Edipo re di Sofocle

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Categoria:Greco

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Testo

Elisabetta Chiolo n° reg. 10
II A
15 Ottobre 2001
EDIPO RE
DATI RELATIVI ALLA TRAGEDIA
Autore: Sofocle
Titolo della tragedia: Edipo re
Titolo originale: Οαιδιπούς τύραννος
Traduttore: Raffaele Cantarella
Casa editrice: Arnoldo Mondadori Editore
Luogo di pubblicazione: Milano
DATI RELATIVI ALLA RAPPRESENTAZIONE
Data della prima rappresentazione ateniese: 430 - 425 a.C.
Festività all’interno di cui venne rappresentata: /
Esito della competizione: /
Titoli delle tragedie e del dramma satiresco che componevano la tetralogia: /
Luogo in cui è ambientata la scena: La tragedia è interamente ambientata a Tebe, davanti al palazzo di Edipo; sui gradini che stanno davanti all’entrata, sono seduti dei giovani che stringono nelle mani dei rametti di ulivo.
Distribuzione delle parti fra gli attori: /
IL MITO
Riassunto della saga mitica a cui attinge il poeta: Edipo appartiene alla discendenza di Cadmo, mitico fondatore di Tebe. Fin dalla nascita, Edipo è segnato da una maledizione: un oracolo annuncia che il nascituro avrebbe ucciso suo padre. Laio espone il bambino, ma un suo servitore consegna il bambino ad alcuni pastori, che, a loro volta, affidano il bimbo a Polibo, re di Corinto; Edipo vive presso la corte di Polibo, di cui è convinto di essere il figlio. Durante una lite, un commensale aveva rivelato a Edipo che egli non era il figlio del re, bensì un trovatello: il protagonista decide di interrogare l'oracolo di Delfi circa le sue origini. Edipo incontra il suo vero padre, Laio, e lo uccide in seguito ad un diverbio: la profezia del parricidio è realizzata. L'oracolo di Delfi annuncia a Edipo i crimini che è destinato a compiere, cioè il parricidio e l'incesto con la madre; convinto che i suoi genitori siano quelli adottivi, il protagonista fugge dalla casa dove è stato allevato e si dirige verso Tebe. Ivi giunto, Edipo affronta la Sfinge, che gli impone di risolvere un indovinello: l'eroe evita che la Sfinge lo divori e libera la città dalla sua minaccia, ottenendo, come premio, la madre Giocasta. Ma il segreto della sua origine emerge e, a causa della colpa di cui Edipo si è macchiato, una pestilenza si è abbattuta sulla città; Edipo invia a Delfi il cognato Creonte, che annuncia che la peste si placherà solo quando la morte di Laio sarà vendicata. Edipo interroga Tiresia, che conosce l'identità dell'assassino; nel momento in cui Giocasta comunica le circostanze della morte di Laio, Edipo è preso dai sospetti, che trovano un’ulteriore conferma nell'arrivo di un messaggero che annuncia la morte di Polibo. Giocasta si suicida, mentre Edipo si acceca e si esilia da Tebe. Edipo è costretto a vagare, vecchio e cieco, fino a trovare la morte a Colono. La maledizione e la colpa di Edipo si ripercuotono sulla sua discendenza: Eteocle e Polinice si uccidono alle porte di Tebe per il potere sulla città, Antigone viene sepolta viva per aver cercato di seppellire il cadavere di Polinice, contravvenendo al divieto di Creonte, divenuto tiranno di Tebe.
Fabula della tragedia: L'opera si apre con la presentazione della città di Tebe afflitta dalla sterilità e dalla pestilenza; i cittadini chiedono aiuto a Edipo, re della città. Il sovrano risponde di essere in attesa del ritorno del cognato Creonte, inviato a Delfi per avere un responso dall'oracolo. Giunto in città, Creonte svela il responso del dio: per salvare Tebe è necessario scoprire ed esiliare l'uccisore di Laio, il precedente re della città.
Edipo organizza immediatamente le ricerche, dichiarandosi ansioso di fare giustizia. Viene convocato l'indovino Tiresia, che si mostra dapprima reticente; in un secondo tempo, minacciato dal sovrano, accetta di svelare l'amara verità. Il vecchio afferma la colpevolezza di Edipo stesso, il quale avrebbe ucciso il padre e si sarebbe unito in un rapporto incestuoso con la madre. Il re, sdegnato, scaccia in malo modo Tiresia e prosegue le ricerche, non credendo assolutamente a ciò che ha udito.
Parlando con la moglie Giocasta, però, scopre le condizioni in cui è morto il suo predecessore e riscontra elementi di analogia con la situazione in cui egli, prima di giungere a Tebe, ha ucciso un viandante per un semplice motivo di precedenza. La moglie cerca di distoglierlo da questa ipotesi, e a questo scopo manda a chiamare l'unico servo superstite dalla strage.
Nel frattempo, giunge alla corte un ambasciatore di Corinto, che comunica la morte di Polibo, re della città, presso cui Edipo era cresciuto ignorando le proprie origini e il proprio destino. Edipo, angosciato, pensa che questo dimostri la veridicità dell'oracolo: egli è, infatti, convinto di essere figlio del re di Corinto.
A questo punto, il messo gli rivela il segreto della sua infanzia: Edipo è stato trovato abbandonato sul monte Citerone, da cui è stato condotto alla reggia di Corinto, dove è stato adottato dal re come fosse suo figlio. L'angoscia di Edipo cresce sempre di più e, mentre la moglie, che ha capito la verità, cerca di dissuaderlo dal proseguire le ricerche, egli è sempre più desideroso di arrivare alla certezza di ciò che è avvenuto.
Il servo superstite, giunto sul posto, si rifiuta di rivelare ciò che sa, ma poi, costretto dal sovrano, comunica ai presenti tutta la verità: l'uccisore di Laio è Edipo stesso; il servo, anni prima, non ha avuto il coraggio di denunciarlo al popolo perché, quando egli è giunto in città dopo la strage, ha visto che il colpevole era già stato investito della carica reale: Edipo aveva infatti liberato Tebe dalla Sfinge, e perciò era considerato il salvatore della città.
Il sovrano, distrutto, rientra nella reggia dove trova Giocasta, che si è data la morte per impiccagione; allora si acceca, trafiggendosi gli occhi con le fibbie della veste di lei. In seguito, dopo un ultimo colloquio con Creonte, si allontana dalla città in volontario esilio.
Intreccio della tragedia:
o Prologo: La tragedia inizia con una scena di massa: uno stuolo di supplicanti sta davanti alla reggia di Edipo; per loro parla il sacerdote che li guida, implorando il re, che aveva sconfitto la Sfinge, di trovare rimedio alla peste che distrugge la città di Tebe. Edipo li rassicura, affermando di aver già inviato Creonte, suo cognato, ad interrogare l’oracolo di Delfi su come debellare la piaga.
Creonte è di ritorno e informa che il dio impone di eliminare la contaminazione arrecata dall’uccisore di Laio; Edipo intende procedere all’inchiesta che consentirà di scoprirlo, e la sua affermazione basta ad infondere speranza ai cittadini.
o Parodos: Si allontanano i supplici, e subentra il coro, formato dai vecchi cittadini di Tebe. Il suo canto d’entrata costituisce una preghiera agli dei, perché intervengano a protezione del popolo tebano.
o Primo episodio: Nella prima delle due scene che compongono l’episodio, interlocutore di Edipo è il coro, che parla per bocca del corifeo. Il re proclama il bando, che dovrebbe recare salvezza alla città: l’esilio per l’uccisore di Laio e l’esclusione dalla comunità per chiunque lo protegga. Quando il coro tenta di risalire all’identità dell’assassino, le notizie sul misfatto appaiono oscure e generiche. Frattanto è sopraggiunto l’indovino Tiresia, chiamato a svelare il rimedio da opporre al contagio; tra lui ed Edipo si svolge un’ampia scena, violenta e penosa, in cui si fa strada il sospetto che, negli eventi passati, si celino verità crudeli per i protagonisti. Tiresia rifiuta di rivelare cose che sa tremende per il suo interlocutore; Edipo non tollere il suo silenzio e gli lancia accuse infamanti di collusione con l’uccisore di Laio. Tra i due esplode un’aspra lite: Tiresia rivela che la causa del contagio del paese è Edipo stesso, che rivendica il sapere superiore che gli concesse di vincere la Sfinge; i suoi sospetti investono anche Creonte.
L’accusa fatale contro Edipo è già stata mossa; ma appunto perché nessun elemento di fatto la conferma, essa pare tanto inverosimile allo stesso Edipo, da non doversene tenere conto. Tuttavia, il dubbio serpeggia nel suo inconscio e ne mina la sicurezza; lo sospinge ad ulteriori ricerche della verità, nell’ansia non svelata di scoprire che le parole di Tiresia sono false.
o Primo stasimo: Il coro immagina la fuga del colpevole sconosciuto, braccato dagli uomini, dal castigo degli dei e dal fato. Poi esso rimedita le parole di Tiresia, ma decide di non prestarvi fede: Edipo è il baluardo amato dalla città, e il vate non è infallibile, come sono gli dei. Il coro ha scelto di credere in Edipo, ma ormai è anch’esso in allarme.
o Secondo episodio: Si presenta Creonte, che ha saputo dell’accusa rivoltagli da Edipo, cui egli ribatte pacatamente, finché interviene Giocasta, che invita i due a riconciliarsi.
Il coro, Edipo e Giocasta intessono un breve dialogo lirico; la concitazione di Edipo è giunta al massimo, e così lo sgomento del coro, lacerato tra l’urgenza di porre fine alla rovina del paese e la fedeltà al sovrano.
Edipo accusa Creonte di servirsi delle profezie del vate Tiresia, ma Giocasta lo rassicura: prevedere il futuro non appartiene ai mortali, tanto che a Laio fu predetto che era suo destino morire per mano del figlio, invece ad ucciderlo furono dei banditi forestieri all’incrocio di tre strade, mentre il figlio fu esposto su un monte inaccessibile. Questa è la prima notizia che sconvolge Edipo, richiamandogli alla mente un luogo e un fatto del passato, quando non era ancora re di Tebe. Interroga Giocasta su Laio e sulla sua morte e racconta di essere fuggito dalla patria Corinto, dove regna suo padre Polibo, perché un oracolo gli aveva predetto che suo destino era di uccidere il padre e di giacere con la madre; ma, giunto all’incrocio di tre strade, un vecchio l’aveva trattato in modo oltraggioso ed egli l’aveva ucciso.
Ormai rimane la sola speranza che l’unico testimone del delitto confermi la diceria diffusa a quel tempo, secondo cui il regicidio fu opera di più uomini.
o Secondo stasimo: Il coro è turbato dalla sfida di Giocasta agli oracoli; la sua pia rivendicazione dell’onnipotenza divina, che garantisce il castigo degli empi, offre la ragione del canto nella vicenda drammatica, e un presago indizio di quanto si rivelerà.
o Terzo episodio: Sopraggiunge un messo da Corinto, che porta l’annuncio della morte di Polibo, vinto dalla vecchiaia; Giocasta ed Edipo proclamano la disfatta degli oracoli: Polibo è morto e sopravive solo il timore per la parte dell’oracolo relativa alla madre.
Il messaggero corinzio aggiunge che Polibo e la moglie Merope non erano i genitori di Edipo, ma l’avevano ricevuto proprio da lui, cui il bimbo era stato affidato da un pastore sul Citerone. Edipo si vede prossimo a sciogliere il mistero della sua nascita, ma Giocasta tace, poiché la terribile verità le è ormai palese.
La seconda trama della verità occulta viene portata in primo piano, mentre si tace sull’inchiesta della morte di Laio.
o Terzo stasimo: Edipo si è proclamato figlio della sorte e il coro fa eco all’esultanza del suo re, che crede di aver vinto il destino; Edipo proclama che, l’indomani, il Citerone risuonerà festoso in onore di Febo che ha voluto il bene della coppia regale, e che si sarebbe scoperto che, unitosi ad una ninfa, fu padre di Edipo un dio.
Brevissimo è lo spazio di questa illusione e, dopo l’euforia, impressionante sarà il crollo che ormai incombe.
o Quarto episodio: Arriva il pastore di Laio: Edipo e il messaggero corinzio gli richiamano alla memoria l’evento remoto del bimbo da lui portato sul Citerone. Il servo comprende l’orrore dell’accaduto e non vorrebbe dire altro, ma Edipo lo minaccia. Tutta la verità viene in chiaro, ed è proprio il servo a concludere che il bimbo di allora è Edipo.
Con un estremo saluto alla luce, Edipo rientra nel palazzo.
o Quarto stasimo: Edipo, che per l’ingegno aveva meritato di regnare sulla grande Tebe, ora si è scoperto partecipe di mostruose nozze; i vecchi tebani vorrebbero non averlo mai conosciuto, tanta è la contaminazione che egli attira su chi gli sta attorno, e, al tempo stesso, la pietà che suscita: poiché i suoi sudditi non dimenticano che al loro re essi devono la vita, quando fu vinta la Sfinge.
o Esodo: Un messo reca la notizia dei fatti tremendi che si sono svolti all’interno del palazzo: Giocasta si è impiccata e, come l’ha vista, Edipo si è cavato gli occhi con la fibbia della veste di lei.
Edipo lamenta il suo destino voluto da Apollo e la necessità che lo ha spinto ad accecarsi. Compare Creonte, commiserando Edipo, di cui non vuole ricordare le offese; alla sua richiesta di bandirlo da Tebe, risponde che attenderà il responso di Apollo. Edipo desidera stringere a sé le sue figlie, alle quali si prospetta una vita di infelicità e di affanni.
Personaggi principali: Nell'Edipo Re, il ruolo di protagonista indiscusso spetta indubbiamente a Edipo. Egli è il personaggio tragico per antonomasia; infatti, riassume in sé caratteristiche fra loro antitetiche, che contribuiscono a creare l'immagine di un "eroe del tragico".
Nel prologo della tragedia, Edipo è rappresentato come il modello dell’ottimo sovrano: si sente il padre del suo popolo, soffre per il suo male, confida di poterlo salvare; a sua volta il popolo guarda a lui come al garante della propria salvezza. L’ironia tragica di questa situazione è destinata a disgelarsi nel seguito dell’azione; Edipo finirà per trovarsi sempre più solo, la sventura della collettività diventerà la disgrazia dell’individuo.
Edipo è tormentato dagli scrupoli, dal sospetto che l'indovino Tiresia abbia in qualche modo ragione sul suo conto, ovvero che Merope e Polibo siano genitori adottivi e che quindi la profezia, che afferma che egli avrebbe ucciso il padre e sposato la madre, potrebbe essere fondata.
Quando si rende conto di essere lui l'assassino di Laio e di aver giaciuto con la madre, ed apprende che questa si è uccisa, Edipo si acceca. Questo atto viene interpretato come ammissione della colpa; egli già sospettava e temeva di essere il colpevole, dal momento in cui aveva fatto attenzione alle accuse di Tiresia, che era ubriaco, e dal momento in cui la pestilenza si era abbattuta su Tebe. La cecità e la carestia sono le due punizioni riservate ad Edipo.
Edipo è assolutamente innocente, o almeno è convinto di esserlo, ma, nello stesso tempo, è anche impuro, in quanto, per il semplice fatto di essere nato, non può che essere tale. Edipo è pio, ma è anche passionale; egli, infine, si impegna nel ricercare e affrontare la verità, ma, in questa sua ricerca, la sua angoscia cresce sempre di più e provoca una graduale, ma veloce, distruzione del suo potere, oltre che della sua stabilità mentale.
E’ quindi possibile sottolineare quattro aspetti fondamentali del protagonista: egli è il "self – made man", l'investigatore del vero, il τύραννός, infine è l'uomo a confronto con il suo subconscio. All'interno della tragedia viene evidenziato di volta in volta nell'agire del personaggio uno di questi ruoli.
L’Edipo di Sofocle è il prototipo dell’eroe tragico: è sovrano di Tebe, è stato il suo salvatore, ma ora è anche la sua rovina; dice di voler vedere la verità, ma si comporta in realtà come un cieco; è da un lato innocente, ma dall’altro colpevole; viene invocato, ma anche allontanato e, mentre prima era tutto per la città, ora non è più nulla per nessun uomo.
Personaggi secondari sono Giocasta, madre e moglie di Edipo, Creonte, il sacerdote, l’indovino Tiresia; personaggi minori sono un nunzio, un servo di Laio, un messaggero da Corinto; il coro è formato dagli anziani tebani.
I MECCANISMI DEL TRAGICO
Tre momenti della tragedia:
o Peripezia: La περιπέτεια è il rovesciamento dell'azione nell'esatto contrario: Edipo, venuto a conoscenza della tremenda verità, s’identifica con l'essere immondo a cui, fino a quel momento, ha dato la caccia e vede ricadere su di se tutte le minacce e le maledizioni che fino ad allora ha scagliato su un indefinito "altro".
o Riconoscimento: L'αναγνώρισις è il riconoscimento: esso consiste nell'impegno impiegato per comprendere, lungo tutto il corso della tragedia, chi sia il colpevole del regicidio.
o Sciagura: Scoperto ciò di cui si era in cerca, però, si comprende come nel frattempo si stesse cercando anche la vera identità del protagonista, che risulta tragicamente essere la medesima dell'imputato.
Caratteristiche della tragedia: L'Edipo Re ruota interamente intorno alla figura di un solo personaggio, Edipo, che è quasi costantemente presente sulla scena. Un'altra caratteristica peculiare di questo dramma è che l'antefatto tragico precede totalmente l'inizio della tragedia vera e propria: in questo modo tutta la rappresentazione è giocata su due elementi fondamentali: l'αναγνώρισις e la περιπέτεια.
Dalla sottolineatura di queste due caratteristiche della tragedia è già possibile comprendere come essa sia interamente giocata sull'ironia tragica. Con quest’espressione si intendono il contrasto e la conflittualità costantemente presenti nell'opera tra il senso ingannevole di Edipo e il senso dettato dall'onniscienza dello spettatore e del lettore.
In questa tragedia tutto è doppio e opposto: ciò che accade prima dell'αναγνώρισις rispetto a ciò che accade dopo; la realtà di Edipo che da accusatore diventa vittima e accusato; infine le stesse parole e le affermazioni del protagonista, fin dall'inizio, assumono un significato ambiguo.
Proprio per questo, anche al livello linguistico – espressivo, vengono utilizzate figure retoriche quali l'antifrasi e l'anfibologia, col fine di evidenziare ulteriormente l'assurdità della situazione. Edipo, infatti, pronuncia frasi che tendono a esaltare gli stessi valori che, senza saperlo, ha già tradito: egli, in gran parte dei suoi discorsi, prima dell' αναγνώρισις si dimostra particolarmente interessato ad accentuare l'importanza dei rapporti familiari, che poi comprenderà di avere irrimediabilmente distrutto.
LA COSCIENZA TRAGICA
Il rapporto uomo – dio e l’idea di colpa: Edipo, da quasi venticinque secoli, rappresenta sulla scena del teatro l'uomo innocente che la divinità ha voluto gravare dei mali e delle colpe più terribili che si possano immaginare. Egli è così diventato una figura paradigmatica, l'esempio per eccellenza dell'uomo innocente che accetta di sottostare al destino deciso per lui dagli dei, anche se questo risulta per lui incomprensibile. Egli è, innanzitutto, considerato un ottimo sovrano, il τύραννός nel significato positivo del termine. Infatti, in principio, è padre benevolo del suo popolo, a cui si rivolge con l'appellativo di "figli". In seguito, il suo ruolo gli richiede di diventare giudice e punitore; emana, quindi, il bando contro il colpevole dell'assassinio di Laio (una delle massime espressioni dell'ironia tragica), e s’impegna nello smascherarlo. Anche in questo suo nuovo ruolo, comunque, egli si rivela un punitore equo e non perfido, in consonanza con la sua figura di τύραννός positivo.
Eppure, egli dimostra di avere scatti di ira e impulsi di orgoglio, tipici del tiranno negativo; sarebbe quindi proprio quest'ira che assumerebbe un ruolo fondamentale nella sua vita, rendendolo, in qualche modo, complice del suo destino.
Sono tre gli episodi a sostegno di questa teoria: il primo è quello dell'uccisione di Laio, il secondo è quello del discorso con Tiresia, il terzo e ultimo è quello del colloquio con Creonte.
Nel primo caso, l'ira di Edipo viene immediatamente giustificata se solo la s’inserisce nella società del tempo: l'eroe incontra sulla sua strada dei viandanti che non vogliono cedergli il passo; si genera una lotta che porta molto in fretta all'uso delle armi, come era solito nella Grecia antica: Edipo risulta vincitore, per maggiore forza, per migliore fortuna, o forse, più semplicemente, perché si attui il suo tragico destino.
Nel secondo caso, l'eroe si adira con l'indovino Tiresia in due momenti diversi; dapprima quando il vecchio rifiuta di parlare: Edipo allora lo tratta in malo modo con il fine di salvare la città. Se, infatti, egli non parla, è impossibile progredire nella ricerca del colpevole, ed è perciò impensabile riuscire a scacciare da Tebe la sterilità e la pestilenza. In un secondo momento, di fronte all'accusa dell'indovino contro la sua "intelligenza rovinosa", il protagonista non riesce a capire a fondo il significato delle parole di Tiresia, ma replica, comunque, che non gli importa che la sua intelligenza sia rovinosa, se è lo stesso servita per salvare la città nell'episodio della Sfinge. Ribadisce quindi, ancora una volta, il suo grandissimo interesse per la città, interesse che riesce a superare quello per la sua stesa persona.
Infine, nel colloquio con Creonte, che cerca di difendere il vecchio Tiresia, Edipo si adira con lui e lo scaccia in malo modo; questa reazione è dovuta al fatto che il sovrano teme che il cognato stia organizzando un complotto contro di lui, e quindi, indirettamente, contro lo stato.
L'eroe tebano dimostra in ogni occasione di smentire l'assolutismo del despota: perciò si rivela totalmente priva di valore l'ipotesi che Edipo possa considerarsi colpevole per troppo orgoglio o troppa irascibilità.
La seconda ipotesi che vede Edipo colpevole, o quantomeno complice della sua rovina, è quella che lo considera soggetto a una sorta di "disposizione colpevole", dovuta al fatto che egli dimostra un'eccessiva fiducia nei confronti delle capacità e delle possibilità della sua intelligenza. Egli ha effettivamente un approccio razionale alla realtà; crede, infatti, che gli eventi siano generati dal susseguirsi di rapporti tra causa ed effetto, e ritiene quindi di essere in grado di trovare una spiegazione razionale per tutto ciò che accade: è pertanto il modello dell'uomo razionale per eccellenza.
Questo però non significa che egli possa essere accusato di ύβρις intellettuale, ossia di un eccessivo orgoglio nei confronti delle divinità e del loro potere sul destino degli uomini. Edipo non vuole dimostrare l'assoluta infallibilità dell'intelligenza umana, la sua totale indipendenza dall'elemento divino: egli ricorre alla ragione come strumento fondamentale per agire e per decidere, ma riconosce anche il valore indiscusso degli dei.
Pertanto non può essergli tributata neppure la colpa di essere troppo orgoglioso dal punto di vista intellettuale.
La sua colpa è quella di aver unito le tre generazioni successive, rappresentate dai tre stadi umani dell’enigma della Sfinge, e di essere diventato quella creatura del caos da essa richiamata, sconvolgendo l’ordine della città, poiché da adulto su due piedi è diventato vecchio con tre piedi ed è genitore e fratello dei nipoti del padre che camminano a quattro zampe.
L'analisi della figura dell'eroe tebano, protagonista dell'Edipo Re, obbliga a considerarlo come assolutamente privo di colpe ma, nello stesso tempo, come colui che viene atrocemente punito, per un imperscrutabile disegno divino, a causa dei suoi tragici e inconsapevoli misfatti. Anche nel giudizio complessivo del personaggio, ci si trova di fronte alla sua caratteristica fondamentale: il contrasto sostanziale naturalmente insito nel suo essere, contrasto che si rivela poi il motore dell'intera tragedia.
Un primo aspetto peculiare dell'opera è rappresentato dal posto in essa occupato dalla divinità. Edipo, pur avendo una notevole fiducia nelle possibilità dell'intelligenza dell'uomo, tuttavia non osa neppure mettere in dubbio il potere incontrastato del dio. In tutta la tragedia vengono, infatti, sottolineate alcune prerogative indiscusse di Zeus: egli risulta essere giusto, potente, ma anche, e soprattutto, incomprensibile. In quest’immagine della divinità è possibile scorgere l'idea di Sofocle; egli, infatti, nella complessa situazione che si può registrare ad Atene e in Grecia in questo periodo, si colloca tra coloro che difendono la tradizione, in contrasto con le nuove correnti di pensiero che tendono a distruggerla. Nella sua opera egli cercherebbe quindi di riaffermare la fede nelle divinità tradizionali.
Un altro elemento importante è costituito dalla presentazione del mondo e degli eventi che in esso accadono come fatti irrazionali. All'approccio assolutamente razionale che Edipo vorrebbe applicare alla realtà si contrappone la realtà stessa, che si manifesta in modo incomprensibile per l'uomo, senza seguire alcun ordine logico né temporale.
Il tempo assume una posizione particolare: esso si rivela alleato del mondo e del suo ordine imperscrutabile, e pertanto è anch'esso ingannatore nei confronti dell'uomo. Le profezie, che dovrebbero avverarsi in un tempo definito, si attuano senza seguire una logica temporale comprensibile; non esiste una continuità tra passato e presente, bensì al contrario, con il passare del tempo, svaniscono tutte le certezze che ci sono in principio; infine, nonostante Edipo sia convinto di sfruttare il tempo per migliorare la situazione in cui si trova, in realtà risulta essere sconfitto dal tempo stesso.
E' proprio il tempo, unitamente all'attuarsi della realtà, che sconfigge l'eroe e che fa in modo che, oltre a perdere il potere e a scoprire il suo tremendo destino, egli perda anche la fiducia nelle capacità della sua ragione.
I primi due aspetti sottolineati mettono in luce l'importanza che in questa tragedia assume la riflessione sulla condizione umana.
Viene evidenziata la debolezza dell'uomo: egli è totalmente impotente di fronte alla realtà, in quanto il suo destino è regolato dalle scelte della divinità. L'idea della fragilità umana non implica però direttamente il fatto che l'uomo sia totalmente insignificante; al contrario, egli s’impegna nella ricerca del vero, ed è proprio questa ricerca che reca all'uomo dignità e grandezza, prerogative che gli restano anche quando egli giunge al massimo del dolore e della rovina. Il meccanismo della conoscenza si rivela così molto particolare: l'uomo si sforza di conoscere, e, quando finalmente possiede la conoscenza, il suo coraggio sta nell'accettare e saper sopportare la sua tristezza, dimostrando così la sua saggezza. L'uomo passa perciò dall'inconsapevole felicità alla triste verità.
Volontà di Edipo è quella di risolvere il proprio mistero, di conoscere le proprie origini e il proprio fine; ma egli basa la sua ricerca esclusivamente sulle potenzialità della ragione, trascurando l'oracolo stesso. Per questo egli si proclama figlio della Τύχη, della Felice Sorte che, rovesciando la sua situazione nel corso degli anni, da "piccolo" che era l'ha fatto "grande", cioè ha trasformato il trovatello deforme nel sapiente signore di Tebe. Edipo non è figlio della Τύχη; come ha detto Tiresia, ne è la vittima; e il rovesciamento si produce riducendo il grande Edipo a quanto v’è di più piccolo, l’uguale al dio a un uguale a nulla. Quando sembra volersi riappacificare con il dio, consultando Tiresia, il conflitto ragione – religione si fa ancora più stridente. Il responso dell'oracolo di Delfi e la successiva consultazione di Tiresia non solo non chiariscono la situazione, ma anzi la rendono più misteriosa: nonostante ciò Edipo continua l'indagine spinto dall'impulso istintivo di conoscere attraverso i suoi limitati mezzi.
ATTUALITÀ DELLA TRAGEDIA
Valori avvertiti come attuali dal pubblico ateniese: La tragedia di Sofocle e' imperniata su violenti contrasti attorno alla figura dell'eroe, che è il protagonista incontrastato dell'azione.
Profondo è il senso religioso del poeta, che, dinanzi al dolore di cui è pieno il mondo, trova conforto negli dei. Egli sviluppa il concetto della giustizia degli dei, che puniscono non solo i colpevoli, ma anche gli innocenti; non resta che affermare che i disegni degli dei, seppur giusti, sono incomprensibili per gli uomini. Il poeta ha maturato una visione della vita pessimistica e dolorosa.
La tragedia di Sofocle riflette le contraddizioni della società di Atene dell'età di Pericle, ma collocate in una sfera universale, che vuole indagare su quale sia il posto dell'uomo nel mondo e dell'individuo nella collettività. Il contrasto è tra il tracotante individualismo dell'uomo, che ha fiducia nelle sue possibilità, e una struttura politica e sociale assolutamente fiduciosa nel potere della collettività.
Sofocle risolve questo contrasto nel senso che le leggi degli dei sono al di sopra di tutto, ma questo determinismo teologico non crea rassegnazione, bensì accettazione suprema ed incondizionata di queste leggi, ed in ciò sta l'umana grandezza.
Il messaggio dell'Edipo Re si rivela duplice e può essere riassunto in due aforismi: Conosci te stesso e Sapere è soffrire. Il primo invita e spinge l'uomo a conoscere se stesso; la conoscenza di se stessi viene intesa anche come la conoscenza e l'accettazione della propria debolezza: è questo che determina la grandezza dell'uomo. Il secondo aforisma sottolinea il dolore che spesso è generato dal raggiungimento di ciò di cui si era in cerca.
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