L'evoluzione

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Testo


- Storia naturale e teorie evoluzionistiche tra ‘700 e ‘800
- La scoperta del tempo geologico e l’opera di Darwin

Il ‘700 è stato dominato dalla figura di Linneo e da una sorta di pensiero unico e statico della classificazione, dell’ordinamento dei diversi organismi viventi; per Linneo il sistema delle specie viventi nella loro infinita varietà rimane sempre identico a se stesso in uno schema preordinato. Questa impostazione se da un lato è stata una visione statica nella storia naturale, nelle scienze del ‘700 è stata anche un fondamento necessario per qualunque ulteriore sviluppo delle conoscenze; lo stesso sistema di denominazione binaria, infatti, è stato qualcosa che ha aiutato a capirsi, ad avere un linguaggio comune. Altro aspetto importante è stata la definizione del concetto di specie; l’averlo chiarito in maniera rigorosa e univoca è stato un elemento essenziale prima di poter costruire una teoria, un modello degli organismi viventi. Una volta che la specie era stata definita, infatti, era abbastanza immediato il passaggio successivo che questa specie era sempre esistita e che la sua esistenza risaliva al momento della creazione stessa. Ci potevano essere delle varietà, delle razze diverse ma sostanzialmente una volta definita la specie era ovvio pensare che fossero rimaste sempre le stesse nella storia del creato. Quest’idea della fissità della specie attraverso il tempo era perfettamente coerente con la dottrina cristiana della creazione.
Comunque in questo campo nel corso del ‘700 cominciarono ad emergere correnti diverse, altri modi di guardare le cose indotti da fenomeni e processi che difficilmente riuscivano ad essere inquadrati in questo contesto statico. La storia della teoria evoluzionista, infatti, non è stato un processo lineare e prima di Darwin c’è stato un substrato culturale che permetteva l’emergere di ipotesi di tipo evoluzionistico in ambienti tra i più diversi.
Nel campo della storia naturale comincia a maturare una visione della natura, una visione dei processi legati al mondo vivente di tipo evoluzionistico piuttosto che statico. Il problema su cui i naturalisti linneiani dovevano scontrarsi era il significato dei fossili. Questi resti fossili rappresentano una specie vivente che esisteva prima del diluvio e che esiste ancora oggi oppure sono specie che sono morte con il diluvio e poi c’è stata un’altra creazione? Il significato dei fossili cominciava ad avere una importanza scientifica, naturalistica; essi costituivano un elemento che alimentava l’emergere di visioni evoluzioniste.
Molti studiosi cominciarono a frequentare le fattorie e scoprire che gli allevatori facevano degli accoppiamenti mirati per selezionare delle varietà più rispondenti ai bisogni, mentre contadini ibridavano diversi tipi di vegetali per ottenere delle varietà; nel tempo a furia di cambiare varietà si poteva scoprire che due varietà diventavano interfeconde. Nel momento in cui questa pratica antica comincia ad essere osservata con gli occhi del naturalista che ha gli strumenti concettuali per ragionarci sopra, il concetto linneiano di specie fissa, sempre uguale a se stessa vacilla.
Con T. Malthus si comincia anche a porre il problema se non c’è un limite alla capacità della terra di produrre tutto il cibo necessario per alimentare una popolazione che sembra crescere sempre più. La popolazione umana si riproduce in progressione maggiore rispetto al crescere della produzione agricola, ad un certo momento ci sarà un punto di rottura in cui la crescita di produzione agricola, cioè la produzione di cibo non sarà più in grado di sostenere una popolazione che diverge in numero e quindi succede la guerra, la lotta per prendere l’ultimo pezzo di pane, l’ultima carne da macellare.
Comincia ad emergere anche l’idea evoluzionista dell’universo; Laplace espose la sua teoria su come si forma il sistema solare, cioè a partire da una nebulosa costituita da gas e polveri da cui si frammentano varie parti che poi si evolvono formando gli embrioni dei pianeti e così via.
Tutte queste correnti, queste idee trovano un punto di coagulo in un personaggio che può essere considerato l’antilinneo per eccellenza, si tratta di G. Laclare conte di Buffon. Grande naturalista ha pubblicato una monumentale “Histoire naturelle”. Buffon guardava alla natura come un insieme in movimento, in continua trasformazione; il grande artefice della natura è il tempo, egli vede nella natura l’azione del tempo, un tempo che non è più quello biblico.
Alle descrizioni minuziose dei naturalisti del primo settecento che ricercavano nella natura la perfezione meccanica del grande disegno divino, ricostruito nei termini di una scienza e di una filosofia di derivazione cartesiano, B. contrappose una visione plastica e immediata degli animali, specialmente quadrupedi e uccelli, più vicini all’esperienza quotidiana dell’uomo agricoltore e cacciatore, e nello stesso tempo elaborò una nuova concezione della scienza e della natura, superando la concezione meccanicistica cartesiana: la materia non è passiva ma attiva. La natura quindi non deve essere riportata a un disegno statico e prestabilito, ma a un ordine autonomo di leggi, a un processo continuo di interazione fra cause ed effetti che deve essere seguito risalendo al passato. In tal modo la storia naturale diventa storia della natura. La sua grande opera inizia infatti con una Histoire et theorie de la Terre, una trattazione geologica e cosmologica, nella quale B. rompe con la cosmologia mosaica e suppone che la terra abbia circa 75.000 anni e che la causa più importante delle sue trasformazioni non sia stato il diluvio biblico, ma l’insieme di fattori naturali che agiscono lentamente e tutt’ora, come il calore e l’erosione delle acque. Qui, tra l’altro, espone la tesi sull’origine della terra staccatasi dalla materia incandescente del Sole per l’urto di una cometa e sulla cui superficie, raffreddatasi in epoche successive, la vita è sorta per effetto delle sole forze naturali.
A fondamento materiale della vita B. pone le molecole organiche, una sorta di atomi vitali indistruttibili che si aggregano e disgregano formando gli organismi, e in base a questa teoria sviluppa una concezione biologica generale che contribuì al superamento della concezione preformista della generazione e condusse a una nuova teoria epigenetica dello sviluppo.
Buffon respinse come artificiali tutte le categorie introdotte per la classificazione polemizzando in particolare con Linneo, che pose divisioni arbitrarie nella natura, per sé caratterizzata da una continuità completa di tutte le forme e di tutti i processi. Pur sostenendo questa continuità, che lega tutti i viventi alla trasformazione storica della terra, B. non accettò la concezione evoluzionistica; ritenne che soltanto alcune specie siano derivate da altre, in genere per un processo degenerativo e che varietà e razze siano sorte per effetto del clima e delle condizioni ambientali. Così nei suoi scritti egli sostenne l’unità della specie umana posta in dubbio da vari contemporanei che tendevano a fare di ogni razza una specie distinta.
Altro personaggio significativo della seconda metà del ‘700 fu Erasmus Darwin, nonno di Charles, era un naturalista e poeta. Fra le sue idee, molto importante era quella affermava che in natura ci fosse un processo evolutivo delle specie dovuto al fatto che in seguito all’effetto delle pressioni ambientali e di pressioni interne, alcuni organismi facessero emergere dei caratteri nuovi e questi venivano trasmessi alla discendenza. In qualche modo questo significava che un organismo che nasce in un certo modo, poi nel corso della sua vita, per effetto di fattori interni ed esterni, si modifica nella sua forma somatica e queste modificazioni venivano trasmesse alla prole determinando così il nascere di una nuova specie con caratteristiche nuove. Era l’idea della trasmissione ereditaria dei caratteri acquisiti nota oggi come l’idea evoluzionista di G. Lamark il quale visse la generazione successiva. Quest’ultimo era un naturalista e affermava che ci sono delle caratteristiche che si sviluppano nei singoli individui per effetto dell’ambiente, cioè le condizioni ambientali diverse in cui vengono a trovarsi gli organismi costringono ogni vivente a soddisfare i propri bisogni usando in modo maggiore o minore i propri organi; l’uso o il disuso degli organi comporta una loro trasformazione che veniva poi trasmessa ai discendenti.
Secondo Lamark la specie evolve, ma l’evoluzione avviene sempre nella direzione di portare dal più semplice al più complesso fino ad arrivare all’uomo; non è più qualcosa di statico ma un processo continuo di adattamento, di modificazione di caratteri dovuti all’ambiente, è un processo che si va sviluppando nel tempo, al culmine del quale c’è l’essere umano. L’evoluzione secondo Lamark deve aver richiesto tempi lunghissimi. Bisognava allora dimostrare che la terra era molto più antica di quanto si pensasse e che erano esistite delle forme di vita che oggi non esistono più.
La storia del ‘700 pone allora due possibili soluzioni: o il mondo è molto più antico e quindi c’è stato molto più tempo e questi processi di cambiamento della crosta terrestre si sono verificati in tempi più lunghi di poche migliaia di anni, oppure al momento della creazione ci sono stati cambiamenti catastrofici che hanno rimescolato tutto. Si affermarono due correnti: l’uniformismo da una parte e il catastrofismo dall’altra.
Il catastrofismo era quello più adatto a conformarsi alla dottrina cristiana: per salvare l’idea che ci fossero state delle forme di vita estinte, ma rigettando l’idea di un’evoluzione, era meglio accettare l’idea catastrofica, che ci sono stati uno o più diluvi universali che hanno distrutto le forme di vita precedenti e che poi si sono verificati più atti creativi che hanno portato alla nascita di nuove forme di vita che però sono rimaste sempre uguali.
L’uniformismo è, invece, la corrente che vede la terra sempre uguale a se stessa ma attraverso un processo di rimodellamento e quindi una terra che ha una storia ciclica, una terra sempre uguale e sempre mutevole.
Nei decenni fra il ‘700 e l’800 tre grandi scienziati hanno contribuito in maniera significativa all’ulteriore sviluppo di queste idee: J. Atton, W. Smith e G. Cuvier.
Atton è un geologo scozzese che può essere considerato il fondatore dell’uniformismo. Ha vissuto e studiato nelle città di Glasgow ed Edimburgo, a lui si deve la scoperta del tempo geologico; scrisse il libro “Teoria della terra” in cui affermava che la terra è in continua trasformazione; Atton vede la macchina del mondo come un continuo processo di erosione dovuto alla pioggia, al vento, ai fiumi, e di innalzamento delle terre dal mare per fenomeni vulcanici che avvengono al di sotto della crosta terrestre. Ad Atton si deve il primo pezzo della mappa dell’isola dell’evoluzione che attribuisce alla terra un’età che non ha più confini e soprattutto riconosce che ciò che è accaduto in passato succede ancora oggi.
Il secondo personaggio è W. Smith, geologo che si interessò della natura dei fossili e della relazione fra il tipo di fossili che si trovano nei diversi strati e le proprietà chimico-fisiche degli strati, la loro profondità, le loro caratteristiche minerarie. Agli occhi suoi i fossili sono un segnatempo; i diversi fossili danno l’età dello strato, la possibilità di datare e stabilire un calendario. Se io trovo uno stesso tipo di fossile in due strati che si trovano in due regioni diverse e magari a diversa profondità, vuol dire che temporalmente i due strati sono connessi. Il fatto che si trovano uno in superficie e l’altro più sotto mi parla di storie diverse ma che sono avvenute nello stesso tempo. Ciò consentiva una datazione degli strati e di riconoscere che i fossili ci definiscono le epoche storiche. Quindi la terra ha un passato, non è sempre uguale a se stessa.
Per quanto riguarda G. Cuvier, egli è considerato il padre della paleontologia dei vertebrati. Affermava che ci sono delle specie viventi che sono esistite nel passato almeno in una certa area geografica, e che oggi non esistono più, ma che hanno un rapporto di parentela con delle specie che oggi esistono, ad esempio, il pterodattilo che ha le caratteristiche di un rettile e di uccello. Cuvier era convinto che il piano costruttivo di un vertebrato è lo stesso un milione di anni fa e oggi; questo piano generale degli organismi viventi non riflette un piano divino ma un piano della natura, una sostanziale unità attraverso i tempi della storia della terra in cui le specie sono essenzialmente rimaste le stesse o si sono mutate l’una nell’altra. Allora prendeva ciò che imparava dall’anatomia comparata degli organismi viventi e se ne serviva come di una scala per discendere nel passato.
Cuvier fu contro l’idea della scala dell’essere, cioè l’idea che nell’insieme degli organismi viventi si potesse distribuire un ordine crescente con uno sviluppo che porta dagli organismi più semplici all’essere umano, ma non ebbe l’idea dell’evoluzione; accettò invece il catastrofismo.
I tre pezzi della mappa sull’evoluzione erano stati introdotti, bisognava metterli insieme; a questo pensò Charles Lyell, il padre della geologia moderna. In pieno catastrofismo trionfante egli riscopre l’uniformismo di Atton. Pubblica nel 1830 il libro “Principi di geologia” in cui tenta di spiegare i cambiamenti precedenti della terra facendo riferimento a cause tutt’ora operanti. L. attacca l’ipotesi catastrofica e oltre a riproporre l’idea uniformista che c’è un’azione continua e costante degli agenti chimico-fisici nel modificare la crosta terrestre, aggiunge l’idea nuova di un’interazione tra le specie viventi e l’ambiente; la sua conclusione è che il modificarsi delle condizioni del terreno per effetto degli agenti chimico-fisici produce mutamenti anche sugli organismi viventi. In questo contesto parla della lotta per la sopravvivenza; ma per L. ancora la competizione in un ambiente che cambia rimane un fattore selettivo negativo che produce estinzione, egli non riconosce il valore creativo della selezione naturale come invece farà Darwin.
È proprio con Charles Darwin e la sua teoria dell’evoluzione che si ebbe il punto culminante di questo processo di ricerca. Naturalista inglese nato nel 1809 e morto nel 1882; studiò medicina a Edimburgo e teologia a Cambridge. Ebbe, però, un prevalente interesse per le scienze naturali e nel 1831 si imbarcò, in qualità di naturalista, sul brigantino Beagle per una spedizione scientifica che si concluse nel 1836; visitò le Isole di Capo Verde, il Brasile, la Patagonia, la Terra del Fuoco e le isole Galapagos. Durante questo viaggio effettuò numerose osservazioni sulla Geologia, la flora e la fauna; fu in questo viaggio che maturò le sue idee sull’evoluzione.
La teoria dell'origine delle specie fu suggerita a D. dalle osservazioni eseguite nel corso del suo viaggio sui rapporti fra gli organismi e il loro ambiente naturale e in particolare dal fatto che appariva una sorta di parallelismo fra il variare dell'ambiente e il mutare delle forme animali. Risultava tuttavia che isole oceaniche aventi condizioni ambientali molto simili presentavano una fauna diversa ma affine a quella del continente più vicino. Fondamentale fu poi l'osservazione sulla fauna delle isole Galapagos che, pur essendo vicine l'una all'altra con clima e condizioni fisiche quasi identiche, presentano ciascuna marcate differenze in uno stesso gruppo animale che le abita. Tutti questi dati, che in base al principio tradizionale della creazione indipendente di ogni singola specie non trovavano alcuna spiegazione, potevano invece essere interpretati ammettendo il principio che le forme animali si fossero prodotte attraverso una comune discendenza da forme più antiche. Dopo il suo ritorno in Inghilterra, D. si impegnò su questo problema cercando di stabilire il meccanismo che poteva aver dato luogo alla variazione delle specie. Determinante a questo proposito fu l'analisi delle pratiche dell'allevamento a opera dell'uomo per cui nel corso dei secoli si erano ottenute nuove forme negli animali domestici scegliendo per la riproduzione i soggetti dotati di particolari caratteristiche. D. teorizzò che, analogamente alla selezione artificiale operata dall'uomo, anche in natura dovesse agire un meccanismo simile per effetto di un fattore selettivo che doveva essere individuato nella lotta incessante per la sopravvivenza all'interno di un dato ambiente. Gli individui di una specie non sono identici ma presentano innumerevoli differenze spesso difficilmente percepibili; alcuni saranno perciò meglio adattati alle loro condizioni di esistenza e sopravviveranno nella competizione con gli altri individui. Condizione necessaria per il sorgere di una varietà e quindi di una nuova specie è che gli individui più adattati possano trasmettere ereditariamente i caratteri vantaggiosi ai discendenti e questi a loro volta potranno aumentare il loro grado di adattamento divergendo così notevolmente dai loro progenitori.
In base all'ampio materiale raccolto in lunghi anni di lavoro svolse stringenti argomentazioni a sostegno della sua teoria, tra cui assumono particolare rilievo: la lotta per l'esistenza, legata alla reciproca dipendenza dei viventi e concernente non solo la vita degli individui ma anche il fatto che essi lascino una discendenza; la selezione naturale quale risultato di infinite interazioni, operante ovunque se ne offra l'opportunità a volte in modo sconosciuto; l'isolamento geografico e l'ampiezza di una regione geografica quali fattori di un più ampio processo evolutivo.
Molti aspetti della geologia, della classificazione, della distribuzione geografica e dell'anatomia furono chiariti e discussi alla luce della nuova teoria. Fra i problemi affrontati da D. quello più complesso e discusso nei successivi decenni riguarda la natura e l'origine delle variazioni ed è strettamente legato al processo dell'ereditarietà. Non senza esitazioni D. accettò la tesi che le variazioni possono sorgere contemporaneamente in più individui dello stesso gruppo per effetto diretto delle condizioni ambientali. La nuova teoria di D., oltre a rivoluzionare tutto il settore delle scienze biologiche, ebbe grande influenza in campo culturale e filosofico e rese possibile il graduale superamento del principio della creazione e della concezione della finalità dei processi biologici quale testimonianza di un disegno provvidenziale di Dio contrapponendo efficacemente il principio materialistico che l'ordine può sorgere dal disordine, che il caso, o meglio l'interazione necessaria dei processi, può produrre nuovi e più elevati livelli di organizzazione. La conseguenza più sconvolgente della nuova teoria era comunque la discendenza dell'uomo da un progenitore affine alle scimmie. Questi sviluppò il tema dell'origine animale dell'uomo in un'altra delle sue famose opere uscita nel 1871, mantenendo tuttavia un atteggiamento agnostico e prudente di fronte al problema religioso. Il suo interesse era rivolto a difendere e convalidare la fondatezza scientifica della sua teoria, lasciando ad altri il compito di trarre da essa tutte le possibili conseguenze di natura filosofica.

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