L' anello di re salomone

Materie:Scheda libro
Categoria:Scienze

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Testo

Riassunto de “L’anello di re Salomone” di K. Lorenz

Lorenz afferma di riuscire a comunicare con tutte le bestie che conosce molto bene e di saper distinguere i vari linguaggi. Inoltre, l’autore spiega come in realtà le bestie non comunichino solamente grazie a dei segnali vocali, ma, soprattutto, grazie alla riproduzione ed alla codifica di gesti innati. Questo vale anche per quanto riguarda il loro “parlare” e “capire” l’uomo. Chiunque possegga un cane, infatti, non può negare che la bestia sappia riconoscere perfettamente quando l’alzarsi dalla sedia comporta semplicemente l’andare in un’altra stanza o la passeggiata (Lorenz ci propone quest’esempio nominando la sua cagna Tito). Con questo stesso discorso si può spiegare come alcuni animali sappiano contare: essi interpretano una conoscenza che, colui il quale legge il quesito ha già. Se chi leggesse non sapesse la risposta l’animale si troverebbe completamente spaesato perché non riuscirebbe ad interpretare nessun segnale involontario dell’uomo.
Anche i famosi pappagalli “parlanti” si limitano semplicemente ad interpretare e non comunicano quasi mai per raggiungere uno scopo. Inoltre fanno molta fatica ad apprendere nuovi vocaboli e questa fase diviene immediata solo quando è associata ad un momento di grand’agitazione per l’animale.
Per studiare meglio come le ochette uscivano dal guscio Lorenz cova per due giorni dieci uova. Quando la prima è nata l’autore tenta di metterla sotto un’oca bianca che deve farle da madre. Questo però non è possibile perché il piccolo volatile lo insegue piangendo disperato: è stato la prima cosa che ha visto ed ora lo ritiene sua madre. Nei giorni successivi l’ochetta, battezzata Martina dimostra tutto il suo affetto ed il suo attaccamento alla “mamma” continuando a chiamarla e pretendendo quindi una risposta che la rassicuri di non essere stata abbandonata.
Per riuscire a decifrare il linguaggio delle oche Lorenz fa da madre anche alle altre nove, ma con loro il lavoro è meno duro perché possono essere lasciate da sole. Mentre accompagna le oche a pascolare lo scrittore impara vari segnali che gli consentono di comprendere quando le bestie vogliono volare via e di chiamarle per spostarsi.
Lorenz spiega che chi vuole comperare un animaletto che gli tenga compagnia deve seguire alcune semplici istruzioni per trarne il massimo divertimento, ma soprattutto per non fare assolutamente soffrire la bestiola. Di conseguenza non bisogna accettare animali che appartengano a due categorie: quelli che non possono vivere con noi e quelli con i quali non possiamo vivere noi.
Della prima categoria fanno parte tutte quelle bestie che necessitano di cure molto particolari e costanti non facili da procurare, soprattutto per chi è alla prima esperienza e non possiede le conoscenze per prendersene cura. Inoltre questi animali soffrono molto a vivere con l’uomo e molto spesso muoiono quasi subito. All’altra categoria appartengono le bestie citate nei capitoli precedenti, incredibilmente intelligenti, ma alle quali bisogna prestare attenzione per godersele appieno.
Gli animali consigliati sono dunque abbastanza pochi, a meno che non ci si accontenti anche d’esemplari profondamente noiosi. Lorenz consiglia di acquistare bestie come gli stordi oppure i cani, anche se la loro vita piuttosto breve causa una separazione precoce e dolorosa. Inoltre non bisogna mai dimenticare di comprare esattamente la specie che si è scelta e di non incorrere mai nell’errore di ritenersi sufficientemente capaci anche per curare un animale selvatico ferito.
Quando si va in giardino zoologico, spiega Lorenz, le bestie che suscitano immediatamente la nostra compassione sono tre: il fringuello, il leone e l’aquila. Ebbene questi animali sono fra quelli che meno soffrono lo stato di cattività: l’uccellino non necessità assolutamente di vasti spazi per non soffrire (infatti, lo si sente ugualmente cantare, indice della sua salute). Per quanto concerne il “re delle savana” è probabilmente l’animale più pigro che esista e anche nel suo habitat naturale, se può, evita accuratamente il minimo movimento non indispensabile. Trattando dell’aquila s’incorre nella demolizione di un mito: è una bestia intelligente quanto una gallina e il suo problema più grande non consiste nelle dimensioni della gabbia, ma negli ospiti con cui la deve condividere.
Animali che invece soffrono realmente sono tutti i canidi (i quali necessitano di vasti spazi essendo abituati ricoprire quotidianamente grandi distanze), gli uccelli evoluti (quanto sono grandi le gabbie di pappagalli e corvi?), ma più sfortunati di tutti sono le scimmie, che soffrendo anche psicologicamente, arrivano ad ammalarsi e morire rapidamente.
Chi di noi sospettata minimamente che una tortora in gabbia può uccidere un suo simile e che un lupo non lo farebbe mai? Nessuno! Questo fatto, approfondisce Lorenz; avviene perché l’uomo ha la sbagliata concezione di: carnivoro-assassino, erbivoro-vittima. In realtà di due tortore, se rinchiuse in una gabbia, una finirà sicuramente per morire a causa delle beccate dell’alta. Due “ferocissimi” lupi che s’incontrano mostrandosi i denti con espressione minacciosissima non si faranno assolutamente niente quando lo sconfitto si arrenderà mostrando, in segno di sottomissione, la gola all’avversario. Il fatto è semplicemente spiegabile: la tortora se è in pericolo fugge rapidamente, ma in una gabbia non lo può fare, così le placide beccate di una si rivelano fatali per l’altra. I lupi, invece, seguono da sempre un codice cavalleresco simile, ma spesso più pietoso, a quello degli eroi epici. Se, ogni volta che queste bestie s’incontrassero, una avesse il sopravvento sull’altra da molto tempo la specie non esisterebbe più.
In età paleolitica branchi di sciacalli iniziarono a seguire l’uomo per mangiare gli avanzi dei suoi pasti, offrendogli in cambio protezione dalle altre bestie selvatiche e, successivamente, un aiuto nella ricerca delle prede. Questo patto divenne sempre più saldo fino a quando il primo sciacallo non fu addomesticato. E proprio da questo primo esemplare discendono la maggior parte dei nostri cani.
Contrariamente a quanto si pensa, spiega lo scrittore, la maggior parte dei nostri fedeli amici non discendono dal lupo (Canis lupus), ma dallo sciacallo (Canis aureus); solo pochissimi esemplari (Husky e simili) hanno lo stesso sangue dei lupi.
Le differenze fra le due specie sono enormi: il discendente dello sciacallo è un cane giocoso che ama la compagnia ed è ubbidiente, ma non ha un solo ed assoluto padrone che riconosce come leader. L’altro è ombroso, amante della solitudine, non assumerà mai un atteggiamento di totale sottomissione nemmeno con il suo unico ed affezionato padrone (il quale può essere uno ed un solo in tutta la vita).
Lo scrittore comunque non nasconde che varie volte è stato lui a far ridere i suoi concittadini perché, da bravo etologo, cerca di studiare il comportamento delle bestie. Una volta un gruppo di turisti lo osserva meravigliato vedendo un uomo barbuto girare accovacciato e continuando a ripetere qua-qua. Nessuno di loro può immaginare che in realtà è seguito da una nidiata di germani reali di cui si stava occupando. Un’altra volta, per mettere l’anello alle zampe delle taccole, si traveste da diavolo, con tanto di coda e forcone, e va sui tetti seguito dall’incessante gracchiare delle taccole infastidite.

Commento

Questo libro secondo me è molto bello, poiché, nonostante Lorenz sia un grande scienziato, parla del mondo degli animali in modo semplice, e comprensibile a chiunque voglia leggerlo.
Un altro aspetto che rende interessante questo libro è che lo scienziato, per poter studiare al meglio il comportamento dei suoi animali, cerca di mettersi nei loro panni provando a vivere come loro.
Questo aspetto dona al libro anche un po’ di ironia e fa si che non risulti pesante alla lettura.
Un episodio che mi è piaciuto molto è quello in cui Lorenz va in giro accovacciato seguito da una nidiata di germani reali: questo fatto rispecchia molto come Lorenz cerchi di immedesimarsi nella vita degli animali che sta studiando.

Esempio



  


  1. catrenini samuele

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