Darwin e l'evoluzione

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Testo

L’evoluzione

Charles Darwin e la teoria dell’evoluzione
La passione di Darwin per la natura
Darwin nacque il 12 febbraio 1809 in Inghilterra. Era figlio di un medico che lo avviò a seguire le sue orme. Ma poi rinunciò e si dedicò alla carriera ecclesiastica a Cambridge. In questa università egli potè associare agli studi di teologia quella che fin dalla fanciullezza era stata la sua vera passione: lo studio della natura.
Un viaggio ricco di scoperte
Le conoscenze fatte all’università portarono Darwin a essere assunto come naturalista di bordo della HMS Bearle, un brigantino della marina britannica che stava per salpare con l’obbiettivo di cartografare le zone costiere in diverse parti del mondo. Tra le tante soste lungo le coste del Sudamerica la Beagle si fermò alle isole Galapagos (testuggine).

Il concetto di evoluzione prima di Darwin
Charles Lyell e la geologia
L’unico libro che porto con sé a bordo della Bearle fu principi della geologia di Charles Lyell. Egli affermava che la Terra non era stata creata così come la vediamo, in forma definitiva, ma era costantemente soggetta a cambiamenti. Ma se ciò valeva per la Terra, perché non dovrebbe valere per le creature viventi?
Jean-Baptiste de Lamarck e l’evoluzione
Il naturalista francese Lamarck riteneva che nel corso delle generazioni, gli organismi si modifichino mediante l’ereditarietà dei caratteri acquisiti. Per esempio le anatre e le rane originariamente non avevano zampe palmate, ma a furia di nuotare avrebbero acquisito questo carattere e l’avrebbero trasmesso alle generazioni successive. Tale meccanismo oggi è ovviamente ritenuto assurdo.
Ma Lamarck aveva pienamente ragione quando affermava che gli organismi si possono evolvere e che da una specie ne può derivare un’altra.
George Cuvier e l’estinzione delle specie
Lo scienziato francese Cuvier, esaminando rocce ricche di fossili apportò chiare prove al fatto che sulla Terra erano esistite specie che si sono estinte. Egli osservava inoltre che uno strato con forma più semplici era seguito da uno con forme alquanto più complesse. Quindi affermò che in passato c’era stata tutta una serie di catastrofi, che di volta in volta avevano spazzato via qualsiasi forma di vita esistente in una data regione, dopo di che il Creatore era intervenuto con un nuovo atto creativo, dando vita a forme animali più complesse.

Le intuizioni di Darwin e la formulazione della sua teoria
Come nacque l’idea di un origine comune con modificazioni
Quando la Beagle approdò alle isole Galapagos, Darwin osservò strane iguane e testuggini giganti e mimi, un tipo di uccelli, che differivano da isola ad isloa; egli catturò e imbalsamò alcuni esemplari di ciascuna di queste “varietà” di mimi, assieme a molti altri piccoli uccelli che egli pensò fossero merli, scriccioli, cincie, fringuelli.
Al ritorno della Beagle in Inghilterra fece analizzare il materiale alla Società Zoologica, la quale poco dopo gli comunicò i risultati dell’esame. I piccoli uccelli che Darwin pensava fossero merli, fringuelli, cincie, scriccioli erano in realtà tutti fringuelli, più precisamente specie diverse di fringuelli.
Darwin cominciò a prendere idea che tutti i fringuelli delle Galapagos fossero discendenti di una specie ancestrale che arrivò in volo dalla terraferma, e dopo essersi disseminati nelle diverse isole si erano diversificati a causa del tipo di alimentazione.
La selezione naturale si presentò quindi agli occhi di Darwin come la forza motrice dell’evoluzione.

Il contributo di A.R. Wallace all’evoluzione
Wallace passò la vita raccogliendo campioni di uccelli e di farfalle in regioni, allora esotiche, del Sudamerica e dell’Asia sudorientale per venderli a musei e collezionisti privati. Egli aveva riflettuto a lungo e a fondo su come, secondo lui, avevano origine le specie. Giunse alla stessa conclusione a cui era giunto Darwin vent’anni prima: la forza modellatrice dell’evoluzione è la selezione naturale. Mise per iscritto e spedì a Darwin i suoi pensieri, pregandolo di proporli ad una rivista scientifica. Darwin li presentò ad un meeting di scienziati. Tale presentazione ebbe pochi effetti immediati nel mondo scientifico, ma spinse Darwin all’elaborazione della sua grande opera: l’origine della specie.

L’idea di un’origine comune con modificazioni viene accettata
Gli anni seguenti videro un acceso dibattito tra sostenitori e detrattori delle idee di Darwin, tuttavia una quindicina di anni dopo la pubblicazione del libro quasi tutti i naturalisti si erano ormai convinti della validità dell’idea di un origine comune con modificazioni. Per esempio si era scoperto che, ad un certo punto dello sviluppo embrionale, parecchi vertebrati (pesci, polli, umani) presentavano delle strutture chiamate fessure branchiali. Tutte quelle specie avevano quindi un lontano antenato vertebrato che era dotato di tali strutture. Ma per l’accettazione dell’idea della selezione naturale si dovette aspettare fino a metà del XX secolo.

La controversia sulla selezione naturale
Come si trasmettono le modificazioni alla generazione successiva?
L’ostacolo che si frapponeva all’accettazione dell’idea di selezione naturale era fondamentalmente questo: si affermava che esistevano caratteristiche che potevano variare in modo tale da conferire un vantaggio riproduttivo agli individui che le possedevano e che queste caratteristiche potevano essere trasmesse alle generazioni successive. Ciò di cui mancavano gli scienziati di allora erano le nozioni fondamentali della genetica. Una caratteristica ereditaria dipende da più geni. Si possono verificare mutazioni (cioè alterazioni delle informazioni genetiche) che si manifestano come nuove caratteristiche fisiche, queste persistono, cioè vengono trasmesse da una generazione all’altra.
La scoperta della genetica e la sintesi moderna
Per una rivincita della selezione naturale fu necessario anzitutto la dimostrazione (ad opera di Mendel) del fatto che l’ereditarietà non opera mediante un mescolamento delle caratteristiche, ma piuttosto attraverso la trasmissione dei geni.
Ai progressi della genetica si sommarono in seguito i risultati di altre ricerche nel campo dell’evoluzione, e tra il 1937 e il 1950 si verificò il confluire di più idee in un'unica teoria evoluzionistica: la sintesi moderna.

Le prove a favore dell’evoluzione
La successione dei fossili nelle rocce sedimentarie
Una delle prove a favore dell’evoluzione è costituita dalla somiglianza tra i tipi di fossili trovati negli strati di rocce sedimentarie. Esaminando gli stessi strati di rocce sedimentarie presenti in diverse parti del mondo, gli scienziati hanno trovato in essi tipi di fossili simili; al contempo, hanno riscontrato che in genere, quando si passa da strati più antichi a strati più recenti, i fossili mostrano un aumento di complessità degli organismi.
Le prove fornite dalla morfologia e dall’embriologia comparate
La morfologia è lo studio delle forme esterne e interne degli organismi, mentre l’embriologia è lo studio dello sviluppo degli animali, dal momento della fecondazione fino alla nascita.
Nel caso della morfologia comparata, un classico esempio di prova a favore dell’evoluzione è quello costituito dalle somiglianze di struttura degli arti anteriori tra mammiferi molto diversi tra loro (balena, gatto, pipistrello, gorilla). Strutture del genere vengono dette omologhe, in quanto derivano tutte da un struttura ancestrale presente in un comune antenato.
Le prove fornite dalla biologia molecolare
Tutti gli organismi viventi utilizzano il DNA come contenitore delle informazioni genetiche e utilizzano un codice genetico quasi identico. In organismi anche molto diversi tra loro, esistono geni omologhi che svolgono una funzione simile in tutti. Sappiamo anche che i geni mutano lentamente nel corso del tempo. Se la velocità di mutazione è costante, nel corso di un certo periodo di tempo avviene un dato numero di mutazioni… pertanto, quanto più tempo è trascorso da quando esisteva il comune antenato di due organismi, tanto maggiore è il numero di differenze che si osservano nei geni dei due organismi.
Le prove fornite dagli esperimenti
Molte prove a favore dell’evoluzione sono state fornite in tempi recenti dai risultati di esperimenti e da osservazioni. John Endler era convinto che sui maschi dei pesciolini che stava studiando (i guppy) la selezione naturale operasse sul colore (più o meno vivace). A seconda se Endler inserisse nella vasca predatori o meno, i guppy, nel giro di poche generazioni, generavano colori più o meno vivaci e pinne più o meno grandi. Tanto uno che l’altro risultato erano conferma schiacciante della teoria evoluzionistica.

Evoluzione come variazione delle frequenze alleliche
Alla base dell’evoluzione, c’è una variazione della frequenza degli alleli. Per esempio supponiamo che una rana erediti dal padre e dalla madre una colorazione che le permetta di sfuggire alla caccia dei predatori in misura leggermente maggiore rispetto alle altre rane della stessa generazione; quella rana vivrà più a lungo e lascerà una prole più numerosa rispetto alle altre. La frequenza di questi alleli sarà quindi aumentata perché la nuova generazione contiene più discendenti della nostra rana rispetto altre rane.
La variazione nel tempo delle frequenze alleliche dei geni delle popolazioni è chiamata microevoluzione. Il termine sta ad indicare che l’evoluzione che si verifica nelle popolazioni è un’evoluzione su piccola scala. Si parla invece di macroevoluzione quando si ha origine di nuove forme viventi a livello di specie o ad un livello superiore.

I cinque agenti della microevoluzione
I cinque fattori che provocano una variazione delle frequenze alleliche sono: mutazione, flusso genico, deriva genetica, accoppiamento non casuale, selezione naturale.
La mutazione: un’alterazione nella composizione del DNA
Una mutazione è una qualsiasi alterazione permanente del DNA di un organismo. Essa consiste ovviamente nella sostituzione di una coppia di basi azotate con un'altra (mutazione puntiforme) oppure l’aggiunta o la delezione di un intero tratto di cromosoma. In certi casi tali alterazioni sono ereditabili, e vengono trasmesse alle generazioni successive.
Il flusso genico: quando una popolazione si unisce ad un’altra
Le frequenze alleliche di una popolazione possono cambiare anche in conseguenza degli accoppiamenti che avvengono dopo l’arrivo di individui da una diversa popolazione della stessa specie. Questo agente viene chiamato flusso genico. Tale flusso avviene mediante migrazione di individui di una popolazione nel territorio di un’altra.
La deriva genetica: l’instabilità delle piccole popolazioni
Nel caso della deriva genetica, la modificazione delle frequenze alleliche, in una piccola popolazione, è del tutto casuale. Due sono gli eventi che possono provocare deriva genetica:
1. L’effetto collo di bottiglia
L’effetto collo di bottiglia si ha quando una popolazione viene ridotta drasticamente ad esempio da malattie o catastrofi naturali. Quello che provoca tale fenomeno è una sorta di campionatura casuale della popolazione. Gli individui che riescono a sopravvivere avranno ovviamente un patrimonio genetico molto minore della popolazione originaria.
2. L’effetto del fondatore
Un altro esempio di campionatura casuale, è l’effetto del fondatore. Si parla di tale fenomeno quando una piccola parte di una popolazione migra in un altro territorio e dà origine ad una nuova popolazione con frequenze alleliche ovviamente diverse dalla popolazione originaria.
L’accoppiamento non casuale: quando la scelta del partner non è uniforme
L’accoppiamento non casuale è una situazione in cui in una popolazione non è ugualmente probabile che un individuo si accoppi con un qualsiasi individuo dell’altro sesso. Alcune forme di accoppiamento non casuale però, non influiscono direttamente sulle frequenze alleliche, ad esempio quando si accoppiano individui con caratteristiche simili. Accade invece l’inverso quando alcuni membri di una popolazione si accoppiano in misura maggiore rispetto ad altri.
La selezione naturale: il meccanismo adattativo dell’evoluzione
La selezione naturale è, come già detto, un fenomeno che tende a far sopravvivere individui di una popolazione che meglio si adattano, grazie alle loro variazioni genetiche, all’ambiente in cui vivono.

Tre modi di operare della selezione naturale
Un carattere è in genere il risultato dell’effetto combinato di più geni. Si parla di eredità poligenica e il carattere è detto poligenico. Un carattere poligenico non si presenta con differenze nette tra gli individui ma mostra una variazione continua della popolazione. In questo caso la selezione naturale opera in tre modi diversi
La selezione stabilizzante
Si parla di selezione stabilizzante quando la selezione naturale opera contro i fenotipi estremi, tendendo a rendere più comune il fenotipo intermedio.
La selezione direzionale
Quando la selezione direzionale tende a spostare un carattere verso una delle estremità del suo intervallo di variazione, si parla di selezione direzionale. Un esempio classico di tale selezione è quello della farfallina notturna Biston Betularia, che variava il colore delle ali (chiaro o scuro) a seconda delle condizioni di inquinamento dell’ambiente cittadino, che scuriva la corteccia degli alberi dove la farfalla vive.
La selezione divergente
Quando la selezione naturale sposta un carattere verso i due estremi si parla di selezione divergente. È ad esempio il tipo di selezione che opera su una specie di passeridi, lo spacca semi ventrenero, che ha sviluppato due tipi differenti di becco a seconda dei semi (duri o morbidi) mangiati, a scapito del becco di tipo intermedio.

Che cos’è una specie e come si formano nuove specie?
La specie è l’unità base degli esseri viventi. Ecco il concetto biologico di specie: le specie sono gruppi di popolazioni che realmente (o potenzialmente) si incrociano tra loro in natura e che sono isolati da un punto di vista riproduttivo.
Due modalità di speciazione: la cladogenesi e l’anagenesi
In generale, il processo attraverso il quale una specie si trasforma in un’altra viene chiamato speciazione. Ci quando da una specie madre se ne dirama un’altra si parla di cladogenesi. Quando invece l’intera specie si evolve si parla di anagenesi.
Il ruolo della separazione geografica: la speciazione allopatrica
Il più comune punto di partenza per una speciazione è ovviamente la separazione geografica. Quando una barriera geografica scinde una popolazione in due, queste col tempo possono diventare due specie distinte, cioè non più in grado di accoppiarsi. In questo caso si parla di speciazione allopatica (allopatico = con patria diversa).
I meccanismi di isolamento riproduttivo alla base della speciazione
La separazione geografica è alla base della speciazione, ma di per sé non può provocarla. La speciazione allopatrica opera in due fasi: prima si ha la separazione geografica, e poi si ha lo sviluppo di caratteristiche differenti che isolano le due specie dal punto di vista riproduttivo. Da qui viene il concetto di isolamento riproduttivo, cioè qualsiasi fattore che impedisce a due individui di accoppiarsi. La speciazione allopatrica è un meccanismo estrinseco di isolamento, mentre ci sono altri meccanismi che sono intrinseci.
Sei meccanismi intrinseci di isolamento riproduttivo
Isolamento ecologico
Due specie di animali strettamente imparentate possono vivere nella stessa area ma in habitat diversi, e quindi incontrarsi raramente e diminuire o azzerare il flusso genico (come nel caso di leoni e tigri).
Isolamento temporale
Anche quando due popolazioni vivono nello stesso habitat, possono avere periodi di accoppiamento diversi.
Isolamento comportamentale
Perché possano incrociarsi due individui occorre che si scelgano tra loro. Tale scelta si basa spesso sull’esecuzione di rituali di corteggiamento molto particolari e spesso incompatibili.
Isolamento meccanico
Col tempo due popolazioni possono sviluppare organi riproduttivi diversi per dimensioni, forma o qualche altra caratteristica. In questo caso anche essendo strettamente imparentate non sono ovviamente compatibili all’accoppiamento.
Isolamento gametico
Anche quando si ha accoppiamento può succedere che non si abbia formazione dello zigote a causa di incompatibilità tra i gameti maschili e quelli femminili.
Non vitalità o sterilità dell’ibrido
Anche quando avviene l’accoppiamento e viene generata una prole, questa può essere particolarmente debole oppure malformata (non vitalità), e può essere sterile, cioè incapace di riprodursi.

Esempio