalmente infetta il sistema nervoso centrale dando luogo ad un'encefalite. Può, comunque, infettare e causare malattie a livello degli occhi e dei polmoni. (Luft and Chua, 2000).

Leucoencefalite multifocale progressiva
La leucoencefalite multifocale progressiva è una patologia demielinizzante in cui la mieline che protegge ed avvolge gli assoni dei neuroni viene distrutta in maniera graduale, causando un rallentamento nella trasmissione del potenziale d'azione. Tale malattia è causata da un virus (il virus JC) che è presente nel 70% della popolazione in forma latente e si riattiva solamente quando il sistema immunitario diviene particolarmente debole, come nel caso di persone con l'AIDS.
Generalmente, la progressione di questa malattia e rapida e porta a morte nel giro di pochi mesi dalla diagnosi (Sadler and Nelson, 1997).
AIDS Dementia Complex
L'AIDS Dementia Complex (o demenza da HIV) è un'encefalopatia indotta dall'infezione da HIV e potenziata dall'attivazione del sistema immunitario (soprattutto macrofagi e microglia) a livello dell'encefalo. Tali linee cellulari sono produttivamente infettate da HIV e secernono composti neurotossici sia d'origine endogena che virale. Ciò causa una serie d'alterazioni di natura neurologica: anormalità cognitive e comportamentali e disfunzioni motorie. Tutto ciò si manifesta dopo vari anni dall'infezione da HIV e si associa con un basso conteggio dei linfociti CD4+ ed elevata carica virale plasmatica.
Trasmissione
Dagli inizi dell'epidemia, sono state individuate principalmente tre vie di trasmissioni dell'HIV:
• Sessualmente. La maggior parte delle infezioni del virus dell'HIV avvennero, e avvengono tuttora, attraverso rapporti sessuali non protetti. La trasmissione sessuale può insorgere quando c'è contatto fra le secrezioni sessuali di un partner infetto con le mucose di retto, genitali o bocca dell'altro.
• Sangue e suoi derivati. Questa via di trasmissione è particolarmente importante per gli utilizzatori di droghe introvenose, emofiliaci e riceventi di trasfusioni di sangue e suoi derivati. Gli operatori del settore sanitario (infermieri, tecnici di laboratorio, dottori etc) sono anche coinvolti, sebbene più raramente. Sono interessati da questa via di trasmissione anche chi pratica o si fa praticare tatuaggi e piercing.
• Madre-figlio. La trasmissione del virus da madre a figlio può accadere in utero durante le ultime settimane di gestazione e alla nascita. Anche l'allattamento al seno presenta un rischio di infezione per il bambino. In assenza di trattamento, il tasso di trasmissione tra madre e figlio è del 20%. Tuttavia, dove un trattamento è disponibile, combinandolo con la possibilità di un parto cesareo, il rischio è stato ridotto all'1%.
L'HIV è stato trovato nella saliva, lacrime e urina di individui infetti, ma visto la bassa concentrazione del virus in questi liquidi biologici, il rischio di trasmissione è considerato trascurabile.

Prevenzione
Le diverse modalità di trasmissione dell'HIV sono ben note e riconosciute. Altrettanto ben note sono le modalità di prevenzione dal contagio. Tuttavia, recenti studi epidemiologici e comportamentali in Europa e Nord America suggeriscono che una consistente minoranza di giovani continui a praticare attività ad alto rischio e che, nonostante siano a conoscenza dell'AIDS, sottostimino il rischio di venire contagiati dall'HIV (Dias et al., 2005). La trasmissione dell'HIV attraverso l'uso intravenoso di droghe è drasticamente calato e il contagio via trasfusione di sangue è praticamente obsoleto in queste popolazioni.

Prevenzione della trasmissione sessuale dell'HIV

Aspetti scientifici
I rapporti sessuali ricettivi e non protetti sono molto più a rischio dei rapporti insertivi non protetti, con il rischio di trasmettere l'HIV da un partner infetto a uno non infetto attraverso un rapporto anale insertivo molto più grande del rischio di trasmissione attraverso un rapporto anale ricettivo o il sesso orale. Secondo il ministero della salute francese, la probabilità di trasmissione per atto varia dallo 0.03% allo 0.07% nel caso di rapporto vaginale ricettivo, dallo 0.02% allo 0.05% nel caso di rapporto vaginale insertivo, dallo 0.01% allo 0.185% nel caso di rapporto anale insertivo, e dallo 0.5% al 3% nel caso di rapporto anale ricettivo .
• Le Malattie sessualmente trasmissibili (MST) incrementano il rischio di trasmissione e infezione dell'HIV in quanto causano la rottura della normale barriera epiteliale attraverso ulcerazione e/o microulcerazione genitale, e provocano l'accumulo di gruppi di cellule sensibili all'HIV o infette da HIV (linfociti e macrofagi) nel seme e nelle secrezioni vaginali.
Studi epidemiologici provenienti dall'Africa sub-sahariana, Europa e Nord America hanno ipotizzato che approssimativamente esiste un rischio quattro volte maggiore di essere infettato da HIV in presenza di ulcere genitali come quelle provocate dalla sifilide e/o ulcera molle, e un significante rischio, sebbene minore, in presenza di MST come la gonorrea, clamidia e triconomiasi che causano localmente l'accumulo di linfociti e macrofagi (Laga et. al.,1991).
• La trasmissione dell'HIV dipende dall'infettività del paziente zero e dalla sensibilità del partner non infetto. L'infettività sembra variare durante il corso della sindrome e delle sue manifestanzioni patologiche e non è costante tra i soggetti. Una carica virale non identificabile nel plasma non significa che ci sia una bassa carica virale nel liquido seminale o nelle secrezioni genitali. Un incremento di un fattore 10 di RNA HIV nel liquido seminale è associato con un incremento della trasmissione del virus dell'81% (Tovanabutra et al., 2002).
• Se qualcuno è già infetto da HIV, questo non protegge dall'essere infettato da un'altra e più virulenta specie.
• Il sesso orale non è esente da rischi visto che è stato dimostrato che l'HIV può essere trasmesso sia attraverso rapporti orali ricettivi che insertivi (Rothenberg et al., 1998).
Strategie di prevenzione
Durante rapporti sessuali il solo preservativo, che può essere maschile o femminile, può ridurre (il preservativo elimina il rischio di infezione se indossato correttamente, questo è quello che dicono i siti ufficiali), le possibilità di contrarre l'HIV nonché le possibilità di rimanere incinta. Deve però essere utilizzato durante tutto il rapporto di penetrazione in caso di partner sieropositivo o la cui sieropositività non è conosciuta, come può avvenire per rapporti occasionali. L'effettivo uso del preservativo e la protezione delle trasfusioni di sangue in Nord America e nell'Europa Centro-Occidentale sono ritenuti alla base del più basso tasso di incidenza dell'AIDS in queste regioni. Adottare questi metodi di prevenzione ha causato però in alcune regioni controversie e difficoltà. Alcuni associano queste difficoltà come conseguenza della forte influenza del Vaticano che si oppone fermamente all'utilizzo dei preservativi.
• Il preservativo maschile è la sola più efficiente tecnologia che riduce la trasmissione sessuale dell'HIV ed altre infezioni sessualmente trasmesse. Affinché sia efficiente deve essere utilizzato correttamente durante ogni atto sessuale. Lubrificanti contenenti oli, come vasellina o burro, non vanno usati in quanto indeboliscono il preservativo rendendolo poroso. Se necessario, sono raccomandati lubrificanti a base di acqua. I preservativi hanno date standard di scadenza. E' fondamentale controllare la data di scadenza e se è conforme allo standard Europeo (EC 600) o a quello Americano (D3492) prima dell'uso,

• Il preservativo femminile è un'alternativa a quello maschile ed è fatto di poliuretano, che consente il suo utilizzo in presenza di lubrificanti a base di olio. Sono più larghi dei preservativi maschili e sono progettati per essere inseriti in vagina.
Con il costante e corretto utilizzo dei preservativi vi è un rischio di contrarre l'infezione da HIV molto basso. Studi su coppie nelle quali uno solo dei partner è sieropositivo l'utilizzo sovente del preservativo hanno mostrato tassi di incidenza di infezione del partner sano inferiori all'1% annuo.

Prevenire la trasmissione dell'HIV tramite il sangue e derivati

Fondamenti scientifici
Condividere e riutilizzare siringhe rappresenta il maggiore rischio di infezione non solo per HIV ma anche per l'Epatite B e l'Epatite C. Negli Stati Uniti un terzo di tutte le nuove infezioni da HIV possono essere ricondotte a questo tipo di scambi e quasi il 50% dei tossicodipendenti hanno l'epatite C.
• Si pensa però che il rischio di essere infettato con l'HIV da una sola puntura di un ago già usato su una persona affetta da HIV sia circa 1 su 150. La profilassi post-eposizione con farmaci anti-HIV può abbassare ulteriormente quella piccola percentuale di rischio [5].
• Le precauzioni universalmente riconosciute spesso non sono seguite nell'Africa sub-Sahariana e in gran parte dell'Asia a causa sia della mancanza di materiale che di inadeguata preparazione. L'OMS, l'Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO, World Health Organisation) stima che approssimativamente il 2.5% di tutte le infezioni da HIV nell'Africa sub-Sahariana sia trasmesso tramite iniezioni non sicure praticate in o da strutture sanitarie. A causa di ciò, l'Assemblea Generale degli Stati Uniti, sostenuta da un consenso unanime nell'ambiente medico, ha fatto urgentemente appello a tutte le nazioni affinché adottino quelle precauzioni ormai universalmente riconosciute all'interno delle proprie strutture sanitarie
Strategie di prevenzione
• In quei paesi in cui sono stati introdotti il miglioramento delle tecniche di selezione dei donatori e il test agli anticorpi, il rischio di trasmettere l'infezione da HIV a coloro che ricevono trasfusioni dio sangue è stato eliminato con ottimi risultati. Secondo la OMS, la stragrande maggioranza della popolazione mondiale non ha accesso a banche del sangue sicure e "tra il 5% e il 10% delle infezioni da HIV contratte in tutto il mondo è trasmesso attraverso la trasfusione di sangue e derivati infetti del sangue." [7]
• Medici e paramedici che seguono le precauzioni universali o praticano l'isolamento sicuro dalle sostanze provenienti dall'interno del corpo, per esempio indossando guanti di latex al momento di praticare le iniezioni e lavarsi frequentemente le mani possono contribuire a prevenire le infezioni da HIV.
• Tutte le organizzazioni pre la prevenzione dell'AIDS consigliano a coloro che fanno uso di droga di non condividere aghi o altro materiale necessario alla preparazione e all'assunzione di droga (incluse le siringhe, i batuffoli di cotone, i cucchiai, l'acqua per diluire la droga, o le cannucce, ad es. quelle per il crack). E' importante che le persone adoperino aghi nuovi di zecca o sterilizzati ogni volta che praticano un'iniezione. I medici, gli esperti e i supermercati dell'ago e i professionisti di tossicodipendenza mettono a disposizione tutte le informazioni per sterilizzare gli aghi con la semplice candeggina. In alcune città degli Stati Uniti e altri paesi occidentali, gli aghi sono disponibili gratuitamente ai supermercati dell'ago o nei siti dove la garanzia di iniezioni sicure è certificata per legge.
trasmissione da madre a figlio

Fondamenti scientifici
• Vi è un 15-30% di rischio di trasmissione materno fetale dell'HIV durante la gravidanza, travaglio e parto ( Orendi ed altri.,1998). Nei paesi sviluppati il rischio di trasmissione dell'HIV da madre a figlio può ridursi allo 0-5%. Diversi sono i fattori che determinano il rischio di infezione, in ma particolar modo il tasso virale della mamma al momento del parto (quanto più alto è il tasso, tanto maggiore è il rischio). L'allattamento al seno aumenta il rischio di trasmissione del 10-15%. Tale rischio dipende da fattori clinici e può variare a seconda delle modalità e della durata dell'allattamento.
Strategie di prevenzione
• Le ricerche hanno dimostrato che le droghe antiretrovirali, il parto cesareo e il latte in polvere riducono il rischio di trasmissione del HIV da madre a figlio (Sperling e altri, 1996).
• Quando è possibile e conveniente un'alternativa all'allattamento al seno, si raccomanda alle mamme infette con l'HIV di evitare di allattare il bimbo al seno. In caso contrario, lo si raccomanda solo per i primi mesi di vita, ricordando che dovrebbe essere interrotto al più presto possibile.
Cura
Al momento non si guarisce dall'HIV o dall'AIDS e non esistono vaccini. L'infezione da HIV porta all'AIDS ed, alla fine, al decesso. Tuttavia nei paesi occidentali la maggior parte dei pazienti sopravvive per molti anni dopo la diagnosi grazie alla disponibilità sul mercato della terapia antiretrovirale ad elevata attività (Highly Active Antiretroviral Therapy o HAART (Schneider e altri, 2005). In mancanza della HAART, il passaggio dall'infezione da HIV all'AIDS si verifica in un arco di tempo che va dai 9 ai dieci anni e il tasso medio di sopravvivenza dopo che si sviluppa l'AIDS è di 9.2 mesi (Morgan e altri, 2002b). La HAART aumenta notevolmente il tempo che intercorre dalla diagnosi alla morte mentre continua la ricerca volta allo sviluppo di nuovi farmaci e di vaccini.
Le migliori possibilità offerte attualmente dalla HAART consistano in combinazioni o "cocktail" di farmaci" in gruppi di almeno tre medicinali appartenenti ad almeno due famiglie, o "classi" di agenti antiretrovirali. I regimi tipici consistono in due analoghi nucleosidici della trascrittasi inversa (nucleoside analogue reverse transcriptase inhibitors, NRTI) insieme a un inibitore della proteasi oppure un analogo non nucleosidico della trascrittasi inversa (non nucleoside reverse transcriptase inhibitor, NNRTI).
I trattamenti antiretrovirali, congiuntamente alle cure mirate alla prevenzione delle infezioni che approfittano delle vulnerabilità create dall'AIDS hanno avuto un certo ruolo nel ritardare l'insorgenza delle complicanze associate all'AIDS, riducendo i sintomi ed estendendo la vita dei pazienti. Negli ultimi dieci anni si è riusciti a prolungare ed a migliorare la qualità di vita delle persone affette da AIDS con risultati notevoli. [8], [9].
Tuttavia, le linee guida per il trattamento cambiano costantemente. Le linee guida attuali per la terapia antiretrovirale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità riflettono i cambiamenti apportati alle linee-guida nel 2003 poiché in strutture in cui le risorse a disposizione sono limitate (per es. nei paesi in via di sviluppo) ad adulti e adolescenti infettati dall'HIV si raccomanda di iniziare a sottoporsi alla terapia ARV (antiretrovirale) quando l'infezione da HIV sia confermata e sia presente una delle seguenti condizioni:
• Infezione da HIV in fase avanzata:
• Fase 4 dell'infezione da HIV (secondo le norme OMS), a prescindere dalla percentuale di linfociti T di tipo CD4+;
• Fase 3 dell'infezione da HIV (secondo le norme OMS) attuando trattamenti definiti in base al tasso rilevato di linfociti T di tipo CD4 quando questo risulti inferione ai 350/µl;
• Fase 1 o 2 dell'infezione da HIV (secondo le norme OMS) attuando trattamenti definiti in base al quantitativo rilevato di linfociti T di tipo CD4+, quando questo risulti inferiore a 200/µl.

Lo U.S. Department of Health and Human Services (Dipartimento della Sanità e dei Servizi Sociali degli Stati Uniti), l'agenzia federale responsabile del controllo delle politiche sull'HIV/AIDS negli Stati Uniti, ha reso notoin data 6 ottobre 2005 quanto segue:
• Tutti i pazienti con precedenti di patologie da cui si desume l'effetto dell'AIDS o con sintomi severi di infezione da HIV a prescindere dal loro tasso di linfociti T di tipo CD4+ devono venir trattati con la ART (terapia antiretrovirale).
• La terapia antiretrovirale è anche consigliata per i pazienti asintomatici con una conta di linfociti T tipo CD4+ inferiore a 200/µl;
• I pazienti asintomatici con percentuale di linfociti T tipo CD4+ maggiore di 201-350/µl debbono ricevere cure dopo una valutazione rischio-beneficio ed in accordo con i desideri del paziente;
• Per i pazienti asintomatici con un tasso di linfociti T tipo CD4+ superiore a 350/µl e con HIV RNA nel plasma maggiore a 100,000 copie/ml la maggior parte dei medici rimandano le misure terapeutiche ma secondo alcuni si potrebbe dare il via al trattamento.
• Si raccomanda di differire la terapia per i pazienti con un tasso di linfociti T tipo CD4+ superiore a >350/µl con RNA HIV inferiore a 100.000 copie/ml.
Il regime preferenziale con cui iniziare è uno dei due seguenti:
• enfavirez + lamivudina o emtricitabina + zidovudina o tenofovir; altrimenti
• lopinavir rafforzato da ritonavir + zidovudina + lamivudina o emtricitabine.
Inoltre, il DHHS consiglia ai dottori di accertare la carica virale, la rapidità del declino dei linfociti CD4+ e il grado di risposta del paziente nel decidere quando iniziare il trattamento. [10]
Ci sono non poche preoccupazioni sui regimi antiretrovirali. Le medicine possono avere seri effetti collaterali (Saitoh et al., 2005). I regimi possono essere complessi, e imporre al paziente di assumere pillole diverse volte al giorno. Se il paziente non assume la terapia correttamente, può svilupparsi una certa resistenza al farmaco (Dybul et al., 2002). Inoltre, i farmaci retrovirali sono costosi e la maggior parte degli individui infetti nel mondo non hanno accesso alle medicine e ai trattamenti per l'HIV e l'AIDS.
La ricerca volta a migliorare i trattamenti attuali si occupa di diminuire gli effetti collaterali degli attuali medicinali, semplificare i regimi farmacologici per migliorarne l'effetto e determinare l'ordine ottimale tra una cura e l'altra per contenere la resistenza ai farmaci.

Origine dell' HIV/AIDS
La data ufficiale che segna l'inizio dell'epidemia dell'AIDS è l' 8 giugno, 1981, quando il centro per il monitoraggio e la prevenzione delle malattie degli Stati Uniti trovò un grappolo di pneumocisti polmonari dovute alla pneumocystis carinii (ora classificata sotto Pneumocystis jiroveci pneumonia) in cinque uomini gay di Los Angeles nei primi anni ottanta. Chiamata inizialmente GRID, o Gray-Related Immune Deficiency (cioè immunodeficienza dei gay), le autorità sanitarie si accorsero ben presto che quasi metà della popolazione in cui era stata riscontrata la sindrome non era gay. Nel 1982 la CDC introdusse il termine AIDS per descrivere la sindrome appena scoperta.
Tre dei primi casi noti di infezione da HIV risalgono a:
1. Un campione di plasma estratto nel 1959 da un adulto maschio residente nell'attuale Repubblica Democratica del Congo (Zhu et al., 1998).
2. Campioni di tessuto contenenti l' HIV, estratto da un adolescente di nazionalità statunitense morto a Saint Louis nel 1969.
3. Campioni di tessuto contenenti l'HIV estratti da un marinaio norvegese morto intorno al 1976.
Sono due le specie di HIV che infettano gli esseri umani: l'HIV-1 e l'HIV-2. L'HIV-1 è più virulento e si trasmette più facilmente. L'HIV-1 è la fonte della maggioranza delle infezioni da HIV nel mondo, mentre l'HIV-2 si trasmette meno facilmente ed è per lo più diffuso nell'Africa occidentale (Reeves and Doms, 2002). Sia l'HIV-1 che l'HIV-2 vengono dai primati. L'HIV-1 viene dallo Scimpanzé comune (Pan troglodytes troglodytes). L'origine dell'HIV-2 è atribuita con certezza al Cercocebus atys (ing. Sooty Mangabey), un cercopiteco presente in Guinea Bissau, Gabon e Camerun

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